venerdì, giugno 05, 2009

Benedetto XVI incoraggia l’Appello mondiale per la completa applicazione della Convenzione Onu sui diritti dei bambini

E’ quanto mai urgente applicare in modo completo la Convenzione delle Nazioni Unite sui diritti dei bambini: è l’esortazione di Benedetto XVI in un messaggio, a firma del cardinale segretario di Stato, Tarcisio Bertone, indirizzato al Bice, l’Ufficio internazionale cattolico dell’infanzia, in occasione del lancio, a Ginevra, di un “Appello mondiale a una nuova mobilitazione per l’infanzia”

RadioVaticana - Il documento del Papa è stato letto stamani dall’arcivescovo Silvano Maria Tomasi, che partecipa all’iniziativa promossa dal Bice. Lo stesso osservatore vaticano presso l’Onu di Ginevra parteciperà nel pomeriggio all’inaugurazione di una mostra fotografica dal titolo “Speranza e dignità per ogni bambino”.

A 20 anni dalla ratifica, c’è un “bisogno urgente” di mettere in atto in modo completo la Convenzione Onu sui diritti dei bambini: è il vibrante appello di Benedetto XVI che esprime il suo vivo incoraggiamento all’Appello per l’infanzia, promosso dal Bice, organismo cattolico creato nel 1948 ed oggi presente in 77 Paesi. Questa applicazione, rileva il Papa, è ancora più necessaria “di fronte alle nuove sfide”. E mette l’accento sul “rispetto dell’involabile dignità e dei diritti dei bambini”, sul “riconoscimento della fondamentale missione educativa della famiglia” e sul “bisogno di un ambiente sociale stabile che possa favorire lo sviluppo fisico, culturale e morale di ogni bambino”. Il Pontefice non manca poi di incoraggiare le organizzazioni cattoliche, che, come tante altre ong, “continuano a lavorare generosamente per la corretta attuazione della Convenzione e la costruzione di un avvenire di speranza, sicurezza e felicità per i bambini del nostro mondo”. Dal canto suo, intervenendo al lancio dell’Appello del Bice a Ginevra, mons. Silvano Maria Tomasi ha assicurato l’impegno della Santa Sede in favore dell’iniziativa. “I bambini sono messaggeri di speranza”, ha detto l’osservatore vaticano all’Onu di Ginevra, che ha ribadito la necessità di dare completa applicazione alla Convenzione sui diritti dei bambini. Documento sul quale si sofferma in questa intervista di Philippa Hitchen, della nostra redazione inglese:

“Questa Convenzione ha dei principi fondamentali come il diritto alla vita, il diritto all’educazione, alla protezione, alla libertà dei bambini e, soprattutto, vede i bambini come delle persone che hanno diritto ad avere riconosciuti e rispettati i diritti umani propri di ogni persona. C’è bisogno di rinnovare lo sforzo di tradurli in azione. Per questo, il Bureau internazionale dell’infanzia (Bice) ha lanciato un appello globale per fare in modo che questi principi generali siano tradotti in azioni concrete. L’appello globale vuole scuotere l’insensibilità del mondo e arrivare a stimolare gli Stati a occuparsi ancora di misure concrete per questi bambini. In questa prospettiva, ci si impegna e si è voluto anche organizzare qui alle Nazioni Unite non solo un’attività di discussione di sensibilizzazione ma anche una mostra di disegni di bambini, di fotografie, che fanno vedere qual è la situazione reale nel mondo sui problemi dell’infanzia e quali sono le misure concrete che vengono intraprese: le buone pratiche per far uscire i bambini da queste situazioni che non rispettano in nessuna maniera la loro dignità”.

L’Appello per l’infanzia, promosso dal Bice, è frutto di un lavoro biennale e prende atto di una situazione di “regresso” nell’applicazione della Convenzione del 1989. Sui punti principali sottolineati da questo Appello, Fabio Colagrande ha intervistato Alessandra Aula, rappresentante del Bice presso le Nazioni Unite:

R. - L’appello mette al primo posto 10 sfide particolari, soprattutto il diritto alla vita, il diritto alla salute, il diritto all’educazione: in altre parole, i diritti fondamentali che in varie regioni del mondo sono ancora negati ai bambini. Un fenomeno che ci preoccupa molto e che l’appello evidenzia è quello che chiamiamo lo sradicamento tanto fisico quanto psicologico e intimo dei bambini e degli adolescenti a causa delle migrazioni, delle guerre, del cambio climatico e anche - per questo mi riferivo alla situazione anche intima e psicologica - della precarizzazione delle famiglie. Tutte queste cose fanno sì che il bambino, l’adolescente, non abbia più valori, principi di riferimento, e perda quelle che sono le sue radici tanto fisiche quanto morali. Questo ci preoccupa e vediamo che in questi ultimi venti anni le politiche pubbliche, le ong, la Chiesa, le congregazioni religiose si stanno impegnando per dare delle risposte.

D. - Tra l’altro, la crisi economica, che tutto il mondo sta vivendo in questi mesi, non migliora la situazione…

R. - Certamente i bambini, gli adolescenti, saranno e sono già il gruppo più vulnerabile. Saranno i primi a essere colpiti dalla crisi, sia dal punto di vista della povertà economica, sia della povertà spirituale, la povertà psicologica. Questo per noi, al Bice, è molto importante sottolinearlo.
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venerdì, giugno 05, 2009

Le parole di Obama devono essere seguite dai fatti

Il teologo islamico Tariq Ramadan commenta la visita del presidente Usa in Egitto

di Tariq Ramadan
tratto dal sito online del quotidiano britannico The Guardian

PeaceReporter - Il discorso di Obama ai musulmani significherà poco se il suo significato simbolico non sarà seguito da misure concrete per ripristinare la fiducia. Le relazioni fra gli Stati Uniti e i musulmani sono state così danneggiate dopo otto anni di governo Bush che tutto il mondo adesso si sta chiedendo: cosa dirà Obama ai musulmani? Cosa dovrebbe dire per restituire fiducia? Prima di tutto è necessario analizzare le cause principali del profondo senso di sfiducia che troviamo oggi, non soltanto nei Paesi a maggioranza musulmana, ma anche fra i musulmani africani, asiatici e occidentali. Per decenni, e specialmente dal 11 settembre 2001, i musulmani in tutto il mondo hanno ricevuto dagli Stati Uniti dei messaggi che inquietano sia nella forma che nella sostanza.Il presidente precedente, George W. Bush, era percepito come aggressivo, spesso arrogante, di vedute ristrette e persino sordo quando si trattava di affrontare le questioni islamiche e i problemi legati ai Paesi a maggioranza musulmana o al Medio Oriente. Al di là delle sue parole di rispetto, i musulmani hanno sempre ricordato il suo primo e spontaneo riferimento religioso ad una "crociata" e al cosiddetto "asse del male". La "guerra al terrore", il bombardamento dell'Afghanistan, l'invasione dell'Iraq, le menzogne sulle armi di distruzione di massa, le extraordinary rendition e le prove di torture che sono venute alla luce, hanno avuto l'effetto di dimostrare che la vita e la dignità dei musulmani sembravano non essere di alcun valore. Oltre alla retorica di Bush, la sua amministrazione non ha dimostrato né rispetto né alcun senso di giustizia verso i musulmani, e a ciò si è aggiunta la sua cecità e il supporto unilaterale verso Israele.

