giovedì, giugno 03, 2010

Walk the World

Il 6 giugno 2010 partecipa a Walk the World, kermesse internazionale organizzata dal World Food Programme per raccogliere fondi. Nella Capitale una maratona di eventi, con una rassegna cinematografica, un music concert con Asia Argento e una biciclettata di 20 km

Quest'anno l'evento "End Hunger: Walk the World" si terrà, in tutto il mondo, domenica 6 giugno. Nel 2009 Walk the World ha visto la partecipazione di 360mila persone in 210 luoghi di tutto il mondo e i fondi raccolti sono stati destinati a garantire pasti scolastici a 20mila bambini dei paesi più poveri.

A Roma Walk the World sarà caratterizzato da una serie di eventi che si svolgeranno dal 3 al 6 giugno prossimi: Watch, Listen and Move.

Watch: la quattro giorni si aprirà con una rassegna cinematografica, il WFP Film Festival, presentato da Maria Concetta Mattei e Alex Braga: dal 3 al 6 giugno si terranno a UGC Cinè Citè Parco Leonardo di Fiumicino proiezioni riguardanti l’azione del WFP contro la fame e i paesi in cui questo opera.
Scarica la locandina dove troverai la lista dei film in rassegna.

Listen: il 4 giugno si svolgerà un concerto di musica presentato da Andrea Delogu di Saturday Night Live Italia 1 con la presenza di Asia Argento insieme ad un gruppo di Dj, e gruppi musicali che suoneranno dal vivo. Il concerto si aprirà con un aperitivo a partire dalle 19 e si terrà presso l’Ametista in Via Giuseppe Libetta, a Roma.
Scarica la locandina per avere tutte le informazioni sulla serata.

Move: domenica 6 giugno tutti in bicicletta per le strade del centro di Roma! Il percorso, che si snoderà attraverso luoghi suggestivi della città, come San Pietro, il Colosseo, Piazza Navona, è di 20 km. L'evento è aperto a tutti ed organizzato in collaborazione con Biciroma per la lotta contro la fame nel mondo e per la mobilità sostenibile. L’appuntamento è a Piazza del Popolo, alle ore 10. Quanti non disponessero di biciclette proprie possono noleggiarle a partire dalle h.9:00 in Largo Lombardi (tra Piazza del Popolo e Largo Goldoni) o nei pressi della metro Colosseo (all'uscita della metro sulla destra). Le tariffe sono agevolate per quanti partecipano all'evento WFP-Biciroma (5 € mezza giornata e 7 € intera giornata). Scarica tutto il percorso
Iscriviti ora direttamente dal sito. Oppure scarica la locandina per ricevere maggiori informazioni.

Scarica la locandina generale con tutti gli eventi e partecipa con noi. Ti aspettiamo!


Cos'è Walk the World?

Walk the World è un evento aperto a tutti, il cui obiettivo è di rendere l’opinione pubblica consapevole e partecipe della lotta contro la fame nel mondo, attraverso la conoscenza dell'argomento e la raccolta fondi. L'iniziativa viene organizzata ogni anno dal WFP in stretta collaborazione con i suoi partners ufficiali, con a capo TNT, Unilever e DSM. Gli impiegati di queste aziende, infatti, si ritrovano fianco a fianco con gli Ambasciatori, lo staff e i beneficiari del WFP, ma anche con il personale dei governi e delle Ong partner dell'agenzia, per essere tutti uniti nella lotta contro la fame e la malnutrizione.

É stato TNT ad avere l'intuizione di organizzare una marcia mondiale contro la fame. La motivazione di tale iniziativa sono i milioni di bambini che ogni giorno devono percorrere moltissimi chilometri per raggiungere la scuola, spesso a stomaco vuoto. Una marcia affrontata per avere un’istruzione e per sperare in un futuro migliore.

Il WFP fornisce pasti scolastici a decine di milioni di bambini. Il cibo nutriente aiuta gli studenti a concentrarsi sugli studi, incoraggiando i genitori a mandare i propri figli a scuola. Particolare attenzione è riservata alle ragazze. L’obiettivo principale è aiutare bambine e bambini a sviluppare tutto il loro potenziale fisico e intellettivo.

I partner ufficiali dell'iniziativa

TNT è una compagnia internazionale di spedizioni postali ed espresse che lavora in più di 200 paesi. Dal 2002, è partner del WFP, investendo su questa partnership più di 50 milioni di dollari. La TNT ha creato Walk the World nel 2003.

Unilever è uno dei primi fornitori mondiali di beni ad alto consumo ed è un'azienda ben radicata in più di 100 paesi in tutto il mondo. L'Unilever si è unita al WFP nel gennaio 2007 per una partnership di tre anni con l'obiettivo di migliorare lo stato di salute e il livello di nutrizione dei bambini poveri delle scuole di tutto il mondo.

DSM è un'azienda che si occupa di ricerca scientifica. Nell'aprile del 2007, la DSM e il WFP hanno unito le forze per fare in modo che i bisogni nutrizionali dei beneficiari del WFP venissero soddisfatti attraverso la creazione di alimenti ricchi di micronutrienti, da integrare alla razione alimentare del WFP.
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giovedì, giugno 03, 2010

Io sto con la pace!

Dopo la strage e il sequestro delle navi della pace, la Tavola della pace, la Piattaforma delle Ong per il Medio Oriente - Associazione delle Ong Italiane e il Coordinamento Nazionale degli Enti Locali per la Pace e i Diritti Umani invitano tutti a firmare l’appello “Io sto con la pace”.

assalto flottilla pacifistiLiberaInformazione - Prima la strage e il sequestro delle navi della pace. Dopo le condanne. E poi? Ci sono due modi per uscire da questa tragica vicenda. Il primo è quello più ovvio. Che, spenti i riflettori mediatici, tutto continui come prima, con più violenza, odio e tensioni in circolazione non solo nel Medio Oriente. Nel silenzio e nell’inazione generale. In attesa che un altro scontro sanguinoso, più cruento di quelli che continuano tutti i giorni in Terra Santa, desti la nostra attenzione. Fino ad ora è sempre stato così, anche dopo le peggiori tragedie.

Il secondo è quello più difficile. Che questo shock convinca i responsabili della politica nazionale e internazionale a dire basta, a mettere fine al blocco di Gaza e all’occupazione e a costringere israeliani e palestinesi a chiudere subito questo conflitto nel rispetto del diritto e della legalità internazionale. E’ tempo di cambiare l’approccio. La situazione è intollerabile e, come abbiamo visto, estremamente pericolosa. Non intervenire seriamente oggi è da irresponsabili perchè siamo e saremo sempre di più coinvolti.

Per evitare la catastrofe, è necessario che tutte le donne e gli uomini consapevoli, attivi nella società civile come nelle istituzioni, uniscano i propri sforzi agendo con determinazione, continuità e lungimiranza. Ci sono molte cose che si possono e si debbono fare qui e la: alleviare le sofferenze, difendere i diritti umani, promuovere il dialogo, sostenere le forze di pace, esigere che la Rai metta a confronto le idee e le proposte, premere sui parlamenti e sui governi.

L’anno scorso siamo andati a Gerusalemme per vedere la situazione, ascoltare i due popoli e riflettere sulle nostre responsabilità. Pochi giorni fa abbiamo nuovamente marciato da Perugia ad Assisi per rinnovare il nostro impegno per la pace e la giustizia. Oggi invitiamo tutti a dire:

Io ci sto! E voglio fare la mia parte.
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giovedì, giugno 03, 2010

Ff, il racconto dei prigionieri: 'rapiti e picchiati'

Atteso per oggi pomeriggio il rientro degli italiani arrestati a in seguito al blitz israeliano

pacifisti gazaPeaceReporter - "Siamo stati picchiati, prima sulla nave dai militari e poi ancora poco fa all'aeroporto di Tel Aviv" dalla polizia. È il racconto di Giuseppe Fallisi, uno degli attivisti italiani arrivati stanotte a Istanbul dopo l'espulsione da Israele in seguito al blitz contro la flottiglia filo-palestinese. "Ci picchiavano ad esempio se non ci sedevamo, e dopo averci picchiati ci mandavano i medici a visitarci", afferma il tenore milanese. "Siamo stati portati in un carcere in mezzo al deserto, appena finito di costruire: sembrava lo avessero costruito apposta per noi. In prigione non ci sono state violenze, avevamo a disposizione anche una doccia", ha raccontato Fallisi.

Angela Lano. "Abbiamo subito un vero e proprio rapimento, sia sulla nave che in prigione, dove non avevamo nessun tipo di diritto: non potevamo fare telefonate, chiamare i nostri avvocati". È la testimonianza di Angela Lano, l'unica donna tra gli attivisti italiani fermati durante il blitz israeliano contro la flottiglia filo-palestinese e arrivati stanotte a Istanbul dopo l'espulsione da Tel Aviv. "Sono anni che mi occupo di Palestina - ha affermato la giornalista torinese - ma la violenza che ho visto su quelle navi è stata incredibile", ha aggiunto la Lano.

Manuel Zani. "L'assalto dei soldati israeliani che si sono avvicinati alla nostra nave a bordo dei gommoni sembrava una scena di Apocalypse now", il trentenne Manuel Zani, il più giovane tra gli attivisti italiani fermati durante il blitz. "Quando abbiano capito che ci stavano per aggredire ci siamo separati in due gruppi. Io sono andato con i giornalisti nella cabina di pilotaggio per cercare di filmare quello che stava succedendo, ma ci hanno sequestrato tutto". "In Israele non ci torno neanche morto - conclude il trentenne, per la prima volta a bordo della flottiglia Free Gaza -, ma voglio tornare in Palestina al più presto".
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mercoledì, giugno 02, 2010

Una tecnica scintillante per lo studio delle opere d'arte

Si chiama Libs ed è una tecnica fisica che risponde a una finalità tipica della chimica analitica: la determinazione della composizione, sia qualitativa che quantitativa, di oggetti in fase solida, liquida o gassosa.

Almanacco della Scienza - CNR - "Il fascio di un laser opportunamente focalizzato sulla superficie dell'oggetto", spiega Vincenzo Palleschi responsabile del laboratorio di Spettroscopia laser applicata dell'Istituto per i processi chimico-fisici (Ipcf) del Cnr di Pisa, "genera un micro-plasma costituito da elettroni, ioni e atomi eccitati. L'emissione luminosa - una piccola scintilla - di questo micro-plasma viene raccolta da un apposito sistema ottico e risolta in lunghezza d'onda mediante uno spettrografo. Il risultato ottenuto viene poi elaborato con un opportuno software per determinare la composizione elementare dell'oggetto e le concentrazioni degli elementi in esso presenti. Il tempo di analisi è tipicamente di pochi secondi e la misura, grazie alla strumentazione mobile realizzata dal Cnr, viene effettuata in situ, senza cioè nessun trattamento dell'oggetto e spesso anche senza spostarlo dalla sua posizione all'interno del museo o del laboratorio di restauro".

