martedì, giugno 01, 2010
La guerra contro l’Hiv si combatte prima di tutto sul piano finanziario, ed è lì che il mondo globalizzato la sta perdendo.

di Alessandro Micci

PeaceRepoter - Il 2010 è un anno di bilancio: sarebbe dovuto essere l'anno dell'accesso universale alla prevenzione e al trattamento, secondo quanto promesso nel 2005 dai principali leader mondiali in vista del traguardo fissato per il 2015, e cioè un'inversione di tendenza nella curva dei contagi: uno dei Millennium Goals, gli obiettivi fissati per lo sviluppo mondiale dalle Nazioni Unite, quello nella lotta all'Aids. E invece le cose non stanno così, c'è una generale flessione per quanto riguarda le donazioni, i donatori più importanti stanno tagliando i fondi per i farmaci, il numero dei pazienti trattati nel mondo e in particolare nei Paesi in via di sviluppo è destinato a diminuire drasticamente, causando un effetto a catena su un meccanismo delicato, che si regge su fragili equilibri.

La fotografia della situazione. Nel mondo è stimato ci siano circa 33 milioni di persone infette, di loro 14 milioni avrebbero bisogno di cure immediate, secondo i canoni fissati dall'Organizzazione Mondiale per la Sanità. Non solo, secondo l'Unaids, l'agenzia delle Nazioni Unite per la lotta all'Aids, ogni 100 persone sottoposte a trattamento altre 250 vengono infettate; se ogni anno nel mondo muoiono due milioni di persone, il totale complessivo dei malati continua comunque a crescere perché ne vengono contagiate all'incirca tre milioni tra adulti e bambini. Al momento meno di quattro milioni sono sottoposti al trattamento con antiretrovirali, e si stima che altri sei milioni siano i malati in attesa di accedere alle cure, e che versano in condizioni tali per cui l’accesso per loro significa la salvezza.

La lotta all'Aids la stiamo perdendo. Probabilmente a causa della crisi economica globale, ma non solo, molti dei principali fondi e contributori nel finanziamento dei programmi di cura, per l'acquisto dei farmaci e per rendere possibili i trattamenti, stanno ritoccando i loro budget verso il basso. Al regime corrente i donatori contribuiscono complessivamente per 10 miliardi di dollari l'anno, a fronte del fatto che controllare completamente l'epidemia viene stimato per 27 miliardi.
Quello appena trascorso è un decennio da molti definito “un periodo d'oro” per il trattamento: il costo dei farmaci, che in precedenza aveva raggiunto i 12mila dollari l’anno, tra il 2001 e il 2003 era sceso a meno di cento dollari, così per molti dei Paesi poveri era il momento di sperare, lanciando programmi di cura molto ambiziosi. Ma oggi, secondo l’Oms, le donazioni dovrebbero triplicare anziché diminuire: stando alle nuove linee guida lo Stavudine (d4t), farmaco dai costi contenuti ma dagli effetti collaterali devastanti, andrebbe sostituito con farmaci di nuova generazione, come il Tenofovir, e il trattamento andrebbe iniziato prima, per migliorare le condizioni di vita e permettere la sopravvivenza sul più lungo periodo. Questo cambiamento avrebbe costi molto più elevati sul breve periodo, ma consentirebbe di tenere l’epidemia sotto controllo sul lungo termine.

In questi ultimi anni, però, la scienza non ha trovato la bacchetta magica, una “cura” in grado di sconfiggere il virus, e gli strumenti a nostra disposizione, come la circoncisione di ogni uomo nei Paesi meno sviluppati, dare una pillola di profilassi quotidiana a tutta la popolazione ad alto rischio (la Pre-Exposure Prophylaxis) oppure fare il test a miliardi di persone e trattare tutti i positivi, si sono rivelati ampiamente impraticabili. Inoltre i vecchi metodi: astinenza, fedeltà e uso del preservativo, l’approccio “ABC” teorizzato in Africa, si è dimostrato insufficiente. E oggi, oltre alla crisi, c’è anche un altro fattore che sta determinando il collasso dei fondi, è una volontà politica e una semplice quanto brutale consapevolezza insieme: la crescente convinzione che più vite possono essere salvate combattendo malattie più economiche da curare.

