mercoledì, giugno 02, 2010
della nostra redattrice Monica Cardarelli

Ci sono libri che fanno riflettere e libri che ci fanno ritrovare qualcosa di noi nelle loro pagine. Ci sono libri che ci aiutano a cambiare e altri che ci portano a conoscere, trasportandoci in mondi diversi. Ci sono poi libri che sono tutto questo insieme. Uno di questi è “Cristiani a Sarajevo” (edito da Edizioni Paoline), l’intervista di Roberto Morozzo della Rocca a Mons. Vinko Puljic, arcivescovo di Sarajevo. Un libro/intervista a volte può apparire distante dal lettore, ma non è certo questo il caso. Forse perché l’intervistatore non ha bisogno di presentazioni, trattandosi di uno storico e docente universitario che ha a cuore nei suoi studi la storia dei Balcani; forse perché il Card. Puljic, arcivescovo di Sarajevo dal 1990 e creato cardinale da Giovanni Paolo II nel 1994, lascia trasparire tutta la sua umanità e l’attenzione alla persona umana propria del cristianesimo “Non cancellate l’uomo”, “Parliamo dalla parte dell’uomo”, “Quando si ha cuore per l’uomo non bisogna avere paura”.

Fatto sta che nelle pagine di questo libro si scopre a poco a poco la storia del cattolicesimo in Bosnia-Erzegovina raccontata in maniera molto semplice e profonda, vera e autentica, vicina.
Interessanti per il lettore anche i racconti del Card. Puljic sulla sua vita e sulla sua vocazione; l’importanza della famiglia per la crescita umana e di fede; la sua vita di sacerdote e il rapporto con le gerarchie ecclesiastiche romane e Giovanni Paolo II: “Il nunzio allora si mise in contatto con la Santa Sede e mi riferì: ‘Il Santo Padre dice: ‘Coraggio!’ (…) Giovanni Paolo II seguiva tutto di Sarajevo e di questo Paese. (…) Mi fu molto vicino. (…) Il Santo Padre chiedeva ed ascoltava molto. Mi invitò ad Assisi, alla grande preghiera per la pace in Jugoslavia. Dopo questa cerimonia mi portò con sé a cena. (…) Ma lui diceva: ‘Vieni, vieni. Io ti voglio ascoltare.’. (…) Si parlò di tante cose, faceva molte domande, aveva tanti interessi: voleva capire tutto, proprio come un padre. Era molto sensibile. Io ne ero profondamente commosso.”
Sono pagine che ci svelano un popolo, il popolo cristiano di Sarajevo. “Nel nostro popolo esiste una forza nel custodire l’identità cattolica. (…) La nostra identità è la croce. Il nostro popolo che vive insieme ai musulmani, mette una croce sul tetto della casa, sul cancello del giardino. (…) Un altro aspetto della nostra identità è la devozione per Maria. (…) Un terzo aspetto della nostra identità cattolica è la fedeltà al Santo Padre.”
Un intero capitolo è dedicato alla ‘Guerra’, alla paura, ai ricordi belli, alle difficoltà di essere cristiani in quei momenti, alle perdite e ai rapporti con le altre religioni: “Ma questa non era una guerra di religione contro l’altra. Durante la guerra ho avuto tanti contatti con i capi musulmani e ortodossi. Non c’erano problemi tra noi”. Sempre con un’attenzione particolare rivolta al dialogo interreligioso: “Durante la guerra fu firmato l’accordo di Dayton e noi quattro capi religiosi avviammo un consiglio interreligioso. Abbiamo preparato un memorandum, Princìpi morali per il dialogo. L’abbiamo sottoscritto tutti e quattro: cattolici, musulmani, ortodossi, ebrei. È stato anche preparato un piccolo libro per il dialogo, un Glossario.”
Nonostante negli ultimi anni Sarajevo sia cambiata molto e ormai il 90% circa degli abitanti è musulmano, il Card. Puljic non perde la speranza cristiana del dialogo e della convivenza pacifica. “Dopo la guerra sorge una disuguaglianza che viene dalla politica, non dalla Chiesa. Noi viviamo con i musulmani. Pensiamo che è possibile vivere insieme a loro. (…) Senza perdono non possiamo accettare l’altro. Il perdono ne è condizione. Senza perdono come si può dialogare? Come facciamo convivenza, come parliamo di tolleranza? E c’è un’altra cosa: il perdono è una via di liberazione interiore. Quando un uomo perdona, è libero. Quando non perdona, è prigioniero. È molto importante liberarsi da se stessi e perdonare. Non si perde la responsabilità, perché rimane. Ma quando si perdona, il cuore si libera. È la conversione.”
Rileggendo queste parole si capisce come “Cristiani a Sarajevo” sia un libro dai molteplici aspetti. L’aspetto storico lascia il posto alle memorie e ai ricordi e le riflessioni teologiche trovano applicazione nel vissuto del popolo di questo paese.
Come ad esempio alla domanda sul ruolo della donna nella società bosniaca: “La donna è contro la guerra. Ha paura per i suoi figli. (…) La donna nel nostro Paese è un segno per la vita e per la famiglia perché la donna è il cuore della famiglia, è la grande educatrice che fa l’unità della famiglia.”
Sempre a proposito del dialogo interreligioso, tema alquanto importante sia per l’intervistatore che per l’intervistato, il Card. Puljic ribadisce: “Il primo messaggio è che stiamo insieme e parliamo insieme. Parlare è distruggere i pregiudizi; è una cosa molto importante. Noi capi religiosi parliamo insieme con frequenza. (…) Quando proclamiamo la nostra fede, dobbiamo proclamarla per se stessa, non contro gli altri. Questo è molto importante per il dialogo: rispettare l’altro e vivere la propria tradizione.”
Un’attenzione dunque alla persona umana, al rispetto per l’altro, fonte di ogni convivenza. E per l’avvenire, il Card. Puljic in queste pagine ci lascia messaggi di speranza e di concretezza che non possono lasciarci indifferenti, come non ci lasciano indifferenti tutte le sue parole riportate in queste pagine. “Sì, comunque voglio incoraggiare il mio popolo a non essere inerte: create con la vostra fede! Bisogna influenzare di più la sfera pubblica con la fede. Non solo in Bosnia-Erzegovina, anche in Europa. (…) Vorrei aiutare i giovani a non aver paura della vita. Bisogna prendere la vita nelle proprie mani. Occorre creare uomini degni che possano contrastare il male, le manipolazioni e creare una nuova visione per l’avvenire.”

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