Più recente è l'applicazione della Libs alla numismatica antica. "Un progetto ambizioso recentemente presentato alla Regione Toscana per la diagnostica e l'autenticazione in numismatica antica (Diana)", continua il ricercatore dell'Ipcf, "mira ad analizzare l'intera collezione di denari repubblicani del Monetiere, ce ne sono quasi 7.000. Il progetto è guidato dalla Scuola Normale Superiore di Pisa con il contributo del nostro laboratorio, del Monetiere del Museo archeologico di Firenze e del dipartimento di Scienze archeologiche dell'università di Pisa".

La tecnica Libs nasce negli anni Settanta del secolo scorso, nei laboratori di ricerca americani di Los Alamos, nel New Mexico. Gli stessi centri dove trent'anni prima erano stati costruiti gli ordigni nucleari di Hiroshima e Nagasaki. "Quando si cominciarono a sperimentare le applicazioni della Libs nel laboratorio Cnr di Pisa", rivela Palleschi, "nessuno avrebbe mai pensato che una tecnica sviluppata per scopi essenzialmente bellici potesse trovare come principale applicazione la conservazione e la valorizzazione delle opere d'arte. Una volta dimostrate le grandi potenzialità della tecnologia per la diagnostica ambientale e per lo studio di materiali industriali,si comprese però rapidamente che le sue caratteristiche principali - velocità, economicità e possibilità di essere utilizzata in situ senza alcun trattamento dell'oggetto da analizzare - si sposavano perfettamente con le esigenze degli studiosi e dei conservatori dei Beni culturali".

Nel frattempo la Libs è passata dallo stadio di tecnica fisica essenzialmente speculativa a quello di tecnica di chimica analitica. Una trasformazione sottolineata dalla recente realizzazione da parte del Cnr di uno strumento Libs commerciale chiamato Modì (Mobile dual-pulse instrument), utilizzato con successo per l'analisi di bronzi archeologici e artistici, come ad esempio i Bronzi di Porticello presso il Museo nazionale della Magna Grecia di Reggio Calabria e i Bronzetti della collezione Albani conservati al Museo nazionale Archeologico di Crotone.

Paola Colapinto Fonte: Vincenzo Palleschi, Istituto per i processi chimico-fisici, Pisa tel. 050/3152224, email vince@ipcf.cnr.it

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mercoledì, giugno 02, 2010

Gaza: l'Onu apre un'inchiesta. Israele: "flottiglia terroristica"

La comunità internazionale continua ad interrogarsi sul blitz delle forze israeliane contro la flottiglia di pacifisti diretta a Gaza, costato la vita a 10 persone.

Radio Vaticana - Il Consiglio dell’Onu ha adottato oggi a Ginevra una risoluzione che chiede l’apertura di una inchiesta internazionale sull’accaduto. Dura la condanna del presidente dell’autorità nazionale palestinese Abu Mazen, che ha accusato Israele di terrorismo di stato. Per il premier israeliano Netanyau la nave intercettata non era una “Love boat” ma una flottiglia terroristica. Intanto sono tornati liberi i sei italiani, arrestati dopo il raid, insieme ad altre centinaia di attivisti filopalestinesi. Il servizio di Cecilia Seppia (ascolta)

Intanto nella Striscia di Gaza continua ad essere forte l’isolamento come racconta Lino Zambrano, responsabile per la Palestina della Ong C.R.I.C.(Centro regionale di intervento per la cooperazione), raggiunto telefonicamente a Gerusalemme da Gabriella Ceraso (ascolta)

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mercoledì, giugno 02, 2010

Cristiani a Sarajevo

della nostra redattrice Monica Cardarelli

Ci sono libri che fanno riflettere e libri che ci fanno ritrovare qualcosa di noi nelle loro pagine. Ci sono libri che ci aiutano a cambiare e altri che ci portano a conoscere, trasportandoci in mondi diversi. Ci sono poi libri che sono tutto questo insieme. Uno di questi è “Cristiani a Sarajevo” (edito da Edizioni Paoline), l’intervista di Roberto Morozzo della Rocca a Mons. Vinko Puljic, arcivescovo di Sarajevo. Un libro/intervista a volte può apparire distante dal lettore, ma non è certo questo il caso. Forse perché l’intervistatore non ha bisogno di presentazioni, trattandosi di uno storico e docente universitario che ha a cuore nei suoi studi la storia dei Balcani; forse perché il Card. Puljic, arcivescovo di Sarajevo dal 1990 e creato cardinale da Giovanni Paolo II nel 1994, lascia trasparire tutta la sua umanità e l’attenzione alla persona umana propria del cristianesimo “Non cancellate l’uomo”, “Parliamo dalla parte dell’uomo”, “Quando si ha cuore per l’uomo non bisogna avere paura”.

Fatto sta che nelle pagine di questo libro si scopre a poco a poco la storia del cattolicesimo in Bosnia-Erzegovina raccontata in maniera molto semplice e profonda, vera e autentica, vicina.
Interessanti per il lettore anche i racconti del Card. Puljic sulla sua vita e sulla sua vocazione; l’importanza della famiglia per la crescita umana e di fede; la sua vita di sacerdote e il rapporto con le gerarchie ecclesiastiche romane e Giovanni Paolo II: “Il nunzio allora si mise in contatto con la Santa Sede e mi riferì: ‘Il Santo Padre dice: ‘Coraggio!’ (…) Giovanni Paolo II seguiva tutto di Sarajevo e di questo Paese. (…) Mi fu molto vicino. (…) Il Santo Padre chiedeva ed ascoltava molto. Mi invitò ad Assisi, alla grande preghiera per la pace in Jugoslavia. Dopo questa cerimonia mi portò con sé a cena. (…) Ma lui diceva: ‘Vieni, vieni. Io ti voglio ascoltare.’. (…) Si parlò di tante cose, faceva molte domande, aveva tanti interessi: voleva capire tutto, proprio come un padre. Era molto sensibile. Io ne ero profondamente commosso.”
Sono pagine che ci svelano un popolo, il popolo cristiano di Sarajevo. “Nel nostro popolo esiste una forza nel custodire l’identità cattolica. (…) La nostra identità è la croce. Il nostro popolo che vive insieme ai musulmani, mette una croce sul tetto della casa, sul cancello del giardino. (…) Un altro aspetto della nostra identità è la devozione per Maria. (…) Un terzo aspetto della nostra identità cattolica è la fedeltà al Santo Padre.”
Un intero capitolo è dedicato alla ‘Guerra’, alla paura, ai ricordi belli, alle difficoltà di essere cristiani in quei momenti, alle perdite e ai rapporti con le altre religioni: “Ma questa non era una guerra di religione contro l’altra. Durante la guerra ho avuto tanti contatti con i capi musulmani e ortodossi. Non c’erano problemi tra noi”. Sempre con un’attenzione particolare rivolta al dialogo interreligioso: “Durante la guerra fu firmato l’accordo di Dayton e noi quattro capi religiosi avviammo un consiglio interreligioso. Abbiamo preparato un memorandum, Princìpi morali per il dialogo. L’abbiamo sottoscritto tutti e quattro: cattolici, musulmani, ortodossi, ebrei. È stato anche preparato un piccolo libro per il dialogo, un Glossario.”
Nonostante negli ultimi anni Sarajevo sia cambiata molto e ormai il 90% circa degli abitanti è musulmano, il Card. Puljic non perde la speranza cristiana del dialogo e della convivenza pacifica. “Dopo la guerra sorge una disuguaglianza che viene dalla politica, non dalla Chiesa. Noi viviamo con i musulmani. Pensiamo che è possibile vivere insieme a loro. (…) Senza perdono non possiamo accettare l’altro. Il perdono ne è condizione. Senza perdono come si può dialogare? Come facciamo convivenza, come parliamo di tolleranza? E c’è un’altra cosa: il perdono è una via di liberazione interiore. Quando un uomo perdona, è libero. Quando non perdona, è prigioniero. È molto importante liberarsi da se stessi e perdonare. Non si perde la responsabilità, perché rimane. Ma quando si perdona, il cuore si libera. È la conversione.”
Rileggendo queste parole si capisce come “Cristiani a Sarajevo” sia un libro dai molteplici aspetti. L’aspetto storico lascia il posto alle memorie e ai ricordi e le riflessioni teologiche trovano applicazione nel vissuto del popolo di questo paese.
Come ad esempio alla domanda sul ruolo della donna nella società bosniaca: “La donna è contro la guerra. Ha paura per i suoi figli. (…) La donna nel nostro Paese è un segno per la vita e per la famiglia perché la donna è il cuore della famiglia, è la grande educatrice che fa l’unità della famiglia.”
Sempre a proposito del dialogo interreligioso, tema alquanto importante sia per l’intervistatore che per l’intervistato, il Card. Puljic ribadisce: “Il primo messaggio è che stiamo insieme e parliamo insieme. Parlare è distruggere i pregiudizi; è una cosa molto importante. Noi capi religiosi parliamo insieme con frequenza. (…) Quando proclamiamo la nostra fede, dobbiamo proclamarla per se stessa, non contro gli altri. Questo è molto importante per il dialogo: rispettare l’altro e vivere la propria tradizione.”
Un’attenzione dunque alla persona umana, al rispetto per l’altro, fonte di ogni convivenza. E per l’avvenire, il Card. Puljic in queste pagine ci lascia messaggi di speranza e di concretezza che non possono lasciarci indifferenti, come non ci lasciano indifferenti tutte le sue parole riportate in queste pagine. “Sì, comunque voglio incoraggiare il mio popolo a non essere inerte: create con la vostra fede! Bisogna influenzare di più la sfera pubblica con la fede. Non solo in Bosnia-Erzegovina, anche in Europa. (…) Vorrei aiutare i giovani a non aver paura della vita. Bisogna prendere la vita nelle proprie mani. Occorre creare uomini degni che possano contrastare il male, le manipolazioni e creare una nuova visione per l’avvenire.”
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mercoledì, giugno 02, 2010

2 Giugno. Napolitano "lavorare insieme per la sicurezza e il benessere comune"

In un mondo sempre più interdipendente non potrà esservi vera sicurezza se permarranno focolai di minaccia; non potrà esservi vero benessere se anche soltanto una parte dell'umanità sarà costretta a vivere nell'indigenza.

