martedì, giugno 01, 2010
Non la risposta a una reazione violenta dell’equipaggio, ma una strage da attribuire solo a responsabilità dei commando: è il quadro che comincia a emergere dalle testimonianze dei primi attivisti della “Freedom Flotilla” tornati liberi dopo essere stati espulsi da Israele.

Agenzia Misna - Al racconto della deputata della “Knesset” Hanin Zuabi, secondo la quale i militari hanno cominciato a sparare già prima dell’assalto alla “Mavi Marmara”, sono seguite solo conferme. “Nella sua ultima comunicazione il capitano ci ha detto di scappare, perché stavano sparando all’impazzata e rompendo le finestre per entrare” ha raccontato Bayram Kalyon, dopo esser salito su un volo diretto in Turchia. Le testimonianze degli attivisti concordano anche sull’assenza di armi nelle navi. “Ho visto solo due bastoni di legno, nient’altro, nessun coltello” ha detto Norman Peach, passeggero tedesco della “Mavi Marmara” tornato oggi a Berlino. Secondo il portavoce della polizia israeliana, delle 682 persone di 42 paesi che viaggiavano sulle navi della “Freedom Flotilla” 45 hanno accettato di essere espulse e deportate nel paese d’origine. Gli altri sarebbero ancora in stato di arresto ad Ashdod o a Beersheva, nel sud di Israele. Greta Berlin, responsabile del movimento “Free Gaza”, ha detto alla MISNA che agli attivisti è stato consentito di incontrare avvocati e rappresentanti dei consolati ma che ogni loro contatto diretto con il mondo esterno continua a esser impedito. Difficile prevedere se su questa situazione potranno influire le posizioni assunte tra ieri e oggi da diversi organismi internazionali. In attesa di una risoluzione del Consiglio dell’Onu per i diritti umani, critiche sono state espresse persino dalla Nato, dove gli Stati Uniti sembrano aver dovuto tenere in qualche conto le posizioni della Turchia e di alcuni altri alleati. In una nota diffusa a Bruxelles al termine di un Consiglio straordinario, la Nato chiede a Israele la “liberazione immediata dei civili e delle navi sequestrate”. Secondo fonti del governo di Ankara, rilanciate oggi dalle agenzie di stampa internazionali, sono di nazionalità turca almeno quattro delle vittime del blitz. La giornata è stata segnata anche dai cortei di protesta, in diversi paesi del Mediterraneo e nelle città israeliane di Haifa, Tel Aviv e Gerusalemme. L’impegno di tutti e di ciascuno per i diritti umani è la via indicata da molte organizzazioni della società civile. Tra loro c’è “Avaaz”, che invita a sottoscrivere online una petizione per chiedere “un’inchiesta indipendente” sul massacro di ieri e la “fine immediata” dell’embargo nei confronti della Striscia di Gaza. “Come ogni altro stato Israele ha il diritto di difendersi – sottolinea ‘Avaaz’ – ma ora ha fatto un uso scellerato e assassino della forza per difendere una politica scellerata e assassina: il blocco di Gaza, dove due famiglie su tre non sanno se avranno ancora da mangiare”. Mentre anche la nave irlandese “Mv Rachel Corrie” sembra pronta a salpare da Cipro verso Gaza con un carico di aiuti umanitari, nuovi spunti di riflessione arrivano da uomini di pace e intellettuali israeliani. Sul quotidiano di Tel Aviv “Haaretz”, il “columnist” Bradley Burston oggi ha scritto: “Non stiamo più difendendo Israele. Stiamo difendendo l’assedio. L’assedio sta diventando il Vietnam di Israele”.


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