Barack Obama deve ribaltare questa eredità. Nel parlare ai musulmani, dovrebbe rivolgersi anche agli Usa e all'occidente, perché le cicatrici e la sfiducia sono profonde. Obama è stato molto intelligente ed attento nel trasmettere il suo messaggio politico durante i primi mesi della sua presidenza. Ha ripetutamente espresso il suo rispetto verso l'Islam e i musulmani, annunciando la chiusura di Guantanamo e la cessazione della tortura, e diventando persino più duro nei confronti del governo Israeliano sulla questione degli insediamenti. Questi sono passi positivi che non si possono negare. Tuttavia, gli atti simbolici e i discorsi non sono abbastanza. Quello che ci aspettiamo dal nuovo presidente è sia un'azione efficace e necessaria, sia un cambiamento di atteggiamento. L'umiltà è un fattore cruciale. In questa era globale, gli Stati Uniti possono ancora essere la più potente nazione al mondo, ma non hanno il monopolio su ciò che è buono e giusto. L'essere aperti verso il mondo comincia l'essere aperti verso tutte le civiltà e riconoscendo il potenziale contributo positivo di ogni religione e cultura. L'Islam è una grande civiltà e Barack Obama dovrebbe portare un messaggio di vero e profondo rispetto annunciando che noi tutti dobbiamo imparare dagli altri e che si impegnerà a diffondere la conoscenza della diversità culturale e religiosa negli stessi Stati Uniti. Umiltà significa che tutti dobbiamo imparare dagli altri e l'America dovrebbe essere pronta ad imparare dall'Islam e dai musulmani, come dagli indu o dai buddisti. Paradossalmente, il modo in cui Obama intende affrontare le questioni della diversità religiosa e dell'istruzione in casa propria sarà un vero indicatore delle sue reali politiche verso l'Islam e i musulmani nel mondo.

Nessuna civiltà può reclamare di avere il monopolio su valori universali e nessuno può affermare di essere sempre fedele ai suoi stessi valori. Il presidente Obama deve sottolineare che i valori ideali e i diritti umani per i quali gli USA si battono, ma deve anche riconoscere gli errori, i fallimenti e le contraddizioni nella loro applicazione. La mancanza di coerenza è una debolezza condivisa da tutte le nazioni. Il modo migliore perché il presidente venga ascoltato quando parla di diritti umani e democratizzazione e quando annuncia l'inizio di una nuova era nelle relazioni con i musulmani, dovrebbe essere iniziando costruttivamente un'autocritica, e riconoscendo che gli USA possono fare e faranno molti di più per il rispetto dei valori che propagandano. Questo dovrebbe essere fatto attuando politiche giuste nei confronti del mondo musulmano e dei Paesi poveri. Questo atteggiamento umile, basato sul dovere imperativo della coerenza, non è una posizione di debolezza, ma l'esatto opposto: in questo modo, Obama può ricordare sia ai leader e che ai normali fedeli le loro stesse incoerenze. Solo un presidente americano coerente e autocritico può ricordare ai musulmani il fatto che devono agire contro la corruzione, l'estremismo, le dittature, la mancanza di politiche di istruzione, la discriminazione verso le donne e i poveri, ed essere ascoltato con un minimo di fiducia.

I musulmani stanno aspettando delle azioni, e sanno dalla loro esperienza (con gli Usa e con i loro stessi governi) che i politici sono bravi con le parole. Barack Obama ha uno status molto speciale oggi, e specialmente nel mondo musulmano. E' uno degli unici presidenti americani che ha sia un background che le capacità per essere più che semplicemente un simbolo che pronuncia belle parole. Sarebbe triste perdere questa storica opportunità e si deve sperare che Obama abbia una visione e una strategia efficiente per il suo Paese e per il mondo. Sulle questioni di politica interna, quando si parla di discriminazione, sicurezza, immigrazione e pari opportunità, Barack Obama deve aiutarci a dimenticare che è afro-americano promuovendo eguali diritti e giustizia. A livello internazionale, dovrebbe aiutarci a ricordare che suo padre era un musulmano, rifiutandosi di essere timido o apologetico e rispettando i diritti sia degli individui che delle popolazioni in Palestina, Iraq, Afghanistan e in altri luoghi. Il messaggio che egli deve mandare ai musulmani dovrebbe venire da un presidente che si posiziona oltre specifici colori e appartenenze religiose con umiltà, coerenza e rispetto. Mentre pronuncerà il suo discorso, dovrebbe dire chiaramente che dopo anni di sordità a Washington, lui ha iniziato ad ascoltare.

traduzione a cura di Francesco Gastaldon

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giovedì, giugno 04, 2009

I Capitoli, dove la vita secondo la forma del Vangelo è vivibile

Il documento storico più antico che ci trasmette notizie circa la fraternità minoritica è una lettera che Giacomo da Vitry scrisse da Genova, nell'ottobre 1216, descrivendo ciò che più lo colpì nel viaggio attraverso l'Italia che da Milano lo condusse fino a Perugia per essere consacrato vescovo.

Zenit - Dopo aver narrato della città lombarda, definita senza mezze misure come «un vero covo di eretici», descrive la Curia papale stanziata a Perugia, dove assiste ai funerali di papa Innocenzo III e all'elezione di Onorio III. Se nella Curia dice di aver trovato una situazione contraria al suo spirito di riformatore essendo tutti «occupati nelle cose temporali e mondane, in questioni di re e regni, in liti e processi, che appena permettevano che si parlasse di qualche argomento di ordine spirituale», annota immediatamente dopo un incontro che gli fu di consolazione, ossia i frati Minori i quali «non si impicciano per nulla di cose temporali».

Volendo narrare i tratti essenziali dei frati Minori scrive: «Gli uomini di questa "religione" convengono una volta l'anno nel luogo stabilito, per rallegrarsi nel Signore e mangiare insieme, ricavando da questi incontri notevoli benefici. Qui, avvalendosi del consiglio di persone esperte, formulano e promulgano delle leggi sante, che sottopongono al Papa per l'approvazione. Dopo di che, si separano per tutto l'anno disperdendosi per la Lombardia, la Toscana, le Puglie e la Sicilia».
Stupisce nel vedere che proprio queste riunioni annuali, che saranno denominate "capitoli", è una delle poche caratteristiche dei frati Minori che Giacomo da Vitry trasmette ai propri amici; sembra proprio che la cosa lo colpì parecchio!

E la descrizione fatta è tanto sintetica, quanto essenziale: la cadenza è annuale, il luogo è quello stabilito, la modalità è rallegrarsi nel Signore e mangiare insieme, l'esito è che ne ricavano notevoli benefici, uno dei fini è di formulare e promulgare con il consiglio di persone esperte leggi sante da far approvare al Papa, il termine è il disperdersi verso i quattro punti cardinali rappresentati dalle regioni menzionate.

Quindi il capitolo è un momento di incontro tra i frati in cui la storia viene messa a confronto con "la forma di vita del Vangelo", che nel Testamento Francesco dirà di aver ricevuto per sé e i frati mediante una rivelazione da parte del Signore. Proprio da questo continuo confronto nascono quelle leggi sante, meglio conosciute come Regola dei frati Minori, le quali nella redazione del 1220 a proposito del capitolo affermano: «Tutti i ministri, che sono nelle regioni d'oltremare e oltr'alpe una volta ogni tre anni, e gli altri una volta all'anno, si radunino a Capitolo generale nella festa di Pentecoste, presso la chiesa della Porziuncola».

Rispetto alla notizia trasmessaci da Giacomo da Vitry data e luogo sono fissati in modo preciso: la festa di Pentecoste e la chiesa di Santa Maria della Porziuncola. Due semplici indicazioni ma che evidenziano il ruolo dello Spirito Santo e l'importanza di Maria vergine, modello di intercessione e accoglienza del dono che viene dall'alto. Fonti successive, per rimarcare ancora di più che tali incontri si presentavano come una rinnovata Pentecoste, volendo indicare il numero dei presenti parlano di tremila o cinquemila frati, ossia la cifra corrispondente ai convertiti dalla predicazione dopo la discesa dello Spirito Santo (cfr. At 2,41; 4,4).

Con il passare degli anni i frati giungono al capitolo con una maggior esperienza di vita, aumentati non solo numericamente ma anche qualitativamente, essendo entrati nel gruppo anche persone acculturate ben rappresentate da un frate proveniente da Lisbona, dove aveva ricevuto un'ottima formazione teologica, e che dopo essere stato al capitolo sarà inviato nel nord'Italia: sant'Antonio da Padova.

Proprio tale presenza così variegata mostra tutta la bellezza dei frati Minori e dei loro incontri annuali - come appunto mostra la lettera di Giacomo da Vitry sopra menzionata - ma anche la complessità dei capitoli. Presto ci furono dei momenti di difficoltà - verrebbe da dire "crisi di crescita" - che videro i frati polarizzarsi come attorno a due gruppi: alcuni - denominati come "tanti o tali" in quanto formati da frati dotti - volevano appellarsi alle forme di vita religiosa precedente ben sperimentate, quali quella dei santi Agostino, Benedetto e Bernardo; altri invece - forse anche con un poco di nostalgia per un tempo ormai idealizzato che in parte non è mai esistito - volevano continuare a vivere nello stile della fraternità iniziale quando erano un piccolo numero.