Radio Vaticana - E’ il messaggio del presidente della Repubblica Giorgio Napolitano al capo di Stato maggiore della Difesa, generale Vincenzo Camporini, in occasione della festa della Repubblica. Il Capo dello Stato ha ribadito la necessità di lavorare per la sicurezza e il benessere comune: “insieme in Italia, insieme in Europa” – ha precisato. Napolitano ha deposto una corona d'alloro davanti al monumento del Milite Ignoto, e davanti alle più alte cariche dello Stato è iniziata in via dei Fori Imperiali la parata militare collegata idealmente con il contingente italiano ad Herat in Afghanistan visitato dal presidente della Camera Fini. Al microfono di Luca Collodi, l’ordinario Militare mons. Vincenzo Pelvi (ascolta):

Il 2 giugno quest’anno si inserisce all’interno dei festeggiamenti per il 150esimo dell’Unità d’Italia. Luca Collodi ne ha parlato con il segretario generale della Cei, mons. Mariano Crociata (ascolta):
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mercoledì, giugno 02, 2010

Le nuove discariche prodotte dal bisogno di caffé in cialda

Una volta c'era la moka. Simbolo, se vogliamo, anche di un certo ambientalismo, vista l'altissima percentuale di materiale riciclato che compone le macchinette che soprattutto dal dopoguerra in poi hanno accompagnato il lungo sogno di benessere dell'italiano medio.

di Diego Barsotti

GreenReport
- Poi, qualche anno fa, sono arrivate le macchinette elettriche, via via sempre più metallizzate, sempre più di design sempre più status symbol (che presuppone anche un ciclo di vita più breve) che non possono mancare nelle liste di nozze delle nuove famiglie, così come nelle famiglie più vecchie, che finalmente possono permettersi un caffè buono come quello del bar. Ma la moka a ben guardare era (è?) una tragedia per il mercato: praticamente indistruttibile, eterna a patto di sostituire ogni tanto le guarnizioni e al limite il filtro. Per scardinare il mito della moka sono serviti anni si strategie di marketing del più alto livello, supportate da investimenti pubblicitari ciclopici con siparietti in prima serata arrivati a scomodare perfino il padreterno e tutti i santi intorno.

Ancora la malattia della moka non è stata debellata, ma la strada per farla divenire roba da collezionisti è stata presa. E la tendenza ora è quella di usare la stessa strategia delle stampanti: così come una stampante la puoi pagare 20 euro e le cartucce per ricaricarla ogni volta costano il doppio, allo stesso modo le macchine elettriche del caffè sono entrate prima negli uffici e poi anche nelle nostre case in comodato d'uso, gratuite, a patto di acquistare modiche quantità di caffè inserite in generose porzioni di plastica colorata umanizzate in nomignoli assurdi, a prezzi che se considerati a peso (almeno 50-60 euro al chilo), farebbero gridare al furto ma che invece l'inoculazione subliminale delle pubblicità, rende invisibili.

Insomma, grazie anche a questo nuovo bisogno creato dall'industria della pubblicità per tutta una lunga serie di altre industrie (quelle che compongono le filiere della cialda di caffè, dall'estrazione delle materie prime fino allo smaltimento finale), le capsulette di caffè che hanno preso i nomi dai cugini dei sette nani impazzano nelle nostre discariche (le cialde di stoffa sono diventate quasi introvabili, per amatori, ma avevano se non altro il merito di non contenere plastica e di poter essere raccolte con l'organico) insieme alla confezioncina sottovuoto in alluminio e insieme allo scatolone di cartone che ne contiene qualche decina. E contemporaneamente a tutto ciò la Bialetti ha annunciato nei mesi scorsi che delocalizzerà all'estero la sua storica fabbrica di macchine moka...

Del resto questo è solo uno dei tanti esempi della direzione che prende il mercato quando viene lasciato libero di agire. Un'altra testimonianza possiamo coglierla nella pagina pubblicitaria che un'azienda «leader nel mercato nazionale della produzione di preforme e contenitori in Pet» ha comprato oggi sul Giornale. In Italia si sa, a differenza di altri Paesi europei, il pet riciclato non può essere utilizzato per diventare un nuovo imballaggio per uso alimentare. Questo significa che tutte le nostre bottiglie di plastica - quando e se vengono riciclate - si trasformano in maglie, in arredi, pallet, ma non in nuove-vecchie bottiglie di acqua minerale. Ed è anche per questo che in tutta questa pagina pubblicitaria non viene fatto alcun accenno ad eventuali virtù ecologiche dell'azienda, che evidentemente non interessano (ancora?) i grandi produttori di acqua e bevande, che invece quando si rivolgono ai loro clienti (i consumatori finali) millantano la loro grande sensibilità ambientale consapevoli di quanto oggi il greenwashing renda.

Il filo rosso che unisce l'acqua minerale in pet e le capsule di caffè non è uno solo: c'è quello della plastica, quello dell'usa e getta / obsolescenza programmata, c'è infine la leva perennemente alzata della pubblicità come arma di convinzione di massa.

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mercoledì, giugno 02, 2010

Le Madri di Tiananmen chiedono al governo che parli sul massacro

Lettera aperta dei familiari degli uccisi nel massacro del 4 giugno 1989. Il Partito non risponde e attende che essi “muoiano” per sbarazzarsi del problema. Con l’avvicinarsi dell’anniversario, le famiglie sono sottoposte a controllo, isolamento, blocco del telefono, di internet e della posta.

madre tiananmenPechino (AsiaNews/Agenzie) – Le famiglie degli uccisi nel massacro di Tiananmen (4 giugno 1989), domandano a Pechino di rompere il silenzio e aprire con loro un dialogo sulla violenza operata dal governo. Come ogni anno, all’avvicinarsi dell’anniversario, un gruppo di 128 membri dell’associazione Madri di Tiananmen, ha diffuso una lettera aperta in cui si critica la leadership per non voler ascoltare le loro richieste di aprire un dialogo franco e aperto su quanto avvenuto la notte fra il 3 e il 4 giugno 1989. “Le autorità comuniste – dice la lettera – dovrebbero ascoltare la nostra voce, eppure non c’è alcuna risposta… Forse che davvero essi attendono che noi ci consumiamo, che moriamo, così che il problema sparisca?”.

Da aprile al giugno ’89, fino a un milione di giovani, operai, contadini, hanno manifestato in piazza Tiananamen domandando la fine della corruzione e la democrazia. La notte fra il 3 e il 4 giugno l’esercito cinese è intervenuto con carri armati e armi da fuoco per “liberare la piazza”, occupata ormai da mesi. Centinaia e forse migliaia di giovani sono stati uccisi o stritolati, altri colpiti nelle vie adiacenti alla piazza. Per il Partito comunista, il movimento è stato una “ribellione controrivoluzionaria”, pur essendo stato un movimento non violento.

Con l’andare degli anni, di fronte alle critiche delle Madri di Tiananmen, che domandano la revisione del giudizio sui loro figli da “controrivoluzionario” a “patriota”, il governo ha fatto valere l’interpretazione del “male minore”: la soppressione del movimento dell’89 è stata necessaria per portare alla Cina tutto il benessere di oggi.

La lettera invece afferma: “Dal sangue e dalle lacrime, siamo giunti a capire che il 4 giugno non è solo un male per ogni famiglia, ma per l’intera nazione”.

Il gruppo chiede anche la fine della persecuzione contro i suoi membri. Ormai, per periodi sempre più lunghi durante l’anno, le famiglie sono seguite da poliziotti, isolate e controllate a casa, i loro telefoni tagliati, le connessioni internet azzerate, la loro posta requisita.
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mercoledì, giugno 02, 2010

Cascina Arzilla, la rinascita di un bene confiscato alle mafie

Libera: “In questo modo festeggiamo la Repubblica”

cascina arzillaLiberaInformazione - Quando il 2 giugno 2004 la rete di Libera Piemonte e il Comune di Volvera sfilarono simbolicamente per raggiungere il casolare confiscato alle mafie a Volvera, quel bene era un vero e proprio rudere. Sono passati sei anni da quella data ed ora, grazie a un duro lavoro, il contributo della Regione Piemonte, la costruzione di una fitta rete di relazioni e di lavoro volontario, Cascina Arzilla ha mutato completamente aspetto. “Sorride” tra le campagne, pronta ad essere ufficialmente inaugurata. Il 1 giugno Cascina Arzilla, bene destinato all'associazione Acmos, festeggerà la sua inaugurazione con una marcia che coinvolgerà centinaia di cittadini. Una marcia per ripercorrere i passi fatti dal 2004, insieme a tutti coloro che hanno preso parte a questa avventura. Con Acmos e Libera Piemonte saranno presenti i ragazzi di 60 classi del territorio, da Orbassano e Pinerolo, coinvolti quest'anno in un percorso di educazione alla cittadinanza e alla legalità, ma anche cittadini e rappresentanti del mondo delle istituzioni e dell'associazionismo.

Con noi ci saranno inoltre amici della rete di Libera, persone che hanno vissuto la protervia mafiosa ed hanno deciso di reagire. Al nostro fianco marcerà Vincenzo Conticello, testimone di giustizia, imprenditore palermitano ribellatosi al racket. E poi i genitori di Antonio Landieri, vittima innocente di Camorra, ucciso da un proiettile di rimbalzo in un agguato a Scampia; Rosario Esposito La Rossa e Maddalena Stornaiuolo, parenti di Antonio che hanno deciso di non dimenticare il sacrificio di quel giovane facendo memoria, impegno e cultura, proprio nel quartiere teatro di quel tragico omicidio. Con l’occasione, sarà presentata un’anteprima dei progetti degli studenti del corso triennale di Pubblicità dell’Istituto Europeo di Design di Torino, pensati per sensibilizzare il pubblico sui temi della mafia e del testimone di giustizia e convincere le persone a vincere la paura e rompere il silenzio.

Inaugurare Cascina Arzilla è per noi festeggiare la Repubblica: un bene confiscato alla mafia che viene restituito alla collettività, il più pratico esempio di “res pubblica”. Il progetto infatti è quello di trasformare questo bene in un luogo del e per il territorio realizzando un orto didattico, un luogo di cultura e incontro.
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mercoledì, giugno 02, 2010

Italia, una giornata di mobilitazione nazionale in sostegno degli attivisti della Flotilla

Venerdì 4 giugno a Roma si svolgerà una manifestazione per chiedere il rilascio degli attivisti, la cessazione degli accordi di cooperazione tra Italia e Israele e il boicottaggio dell'economia israeliana

manifestazione pro-palestinaPeaceReporter - Dopo l'attacco sferrato dalla Marina militare israeliana in acque internazionali contro le navi della Freedom Flotilla, si moltiplicano nei diversi Paesi le manifestazioni di protesta contro la brutalità usata dall'esercito di Israele nei confronti degli attivisti, molti dei quali sono ancora nelle mani delle autorità di Israele. Anche in Italia nelle principali città si sono svolti presidi e cortei per protestare "contro l'arroganza e la violenza militare israeliana e contro l'atteggiamento di una comunità internazionale che continua a rendersi complice, garantendo l'impunità ai crimini di un Paese ancora una volta immune da atti concreti di condanna delle sue politiche. Continueremo a scendere in piazza e invitiamo alla mobilitazione in tutte le città italiane, finché tutti gli attivisti internazionali sequestrati da Israele non saranno liberati".

