mercoledì, giugno 03, 2009
Sta suscitando scalpore in Kenya il rapporto del rappresentante speciale delle Nazioni Unite per i diritti umani, Philp Alston che accusa la polizia kenyana di gravi violazioni.
Radio Vaticana - Il rapporto ripreso dall'agenzia Fides, afferma che esistono prove che collegano ufficiali di polizia a uccisioni extra-giudiziarie; che l’inefficienza e la corruzione del sistema giudiziario pregiudicano il conseguimento di una giustizia efficiente; che i difensori dei diritti umani sono spesso minacciati da funzionari governativi. Nel rapporto, che è frutto di una indagine condotta in febbraio da Alston, si chiede la costituzione di una commissione indipendente di inchiesta sulle squadre della morte, la rimozione del capo della polizia, Husein Ali, e del Procuratore generale, Amos Wako. Il governo kenyano ha definito “totalmente inaccettabili” le conclusioni del rapporto, e in particolare la richiesta di licenziare alcuni alti funzionari, ed ha accusato Alston di “non aver saputo comprendere le peculiarità del Paese, i recenti problemi politici e le sfide da affrontare nel suo processo di risanamento e di riconciliazione dopo le violenze post elettorali”. Una delegazione governativa composta, tra gli altri, dai ministri della Sicurezza Interna e della Giustizia, e dallo stesso procuratore generale Wako, dovrebbe giungere la prossima settimana a Ginevra, per affrontare il problema dinanzi alla commissione ONU per i diritti umani. (R.P.)
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mercoledì, giugno 03, 2009
La Lombardia rischia di fare da sfondo a una guerra di 'ndrangheta con i clan del nord che, in vista dell'Expo 2015 a Milano, vogliono affrancarsi dalle cosche calabresi.
Liberainformazione - Lo riporta il quotidiano calabrese Calabria Ora, in un servizio firmato dal direttore Paolo Pollichieni, che cita stralci di rapporti redatti dai carabinieri del Ros e dallo Sco della polizia di stato. "Siamo in presenza di una sequenza di episodi delittuosi che necessitano di una lettura complessiva - si legge in uno di questi stralci riportati dal giornale - Ci sono sodalizi criminali operanti al Nord che rivendicano una propria autonomia operativa, entrando sempre più in conflitto con gli originari clan di 'ndrangheta calabresi".
Il rapporto, dice il quotidiano, è stato redatto dagli investigatori anche grazie ad alcuni pentiti della 'ndrangheta. Non è stato possibile al momento ottenere un commento sulla notizia da parte degli inquirenti.
Nei mesi scorsi, le autorità avevano lanciato un allarme sul rischio di infiltrazioni della 'ndrangheta negli appalti per le infrastrutture dell'Expo 2015, che dovrebbero lanciare l'immagine internazionale di Milano.
Il quotidiano calabrese cita inoltre la relazione dell'Antimafia, firmata dal procuratore nazionale Piero Grasso, nella quale il sostituto procuratore della Dna, Vincenzo Macrì, scrive: "Non ci sono più tanti satelliti che ruotano attorno a un unico sole, la 'ndrangheta di San Luca, ma una struttura federata disposta a dialogare con la casa madre, ma non più a condividere con essa i profitti". ... (continua)
mercoledì, giugno 03, 2009
In 21 anni, tanti sono quelli passati dal delitto di Mauro Rostagno, dibattiti e confronti su quest'omicidio, a Trapani, ce ne sono stati molti.
Liberainformazione - Tanti si sono ritrovati ad interrogarsi infine su di un dato, su come mai non si acciuffasse quella verità che si sosteneva fosse tanto vicina ad ognuno di noi, e cioè che era stata la mafia ad uccidere il sociologo e giornalista, l'ex leader sessantottino, da ultimo terapeuta nella comunità Saman da lui fondata a Lenzi, dove i killer la sera del 26 settembre 1988 lo aspettavano. Adesso che c'è un provvedimento giudiziario, frutto di un lavoro investigativo della Squadra Mobile di Trapani (che a distanza di 20 anni tornò ad occuparsi delle indagini dopo che era satta messa da parte dagli inquirenti) e del gabinetto di Polizia Scientifica di Palermo (anche questo in 20 anni mai interrogato su possibili nuovi confronti balistici), che sugella questa matrice, è come se alla fine il delitto Rostagno non interessi più a nessuno.