I primi cercarono un appoggio nel cardinale Ugolino - futuro Gregorio IX - per far valere le loro posizioni, ma Francesco non volle ascoltar ragioni e davanti a tutti proclamò: «Fratelli, fratelli miei, Dio mi ha chiamato per la via dell'umiltà e mi ha mostrato la via della semplicità. Non voglio quindi che mi nominiate altre regole, né quella di sant'Agostino, né quella di san Bernardo o di san Benedetto. Il Signore mi ha detto che questo egli voleva: che io fossi nel mondo un "novello pazzo": e il Signore non vuole condurci per altra via che quella di questa scienza!».

Poche parole, ma ben precise, per dire che la strada da seguire era stata indicata dal Signore allo stesso Francesco e che quella non era solo per lui, ma per tutti i frati! E quindi non c'era spazio per ulteriore discussione - forse noi oggi useremmo la parola "discernimento" - circa tale questione.
Quindi i capitoli come luogo della gioia di ritrovarsi nel Signore e mangiare assieme, ma anche dove emerge tutta la complessità e contraddittorietà, tanto da apparire assurdità, della vita.

Il brano Della vera letizia in cui si narra del confronto alla Porziuncola tra frate Francesco che bussa alla porta e il portinaio che risponde che ormai i frati sono "tanti e tali" per cui non hanno più bisogno di lui che è "semplice ed idiota", al di là di essere un semplice racconto esemplare, ben evidenzia questo confronto serrato che caratterizza non solo gli ultimi anni della vita dell'Assiate, ma anche gli anni successivi la sua morte e canonizzazine. Certamente tutto ciò durò fino al capitolo del 1239, vero anno chiave della storia francescana, in cui verrà deposto frate Elia ed eletto come ministro generale Alberto da Pisa e l'anno successivo, nel 1240, Aimone di Faversham.

Nei capitoli, dice Giacomo da Vitry, i frati «formulano e promulgano delle leggi sante, che sottopongono al Papa per l'approvazione»: ogni anno quelle norme sono costrette ad essere riformulate a motivo degli avvenimenti della vita che presenta sempre nuove occasioni e sfide. Così mediante amplificazioni, ridefinizioni e aggiunte si strutturano delle regole che rendono vivibile e funzionabile quanto ci si è proposto come forma di vita.

Ecco allora, solo per fare alcuni esempi, ci si trova a dover affrontare la modalità con cui celebrare la liturgia, il caso dei frati malati e il problema di come assisterli, la verifica dell'attitudine alla predicazione, il comportamento da assumere tra i mussulmani, il lavori che non sono consoni alla minorità. Per comprendere cosa avveniva in quei momenti tra i frati molto importanti sono i cosiddetti "inserimenti negativi" presenti nella Regola, quale ad esempio che non devono andare a cavallo, non ricevere denaro per nessuna ragione, non assumere posti di comando, non fare contese: tutte allusioni ad abusi nel comportamento dei frati, che si atteggiavano in modo non confacente alla forma di vita professata, e che tali "inserimenti negativi" presenti nella Regola cercavano di eliminare. Tale lavoro di formulazione e verifica della Regola ebbe luogo soprattutto nei capitoli e questo fino al 1223, quando il 29 novembre con la bolla Solet annuere papa Onorio III l'approvò definitivamente.

Se da quel momento la Regola ormai era approvata, la vita e la storia presentava nuovi questioni, come la possibilità di costruire povere abitazioni, il ricorso a lettere pontificie per difendere propri diritti, la predicazione in parrocchie di sacerdoti incolti, ecc. Francesco stesso cercò di dare risposta a queste nuove questioni non presenti nella Regola mediante indicazioni poste nel suo Testamento; pur annotando la differenza tra l'obbligatorietà della prima e i consigli contenuti nel secondo, queste nuove norme date negli ultimi tempi di vita del Santo portarono soltanto a complicare le cose.

A questo si aggiunga che non sempre poi la Regola era funzionale, come si mostrò sotto il generalato di frate Elia. Infatti in tal caso si rese evidente che la normativa per cui il ministro generale poteva essere deposto se ritenuto inidoneo soltanto dai frati riuniti in capitolo, mentre il capitolo poteva essere convocato unicamente a discrezione del ministro generale, rendeva il potere del ministro generale assoluto ed insindacabile, tanto che alcuni frati davanti ad una situazione divenuta insostenibile si trovarono costretti, di nascosto da frate Elia, a far ricorso al papa Gregorio IX - che ben conosceva la vicenda dei frati Minori essendo stato presente ai loro capitoli quando era ancora il cardinale Ugolino d'Ostia - per far convocare il capitolo.

Proprio in tale capitolo del 1239 si affrontò il problema della insufficienza della Regola e si fecero numerose costituzioni onde affrontare problematiche venutesi a creare successivamente al 1223, anno di conferma della Regola.
In questo modo il capitolo continuò ad essere il luogo del confronto tra la vita e la forma del Santo vangelo, o meglio tra la storia e la Regola, trovando mezzi e regole che rendessero vivibile e incontrabile ciò che altrimenti sarebbero stati soltanto degli altissimi ideali, fossero pure quelli del "sogno evangelico" o la "utopia francescana".

Ciò che all'inizio era la fraternità minoritica - tanto da apparire agli occhi di oggi come un movimento - divenne gradualmente l'ordine dei frati Minori, un luogo in cui il carisma di san Francesco diventa vivibile ed incontrabile. Tenendo conto di tutto ciò diventa comprensibile e auspicabile quanto Giovanni Paolo II ebbe a scrivere al capitolo generale nel 1985: «Si dovrà innanzitutto mettere ogni impegno perché l'Ordine realizzi e consolidi la specificità anche giuridica di ogni istituto di vita consacrata, che è quella di essere "una forma stabile di vita", e non quindi un "movimento" aperto a opzioni nuove continuamente sostitutive di altre, nell'incessante ricerca di una propria identità, quasi che essa ancora non fosse stata trovata.

Al riguardo non posso tralasciare di notare che anche la moltiplicazione di "letture" della regola porta con sé il rischio di sostituire al testo della regola stessa una sua interpretazione o, almeno, di oscurare la semplicità e purezza con le quali da San Francesco essa fu scritta».
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di Pietro Messa
Preside della Scuola Superiore di Studi Medievali e Francescani della Pontificia Università Antonianum

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giovedì, giugno 04, 2009

Assisi: il 12 giugno un concerto per i bambini africani

Renato Zero, Raf, Tiziano Ferro. Ecco alcuni dei nomi degli artisti che animeranno la serata di raccolta fondi ''Nel Nome del Cuore'' che andra' in onda in diretta su Rai Uno dalla Piazza Inferiore della Basilica di San Francesco ad Assisi il prossimo 12 giugno. A condurre la serata sara' Carlo Conti.

Agenzia Asca - Obiettivo dell'iniziativa di solidarieta' e' quella di raccogliere fondi per la realizzazione di due progetti per l'assistenza all'infanzia in Kenya e Zimbabwe che prevedono la realizzazione di un centro per la tutela e l'assistenza delle giovani madri e dei loro bambini a Limuru (Kenya) e al potenziamento delle risorse sanitarie e di quelle dedicate alla distribuzione del cibo nelle localita' piu' svantaggiate dello Zimbabwe.

Dal 1* al 16 giugno sara' possibile effettuare le donazioni: bastera' chiamare il numero 48584, oppure inviare un sms allo stesso numero. Alla campagna di raccolta fondi telefonica aderiscono i gestori Telecom Italia, Vodafone, Wind e 3.
''La serata del 12 giugno desidera essere una festa estiva in onore di San Francesco. La manifestazione si preannuncia ricca di proposte culturali, di memorie francescane e di amicizia con le popolazioni africane di Zimbabwe e Kenya - ha spiegato Padre Giuseppe Piemontese, Custode del Sacro Convento di Assisi -. I settecento anni della presenza di Giotto in Assisi saranno ricordati con una visita virtuale tra gli affreschi del maestro presenti nelle Basiliche''.