A questo proposito, venerdì 4 giugno nel pomeriggio è stata proclamata una giornata di mobilitazione nazionale per chiedere "l'immediato rilascio degli attivisti internazionali della Freedom Flotilla, l'immediata interruzione degli accordi di cooperazione fra Italia e Israele, il boicottaggio, disinvestimento e sanzioni contro l'economia di guerra israeliana". Il ritrovo è fissato in Piazza della Repubblica alle ore 17, il corteo proseguirà poi verso Piazza del Popolo.
... (continua)
martedì, giugno 01, 2010

Dopo il blitz israeliano contro la nave umanitaria, arrivano le prime verità

Non la risposta a una reazione violenta dell’equipaggio, ma una strage da attribuire solo a responsabilità dei commando: è il quadro che comincia a emergere dalle testimonianze dei primi attivisti della “Freedom Flotilla” tornati liberi dopo essere stati espulsi da Israele.

Agenzia Misna - Al racconto della deputata della “Knesset” Hanin Zuabi, secondo la quale i militari hanno cominciato a sparare già prima dell’assalto alla “Mavi Marmara”, sono seguite solo conferme. “Nella sua ultima comunicazione il capitano ci ha detto di scappare, perché stavano sparando all’impazzata e rompendo le finestre per entrare” ha raccontato Bayram Kalyon, dopo esser salito su un volo diretto in Turchia. Le testimonianze degli attivisti concordano anche sull’assenza di armi nelle navi. “Ho visto solo due bastoni di legno, nient’altro, nessun coltello” ha detto Norman Peach, passeggero tedesco della “Mavi Marmara” tornato oggi a Berlino. Secondo il portavoce della polizia israeliana, delle 682 persone di 42 paesi che viaggiavano sulle navi della “Freedom Flotilla” 45 hanno accettato di essere espulse e deportate nel paese d’origine. Gli altri sarebbero ancora in stato di arresto ad Ashdod o a Beersheva, nel sud di Israele. Greta Berlin, responsabile del movimento “Free Gaza”, ha detto alla MISNA che agli attivisti è stato consentito di incontrare avvocati e rappresentanti dei consolati ma che ogni loro contatto diretto con il mondo esterno continua a esser impedito. Difficile prevedere se su questa situazione potranno influire le posizioni assunte tra ieri e oggi da diversi organismi internazionali. In attesa di una risoluzione del Consiglio dell’Onu per i diritti umani, critiche sono state espresse persino dalla Nato, dove gli Stati Uniti sembrano aver dovuto tenere in qualche conto le posizioni della Turchia e di alcuni altri alleati. In una nota diffusa a Bruxelles al termine di un Consiglio straordinario, la Nato chiede a Israele la “liberazione immediata dei civili e delle navi sequestrate”. Secondo fonti del governo di Ankara, rilanciate oggi dalle agenzie di stampa internazionali, sono di nazionalità turca almeno quattro delle vittime del blitz. La giornata è stata segnata anche dai cortei di protesta, in diversi paesi del Mediterraneo e nelle città israeliane di Haifa, Tel Aviv e Gerusalemme. L’impegno di tutti e di ciascuno per i diritti umani è la via indicata da molte organizzazioni della società civile. Tra loro c’è “Avaaz”, che invita a sottoscrivere online una petizione per chiedere “un’inchiesta indipendente” sul massacro di ieri e la “fine immediata” dell’embargo nei confronti della Striscia di Gaza. “Come ogni altro stato Israele ha il diritto di difendersi – sottolinea ‘Avaaz’ – ma ora ha fatto un uso scellerato e assassino della forza per difendere una politica scellerata e assassina: il blocco di Gaza, dove due famiglie su tre non sanno se avranno ancora da mangiare”. Mentre anche la nave irlandese “Mv Rachel Corrie” sembra pronta a salpare da Cipro verso Gaza con un carico di aiuti umanitari, nuovi spunti di riflessione arrivano da uomini di pace e intellettuali israeliani. Sul quotidiano di Tel Aviv “Haaretz”, il “columnist” Bradley Burston oggi ha scritto: “Non stiamo più difendendo Israele. Stiamo difendendo l’assedio. L’assedio sta diventando il Vietnam di Israele”.

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martedì, giugno 01, 2010

Strage BP, Obama in ginocchio

Dopo il fallimento di "top kill" l'industria petroliferà avvierà un nuovo piano di contenimento. Ma la situazione rischia di peggiorarsi.

obama bpPeaceReporter - Tragedia British Petroleum atto quarto. Ormai è un pessimismo diffuso, ai limiti della disperazione, quello sceso tanto fra i cittadini statunitensi quanto fra i loro governanti all'indomani del fallimento del "top kill", la terza operazione di contenimento del greggio che sta infestando, dallo scorso 20 aprile, le acque del Golfo del Messico. La pressione dell'oro nero è incontenibile e gli esperti della multinazionale britannica continuano ad avanzare soluzioni tecniche sistematicamente accompagnate da dichiarazioni di incertezza. "Le probabilità di riuscita sono basse". Questa la frase di rito che ha anticipato ogni manovra attuata per chiudere la falla causata dall'esplosione della piattaforma di trivellazione Deep Water Horizon.

Quarto stadio. Si chiama Lower Marine Riser Package (LMRP) l'ennesimo progetto che la BP dovrebbe far partire domani. Alle basse percentuali, questa volta, si aggiunge anche un macabro paradosso: la possibilità che la situazione peggiori. Fra tutte le operazioni attuate fino ad ora questa sarà la prima che intaccherà direttamente la struttura dell'ex piattaforma. Per mezzo di un robot radiocomandato verrà tagliato il tubo flessibile di pompaggio dalla punta estrema della valvola di sicurezza Blow out preventer (BOP) che, dall'inizio del disastro, rappresenta il cardine delle domande e delle inchieste. É proprio questo congegno, infatti, che avrebbe dovuto garantire la chiusura del pozzo in caso d'incidente. Non è stato così. Le indagini preliminari sul caso condotte da una commissione indipendente di nomina presidenziale cercheranno di appurare se l'inefficienza della valvola sia dipesa soltanto dall'usura dei materiali con i quali è stata costruita o anche dalla negligenza congiunta della compagnia europea, nella manutenzione dell'impianto, e della Minerals Management Service (MMS), nei controlli su di essa. Dopo il primo taglio l'operazione comporterà una seconda recisione del tubo di conduzione, operata con un filo diamantato, all'altezza del BOP che sarà rimosso e congiunto al "cappuccio" meccanico. A questo, progettato per aderire alla parte finale del pozzo, sarà collegata una conduttura metallica che trasporterà i liquami all'interno di una nave cisterna parcheggiata sulla superficie marina. La grande incognita questa volta rischia però di fare precipitare la situazione in modo drastico perché lo smembramento della struttura di pompaggio farà aumentare l'emorragia marina del 20 percento. E se l'applicazione del LMRP non dovesse andare a buon fine le conseguenze saranno peggiori di quelle attuali.

Terremoto alla White House. Dallo stato maggiore di BP, Doug Suttles ha già anticipato la possibilità di un quinto piano in caso del fallimento di questo, aggiungendo che "i risultati del LMRP" non arriveranno prima di qualche giorno. Anche troppo per Obama che nonostante gli sforzi e le visite sulle ormai martoriate coste della Louisiana, continua a subire una perdita dei consensi all'interno della società. Per molti quello che il presidente ha fatto, e sta facendo, non è ancora abbastanza. Dopo aver assistito impotenti, ventiquattro ore al giorno per più di un mese, alle sconvolgenti immagini trasmesse dalla "spill-cam" di BP dai fondali del Golfo del Messico, ambientalisti e società civile si sono riuniti nelle più grandi piazze dello Stato federale per urlare la loro protesta contro i responsabili di quello che ormai è noto come "il più grande disastro ambientale della storia americana". E nessuno ha fatto differenze fra chi trivella e chi gestisce il Paese. Per il popolo il presidente e il suo ticket sono ormai "incapaci" di gestire l'emergenza. Intanto l'inquilino della White House dopo essersi cosparso il capo di cenere, "sono il presidente - ha detto Obama - e mi prendo l'ultima responsabilità di questa crisi" aggiungendo "non vi lasceremo soli", ha rispolverato il proclama del primo minuto: "British Petroleum è responsabile di questo orribile disastro e British Petroleum pagherà fino all'ultimo centesimo". Finora le risorse impiegate dal colosso di Londra per sanare l'emergenza ammontano a 930 milioni di dollari, 13 mila imbarcazioni e 400 uomini per ripulire le coste. E il futuro non si prospetta migliore dopo che il Congresso ha votato un provvedimento di urgenza per quadruplicare la tassazione su ogni barile di petrolio: si passerà da 8 a 32 centesimi di dollaro che andranno a finanziare un fondo speciale per le riparazioni.

Ma la soglia di allarme è ancora troppo alta. E che si parli, come fa BP, di 5 mila barili al giorno riversati in mare piuttosto che di 12-19 mila, secondo le stime del Servizio geologico federale, ormai è certo che l'esplosione dello scorso 20 aprile ha provocato danni di portata inestimabile.
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martedì, giugno 01, 2010

La missione nell’isola di Papua, in villaggi sperduti della jungla

I papuasi sono spesso negletti, sono insufficienti le strutture sanitarie e quelle per l’istruzione. Ma religiosi e missionari laici affrontano viaggi anche di ore, a piedi e su barche, per portare a tutti aiuti materiali e la fede cristiana.

Papua (AsiaNews) – Viaggiare per ore, nel folto della jungla, a piedi o su barchette, per raggiungere villaggi remoti. E’ quanto fanno religiosi e laici nell’isola di Papua, per “non dimenticare” questi miseri. Gli abitanti della provincia di Papua (la più orientale e remota dell’Indonesia) sono negletti da autorità e cittadini delle isole più “sviluppate” come Java, Bali, Sumatra, Borneo/Kalimantan, molti vivono in povertà, nella zona sono scarsi i servizi sanitari e anche l’istruzione scolastica è carente. Eppure l’isola è ricca di risorse naturali, come oro, legname, gas naturale, ma di queste ricchezze non beneficiano i residenti locali. Ma sacerdoti e suore sia cattolici che protestanti sono presenti anche tra questa gente “dimenticata”.