O magari si sostiene che è solo «scontato» quello che si è accertato. E quindi carico di scrasa importanza.
Il delitto ed i suoi risvolti restano oggi, a una decina di giorni dalla notizia dell'arresto, in carcere, di mandante, Vincenzo Virga, e di uno dei tre esecutori, Vito Mazzara, certamente il capo del commando, solo «materia» di interesse dei familiari, delle associazioni, poche, sono scomparsi d'un colpo amministratori e politici che erano soliti parlare del delitto, quelli che spesso lo facevano per mettere alla berlina chi indagava. Ad eccezione del sindaco di Erice Tranchida, nessun altro sindaco ha voluto far sentire la sua voce. Una spiegazione vien facile darla. Parlare di Rostagno oggi significa dovere anche discutere di libertà di informazione. La ricostruzione del movente fornita dagli investigatori della Squadra Mobile fa riferimento all'atmosfera del 1988, quando mafiosi e (certi) politici non erano certo felici per le cose che Rostagno diceva da Rtc, «dava fastidio» ci hanno spiegato, e il cocktail micidiale messo insieme, boss e politici, determinò quella condanna a morte. Rostagno rappresentava un modello di stampa libera e per quella stampa qui non poteva esserci spazio. Come oggi, solo che ora la mafia non spara più, ma la stampa mal si sopporta. E allora i politici oggi dinanzi al caso risolto, hanno preferito stare in silenzio. Forse è anche per questa ragione che gli investigatori che si sono occupati del «caso», non hanno poi trovato sul loro cammino tante congratulazioni. E' mancata per esempio la voce autorevole del Viminale, il ministro Maroni avrebbe potuto esaltare il lavoro fatto dai suoi uomini della Squadra Mobile di Trapani, anche lo stesso capo della Polizia. Ci dicono che i loro complimenti li hanno fatti, ci crediamo, ma una voce in maniera pubblica poteva essere importante in un territorio, quello di Trapani, dove spesso Stato e antistato non sono risultati su opposte barriere, come ci hanno detto alcuni magistrati e sta scritto anche in sentenze di condanna. Forse quegli investigatori hanno toccato tasti delicati e la politica a stento ha ringraziato, ed ha presto dimenticato. Anche la stampa nazionale ha dimenticato presto il caso.
Qualcuno facendo delle capriole si è trovato d'improvviso dalla parte della matrice mafiosa. L'ordinanza del gip Maria Pino su Trapani ha acceso più di un riflettore, è tornato ad emergere il sistema di commistioni tra mafiosi e istituzioni, quello che Rostagno prendeva di mira denunciando il malaffare mafioso e la complicità dei politici. Erano gli anni in cui, quelli del 1988, quando un mafioso intercettato venne sentito dire, mentre parlava con un suo complice, "nun fari e nun fari fare", non fare e non far fare: non doveva muoversi nulla e la città era preda dell'abbandono, della sporcizia, era tempo delle speculazioni, dell'abbandono del centro storico della città, del crollo dei prezzi dei palazzi. Poi arrivarono i finanziamenti e gli appalti pubblici, il recupero delle cose antiche della città, del porto, e la mafia fu pronta nel farsi trovare in prima linea con le sue imprese, quella logica del non fare e del non far fare l'aveva premiata. Rostagno forse aveva compreso questo disegno, e la sua voce era fastidiosa. Certo ci possono essere altre piste, la droga, le armi, i traffici di questo genere. Ma è tanto avere individuato autori del delitto coloro i quali sino quasi alla fine degli anni '90 hanno maneggiato fiumi di denaro pubblico, d'accordo con imprese e politici. Ma di tutto questo si continua a non parlare.
Il coordinamento per la Pace in questi giorni a Trapani ha pensato bene di mettere in campo anche le sue critiche, la scoperta del delitto ad opera della mafia non è sconvolgente, «perchè era un fatto scontato». Ma nella giustizia, quella vera, di scontato non può esserci niente, servono i provvedimenti giudiziari per arrivare alle sentenze. La posizione del coordinamento però è legata anche ad altro, e cioè si interroga se fu solo mafia quel delitto e se nel buio che in parte lo circonda non si nascondano altre verità. Può anche essere ma queste verità possono venire a galla solo parlandone un po' di più. Loro lo fanno, l'associazione «Ciao Mauro», fondata a Trapani dagli amici di Rostagno e da chi lo seguiva attraverso la Tv, Libera, lo fanno, ma altri no. Sennò sarebbe troppa grazia per l'informazione libera e gli investigatori intelligenti.