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giovedì, giugno 04, 2009

Argentina, si indetificano resti di decine di 'desaparecidos'

Sono 42 le spoglie di altrettanti oppositori dell’ultima dittatura (1976-’83) a cui l’Equipe argentina di antropologia forense (Eaaf) è riuscita a restituire un nome al termine della prima fase dell’Iniziativa latinoamericana per l’identificazione dei ‘desaparecidos’, cominciata nell’ottobre 2007.

Agenzia Misna - I risultati sono il frutto di un lungo lavoro di comparazione tra oltre 5000 campioni di sangue di familiari di ‘desaparecidos’ e circa 600 scheletri riesumati in diversi cimiteri del paese, reso possibile anche grazie alla collaborazione con il ‘The Bode Technology Group’ statunitense. All’iniziativa partecipano anche la Fondazione di antropologia forense del Guatemala (Fafg) e il corrispondente istituto del Perù (Epaf); se nel paese centroamericano le indagini sono solo all’inizio, in Perù è già stato possibile identificare altri 10 ‘desaparecidos’. Secondo dati ufficiali almeno 13.000 oppositori sono scomparsi in Argentina durante il regime; sebbene gli organismi umanitari innalzino la cifra a 30.000; in Guatemala, a causa della guerra civile (1960-‘96) i ‘desaparecidos’ furono almeno 45.000, in Perù, tra il 1980 e il 2000, tra morti e scomparsi furono 69.000 le vittime del conflitto contro ‘Sendero Luminoso’. L’Eaaf è un’organizzazione scientifica non governativa che dalla sua fondazione nel 1984, si è adoperata per identificare centinaia di scomparsi in diverse zone di conflitto, dall’America Latina, all’Africa, all’Asia.

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giovedì, giugno 04, 2009

Greencanal: il tempo del creato, il tempo dell'uomo

In occasione del sesto Forum dell'Informazione Cattolica per la Salvaguardia del Creato, l'associazione Greenaccord ha pubblicato on line "Greencanal", un nuovo spazio informativo che troverete all'indirizzo www.greencanal.eu

Su Greencanal, notizie e approfondimenti del sesto Forum dell'Informazione Cattolica. Un appuntamento rivolto a tutti gli operatori dell'informazione e della comunicazione, dedicato quest'anno al tema "Il Tempo dell'Uomo e il Tempo del Creato". Voci di autorevoli esperti, esponenti del mondo scientifico, accademico ed ecclesiale, rifletteranno su questo argomento per riscoprire il senso profondo del vivere, in modo responsabile e sostenibile, alla luce della fede. Greencanal è solo l'embrione del primo organo d'informazione ufficiale di Greenaccord, un progetto molto più ampio di prossima realizzazione. il sito "greencanal.eu", che sarà presentato al Forum di Pistoia, vuole essere uno strumento utile e snello a disposizione di tutti i colleghi che parteciperanno al Forum, con informazioni utili su: programma, comunicati ed informazioni logistiche.
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giovedì, giugno 04, 2009

Foreste addio: l'Indonesia raddoppia l'olio di palma‏

Entro il 2020 l'Indonesia arriverà a 40 milioni di tonnellate

Salva le Foreste - Nella corsa testa a testa con la Malesia, l'Indonesia divenuta il primo produttore mondiale di olio di palma. Ma i terreni agricoli sono oramai esauriti, e mentre la Malesia acquista intere regioni in Africa e Sudamerica, l'Indonesia si accanisce sulle proprie foreste. Secondo fonti governative, è possibile raddoppiare la produzione anche aumentando la produttività da 3,5 a 4,5 tonnellate per ettaro, ma il grosso dell'aumento verrà comunque dalla deforestazione: si prevede un'espansione delle piantagioni di oltre due milioni di ettari. 3,4 milioni di ettari di foreste torbiere sono già stati destinati alle piantagioni, e a lungo termine un totale di 10,1 milioni di ettari di foresta finirà in fumo, destinato ad attività produttive. In occasione di una conferenza sull'olio di palma a Jakarta, il presidente del Palm Oil Board, Franky Widjaja, ha candidamente dichiarato alla Dow Jones Newswires che "se riusciamo ad aumentare la produttività a quattro tonnellate per ettaro, allora ci possono anche bastare 10 milioni di ettari".Il governo indonesiano ha già rimosso il bando sulle foreste torbiere, che sono ora a disposizione delle multinazionali dell'olio di palma e della carta. Mentre gli ultimi oranghi e le tigri si Sumatra si avviano rapidamente all'estinzione, l'espansione delle piantagioni ha liberato tanto carbonio in atmosfera, da fare dell'Indonesia il quarto paese nella classifica mondiale delle emissioni di gas serra.Le foreste umide indonesiane non solo preservano carbonio, come tutte le foreste, ma si sviluppano su un suolo di metri e metri di torba: una volta abbattute le foreste e drenata la torba, immense quantità di carbonio si sprigionano in atmosfera.
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giovedì, giugno 04, 2009

Economia globale e mondo cattolico

del nostro redattore Carlo Mafera

Ettore Gotti Tedeschi, esperto di strategia industriale e finanziaria, presidente dal 1985 del Santander Consumer Bank spa, ha tenuto una lezione-conferenza il 22 maggio presso l’Università della Santa Croce sul rapporto tra l’economia globale e il mondo cattolico. Il suo pensiero economico si può sintetizzare così: “L’economia è una tecnica avanzata e sofisticata ma neutrale che per essere vantaggiosa per l’uomo deve trovarlo consenziente a considerarsi importante”. In altre parole egli mette in evidenza la centralità della persona umana anche nell’economia. Infatti insegna Etica della finanza all’Università Cattolica ed è editorialista dell’Osservatore Romano. Ha scritto con Rino Camilleri un libro il cui titolo è: Denaro e Paradiso dove “rivendica la superiorità di un capitalismo ispirato alla morale cristiana”. Gotti Tedeschi è contrario alle teorie Keynesiane e all’idea che l’economia sia una scienza tout court. Ha messo più volte in evidenza, nel corso della lezione, che il capitalismo sia nato “con il saio” nell’Italia del XIII secolo, teorizzato da teologi francescani trovando una compiuta formulazione nella scuola di Salamanca. Ritiene invece che i mali del capitalismo siano derivati dall’applicazione che ne ha fatto il protestantesimo con il suo affarismo decisionista, con il suo laissez-faire e con la legge del più forte. Ed è contro questo tipo di capitalismo che si scagliò Marx. Un fattore importante che ha determinato la crisi economica degli ultimi anni è stata la caduta del numero delle nascite. Infatti tutte le più recenti teorie economiche (da Solow a Keynes ) sono centrate sulla crescita della popolazione dalla quale derivano l’offerta di lavoro, la produttività e la conseguente creazione di risparmio (con più o meno importanza riconosciuta al contributo tecnologico). Gotti Tedeschi – ha spiegato – che la crescita economica c’è solo se il tasso di crescita del PIL è superiore al tasso di crescita della popolazione. Da qui la tentazione di diminuirla o azzerarla per far crescere il prodotto interno lordo. L’importanza della crescita popolazione fu ravvisata negli anni 70 da un altro studioso (A. Sauvy). Questi calcolò (e il prof. Gotti Tedeschi lo ha sottolineato durante la lezione) che, per mantenere la riproduzione di una generazione, è necessario un tasso di fecondità di 2 bambini per coppia. Invece per i vent’anni successivi (cioè dal 1975 in poi) il tasso di fecondità è stato di 1 bambino a coppia con le conseguenze che tutti vediamo. Così dagli anni 80 si è assistita a una diminuzione della crescita del PIL nei paesi sviluppati e conseguentemente degli utili delle imprese ma si vollero ignorare le cause. Tutto ciò ha provocato la crescita dei costi fissi (quelli il cui ammontare non varia, entro certi limiti, al variare della quantità prodotta.), delle tasse , la diminuzione della crescita del risparmio, la crescita solo dei consumi a debito e la ricerca di soluzioni compensative quali la delocalizzazione (far produrre altrove per risparmiare), l’immigrazione, i mutui subprime (I subprime, sono quei prestiti che vengono concessi ad un soggetto che non può accedere ai tassi di interesse di mercato, in quanto ha avuto problemi pregressi nella sua storia di debitore). Insomma nacque un progetto di compensazione della non crescita reale con una crescita fittizia consumistica e a debito che poi produce l’espansione monetaria. “Come potremmo sintetizzare questa morale? Nella confusione tra fini e mezzi (e utilizzo di mezzi cattivi per fini buoni)…. Mai come in questa crisi attuale si evidenzia quanto l’uomo tecnologico, pur essendo dotato di mezzi e risorse, sappia sbagliare provocando dissesto. Aveva ragione Giovanni Paolo II nella Sollicitudo Rei Socialis …. se l’economia non è un mezzo per raggiungere un fine, diventa lei stessa un fine e lo diventa opportunisticamente. “Non è vero – ha continuato Gotti Tedeschi – (e lo si è visto recentemente) che ci sono leggi di comportamento che possono prescindere da riferimenti etici …. Il problema è che fini buoni non possono essere giustificati da mezzi cattivi. L’ultima delle varie domande che il prof. Gotti Tedeschi si è posto è stata . “Perché l’etica cattolica, sviluppata dalla dottrina sociale della Chiesa, è applicabile (nell’economia)? Perché la Bibbia non è anticapitalista né contro il mercato. Perché le origini del capitalismo sono cristiane ( e questo è stato deformato nei secoli). Perché, nelle analisi delle Etiche, quella cattolica è la più centrata sull’uomo libero, responsabile, creativo e si sviluppa attraverso l’esercizio di virtù, non con abusi e sfruttamento perché non confonde fini e mezzi (come si è detto) e si preoccupa della salvezza. Questi meriti vengono riconosciuti persino dai maggiori studiosi liberali, quali Rothbard (“Tutto ciò che c’è di buono nella civiltà occidentale è cristiano”). Van Hayek (“ Dal cristianesimo provengono gli insegnamenti per la nostra cultura”). Rockwell (“ Il cristianesimo originò l’individualismo solidale e rese possibile lo sviluppo del capitalismo”). “In questo momento – ha concluso Gotti Tedeschi – è indispensabile una nuova Scuola di Salamanca per ridare certezza all’impegno temporale del cattolico nel mondo”.
... (continua)
giovedì, giugno 04, 2009