La Chiesa cattolica ha organizzato servizi sanitari, ma la sua attività pastorale è stata fino ad epoca recente limitata nel sottodistretto di Mayamuk, reggenza di Strong nella Papua Occidentale. Da febbraio l’attività si è allargata anche in zone remote, curata da gesuiti indonesiani, dalle Suore di Carlo Borromeo (SCB) e dai cattolici locali della parrocchia San Francesco Saverio Makbusun in Sorong.

Padre Joseph Wiharjono, parroco di San Francesco Saverio, spiega ad AsiaNews che religiosi e laici sono attivi nell’assistenza dei malati e dei più miseri tra gli abitanti della zona, con attenzione a “non lasciarli mai dietro”, a non dimenticarli. Il sacerdote, nativo di Java, ha passato la gran parte della sua vita da religioso nelle province orientali del Paese, specie Molucca e Papua.

Arga Satpada è un ex studente gesuita, nativo di Java, che poi ha deciso di fare il contadino in questo zone remote. E’ attivo nella missione pastorale e racconta che alcuni villaggi possono essere raggiunti solo a piedi, camminando per ore attraverso la jungla, coma a Klamoto V e Segun. Dice che “dal luogo più vicino nel sottodistretto di Makbusun noi dobbiamo camminare a piedi e poi prendere una piccola imbarcazione e portarla nel folto della jungla”. Tra le attività che fanno c’è l’assistenza sanitaria del tutto gratuita per i molti malati che trovano nei remoti villaggi.

Suor Annunsianes, delle SCB, dice che tra le prime preoccupazione vi è insegnare ai papuasi più remoti le basilari norme di igiene. Commenta che “molti indonesiani ritengono divertente che noi dobbiamo insegnare a queste persone come lavarsi i denti. Spieghiamo anche i pericoli per chi fuma”. Il fumo è una diffusa abitudine dei papuani, anche tra i giovani. Altri bevono troppo alcol o giocano d’azzardo.

Per arrivare a Mariat Pantai occorre affrontare circa 14 chilometri in motocicletta. Per Modan III sono 30 chilometri in motocicletta e suor Annuncianes ricorda che anche ivi svolgono educazione sanitaria e hanno pure “curato almeno 21 malati con un pagamento di non più di 5mila rupie indonesiane” (circa 32 centesimi di euro).

Padre Vincent Nuhuyanan guida il suo gruppo a Segun: per raggiungerlo ci vogliono 2 ore di navigazione attraverso i fiumi nella jungla.
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martedì, giugno 01, 2010

La lotta all'Aids è a un punto di svolta, ma non in meglio

La guerra contro l’Hiv si combatte prima di tutto sul piano finanziario, ed è lì che il mondo globalizzato la sta perdendo.

di Alessandro Micci

PeaceRepoter - Il 2010 è un anno di bilancio: sarebbe dovuto essere l'anno dell'accesso universale alla prevenzione e al trattamento, secondo quanto promesso nel 2005 dai principali leader mondiali in vista del traguardo fissato per il 2015, e cioè un'inversione di tendenza nella curva dei contagi: uno dei Millennium Goals, gli obiettivi fissati per lo sviluppo mondiale dalle Nazioni Unite, quello nella lotta all'Aids. E invece le cose non stanno così, c'è una generale flessione per quanto riguarda le donazioni, i donatori più importanti stanno tagliando i fondi per i farmaci, il numero dei pazienti trattati nel mondo e in particolare nei Paesi in via di sviluppo è destinato a diminuire drasticamente, causando un effetto a catena su un meccanismo delicato, che si regge su fragili equilibri.

La fotografia della situazione. Nel mondo è stimato ci siano circa 33 milioni di persone infette, di loro 14 milioni avrebbero bisogno di cure immediate, secondo i canoni fissati dall'Organizzazione Mondiale per la Sanità. Non solo, secondo l'Unaids, l'agenzia delle Nazioni Unite per la lotta all'Aids, ogni 100 persone sottoposte a trattamento altre 250 vengono infettate; se ogni anno nel mondo muoiono due milioni di persone, il totale complessivo dei malati continua comunque a crescere perché ne vengono contagiate all'incirca tre milioni tra adulti e bambini. Al momento meno di quattro milioni sono sottoposti al trattamento con antiretrovirali, e si stima che altri sei milioni siano i malati in attesa di accedere alle cure, e che versano in condizioni tali per cui l’accesso per loro significa la salvezza.

La lotta all'Aids la stiamo perdendo. Probabilmente a causa della crisi economica globale, ma non solo, molti dei principali fondi e contributori nel finanziamento dei programmi di cura, per l'acquisto dei farmaci e per rendere possibili i trattamenti, stanno ritoccando i loro budget verso il basso. Al regime corrente i donatori contribuiscono complessivamente per 10 miliardi di dollari l'anno, a fronte del fatto che controllare completamente l'epidemia viene stimato per 27 miliardi.
Quello appena trascorso è un decennio da molti definito “un periodo d'oro” per il trattamento: il costo dei farmaci, che in precedenza aveva raggiunto i 12mila dollari l’anno, tra il 2001 e il 2003 era sceso a meno di cento dollari, così per molti dei Paesi poveri era il momento di sperare, lanciando programmi di cura molto ambiziosi. Ma oggi, secondo l’Oms, le donazioni dovrebbero triplicare anziché diminuire: stando alle nuove linee guida lo Stavudine (d4t), farmaco dai costi contenuti ma dagli effetti collaterali devastanti, andrebbe sostituito con farmaci di nuova generazione, come il Tenofovir, e il trattamento andrebbe iniziato prima, per migliorare le condizioni di vita e permettere la sopravvivenza sul più lungo periodo. Questo cambiamento avrebbe costi molto più elevati sul breve periodo, ma consentirebbe di tenere l’epidemia sotto controllo sul lungo termine.

In questi ultimi anni, però, la scienza non ha trovato la bacchetta magica, una “cura” in grado di sconfiggere il virus, e gli strumenti a nostra disposizione, come la circoncisione di ogni uomo nei Paesi meno sviluppati, dare una pillola di profilassi quotidiana a tutta la popolazione ad alto rischio (la Pre-Exposure Prophylaxis) oppure fare il test a miliardi di persone e trattare tutti i positivi, si sono rivelati ampiamente impraticabili. Inoltre i vecchi metodi: astinenza, fedeltà e uso del preservativo, l’approccio “ABC” teorizzato in Africa, si è dimostrato insufficiente. E oggi, oltre alla crisi, c’è anche un altro fattore che sta determinando il collasso dei fondi, è una volontà politica e una semplice quanto brutale consapevolezza insieme: la crescente convinzione che più vite possono essere salvate combattendo malattie più economiche da curare.

Alcuni dei più importanti donatori. Il Fondo Globale per combattere Aids, Tubercolosi e Malaria è senz’altro il più importante tra i donatori internazionali, creato nel 2002 per mettere insieme governi, società civile e privati. C’è poi il Pepfar, il President’s Emergency Plan for Aids Relief, creato nel 2003 dal Presidente Bush e dipendente direttamente da Governo degli Stati Uniti. Tra i privati la più grande Fondazione al mondo è la Bill & Melinda Gates Foundation.
L’andamento generale però è sempre lo stesso: da una parte gli emissari del Fondo Globale che incontrano i rappresentanti dei governi e delle società private per negoziare i finanziamenti si sentono sempre più spesso ripetere che i budget sono tagliati, a tal punto che si era paventata l’ipotesi di sospendere ogni proposta di nuovi programmi per il 2010. Considerando che fino ad oggi il Fondo ha coperto i due terzi della spesa globale per il trattamento, si calcola che per continuare senza rallentare il passo dovrebbe raccogliere almeno venti miliardi di dollari per i prossimi tre anni.

Dall’altra il Pepfar, che aveva già diminuito i fondi negli ultimi anni, li terrà bassi per almeno altri due, ritirando l’impegno finanziario a sostegno del trattamento in alcuni Paesi.
Il Presidente Obama è stato criticato a fine 2009 per i piani di ridimensionamento del Fondo, e nonostante le smentite del nuovo coordinatore per l’Aids e capo del Pepfar, il Dr. Eric Goosby, sembra che secondo i nuovi piani il sostegno al trattamento correrà più lentamente che nell’era Bush. Il programma ha investito circa due milioni e mezzo di dollari sui farmaci dal 2004, il ché vuol dire almeno 500mila dollari l’anno; mentre ora un milione e mezzo per i prossimi cinque anni significano solo 300mila l’anno.
In linea con il pensiero pratico che si sta facendo largo, alcuni difensori del programma sostengono che si stia tenendo conto della salute generale distraendo i fondi sull’acquisto di farmaci che servono a salvare più vite con meno spesa: ad esempio filtri per l’acqua, kit orali per la reidratazione e antibiotici generici, con cui curare disturbi respiratori, diarrea, tetano. Cure queste il cui costo è valutato tra uno e dieci dollari, a fronte degli antiretrovirali che oscillano tra i 35 e i 2mila. Il Dr. Ezeckiel J. Emanuel, esperto di bioetica del National Institue of Health, ha pubblicato un’articolo sul Journal of American Medical Association, proprio quando Obama è stato eletto, sostenendo che la spesa del Pepfar sotto il governo Bush, con 48 miliardi in più dei 15 previsti inizialmente nel 2003, non fosse il modo migliore di usare i fondi internazionali, e inoltre che curando malattie più semplici si sarebbero anche salvate vite più giovani, cioè bambini e neonati.

Anche l’attenzione della Bill & Melinda Gates Foundation si sta spostando sulla cura della salute di madri e neonati. Il programma che la fondazione sta studiando di intraprendere potrebbe ridurre la mortalità delle madri del 75 per cento e quella dei neonati del 44, in un quadro in cui nel mondo ogni anno mezzo milione di donne muoiono ancora di parto e quattro milioni di neonati non superano il primo mese di vita.
Il dilemma è terribile: il responsabile delle politiche pubbliche all’amfAR, Aids Research Foundation, Chris Collins, sostiene che non si può intraprendere una linea d’azione per cui si fa in modo che i neonati sopravvivano e poi crescano fino a un’età in cui moriranno di qualcosa di più costoso.

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martedì, giugno 01, 2010

Trapianti e disabili: che cosa dice la convezione Onu

L’accesso alle cure mediche deve essere garantito alle persone senza discriminazioni sulla base della disabilità. Lo dice la Convenzione O.N.U., ratificata dall’Italia.