di Rino Giacalone
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mercoledì, giugno 03, 2009
“Essere il guardiano, il fratello del fratello, colui che, sapendo che tutto ciò che siamo e abbiamo lo abbiamo ricevuto, sa fare della propria vita un'autentica comunione”
Radio Vaticana - Lo ha detto l'arcivescovo di Tegucigalpa, il cardinale Óscar Andrés Rodríguez Maradiaga, intervenendo all'incontro dei rappresentanti dell'Unione dei Superiori Generali, svoltosi dal 27 al 29 maggio, a Roma, sul tema “Cambiamenti geografici e culturali nella vita della Chiesa: sfide e prospettive” L'Unione dei Superiori Generali – spiega l’agenzia Zenit - è un organismo di diritto pontificio, eretto il 3 gennaio 1955, dalla Sacra Congregazione dei Religiosi come persona giuridica pubblica. All’appuntamento “romano” rappresentanti di diverse famiglie di vita consacrata hanno riflettuto sulle sfide e le opportunità dei rapidi cambiamenti geografici e culturali che hanno caratterizzato il primo decennio del XXI secolo. Il cardinale Rodríguez Maradiaga ha ripercorso sinteticamente i cambiamenti nel mondo e nella Chiesa per sottolineare la necessità di uomini e donne che si consacrino all'apostolato e alla preghiera. Per rendere più consapevoli i presenti dei cambiamenti che hanno portato a nuove sfide religiose tra cristiani e consacrati, il porporato ha precisato che: “per molto tempo noi cristiani abbiamo vissuto con un'immagine fortemente caratterizzata dalla geografia. Questa immagine è cambiata nel senso che il centro di gravità della Chiesa non è più nel nord, ma nel sud, visto che il 75% dei cristiani vive in Asia, Africa e America”. I consacrati, per l'arcivescovo di Tegucigalpa, devono far sì che la loro vita diventi una lettera che Cristo invia agli uomini e alle donne del mondo globalizzato. I consacrati sono come “lettere di Cristo”, ovvero per mezzo di questa vocazione Gesù “continua a scrivere a quanti non credono in Lui attraverso la testimonianza che sappiamo dare”. “Come sarebbe bello, che tutti coloro a cui arriva un consacrato potessero leggere le lettere dal sud al nord con gli occhi del cuore e rispondere con spirito di solidarietà”, ha esortato il cardinale che ha anche aggiunto: “L'Asia sfida la missione, e il continente americano con le sue enormi disuguaglianze corre il pericolo di smettere di essere il continente della speranza”, e ancora: “Non dobbiamo solo lavorare per i deboli, ma vivere con loro, perché il cammino del 'rendersi piccoli' è una testimonianza per la nostra generazione”. Infine l’augurio apostolico: “Nulla è impossibile per chi ama”. (A.V.)
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mercoledì, giugno 03, 2009
E’ in atto la più grave epidemia di morbillo degli ultimi decenni in Burkina Faso, dove, dall’inizio dell’anno si contano 300 morti e 45mila casi di contagio.
Radio Vaticana - Si tratta perlopiù di bambini di età inferiore ai 5 anni. Il picco dell’epidemia sembrava essere passato ed invece si continuano a registrare 2.600 nuovi malati ogni settimana. I dati sono stati resi noti dal ministero della sanità del Paese nell’Africa occidentale. Sul territorio, prestano cura ed assistenza ai piccoli pazienti i “Medici Senza Frontiere” (Msf), che dallo scorso marzo, hanno fornito trattamenti gratuiti ai malati di morbillo all’interno dei cinque centri di salute pubblica della capitale Ouagadougou e, da maggio, in tre centri di salute, in tre distretti nella parte orientale del Paese. In mancanza di cure, il 10% dei malati di morbillo non riesce a sopravvivere alla malattia. “Nelle strutture supportate da Msf stiamo ancora trattando circa 850 nuovi pazienti ogni settimana – ha dichiarato il capo missione di Msf in Burkina Faso, François Giddey in un’intervista diffusa dal Sir - Ma in numerose strutture sanitarie il trattamento gratuito non è sistematico e l'accesso limitato alle cure, soprattutto per i più poveri”. “Il bilancio di questa epidemia di morbillo – conclude Giddey - potrebbe in realtà peggiorare”. (A.V.)