Vent'anni fa i fatti di Piazza Tiananmen

Nessun bilancio ufficiale, solo il ricordo dei fatti di vent’anni fa a Piazza Tiananmen, a Pechino.

Radio Vaticana - Era il 4 giugno 1989 quando i soldati cinesi iniziarono la repressione con la forza delle proteste degli studenti, che occupavano da quasi due mesi la piazza per chiedere l’introduzione di un sistema politico democratico. Secondo i dati forniti negli anni, 241 furono le vittime, ma i movimenti in difesa dei diritti umani parlano di migliaia di morti. Da allora, nulla si è più saputo del giovane - rimasto il simbolo delle manifestazioni studentesche - che si oppose alla marcia dei carri armati. Anche quest’anno Amnesty International torna a chiedere alla Cina un’inchiesta indipendente su quanto accaduto nell’89. Cosa rimane allora oggi delle proteste di 20 anni fa a Piazza Tiananmen? Giada Aquilino lo ha chiesto a padre Angelo Lazzarotto, missionario del Pontificio istituto missioni estere che per anni ha operato ad Hong Kong:

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giovedì, giugno 04, 2009

Dal Cairo, Obama al mondo arabo: "Sono qui per un nuovo inizio"

Obama propone un "nuovo inizio" al mondo musulmano nell’atteso discorso all’università del Cairo. Tanti i temi toccati dal presidente degli Stati Uniti che ha posto in primo piano il processo di pace in Medio Oriente. Il servizio di Marco Guerra:

Radio Vaticana - Processo di pace israelo–palestinese, il nucleare iraniano, lotta al terrorismo e le guerre in Afghanistan e Iraq, ma anche pari opportunità per le donne, libertà religiosa e accesso all’istruzione. È andato oltre le aspettative il discorso di riconciliazione con il mondo musulmano del presidente Obama. Le parole pronunciate all’università del Cairo sono molto più di una mano tesa, ma la base di una vera è propria piattaforma comune per far partire quello che definisce un nuovo inizio nei rapporti tra Usa e Medio Oriente.Per fare questo il presidente degli Stati Uniti ha chiesto di superare gli stereotipi che per troppi anni hanno diviso L’Occidente e i Paesi arabi ed ha chiamato tutti a guardare a ciò che unisce piuttosto che ciò che divide. Sforzo sottolineato dalla citazione dei libri sacri Bibbia e Corano. L’appello di Obama è andato oltre la retorica dell’incontro tra culture affermando che "l'islam è parte dell'America". Obama è quindi partito dalla tragedia dell’11 settembre per arrivare a tutte le scelte che hanno portato l’America ad agire in modo contrario rispetto a suoi ideali. E cosi se l’intervento in Afghanistan è stato “invitabile” la stessa cosa non può dirsi dell’Iraq. Non meno incisivo è poi il passaggio sulla questione palestinese: l’inquilino della Casa Bianca ha ribadito con fermezza la necessità che Israele interrompa la politica degli insediamenti. Ma ha esortato i palestinesi a fermare da subito la violenza. Il tutto in prospettiva della soluzione dei due Stati. Aperture inaspettate si registrano poi sul programma nucleare di Teheran. “L'Iran - ha precisato - dovrebbe avere accesso al nucleare pacifico, ma deve aderire al Trattato di non-proliferazione”. Parlando di democrazia e libertà ha invece sottolineato che ''nessun sistema di governo può o dovrebbe essere imposto da una nazione sopra qualsiasi altra''. Infine, c’è stato spazio anche per i diritti delle donne e la libertà di religione, in merito alla quale si è riferito alla situazione dei maroniti in Libano e dei Copti in Egitto. La voce del primo presidente Usa afroamericano è stata più volte interrotta dagli applausi degli studenti egiziani che con molta probabilità anticipano la vasta eco che il discorso avrà nel mondo musulmano.

Sul tema del riavvicinamento degli Stati Uniti al mondo arabo, primo tema affrontato nel suo discorso dal presidente Obama, Stefano Leszczynski ha sentito l’ambasciatore Mario Scialoja, consigliere d’amministrazione del Centro islamico culturale d’Italia:

R. – E’ un discorso che, indubbiamente, marca una differenza rispetto alla linea seguita dalla precedente amministrazione americana: il fatto che il presidente Obama abbia riconosciuto che l’islam fa parte della stessa società americana, con i 7 milioni di cittadini di religione musulmana che vivono negli Stati; il fatto che abbia fatto riferimento, abbia citato varie volte versetti del Sacro Corano, insistendo sul fatto che l’islam è una religione di pace e non di guerra; il fatto che si sia riferito al problema mediorientale riconoscendo sì, l’esistenza e la necessità dell’esistenza di due Stati – uno Stato palestinese ed uno Stato israeliano – ma che abbia contemporaneamente fatto appello ad Hamas perché rinunci all’uso della violenza e apra un discorso politico, pacifico e sincero: questi sono tutti elementi che francamente mi hanno – non dico sorpreso - ma mi hanno veramente compiaciuto. Mi sembra che il presidente Obama abbia toccato le corde giuste nel cuore dei musulmani e del mondo intero, e che abbia aperto un’era di un dialogo più aperto e più franco tra gli Stati Uniti e il mondo islamico.
D. – Il presidente Obama non ha eluso il problema del terrorismo e della minaccia estremista sul mondo …

R. – Il presidente Obama, appunto, ha riconosciuto che i musulmani stessi sono vittime del terrorismo. Ma io penso che lui abbia fatto un giusto appello alla necessità di isolare questi gruppi di violenti che costituiscono senz’altro una minoranza. Io trovo che sia stato un messaggio che debba essere recepito, perché nel mondo islamico stesso questi gruppi devono essere isolati, circoscritti e combattuti.