A
ido.it - La vicenda dei trapianti negati – dalla Regione Veneto - alle persone con disabilità intellettiva grave, merita qualche approfondimento e precisazione soprattutto per rispetto ai fatti e ai documenti. La vicenda nasce dalla Deliberazione della Giunta Regionale del Veneto n. 851 del 31 marzo 2009 che ha approvato a maggioranza le «Linee Guida per la valutazione e l’assistenza psicologica in area donazione-trapianto». Un documento importante per il Sistema Regionale dei Trapianti del Veneto che è sicuramente all’avanguardia non solo in Italia.


CONTROINDICAZIONI ASSOLUTE - L’allegato alla Deliberazione ricco di elementi di indubbio valore rispetto al supporto psicologico al donatore e alla famiglia, fissa con icasticità i fattori che «costituiscono controindicazioni assolute al trapianto d’organo». Fra questi fattori sono indicati con chiarezza i danni cerebrali irreversibili e ritardo mentale con quoziente di intelligenza inferiore al 50. Il testo della delibera smentisce, quindi, l’affermazione secondo cui «queste patologie non sono un criterio di esclusione assoluto».

CONTROINDICAZIONI RELATIVE - L’allegato alla Deliberazione prosegue indicando anche i «fattori che, pur non essendo controindicazioni assolute al trapianto, richiedono un’attenta e approfondita valutazione dell’organizzazione psichica del paziente e del sistema socio-familiare in cui è inserito, prima di decidere se sottoporlo o meno all’operazione». Fra queste controindicazioni vengono contemplate, fra le altre: i disturbi di personalità; disturbi psicotici in fase di remissione; disturbi affettivi in atto; i gravi disturbi nevrotici; il ritardo mentale con quoziente di intelligenza inferiore al 70.

CONVENZIONE ONU - Al di là degli risvolti etici e pratici che l’esclusione comporta, la Deliberazione sembra in forte contrasto con la Convenzione ONU sui Diritti delle persone con disabilità – ratificata in Italia dalla Legge 3 marzo 2009, n. 18. L’articolo 25 (Salute) premette con chiarezza che «le persone con disabilità hanno il diritto di godere del più alto standard conseguibile di salute, senza discriminazioni sulla base della disabilità». E prosegue sottolineando l’obbligo a «Fornire alle persone con disabilità la stessa gamma, qualità e standard di servizi e programmi sanitari, gratuiti o a costi sostenibili, forniti alle altre persone, compresi i servizi sanitari nell’area sessuale e di salute riproduttiva e i programmi di salute pubblica inerenti alla popolazione». L’esclusione all’accesso alle cure mediche (il trapianto, in questo caso) sulla base di una disabilità è, nelle Linee guida della Regione Veneto, evidente. La Convezione ONU, come già detto, è formalmente e sostanzialmente una legge dello Stato. Inoltre dovrebbe condizionare e modificare le norme, i regolamenti e le politiche adottate a livello nazionale e locale.

NORME ANTIDISCRIMINAZIONE - Esiste anche un’altra norma in Italia che consente un’azione efficace contro la discriminazione sulla base della disabilità. È la Legge 1 marzo 2006, n. 67 che fissa «Misure per la tutela giudiziaria delle persone con disabilità vittime di discriminazioni». L’articolo 2 illustra quali siano i comportamenti da considerare discriminatori distinguendo fra discriminazione diretta e indiretta. La discriminazione è diretta quando, per motivi connessi alla disabilità, una persona è trattata meno favorevolmente di quanto sia, sia stata o sarebbe trattata una persona non disabile in una situazione analoga. La discriminazione è indiretta quando una disposizione, un criterio, una prassi, un atto, un patto o un comportamento apparentemente neutri mettono una persona con disabilità in una posizione di svantaggio rispetto ad altre persone. Per queste situazioni la Legge 67 assume anche per le persone con disabilità strumenti di procedura giudiziaria già adottati per altri aspetti discriminatori. Le misure previste dalla norma per contenere o sanzionare i comportamenti discriminatori sono di natura giurisdizionale, consistono cioè in una maggiore tutela nei confronti di chi ricorre contro la situazione discriminatoria. La Legge 67/2006 potrebbe richiamata anche contro la Regione Veneto dai diretti interessati, da chi ne ha la tutela, o dalle associazioni legittimate a farlo.
(Carlo Giacobini, Direttore responsabile Handylex).

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martedì, giugno 01, 2010

Il metano del Golfo

Sono passati oltre 40 giorni dall'incidente alla piattaforma Bp nel Golfo del Messico, ma ancora non sappiamo né come fermare la fuoriuscita di petrolio né quanto petrolio sia uscito dal pozzo ormai libero. L'incertezza è ancora enorme.
di Pietro Greco

GreenReport - Le agenzie federali degli Stati Uniti parlano di 5.000 barili la giorno. Ma le valutazioni oscillano tra i 1.000 e 100.000 barili al giorno. Diminuire l'incertezza è assolutamente necessario non solo per valutare i danni, ma anche per programmare la strategia di ricostruzione ambientale e perfino di blocco della fuoriuscita. C'è un sistema per misurare con maggiore precisione la perdita di petrolio? David Valentine, uno studioso del Department of Earth Science and the Marine Science Institute, dalla University of California di Santa Barbara, sulla rivista Nature propone di misurare la quantità di gas metano disciolto nel mare.

Il metano è, infatti, il composto più abbondante che esce dal pozzo fuori controllo nel Golfo del Messico. Esso costituisce, in peso, il 40% del petrolio perduto. E, a differenza del petrolio, si dissolve abbastanza uniformemente nelle acque. Con una perdita stimata di 5.000 barili di petrolio al giorni, a un mese dall'incidente dovrebbero essersi dissolti in acqua circa 8.000 tonnellate di metano.

Certo una parte del metano potrebbe essere emersa in superficie ed andata perduta in atmosfera (il metano è un gas serra molto più potente dell'anidride carbonica). Un'altra parte potrebbe essere stata metabolizzata da organismi biologici. Ma, sostiene Valentine, se misuriamo la concentrazione attuale di metano nelle acque del Golfo potremo avere una stima più solida della reale perdita di petrolio del pozzo.

Chissà perché nessuno, fino a questo momento, ci ha pensato. Il metano, infatti, non è affatto un attore apparso all'improvviso sulla scena. È presente in maniera caratteristica nel Golfo del Messico, perché i pozzi petroliferi in quella zona ne sono ricchi. Secondo alcuni improvvisi fiotti di metano fuoriescono di tanto dai fondali. E potrebbero essere implicati in molte anomalie nella circolazione degli aerei e delle navi nella zona.

Alcuni sostengono che sia stata proprio una fuoriuscita improvvisa di metano a generare l'incidente alla piattaforma Bp. E, molto probabilmente, è stato ancora il metano a ostacolare i tentativi di tappare il pozzo. A grandi profondità, in particolari condizioni di temperatura e pressione, il metano forma dei cristalli solidi - gli idrati di metano. Ed è stata proprio la formazione di ghiaccio a impedire che il tentativo di bloccare la perdita di petrolio calando sul pozzo una calotta di cemento.

Studiamo, dunque, il metano e ne sapremo di più sul petrolio del Golfo. Ciò che lascia più stupiti è tutto questo non sia stato previsto e fatto né da un'impresa con l'esperienza e le capacità economiche della Bp, né dalla autorità di controllo degli Stati Uniti. È evidente che, in fatto di sicurezza ambientale, non abbiamo bisogno solo di più scienza, abbiamo anche bisogno di sfruttare al meglio le conoscenze scientifiche che già abbiamo.

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martedì, giugno 01, 2010

Il Consiglio Onu per i diritti umani condanna l'azione di Israele a Gaza

Il Consiglio dei diritti umani dell'Onu ha indetto per oggi pomeriggio una riunione urgente sull'attacco israeliano alla flottiglia di aiuti umanitari diretta a Gaza, che è costata la perdita della vita di 10 persone e molti feriti.

Radio Vaticana - Questa sera il primo ministro turco Tayyip Erdogan parlerà al telefono con il presidente Usa, Barack Obama, ed insieme discuteranno degli ultimi sviluppi della vicenda in cui è stata coinvolta innanzitutto la nave turca. Stanotte si è pronunciato il Consiglio di Sicurezza delle Nazioni Unite. Ce ne parla nel servizio Fausta Speranza (ascolta):
“Il Consiglio di Sicurezza dell'Onu è profondamente dispiaciuto per la perdita di vite umane e per i feriti provocati dall'uso della forza durante l'operazione militare israeliana in acque internazionali contro la flottiglia che stava navigando verso Gaza". Sono queste le parole che il Consiglio di Sicurezza dell’Onu ha messo nero su bianco dopo la riunione straordinaria di oltre dodici ore. C’è una condanna per gli atti sfociati in violenze, che qualcuno avrebbe voluto articolata diversamente, e ci sono richieste ad Israele: rilascio immediato di navi e civili trattenuti; accesso delle rappresentanze diplomatiche per recuperare i cadaveri e i feriti il prima possibile; la rassicurazione che gli aiuti umanitari giungano a destinazione. L’Onu inoltre chiede un'inchiesta completa sugli eventi ma torna anche a chiedere la piena applicazione delle Risoluzioni 1850 e 186. Il grave episodio di ieri ha avuto luogo quando stavano entrando nel vivo i negoziati indiretti per la ripresa del processo di pace israelo-palestinese. La preoccupazione è che dopo il lungo stallo dal 2008 si ripiombi nell’impasse. Intanto, ogni Paese si occupa dei connazionali trattenuti: gli italiani, che sono sei e non 4 come precedentemente detto, potranno incontrare solo oggi i rappresentanti del Consolato italiano a Tel Aviv. Insieme, con altri di altre nazionalità sono detenuti in Israele in attesa della pronuncia di un tribunale, essendosi opposti all’immediato provvedimento amministrativo di rimpatrio. Resta da dire che Israele continua a difendere l’azione militare come l’unica possibile di difesa vista l’accoglienza violenta al primo soldato sbarcato su un’imbarcazione. E che gli attivisti giurano: nessuno era armato".
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martedì, giugno 01, 2010

Adozioni: Cassazione, niente bimbi a coppie 'razziste'

Aspiranti genitori non possono scegliere colore pelle minore. Niente bambini alle coppie di aspiranti genitori che, nelle procedure delle adozioni internazionali, dichiarano davanti al giudice di volere solo minori di determinate etnie.