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mercoledì, giugno 03, 2009
“Nella prima settimana sono arrivati più di cento pazienti, soprattutto con ferite infette, bambini colpiti da gravi infezioni respiratorie e disidratati a causa della diarrea.
Agenzia Misna - Le attuali restrizioni all’accesso ai campi stanno limitando e rallentando la nostra capacità di rispondere ai bisogni medici tra gli sfollati”: Severine Ramon, coordinatore dell’ospedale da campo di Medici senza frontiere (Msf) a Vavuniya, sottolinea l’alto numero dei feriti in attesa di cure tra gli ultimi sfollati arrivati due settimane fa l’ultima e definitiva battaglia Mullavaikal tra esercito e ribelli delle ‘Tigri per la liberazione tamil’ (Ltte). L’organizzazione umanitaria ha predisposto un campo medico nei pressi della ‘Manik Farm’, il più grande capo profughi allestito nel distretto di Vavunyia; Ramon precisa che l’ospedale di Vavuniya, dove ‘Msf’ ha inviato medici a sostegno dei dottori locali, ha almeno un numero di pazienti tre volte superiore ai 450 posti letto disponibili. Secondo dati dell’Ufficio dell’Onu per il coordinamento degli aiuti umanitari (Ocha) i feriti attualmente in cinque ospedali sono complessivamente 2317; il bilancio non include le molte centinaia di feriti fuori da queste strutture. Sono 280.560 gli sfollati tamil, di cui quasi 261.000 nei 25 campi provvisori di Vavuniya, oltre 11.000 nelle 11 strutture nel distretto di Jaffna, quasi 6700 nei due campi nel distretto di Trincomalee e 398 nel distretto di Mannar. Resta ancora molto limitato l’accesso degli operatori umanitari nei campi profughi, dove continuano le operazioni di identificazioni di possibili ex guerriglieri tra i civili, minori inclusi, pratica che ha sollevato le preoccupazioni delle organizzazioni per i diritti umani. Ci sarebbero stati comunque alcuni passi avanti nell’assistenza ai profughi poiché, riferisce in un comunicato dell’Alto commissario Onu per i rifugiati (Unhcr), sono stati fatte uscire dai campi le persone con bisogni particolari, come anziani e donne in stato di gravidanza, e si sta procedendo al ricongiungimento delle famiglie. L’Unhcr ha sollecitato il governo a predisporre al più presto il rientro dei profughi nella regione di Vanni, ovvero di garantire le condizioni per il ritorno in termini di sicurezza, sminamento, ricostruzione di case e infrastrutture.
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mercoledì, giugno 03, 2009
Da alcune diocesi italiane la presenza dei giovani cristiani
PapaBoys - Il Santuario di Nostra Signora della Guardia (a Genova) sabato sera si è fatto una volta in più "casa" per i giovani di Genova, ospitando la loro veglia di Pentecoste a conclusione del triennio dell’Agorà dei giovani italiani. Prima dell’incontro con il card. Angelo Bagnasco, centro della serata, i giovani della diocesi avevano scelto di confrontarsi sul tema della comunicazione attraverso un approfondimento in chiave educativa e missionaria, "Dalle caravelle a Internet: la sfida di un messaggio che naviga", pensato nello spirito di quest’ultimo anno dell’Agorà dedicato alla cultura. Ad animare il colloquio con i giovani, ideato dal responsabile diocesano della pastorale giovanile don Guido Gallese, sono stati don Stefano Olivastri, preside dell’Istituto superiore di scienze religiose, e il giornalista di Avvenire Francesco Ognibene.
Pistoia. "La Chiesa conta su di voi, io conto su di voi. È tempo di arricciarci le maniche". Ha citato un’espressione di Giovanni Paolo II il vescovo di Pistoia, Mansueto Bianchi, per spiegare ai giovani il significato di una nuova "chiamata in piazza". Le ragazze e i ragazzi sono infatti stati invitati, sabato sera a "testimoniare in che modo la Chiesa di Pistoia è già missionaria". L’appuntamento era in piazza del Duomo, "occupata" da 22 gazebo, segno della grande vitalità dei movimenti e delle associazioni presenti in diocesi. In mezzo, "il ragno dell’Agorà", un gigantesco gazebo in plastica gonfiabile a forma di ragno. Cuore del programma il dialogo in piazza tra Bianchi e i ragazzi. Poi, dopo cena, la preghiera e la processione verso la Cattedrale per l’Eucaristia presieduta da Bianchi. Nella piazza, intanto, la luce dei sette grandi bracieri per rappresentare i doni dello Spirito Santo.