Un discorso intenso, dunque, quello del presidente degli Stati Uniti Barack Obama, che ha tentato di risanare il solco che si è creato tra Stati Uniti e mondo islamico negli ultimi anni. Riuscirà nel suo intento? Salvatore Sabatino lo ha chiesto a Lucio Caracciolo, direttore della rivista di geopolitica “Limes”:

R. – L’intenzione c’è, il coraggio pure. Lo stesso Obama è consapevole che sarà un’impresa di lungo periodo, semmai riuscirà. Certamente, la situazione sul terreno non favorisce questa intenzione.

D. – E' stata chiesta concretezza, non sole parole. Quali sono adesso queste azioni di concretezza sulle quali procederà l’amministrazione americana?

R. – Io credo che adesso l’amministrazione americana sia soprattutto concentrata ad ottenere da Israele un significativo segnale sul fronte delle colonie ebraiche in Cisgiordania. Mi pare anche che da parte israeliana non ci sia alcuna intenzione di dar seguito a queste pressioni americane. Quindi, c’è un braccio di ferro, una tensione molto forte tra il governo israeliano e il governo americano.

D. – Sul fronte iracheno, da parte del presidente americano, c’è stata una sorta di ammissione di colpa su un conflitto che ha di fatto spaccato gli stessi Stati Uniti...

R. – Sì, Obama ha distinto tra la guerra in Afghanistan, una necessità, e la guerra in Iraq, una scelta. E ha detto anche molto chiaramente che gli americani non intendono mantenere soldati e basi né in Afghanistan né in Iraq.

D. – Quanto questo discorso mette un punto rispetto alla passata amministrazione Bush?

R. – Questo discorso in sé non mette un punto particolare se non nelle intenzioni. Quello che finora manca in Obama è una linea politica che sia conseguente a queste grandi dichiarazioni di principio. Non c’è ancora una strategia chiara.

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giovedì, giugno 04, 2009

Amore, sessualità e genere. La complementarietà uomo-donna

del nostro redattore Carlo Mafera

Marta Brancatisano, direttore del Master “Amore, Famiglia, Educazione” presso l’istituto Superiore di Scienze Religiose all’Apolinnare, ha tenuto l’undicesima lezione – conferenza del corso di aggiornamento per giornalisti all’Università della Santa Croce, venerdì 29 maggio sul tema: Amore, Sessualità e genere. La prof.ssa Brancatisano ha esordito affermando che il ’68 è stata una data spartiacque per quanto riguarda la relazione di coppia. Il movimento dei diritti della donna rimise in discussione il tipico ruolo che questa aveva nell’ambito del matrimonio e della procreazione. Infatti ha precisato che “la trasmissione della vita sembra assumere una posizione inedita rispetto al passato ( il '68 e i millenni precedenti ), staccandosi dallo stabile alveo della relazione familiare per inserirsi nella sfera delle opzioni dell'individuo - la donna - grazie anche alle nuove frontiere della tecnologia biologica. Marta Brancatisano ha parlato di una cultura della contraccezione favorita dall’immissione nel circuito economico di un metodo anticoncezionale. Ciò ha avuto le sue cause nel cambiamento di mentalità nei confronti della relazione uomo – donna, già dalla metà del ‘900 che ha tracimato poi anche riguardo alla funzione procreativa. “La separazione della capacità generativa dall’amore coniugale ha causato in pochi decenni una contrazione della natalità …. E tuttavia ritengo – ha detto la Brancatisano - pur essendo l'esito più evidente, non è il nucleo della questione, ma solo un suo aspetto.” A questo punto la Chiesa Cattolica ha dovuto affrontare il problema con l’enciclica Humanae Vitae. Questa fu percepita dai cattolici come restrittiva e ostica al punto da suscitare lo scisma silenzioso “ovvero l'allontanamento di fatto di larga parte di fedeli dai dettami del Magistero riguardo al matrimonio e al significato stesso della sessualità.” Ma con la enciclica Mulieris Dignitatem, arrivata dopo vent’anni, la Chiesa completa il discorso di Humanae Vitae cercando di rendere più comprensibili le sue indicazioni. La prof.ssa Brancatisano ha ben messo in evidenza che “l'inserimento di Humanae Vitae nella prospettiva aperta da Mulieris Dignitatem consente di cogliere l'intima connessione tra procreazione e struttura antropologica espressa dalla relazione tra uomo e donna. Consente cioè di cogliere l'imprescindibile identificazione di amore e vita con il risultato di liberare la tematica del matrimonio, dell'amore umano, della sessualità dai vincoli un'etica estrinseca o normativistica attraverso l'acquisizione dell' identità dell 'essere umano.” “Infatti – ha continuato la relatrice – da Genesi sappiamo che ogni atto creativo era segnato dall’approvazione divina ….” E vide che era cosa buona” Soltanto di fronte all'uomo questa ondata di compiacimento divino si infrange contro uno scoglio: "non è bene che l'uomo sia solo". Sorprendente sottolineatura dettata all'autore ispirato perché fosse per sempre chiaro e inoppugnabile che la solitudine ontologica e strutturale è ostacolo all'umanità.”

E così ha proseguito la prof.ssa Marta Brancatisano “Tutta l'azione creativa si compie dunque con l'avvento della donna e con l'unione tra uomo e donna, status che viene a indicare il momento in cui si compie l'umanità.” Quindi si passa dallo stato di solitudine allo stato di aiuto. Questa dimensione è una dimensione costitutiva voluta dal Dio creatore e cioè ontologica. La relazione uomo – donna serve all’essere umano per essere compiuto. “Una caro” (una carne sola) esprime unità e corporeità. L’importanza del corpo, la sua immensa sacralità è stata più volte sottolineata dalla professoressa : “bisogna richiamare la scena della formazione dell'uomo con polvere del suolo e alito di vita, e ricordare che solo nel momento in cui i due elementi si uniscono l'uomo diviene un essere vivente. La costituzione dell'essere umano risulta quindi composta ma unitaria, perché la vita si produce grazie all'unione della materia con lo spirito: un'unione che genera un essere in cui la materia è spiritualizzata e lo spirito è incarnato. Gn 1,26, Gn 2,18 e Mt 19 sono i riferimenti biblici significativi che la relatrice ha citato durante la lezione – conferenza. E da questi prende spunto l’enciclica Mulieris Dignitatem . Ciò prelude alla definitiva autorivelazione di Dio uno e trino – ha detto la Brancatisano - unità vivente nella comunione del Padre del Figlio e dello Spirito Santo"). Come nella descrizione operata dal simbolo Quiqumque si accostano i concetti di unità e individualità delle tre Persone divine in modo che l'una sia al tempo stesso condizione e conferma dell'altra, anche nella relazione d'amore umano non c'è confusione di identità nell'unione, ma è l'unione che genera identità. L'unione tra uomo e donna, il loro specifico modo di essere insieme - una caro, la coppia - è segno e fonte di vita per i due soggetti. E' il noi che genera l'io nella sua forma compiuta.” Ciò che Giovanni Paolo II ha ribadito nella Mulieris Dignitatem è stato il carattere ontologico della differenza sessuale, infatti l’insigne studiosa ha proseguito nella sua relazione ….. “Questo salto di dimensione - da funzione predisposta per la produzione di un effetto ( quello procreativo) a elemento costitutivo della persona - mentre sancisce la complementarietà come condizione per la pienezza di umanità, afferma che femminilità e mascolinità sono due modi di essere "essere umano", pensati dal Creatore per l'unione e fondati su una differenza stimolatrice di essere. Non si tratta di completare un'essenza divisa (come nella visione dualistica di Platone) ma di unire due esseri che all'accostamento delle rispettive diversità ricevono impulso per una crescita personale: un aumento dell'essere, ciascuno secondo la propria identità. E' peraltro esperienza umana universale che nell'unione d'amore fatta di accettazione piena, stupore gioioso, donazione totale, l'uomo si fa uomo (conosce/mette a fuoco la propria mascolinità ) e la donna si fa donna (idem). Da questo status di pienezza si sprigiona energia vitale che inonda la coppia e dalla coppia si riversa all'esterno: sia producendo una nuova vita che rafforzando nella vita le relazioni circostanti (secondo la dinamica che da sempre individua nella famiglia la base della società). Essere uomo e essere donna è dunque una diversa postura dell'essere umano nello stare al mondo: sulla stessa base costitutiva di corpo, spirito, intelligenza, volontà e libertà, sono due modi di conoscere, di amare, di rapportarsi al resto del creato, cose e persone.”