Ansa.it - In questi casi il magistrato, non solo non deve convalidare decreti di adozione che contengono simili esclusioni discriminatorie, ma deve mettere in discussione la capacità stessa della coppia razzista a candidarsi per l'adozione in generale. Lo ha deciso la Cassazione nella sentenza 13332 appena pubblicata e riferita al caso di una coppia siciliana che voleva adottare solo bimbi di razza europea. Con il deposito di questa decisione le Sezioni Unite della Cassazione hanno accolto il parere della Procura della Suprema Corte che, come si era appreso lo scorso 28 aprile, aveva chiesto che fossero messe al bando dal nostro ordinamento i decreti di adozione contenenti indicazioni sull'etnia dei minori. La Procura di Piazza Cavour era stata sollecitata da un esposto dell'Aibi - Associazione amici dei bambini - che da anni lotta contro i decreti razzisti. "Il giudice - sottolinea la sentenza scritta dal consigliere Maria Rosaria San Giorgio - oltre ad escludere la legittimità delle limitazioni poste dai richiedenti alla disponibilità all'adozione in funzione dell'etnia del minore, dovrà porsi il problema della compatibilità della relativa indicazione con la configurabilità di una generale idoneità all'adozione". Insomma, coloro che vogliono solo bimbi di tipo 'europeo' non hanno le carte in regola per fare mamma e papà. Inoltre, la Cassazione batte il tasto sulla necessità che i servizi sociali diano formazione adeguata alle coppie che intraprendono le procedure di adozione internazionale per guidarle verso "una più profonda consapevolezza del carattere solidaristico, e non egoistico, della scelta dell'adozione e prevenire opzioni di impronta discriminatoria". Con il sostegno psicologico - aggiunge la Suprema Corte - si possono aiutare le coppie a superare le difficoltà di accogliere "un bimbo che non sia a propria immagine", o le paure di quanti dicono 'no' al bimbo 'diverso' "per il timore di fenomeni di xenofobia che espongano a rischio l'integrazione del minore nell'ambiente sociale e creino in lui problemi di adattamento". Ad ogni modo, la Cassazione non ammette che le coppie possano esprimere 'preferenze' per "determinate caratteristiche genetiche" del bambino che vorrebbero. Anche in considerazione del fatto che, in generale, tutti i bambini abbandonati hanno alle spalle una storia già "profondamente tormentata" e, ancor più degli altri bimbi, necessitano di papà e mamme con "peculiari doti di sensibilità".

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martedì, giugno 01, 2010

Clima: gli auspici del Wwf per un giugno di svolta

Ormai da tempo in vista dei Summit internazionali su clima, effetti dei cambiamenti climatici e destini del pianeta, molte sono le speranze per il raggiungimento di accordi cogenti, per la riduzione delle emissioni di carbonio e per il finanziamento dei Paesi poveri che devono adattarsi ai cambiamenti climatici, attese che poi come è successo qualche mese fa a Copenhagen, vengono disilluse dalla realtà.

GreenReport - La comunità internazionale non riesce andare oltre qualche "accordicchio" non vincolante. Vista anche la congiuntura internazionale che dal punto di vista economico, almeno in Europa, non ha portato a miglioramenti, il nuovo round di negoziati Onu sul clima che si è aperto oggi a Bonn, dal punto di vista finanziario non fa presagire nulla di buono e questa volta anche in fase previsionale. In terra danese i paesi industrializzati avevano promesso 30 miliardi di dollari (periodo 2010-2012) per aiutare i paesi poveri. Ma i paesi in difficoltà aumentano e i paesi del "Nord" del mondo hanno sempre meno risorse a disposizione. La coperta è corta da tutte le parti, almeno che a livello internazionale non si cambi radicalmente modello politico-economico e si drenino risorse da settori che sono sempre in attivo come ad esempio quello degli armamenti.

Pur in un quadro non incoraggiante non perde la fiducia il Wwf Italia (sarà presente a Bonn dal 5 all'11 giugno) che vede il prossimo mese come «punto di svolta per la politica climatica». Secondo l'associazione ambientalista a partire da Bonn si potrebbero "portare a casa" alcuni importanti accordi: protezione delle foreste, finanziamenti per incentivare lo sviluppo fondato su basse emissioni di carbonio, e adattamento ai cambiamenti climatici per i Paesi in via di sviluppo. «Se tra i negoziati di Bonn e quelli nel Summit in Messico, a dicembre, si raggiungesse un accordo in questi campi - ha sottolineato Mariagrazia Midulla, responsabile clima ed energia del Wwf Italia - il mondo sarebbe a buon punto per arrivare a un accordo globale in occasione del prossimo vertice in Sud Africa nel 2011. Nel prossimo summit G8 e G20 che si terrà in Canada a fine giugno- ha continuato la dirigente del Wwf- i Capi di Stato dovranno identificare nuove fonti di finanziamento e discutere il passaggio delle sovvenzioni dai combustibili fossili alle nuove tecnologie energetiche, punti ''essenziali'' per affrontare i problemi dell'economia mondiale». Passaggio tanto fondamentale quanto complicato da raggiungersi in breve periodo. «I paesi vinceranno l'enorme sfida se accelereranno la trasformazione delle economie verso un modello a basse emissioni di carbonio e colmeranno le lacune che minano i loro piani d'azione nazionali» hanno concluso dall'associazione.

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martedì, giugno 01, 2010

"Mondiali di calcio al contrario", in nome di chi non ha voce

“Hanno manifestato in silenzio davanti l’ingresso del centro di identificazione ed espulsione di Ponte Galeria; eravamo a Roma, ma a loro sembrava di stare nel Sudafrica dell’apartheid”.

Agenzia Misna - Alla MISNA padre Filippo Mondini – missionario comboniano ora a Castelvolturno ma con alle spalle una lunga esperienza in Sudafrica – racconta l’ultima significativa tappa del viaggio in Italia compiuto dalla campagna “Mondiali al contrario” con cui insieme a tre rappresentanti del movimento “Abahlali base Mjondolo” (gli abitanti delle baracche, in lingua zulu) provenienti dalla baraccopoli di Kennedy road, alla periferia della città sudafricana di Durban, ha voluto far vedere l’altra faccia dei campionati mondiali di calcio in programma in Sudafrica a Giugno e Luglio. “Avevamo visitato altri luoghi simbolo dell’immigrazione in Italia – continua il missionario – a partire da Castelvolturno, passando da Rosarno e viaggiando attraverso le più ricche regioni del Nord-est”. Ponte Galeria è stato una sorta di punto finale: “Un momento estremamente doloroso – ha aggiunto padre Mondini riferendo le parole di Thembani Ngongoma, uno dei tre sudafricani che hanno partecipato all’iniziativa – che ha consentito di avere lo spettro completo di ciò che avviene agli immigrati anche in queste prigioni informali che sono i cie e che a loro hanno ricordato le prigioni del regime di apartheid”. Nel corso dei 4000 chilometri percorsi andando su e giù per l’Italia, la Campagna ha visitato diversi luoghi accomunati da un unico filo conduttore: quello della lontananza delle istituzioni, di politiche calate dall’alto e non rispondenti alle esigenze delle comunità locali. “Lo abbiamo visto a Castelvolturno e Rosarno con i migranti – aggiunge il missionario - ma anche a L’Aquila con i terremotati, a Vicenza contro l’ingrandimento di una base militare, in Val di Susa contro gli scempi ecologici della linea ferroviaria di alta velocità”. Come agli abitanti di Kennedy road è stata preclusa ogni possibile partecipazione ai benefici di ospitare i Mondiali, lo stesso è avvenuto in maniere diverse alle comunità di queste località italiane. “Prima di far ritorno, oggi, in Sudafrica – conclude il comboniano – con i nostri tre amici abbiamo incontrato il consigliere politico dell’ambasciatrice sudafricana a Roma, Anthea Joubert. A lei abbiamo chiesto di fare pressioni perché il governo sudafricano attui politiche più rispondenti alle esigenze della popolazione. Ma lo stesso vorremmo dire qui in Italia, in nome di tutti coloro che vengono costantemente dimenticati e ignorati”.

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martedì, giugno 01, 2010

Visitatori apostolici in Irlanda: annunciate le decisioni del Papa

Sono state comunicate oggi dalla Santa Sede - tramite la Sala Stampa - le decisioni prese dal Papa per la Visita Apostolica che aveva annunciato nella sua Lettera alla Chiesa cattolica in Irlanda nello scorso mese di marzo.

Radio Vaticana - La Visita Apostolica - che cercherà di approfondire le problematiche connesse con la trattazione dei casi di abuso e la dovuta assistenza alle vittime - inizierà nel prossimo autunno e interesserà in un primo momento le 4 arcidiocesi irlandesi (Armagh, Dublin, Cashel and Emly, Tuam) e sarà poi estesa ad altre diocesi. Inoltre – per quanto concerne la formazione del clero - riguarderà i seminari e il Pontificio Collegio Irlandese a Roma; infine saranno visitati anche gli Istituti religiosi maschili e femminili. L'arcivescovo di Dublino, mons. Diarmuid Martin, ha espresso vivo apprezzamento per l'annuncio dato oggi in Vaticano. Il comunicato è accompagnato da una nota del direttore della Sala Stampa della Santa Sede, padre Federico Lombardi. Ce ne parla Roberto Piermarini:

I visitatori nominati dal Papa sono figure di alto profilo e di grande esperienza specifica per i mandati ricevuti, afferma padre Federico Lombardi. Per le quattro arcidiocesi, si tratta di prelati esperti nel governo di grandi arcidiocesi: i cardinali Murphy O’Connor e O’Malley (rispettivamente arcivescovo emerito di Westminster e arcivescovo di Boston) e i due arcivescovi canadesi Collins e Prendergast (rispettivamente di Toronto e di Ottawa). Per i seminari, si tratta dell’arcivescovo di New York, Timothy Dolan, già rettore del Pontificio Collegio Nordamericano. Per i religiosi e le religiose – precisa padre Lombardi - si tratta anche di persone con ampia competenza nella formazione e nel governo religioso: il redentorista Joseph Tobin (già Superiore generale), il gesuita Gero McLaughlin (esperto di spiritualità, vive a Edimburgo), suor Sharon Holland (delle Suore dell’Immacolato Cuore di Maria, americana, canonista, a lungo capoufficio alla Congregazione per gli Istituti di Vita Consacrata) e suor Mairin McDonagh (delle Religiose di Gesù e Maria, irlandese, canonista, già Provinciale). Il comunicato precisa le finalità della visita, definita come “aiuto che la Santa Sede intende offrire ai vescovi, al clero, ai religiosi e ai fedeli laici per fronteggiare adeguatamente la situazione determinata dalle tragiche vicende degli abusi compiuti da sacerdoti e religiosi nei riguardi dei minori e per contribuire al rinnovamento spirituale e morale desiderato e già avviato con decisione dalla Chiesa in Irlanda”. La parola aiuto, "assistance", si legge nel comunicato, dice bene la natura “sussidiaria” dell’intervento della Santa Sede, che non si sostituisce alle autorità in carica, ma aggiunge una presenza che – venendo dall’esterno – può essere in condizioni migliori per raccogliere con obiettività informazioni ed esprimere utili valutazioni. Il comunicato – sintetizzando le lettere di nomina – indica i compiti dei Visitatori non solo nell’esame delle questioni relative al trattamento dei casi di abuso e all’assistenza dovuta alle vittime, ma anche nello studio della adeguatezza e dei possibili miglioramenti delle procedure di prevenzione, alla luce dei documenti e delle direttive oggi in vigore sia per la Chiesa universale (il Motu Proprio “Sacramentorum Sanctitatis Tutela” del 2001), sia specificamente per la Chiesa in Irlanda (il documento: “Safeguarding Children”).