Lombardia. "Luce di verità...". Parte l’inno ed è tutto di nuovo come a Loreto 2007. Solo che stavolta il Santuario ai piedi del quale termina il cammino è quello di Caravaggio. "...Fa’ dell’umanità il tuo canto di lode". Di nuovo come a Sydney, ma stavolta sono diecimila giovani lombardi a far sentire la loro voce. Santa Maria del Fonte a Caravaggio, provincia di Bergamo e diocesi di Cremona, è stato in questi due giorni il cuore ideale della Chiesa lombarda: dieci diocesi, con i loro vescovi, si sono raccolte qui per l’Agorà dei giovani italiani. Migliaia di ragazzi hanno percorso a piedi, in pellegrinaggio con i sacchi a pelo in spalla le strade provinciali in mezzo ai campi concimati fino al santuario. "Fino ai confini della terra", come vuole il tema di quest’anno. "L’orizzonte più lontano /e lo sguardo d’ogni uomo / sarà metà del cammino che da te ripartirà", canta l’inno dei lombardi. "Un viaggio che ci chiede di uscire da noi stessi e confrontarci con le sfide del mondo": sono le parole pronunciate durante la veglia di preghiera dall’arcivescovo di Milano, il card. Dionigi Tettamanzi. Parole piene di futuro: "Costruite una società diversa. In tutto quello che fate, coltivate una passione per il mondo. Anche nella Chiesa, siate una presenza autenticamente critica". Diecimila candele hanno cominciato a brillare in fronte al Santuario che celebra l’apparizione mariana avvenuta in un maggio come questo, nel 1432. "La vostra presenza è un segno di speranza per la Lombardia", ha detto Tettamanzi, affiancato dai vescovi della regione. Ha paragonato ciascun giovane a "un diamante che può riflettere nel mondo la luce della fede". Senza l’ansia di "apparire", di "successo facile", di "finta notorietà". Con negli occhi "la tenacia e i sogni" dei profughi che cercano un nuovo approdo di vita. "Abbiate la stessa speranza, lo stesso indomito coraggio nell’affidarvi alle acque del mare e nel rischiare".
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mercoledì, giugno 03, 2009
Il mausoleo di Mao chiuso “per riparazioni”. Oscurati siti e servizi internet popolari come Twitter, Flick, Hotmail. Il Congresso Usa chiede alla Cina di liberare chi è ancora detenuto per le proteste e di consentire un’indagine Onu sul massacro.
Pechino (AsiaNews/Agenzie) – La polizia cinese “commemora” a suo modo il massacro di Piazza Tiananmen: stretto controllo intorno alla piazza, dissidenti arrestati, siti internet oscurati. Intanto il Senato Usa propone di chiedere alle Nazioni Unite un’indagine sui fatti del 4 giugno 1989. Da ieri la polizia, in uniforme e in borghese, presidia l’intero centro di Pechino, per impedire qualsiasi commemorazione del massacro in cui hanno perso la vita migliaia di dimostranti per la democrazia. Oggi è stato chiuso per 3 giorni “per riparazioni” il mausoleo di Mao Zedong, abituale meta dei turisti. Ieri le autorità hanno anche oscurato il popolare sito internet Twitter (una sorta di blog sul quale molti si scambiano notizie e commenti, ma anche apprezzato sito di intrattenimento), il sito di fotografie online Flick, il provider di posta elettronica Hotmail e il sito MSN Space.
C’è pure stretto controllo su turisti e stranieri, con la richiesta ai responsabili universitari di tenere d’occhio studenti e docenti esteri e ai tassisti di segnalare subito alla polizia ogni cliente sospetto, specie chi vuole andare a piazza Tiananmen.
Il 30 maggio la polizia ha “portato via” Wu Gaoxing, detenuto per due anni per avere partecipato nella provincia del Zhejiang alle proteste pro-democrazia del 1989. Di recente Wu aveva scritto una lettera aperta al presidente Hu Jintao, chiedendo un risarcimento per chi come lui è stato detenuto per anni e ora si trova povero e senza nemmeno l’assistenza sanitaria gratuita.