Ma purtroppo di fronte a questo meraviglioso disegno voluto dal creatore si è inserito il peccato originale. “ Secondo il racconto di Genesi – ha detto la prof.ssa Brancatisano - Dio presenta tutta la creazione all'uomo, e in certo qual modo gli presenta anche sé stesso quando rivela alla sua creatura che Egli somiglia a lui, uomo e donna , e che sa qualcosa che l'uomo non può concepire ( l'inizio del bene e del male ) e fa qualcosa propria a Lui solo, creare. Da questa realtà l'essere umano sceglie di separarsi e provoca - di conseguenza, per riflesso di somiglianza - la rottura di unità con l'altro e con sé stesso, con particolare evidenza per quegli elementi che in lui sono direttamente preposti alla relazione; quelli che la testimoniano e che la realizzano ( cfr. nudità e vergogna.Gn.3,10).

La sessualità viene ad essere il carattere della differenza e al tempo stesso il senso e la causa dell' "essere in due per essere insieme": si configura come porta della relazione, come diffusore verso tutte le facoltà di unione vivificante o di separazione distruttiva(purtroppo). E ancora – sottolinea la Brancatisano – la disobbedienza del peccato ha creato un deterioramento non solo della coppia ma dell’intero mondo circostante che son sarà più l’Eden. E infatti, con l’introduzione del peccato si arriva alla disunione : “la differenza espressa nella sessualità, che nel disegno divino era pensata per l'unione e quindi per l'amore e per la vita, diventa topos di contrastanti possibilità e di incerti esiti. La differenza diverrà contrasto, l'aiuto sopraffazione e la vita dolore. L'armonia dei due esseri si incrina proprio nel cardine della loro struttura relazionale: la sessualità, intesa come differenza e come porta dell'unione.”

Fortunatamente c’è un superamento della situazione di peccato perché vi è una parte della struttura umana che rimane valida e che consente di orientarsi all’amore come ad una realtà e non come ad una ingenua utopia. Vi è una vocazione all’amore che rimane costante grazie al sostegno che ci da Dio stesso nella persona della Spirito Santo. Ma per realizzare questa naturale tensione all’amore “c'è bisogno di un atto di fede in Dio ( credere in questo disegno creativo ) e di un atto di fede nell'altro: colui/colei che si sceglie come compagno/a per la vita. Un atto di fede che consente di uscire da sé - dalle proprie certezze, dai propri orizzonti - per donarsi all'altro totalmente. La definitiva totalità del dono richiede un salto al di sopra delle capacità umane, per accettare e fronteggiare il terrore di perdersi.”
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giovedì, giugno 04, 2009

I rifiuti urbani nelle città africane: un rifiuto diventa una risorsa

Ambiente e povertà. Il fenomeno dell’urbanizzazione in Africa sta assumendo proporzioni tali da destare sempre più interesse a livello internazionale.

LVIA - In un contesto generale in cui si stima che nel 2050 la popolazione urbana in Africa rappresenterà, con 1,2 miliardi di persone, quasi un quarto di quella del mondo, le difficoltà nel perseguire politiche di sviluppo sostenibile si aggiungono all’urgente necessità di risolvere innumerevoli problemi di gestione delle città. La povertà ancora dilagante soprattutto nei contesti rurali, provoca massicce migrazioni interne, dalla campagna alla città. In molti paesi del Sud del mondo, centinaia di migliaia di persone si stanno riversando nelle città, sopratutto nelle capitali, in cerca di un lavoro e di una maggiore stabilità economica.

Le amministrazioni, tuttavia, non hanno risorse per fronteggiare i problemi emergenti con il sovrappopolamento. Tra questi, la gestione dei rifiuti, e in particolare di quelli plastici. Nelle città è infatti esploso il consumo di oggetti in plastica, più economici rispetto agli stessi in metallo e in legno, che così finiscono per invadere l’ambiente circostante.

Sacchetti, bottiglie, flaconi e ogni sorta di oggetto di plastica invadono città e campagne, provocando tre tipi di problemi: il primo è di tipo sanitario, in quanto i rifiuti di plastica con la loro sporcizia mettono a rischio di malattie la popolazione locale, specialmente i bambini; il secondo riguarda gli animali, che muoiono mangiando la plastica, privando i pastori della loro unica fonte di reddito; il terzo colpisce gli agricoltori, perché la plastica ormai ha invaso anche le campagne andando a peggiorare la fertilità dei suoli, che in molti di questi paesi sono già ad alto rischio di desertificazione, e diminuendo la capacità di infiltrazione della poca acqua piovana.

Il problema della gestione dei rifiuti urbani, ed in particolare della dispersione della plastica nell’ambiente, è di scottante attualità, non solo nei paesi “ricchi” ma anche, ed in misura maggiore, nel Sud del mondo: si pensi al fatto che diversi paesi africani hanno già bandito l’uso di sacchetti di plastica e nell’ultimo mese, il governo del Mozambico ha fatto dichiarazioni in tal senso mentre il governo mauritano ha lanciato una campagna di sensibilizzazione contro l’uso degli stessi.

Di fronte a questi problemi, interpellata dalle istituzioni locali la LVIA ha avviato in quattro paesi africani un sistema di trattamento della plastica sostenibile e competitivo sul mercato locale, basato sulla realizzazione di Centri di riciclaggio capaci di contribuire alla tutela dell'ambiente e di lottare contro la povertà creando opportunità di lavoro e di reddito per le fasce più deboli della popolazione, in particolare per le donne e per i più poveri che vivono nelle discariche.

Un rifiuto diventa così una risorsa per un giovane, una famiglia, un'impresa, un'associazione di donne, un ente pubblico.

Senegal: dal 1999 la LVIA promuove un programma di sviluppo della filiera del riciclaggio della plastica a livello nazionale attraverso due Centri di Riciclaggio, nelle città di Thiès e Kaoloack, mettendo in rete enti pubblici, società civile e settore privato del Nord e del Sud del mondo. Nel 2000 è iniziato un progetto che, attraverso la realizzazione di fosse biologiche in plastica riciclata, sta migliorando sia l'habitat urbano che le condizioni igieniche nei quartieri svantaggiati.

Mauritania: dal 2005 la LVIA promuove il progetto di bonifica Zazou: il Centro di Riciclaggio della Plastica è oggi una buona pratica di educazione e tutela ambientale, favorisce l’occupazione ed è un’opportunità per le donne, una possibilità di emancipazione in un paese in cui la figura femminile è soggetta a profonde discriminazioni. Il progetto collabora alla realizzazione della Campagna nazionale contro i sacchetti di plastica promossa, a partire da gennaio 2009, dal Governo della Mauritania.

Mozambico: dal 2006 la LVIA lavora nella più grande discarica di Maputo promuovendo una gestione appropriata dei rifiuti e per migliorare le condizioni di vita dei più emarginati, coloro che sopravvivono dei rifiuti della discarica, attraverso le attività di Recicla, il Centro di riciclaggio della plastica, Fertitliza, il Centro di valorizzazione dei rifiuti organici e Criança, il centro di animazione e inserimento scolastico per i più piccoli frequentatori della discarica.

Burkina Faso: nel 2005 è entrato in funzione nella capitale Ouagadougou, il primo Centro di Riciclaggio della Plastica del paese, promosso dalla LVIA, una fonte di reddito per le 30 donne che vi lavorano e per la popolazione che qui viene a vendere i propri rifiuti plastici. Oltre a sedie e tubi, dal 2006 sono prodotti kit scolastici in plastica riciclata (righelli, squadrette, goniometri, normografi) che, oltre ad essere venduti sul mercato locale a prezzi accessibili, rappresentano un utile strumento di educazione ambientale nelle scuole della città, che sempre più numerose visitano il Centro.
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mercoledì, giugno 03, 2009

L'Onu accusa la polizia kenyana di gravi violazioni dei diritti umani

Sta suscitando scalpore in Kenya il rapporto del rappresentante speciale delle Nazioni Unite per i diritti umani, Philp Alston che accusa la polizia kenyana di gravi violazioni.