Naturalmente, avverte la Nota, la Visita ai seminari e agli istituti religiosi si porrà anche nella più ampia prospettiva di favorire il rinnovamento della formazione sacerdotale e della vita religiosa. Il Coordinamento delle Visite farà capo ai tre dicasteri della Curia competenti, cioè la Congregazione dei Vescovi, quella per l’Educazione Cattolica e quella per gli istituti di Vita Consacrata e le Società di Vita Apostolica. Quest’ultima provvederà anche a una prima fase preparatoria della Visita agli istituti religiosi, inviando un apposito questionario a Superiori e Superiore dei vari istituti. Il successo della Visita – osserva padre Lombardi - suppone naturalmente la collaborazione aperta e cordiale – nella verità e nella carità – da parte di tutti con i Visitatori. La durata delle Visite non è specificata. Esse richiederanno certamente diverso tempo, anche perché i Visitatori sono perlopiù persone che conservano i loro attuali incarichi di grande impegno. I Visitatori dovranno riferire a chi ha dato loro l’incarico, cioè la Santa Sede, in altre parole il Papa assistito dalle Congregazioni competenti. Sulla base delle relazioni, la Santa Sede darà alle istituzioni visitate indicazioni per superare le difficoltà o prenderà le decisioni che appaiano necessarie. Per quanto riguarda le diocesi, il Comunicato prevede espressamente che – dopo le quattro arcidiocesi – anche alcune diocesi vengano successivamente visitate. Il comunicato conclude con l’auspicio che la Visita, accompagnata e sostenuta dalla preghiera di tutta la comunità della Chiesa in Irlanda, sia benedetta dal Signore e contribuisca al rinnovato fervore della vita cristiana e all’approfondimento della fede e della speranza di tutti i suoi membri.

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martedì, giugno 01, 2010

Israele nella bufera per l'attacco alla flottiglia pacifista

Almeno 10 i morti, centinaia i feriti. Lutto nei territori palestinesi.

flotta pacifisti attacco israeleRadioVaticana - Cresce lo sgomento e la tensione nel mondo a 24 ore dall’assalto delle forze di sicurezza israeliane alle navi di pacifisti che cercavano di raggiungere Gaza per portare aiuti. Contrastanti le versioni sui fatti e incerto il numero delle vittime: una decina per Israele per lo più turchi. Più di 40 i feriti e oltre 400 gli attivisti arrestati. Annullato il vertice Usa, rientra il premier Netanyhau che esprime rammarico pur difendende l'azione dei militari. Ma la tensione nell’area è altissima: Ankara parla di terrorismo di Stato, sulla stessa linea Egitto, Libano e Iran. Per l’ANP è lutto nazionale. Unanime la condanna internazionale a quanto accaduto. Il consiglio di sicurezza dell’Onu è riunito per condannare la mossa dello stato ebraico e aprire, come chiedono i Paesi arabi, un'inchiesta internazionale. Il presidente americano Obama ha chiesto al premier israeliano Netanyahu di conoscere “tutti i fatti prima possibile”. Preoccupazione anche dall’Unione Europea, mentre il segretario generale dell’Onu Ban Ki moon si è detto “scioccato”. Anche la Santa Sede è intervenuta sulla vicenda attraverso il direttore della Sala Stampa vaticana, padre Federico Lombardi, che ha risposto in questo modo alle domande dei giornalisti: “Si tratta di un fatto molto doloroso, in particolare per la inutile perdita di vite umane. La situazione viene seguita in Vaticano con grande attenzione e preoccupazione. Com’è noto, la Santa Sede è sempre contraria all’impiego della violenza – da qualsiasi parte essa venga -, perché rende sempre più difficile la ricerca delle soluzioni pacifiche, che sono le sole lungimiranti. Il Papa, che si recherà fra pochi giorni proprio nell’area mediorientale, non mancherà di riproporre con costanza il suo messaggio della pace”.

E subito dopo l'assalto israeliano al convoglio di navi di attivisti pro-Palestinesi sono state forti le reazioni a Gaza, dove è aumentata la tensione. Ascoltiamo al microfono di Fabio Colagrande, il commento del parroco di Gaza, padre Jorge Hernandez.

Ma quali sono i rischi che possono derivare da questa azione di forza di Israele? Sentiamo ai nostri microfoni Ianiki Cingoli, direttore del centro italiano per la pace in MO.
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martedì, giugno 01, 2010

“Mi sento felice e orgoglioso della mia vocazione sacerdotale”

Lettera al New York Times di un missionario dall'Angola

missione angolaLuanda (ZENIT.org) - “Sono un semplice sacerdote cattolico. Mi sento felice e orgoglioso della mia vocazione. Vivo da vent'anni in Angola come missionario”. Inizia così una lettera che il missionario salesiano uruguayano Martín Lasarte ha inviato al New York Times senza ottenere risposta. Nel testo, spiega l'opera silenziosa a favore dei più sfortunati svolta dalla maggior parte dei sacerdoti della Chiesa cattolica, che però “non fa notizia”. Nella lettera, che ha girato a ZENIT, padre Lasarte esprime i suoi sentimenti di fronte all'ondata mediatica sollevata dagli abusi di alcuni sacerdoti, mentre sorprende lo scarso interesse che suscita nei media il lavoro quotidiano di migliaia e migliaia di presbiteri. “Mi provoca un grande dolore il fatto che persone che dovrebbero essere segni dell'amore di Dio siano stati un pugnale nella vita di persone innocenti. Non ci sono parole che possano giustificare atti di questo tipo. La Chiesa non può che stare dalla parte dei deboli, dei più indifesi. Tutte le misure prese per la protezione della dignità dei bambini, quindi, saranno sempre una priorità assoluta”, afferma nella sua lettera.

Ad ogni modo, aggiunge, “è curioso constatare quanto poco facciano notizia e il disinteresse per migliaia e migliaia di sacerdoti che si consumano per milioni di bambini, per gli adolescenti e i più sfortunati nei quattro angoli del mondo”.

“Penso che al vostro mezzo informativo non interessi il fatto che io abbia dovuto trasportare su percorsi minati nel 2002 molti bambini denutriti da Cangumbe a Lwena (Angola), perché il Governo non si rendeva disponibile e le ONG non erano autorizzate; che abbia dovuto seppellire decine di piccole vittime tra gli sfollati della guerra e i ritornati; che abbiamo salvato la vita a migliaia di persone a Moxico con l'unico posto medico in 90.000 chilometri quadrati, o che abbia distribuito alimenti e sementi; o che in questi 10 anni abbiamo dato un'opportunità di istruzione e scuole a più di 110.000 bambini”, sottolinea.

“Non interessa che con altri sacerdoti abbiamo dovuto far fronte alla crisi umanitaria di circa 15.000 persone negli alloggi della guerriglia, dopo la loro resa, perché gli alimenti del Governo e dell'ONU non arrivavano”, aggiunge.

Il sacerdote cita poi una serie di azioni compiute da suoi compagni, spesso rischiando la vita, che vengono ignorate dai media.

“Non fa notizia che un sacerdote di 75 anni, padre Roberto, di notte percorra le vie di Luanda curando i bambini di strada, portandoli in una casa di accoglienza perché si disintossichino dalla benzina, che alfabetizzi centinaia di detenuti; che altri sacerdoti, come padre Stefano, abbiano case in cui i bambini picchiati, maltrattati e violentati cercano un rifugio, e nemmeno che fr. Maiato, con i suoi 80 anni, vada casa per casa per confortare i malati e i disperati”.

“Non fa notizia che più di 60.000 dei 400.000 sacerdoti e religiosi abbiano abbandonato la propria terra e la propria famiglia per servire i fratelli in lebbrosari, ospedali, campi di rifugiati, orfanotrofi per bambini accusati di stregoneria o orfani di genitori morti di Aids, in scuole per i più poveri, in centri di formazione professionale, in centri di assistenza ai sieropositivi... e soprattutto in parrocchie e missioni, motivando la gente a vivere e amare”.

“Non fa notizia che il mio amico padre Marcos Aurelio, per salvare alcuni giovani durante la guerra in Angola, li abbia portati da Kalulo a Dondo e tornando alla sua missione sia stato ucciso a colpi di mitragliatrice; che fr. Francisco e cinque catechiste siano morti in un incidente mentre andavano ad aiutare nelle zone rurali più sperdute; che decine di missionari in Angola siano morte per mancanza di assistenza sanitaria, per una semplice malaria; che altri siano saltati in aria a causa di una mina, mentre facevano visita alla loro gente – prosegue padre Lasarte –. Nel cimitero di Kalulo ci sono le tombe dei primi sacerdoti che giunsero nella regione... Nessuno aveva più di 40 anni”.

“Non fa notizia accompagnare la vita di un sacerdote ‘normale’ nella sua quotidianità, nelle sue difficoltà e nelle sue gioie, mentre consuma senza rumore la sua vita a favore della comunità che serve”.

“La verità è che non cerchiamo di fare notizia, ma semplicemente di portare la Buona Novella, quella notizia iniziata senza rumore la notte di Pasqua. Fa più rumore un albero che cade che un bosco che cresce”, sottolinea.

“Non pretendo di fare un'apologia della Chiesa e dei sacerdoti – aggiunge padre Lasarte –. Il sacerdote non è né un eroe né un nevrotico. E' un semplice uomo, che con la sua umanità cerca di seguire Gesù e di servire i fratelli. Ci sono miserie, povertà e fragilità come in ogni essere umano; e anche bellezza e bontà come in ogni creatura...”.

“Insistere in modo ossessivo e persecutorio su un tema perdendo la visione d'insieme crea davvero caricature offensive del sacerdozio cattolico in cui mi sento oltraggiato”, afferma.

“Amico giornalista, le chiedo solo di cercare la Verità, il Bene e la Bellezza. Ciò la renderà nobile nella sua professione”, conclude.
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