A Ding Zilin, 72 anni, il cui figlio è stato ucciso il 4 giugno e fondatrice del gruppo Madri di Tiananmen, la polizia ha intimato di “allontanarsi” da Pechino in questi giorni. Si è rifiutata ed ora è sorvegliata a vista.
Sono agli arresti domiciliari Chen Xi, attivista pro diritti umani del Guizhou, e Qi Zhiyong a Pechino, che perse una gamba quella notte. E’ pure ristretto in casa lo scrittore Yu Jie. E’ stato portato via da Pechino Bao Tong, ex collaboratore di Zhao Ziyang. L’ex professore di sociologia Zhou Duo, che si unì alle proteste degli studenti nel 1989, è stato portato lontano da Pechino e messo agli arresti domiciliari. La polizia impedisce di uscire da casa anche a Zeng Jinyan, moglie del famoso attivista detenuto Hu Jia.
Analisti commentano che per il controllo sulla popolazione Pechino appare più sicura, rispetto a 10 anni fa: allora la famosa piazza fu chiusa al pubblico per mesi “per riparazioni”.
Sempre ieri il Congresso Usa ha invitato Pechino a liberare chi è ancora detenuto per quei fatti (la fondazione Dui Hua indica almeno 30 persone) e “a consentire un’indagine completa e indipendente” sotto il controllo delle Nazioni Unite sull’intervento dell’esercito contro i pacifici dimostranti.
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mercoledì, giugno 03, 2009
«Il grande segreto della nostra santità si riduce ad assomigliare sempre di più a lui, unico, vero modello» (san Josemaría Escrivá de Balaguer).
del nostro redattore Carlo Mafera
Spiegare al grande pubblico cosa sia la santità e cosa siano i processi di canonizzazione, sembra impresa facile, ma non lo è. Si crede di conoscere entrambe le cose, ma probabilmente si ha una informazione approssimativa, legata a luoghi comuni. L’importante è seguire lo stile di vita di Gesù, ha affermato mons. Guido Mazzotta, ordinario di metafisica presso la Pontificia Università Urbaniana (consultore della Congregazione per le cause dei santi e relatore ad casum nella causa di Paolo VI), in un incontro del corso di aggiornamento per giornalisti, tenutosi recentemente all’Università della Santa Croce di Roma. Mazzotta ha esaminato la fenomenologia della santità mostrandone cinque diverse tipologie. Icona iniziale è Stefano, il primo martire morto con le stesse modalità del Cristo. La seconda è rappresentata dalla figura del monaco, la cui ascesi è imperniata sulla preghiera, sulla solitudine, sul silenzio, sulla disciplina. È stata poi la volta di san Francesco («Vivere secondo la forma del santo Vangelo sine glossa»). Il Poverello scelse, come luogo proprio, la città schierandosi dalla parte degli ultimi (minores) ad imitazione di Gesù, come ha fatto in tempi moderni Charles de Foucauld. «Le stimmate nella santità di Francesco sono l’ultimo sigillo e segno della perfetta conformità a Cristo», ha sottolineato il relatore.
Un altro significativo testimone è Ignazio di Loyola, autore degli Esercizi spirituali, dove esprime il concetto cardine «Scegliere come sceglie Gesù». Mons. Mazzotta ha ricordato a proposito del Fondatore dei Gesuiti «la meditazione dei due stendardi»; cioè: «Dietro quale stendardo decido di mettermi? Quale scelta faccio e come investo la mia vita?».
Infine, nell’ultima tipologia, è stata menzionata santa Teresa di Lisieux, dottore della Chiesa, che ebbe quella grande intuizione: «Nel cuore della Chiesa, sarò l’amore». Vale a dire: non ha importanza il ruolo che ho, ma quanto amore metto in ogni cosa che faccio.
Per quanto attiene ai processi di canonizzazione, mons. Mazzotta ha messo in evidenza l’importanza della vox populi, cioè della fama di santità come presupposto del processo diocesano. Poi ha luogo la fase romana dell’iter presso la Congregazione dove si sviluppano quattro distinti momenti: verifica della validità giuridica del processo diocesano, elaborazione della positio del relatore, esame dei consultori storici e vaglio dei consultori teologi.