Alcuni dei più importanti donatori. Il Fondo Globale per combattere Aids, Tubercolosi e Malaria è senz’altro il più importante tra i donatori internazionali, creato nel 2002 per mettere insieme governi, società civile e privati. C’è poi il Pepfar, il President’s Emergency Plan for Aids Relief, creato nel 2003 dal Presidente Bush e dipendente direttamente da Governo degli Stati Uniti. Tra i privati la più grande Fondazione al mondo è la Bill & Melinda Gates Foundation.
L’andamento generale però è sempre lo stesso: da una parte gli emissari del Fondo Globale che incontrano i rappresentanti dei governi e delle società private per negoziare i finanziamenti si sentono sempre più spesso ripetere che i budget sono tagliati, a tal punto che si era paventata l’ipotesi di sospendere ogni proposta di nuovi programmi per il 2010. Considerando che fino ad oggi il Fondo ha coperto i due terzi della spesa globale per il trattamento, si calcola che per continuare senza rallentare il passo dovrebbe raccogliere almeno venti miliardi di dollari per i prossimi tre anni.

Dall’altra il Pepfar, che aveva già diminuito i fondi negli ultimi anni, li terrà bassi per almeno altri due, ritirando l’impegno finanziario a sostegno del trattamento in alcuni Paesi.
Il Presidente Obama è stato criticato a fine 2009 per i piani di ridimensionamento del Fondo, e nonostante le smentite del nuovo coordinatore per l’Aids e capo del Pepfar, il Dr. Eric Goosby, sembra che secondo i nuovi piani il sostegno al trattamento correrà più lentamente che nell’era Bush. Il programma ha investito circa due milioni e mezzo di dollari sui farmaci dal 2004, il ché vuol dire almeno 500mila dollari l’anno; mentre ora un milione e mezzo per i prossimi cinque anni significano solo 300mila l’anno.
In linea con il pensiero pratico che si sta facendo largo, alcuni difensori del programma sostengono che si stia tenendo conto della salute generale distraendo i fondi sull’acquisto di farmaci che servono a salvare più vite con meno spesa: ad esempio filtri per l’acqua, kit orali per la reidratazione e antibiotici generici, con cui curare disturbi respiratori, diarrea, tetano. Cure queste il cui costo è valutato tra uno e dieci dollari, a fronte degli antiretrovirali che oscillano tra i 35 e i 2mila. Il Dr. Ezeckiel J. Emanuel, esperto di bioetica del National Institue of Health, ha pubblicato un’articolo sul Journal of American Medical Association, proprio quando Obama è stato eletto, sostenendo che la spesa del Pepfar sotto il governo Bush, con 48 miliardi in più dei 15 previsti inizialmente nel 2003, non fosse il modo migliore di usare i fondi internazionali, e inoltre che curando malattie più semplici si sarebbero anche salvate vite più giovani, cioè bambini e neonati.

Anche l’attenzione della Bill & Melinda Gates Foundation si sta spostando sulla cura della salute di madri e neonati. Il programma che la fondazione sta studiando di intraprendere potrebbe ridurre la mortalità delle madri del 75 per cento e quella dei neonati del 44, in un quadro in cui nel mondo ogni anno mezzo milione di donne muoiono ancora di parto e quattro milioni di neonati non superano il primo mese di vita.
Il dilemma è terribile: il responsabile delle politiche pubbliche all’amfAR, Aids Research Foundation, Chris Collins, sostiene che non si può intraprendere una linea d’azione per cui si fa in modo che i neonati sopravvivano e poi crescano fino a un’età in cui moriranno di qualcosa di più costoso.


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