E mons. Mazzotta ha tenuto a precisare: «La vera storia dell’umanità è la storia della santità». «Il Sì di Maria è per tutti i cristiani lezione ed esempio per fare dell’obbedienza alla volontà del Padre la via e il mezzo della propria santificazione» (Paolo VI, Marialis cultus). ... (continua)
mercoledì, giugno 03, 2009
Mentre Obama giunge in Medio oriente, esercitazioni di guerra e di emergenza per tutta la popolazione e tutte le scuole. Ci si esercita a attacchi missilistici da nord e da sud. L’aviazione israeliana ha fatto esercizi per bloccare bombe e missili da Siria e Iran. Obama sembra essere divenuto “impaziente” con l’Iran.
Gerusalemme (AsiaNews) – “L’attacco all’Iran arriverà di certo. Qui aspettiamo le elezioni presidenziali a Teheran e poi si decide”. Parla così un membro della sicurezza israeliana che chiede l’anonimato, alla vigilia del viaggio del presidente Barack Obama, che vuole riformulare un nuovo rapporto fra gli Usa e il mondo islamico e arabo e che preferisce – per ora – il dialogo con Teheran. “Obama dovrà convincersi” dice ancora l’anonima fonte. E aggiunge: “Anche l’economia mondiale, per uscire dalla crisi ha bisogno di una sola cosa: una guerra, che cambi tutti i ritmi e le spinte nel commercio internazionale”.
Da tempo Israele mette in guardia il mondo contro la minaccia nucleare che proviene da Teheran e le voci di possibili attacchi aerei per distruggere i siti nucleari di Isfahan, Natanz e Arak girano da anni nel mondo diplomatico.
Ad accrescere il senso di una guerra imminente, quest’oggi alle 11 tutte le sirene di allarme hanno suonato in Israele per un’esercitazione di guerra chiamata “Turning point 3”. Al suono delle sirene tutti gli abitanti e le scolaresche hanno raggiunto al più presto rifugi anti-bomba e di sicurezza, dove hanno potuto assistere a filmati sulle operazioni di emergenza.
Il “Turning point 3” è iniziato il 31 maggio scorso e dura fino al 4 giugno. È il terzo esercizio di questo tipo dall’estate 2006 – dalla guerra fra Israele e Hezbollah in Libano – e stavolta coinvolge tutta la popolazione e tutte le scuole per affrontare una lunga lista di emergenze: attacchi missilistici dal sud (v. Gaza) e dal nord (v. Hezbollah); minaccia di armi non convenzionali (batteriologiche); possibili attacchi contro infrastrutture essenziali alla popolazione.
Che queste esercitazioni puntino all’Iran si vede dal fatto che due settimane fa le forze aree israeliane hanno svolto esercitazioni per contrastare possibili bombardamenti aerei e missili provenienti da Siria e Iran.
Il premier israeliano Benjamin Netanyahu ha basato tutta la sua campagna elettorale sull’urgenza di neutralizzare la minaccia nucleare che viene da Teheran e ha chiesto sostegno a questa sua posizione perfino a Benedetto XVI, ma soprattutto a Obama, durante il loro incontro lo scorso maggio a Washington. Secondo alcune voci, egli avrebbe lanciato alla politica americana una sorta di ultimatum: se entro agosto la linea di Teheran non sarà concretamente cambiata, gli aerei israeliani ne attaccheranno i siti nucleari.
Alla conferenza stampa che ne è seguita, Obama ha dichiarato che si attende qualche segno da Teheran almeno fino a dicembre prossimo, per vedere se la sua politica di apertura verso l’Iran lanciata all’inizio del suo mandato, porta frutti.
In questo mettere delle “scadenze” , alcuni analisti vedono un cambiamento nella politica del presidente Usa, divenuto “impaziente” verso Teheran.
Da domani Barack Obama sarà in Arabia saudita e poi in Egitto. Secondo le previsioni dei media egli spingerà i Paesi arabi ad impegnarsi per la soluzione del conflitto israelo-palestinese; in Egitto egli ha detto che cercherà di “riparare la fiducia spezzata” fra Usa e Islam. Ma il suo viaggio in Medio oriente potrebbe servirebbe anche a coalizzare il mondo arabo, o la maggior parte di esso, in un fronte anti-Iran. Anche le sue critiche a Israele sul blocco degli insediamenti e la sua richiesta di impegno per la soluzione dei “due Stati” (Israele e Palestina), sarebbe un modo per avvicinare i Paesi arabi a un presidente degli Stati Uniti che – almeno in apparenza - non è totalmente succube della politica israeliana.
... (continua)