Radio Vaticana - Il rapporto ripreso dall'agenzia Fides, afferma che esistono prove che collegano ufficiali di polizia a uccisioni extra-giudiziarie; che l’inefficienza e la corruzione del sistema giudiziario pregiudicano il conseguimento di una giustizia efficiente; che i difensori dei diritti umani sono spesso minacciati da funzionari governativi. Nel rapporto, che è frutto di una indagine condotta in febbraio da Alston, si chiede la costituzione di una commissione indipendente di inchiesta sulle squadre della morte, la rimozione del capo della polizia, Husein Ali, e del Procuratore generale, Amos Wako. Il governo kenyano ha definito “totalmente inaccettabili” le conclusioni del rapporto, e in particolare la richiesta di licenziare alcuni alti funzionari, ed ha accusato Alston di “non aver saputo comprendere le peculiarità del Paese, i recenti problemi politici e le sfide da affrontare nel suo processo di risanamento e di riconciliazione dopo le violenze post elettorali”. Una delegazione governativa composta, tra gli altri, dai ministri della Sicurezza Interna e della Giustizia, e dallo stesso procuratore generale Wako, dovrebbe giungere la prossima settimana a Ginevra, per affrontare il problema dinanzi alla commissione ONU per i diritti umani. (R.P.)

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mercoledì, giugno 03, 2009

Rischio guerra di 'ndrangheta al Nord per Expo 2015

La Lombardia rischia di fare da sfondo a una guerra di 'ndrangheta con i clan del nord che, in vista dell'Expo 2015 a Milano, vogliono affrancarsi dalle cosche calabresi.

Liberainformazione - Lo riporta il quotidiano calabrese Calabria Ora, in un servizio firmato dal direttore Paolo Pollichieni, che cita stralci di rapporti redatti dai carabinieri del Ros e dallo Sco della polizia di stato. "Siamo in presenza di una sequenza di episodi delittuosi che necessitano di una lettura complessiva - si legge in uno di questi stralci riportati dal giornale - Ci sono sodalizi criminali operanti al Nord che rivendicano una propria autonomia operativa, entrando sempre più in conflitto con gli originari clan di 'ndrangheta calabresi".

Il rapporto, dice il quotidiano, è stato redatto dagli investigatori anche grazie ad alcuni pentiti della 'ndrangheta. Non è stato possibile al momento ottenere un commento sulla notizia da parte degli inquirenti.

Nei mesi scorsi, le autorità avevano lanciato un allarme sul rischio di infiltrazioni della 'ndrangheta negli appalti per le infrastrutture dell'Expo 2015, che dovrebbero lanciare l'immagine internazionale di Milano.

Il quotidiano calabrese cita inoltre la relazione dell'Antimafia, firmata dal procuratore nazionale Piero Grasso, nella quale il sostituto procuratore della Dna, Vincenzo Macrì, scrive: "Non ci sono più tanti satelliti che ruotano attorno a un unico sole, la 'ndrangheta di San Luca, ma una struttura federata disposta a dialogare con la casa madre, ma non più a condividere con essa i profitti".
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mercoledì, giugno 03, 2009

Delitto Rostagno e libertà di stampa. La politica sta in silenzio

In 21 anni, tanti sono quelli passati dal delitto di Mauro Rostagno, dibattiti e confronti su quest'omicidio, a Trapani, ce ne sono stati molti.

Liberainformazione - Tanti si sono ritrovati ad interrogarsi infine su di un dato, su come mai non si acciuffasse quella verità che si sosteneva fosse tanto vicina ad ognuno di noi, e cioè che era stata la mafia ad uccidere il sociologo e giornalista, l'ex leader sessantottino, da ultimo terapeuta nella comunità Saman da lui fondata a Lenzi, dove i killer la sera del 26 settembre 1988 lo aspettavano. Adesso che c'è un provvedimento giudiziario, frutto di un lavoro investigativo della Squadra Mobile di Trapani (che a distanza di 20 anni tornò ad occuparsi delle indagini dopo che era satta messa da parte dagli inquirenti) e del gabinetto di Polizia Scientifica di Palermo (anche questo in 20 anni mai interrogato su possibili nuovi confronti balistici), che sugella questa matrice, è come se alla fine il delitto Rostagno non interessi più a nessuno.
O magari si sostiene che è solo «scontato» quello che si è accertato. E quindi carico di scrasa importanza.

Il delitto ed i suoi risvolti restano oggi, a una decina di giorni dalla notizia dell'arresto, in carcere, di mandante, Vincenzo Virga, e di uno dei tre esecutori, Vito Mazzara, certamente il capo del commando, solo «materia» di interesse dei familiari, delle associazioni, poche, sono scomparsi d'un colpo amministratori e politici che erano soliti parlare del delitto, quelli che spesso lo facevano per mettere alla berlina chi indagava. Ad eccezione del sindaco di Erice Tranchida, nessun altro sindaco ha voluto far sentire la sua voce. Una spiegazione vien facile darla. Parlare di Rostagno oggi significa dovere anche discutere di libertà di informazione. La ricostruzione del movente fornita dagli investigatori della Squadra Mobile fa riferimento all'atmosfera del 1988, quando mafiosi e (certi) politici non erano certo felici per le cose che Rostagno diceva da Rtc, «dava fastidio» ci hanno spiegato, e il cocktail micidiale messo insieme, boss e politici, determinò quella condanna a morte. Rostagno rappresentava un modello di stampa libera e per quella stampa qui non poteva esserci spazio. Come oggi, solo che ora la mafia non spara più, ma la stampa mal si sopporta. E allora i politici oggi dinanzi al caso risolto, hanno preferito stare in silenzio. Forse è anche per questa ragione che gli investigatori che si sono occupati del «caso», non hanno poi trovato sul loro cammino tante congratulazioni. E' mancata per esempio la voce autorevole del Viminale, il ministro Maroni avrebbe potuto esaltare il lavoro fatto dai suoi uomini della Squadra Mobile di Trapani, anche lo stesso capo della Polizia. Ci dicono che i loro complimenti li hanno fatti, ci crediamo, ma una voce in maniera pubblica poteva essere importante in un territorio, quello di Trapani, dove spesso Stato e antistato non sono risultati su opposte barriere, come ci hanno detto alcuni magistrati e sta scritto anche in sentenze di condanna. Forse quegli investigatori hanno toccato tasti delicati e la politica a stento ha ringraziato, ed ha presto dimenticato. Anche la stampa nazionale ha dimenticato presto il caso.

Qualcuno facendo delle capriole si è trovato d'improvviso dalla parte della matrice mafiosa. L'ordinanza del gip Maria Pino su Trapani ha acceso più di un riflettore, è tornato ad emergere il sistema di commistioni tra mafiosi e istituzioni, quello che Rostagno prendeva di mira denunciando il malaffare mafioso e la complicità dei politici. Erano gli anni in cui, quelli del 1988, quando un mafioso intercettato venne sentito dire, mentre parlava con un suo complice, "nun fari e nun fari fare", non fare e non far fare: non doveva muoversi nulla e la città era preda dell'abbandono, della sporcizia, era tempo delle speculazioni, dell'abbandono del centro storico della città, del crollo dei prezzi dei palazzi. Poi arrivarono i finanziamenti e gli appalti pubblici, il recupero delle cose antiche della città, del porto, e la mafia fu pronta nel farsi trovare in prima linea con le sue imprese, quella logica del non fare e del non far fare l'aveva premiata. Rostagno forse aveva compreso questo disegno, e la sua voce era fastidiosa. Certo ci possono essere altre piste, la droga, le armi, i traffici di questo genere. Ma è tanto avere individuato autori del delitto coloro i quali sino quasi alla fine degli anni '90 hanno maneggiato fiumi di denaro pubblico, d'accordo con imprese e politici. Ma di tutto questo si continua a non parlare.

Il coordinamento per la Pace in questi giorni a Trapani ha pensato bene di mettere in campo anche le sue critiche, la scoperta del delitto ad opera della mafia non è sconvolgente, «perchè era un fatto scontato». Ma nella giustizia, quella vera, di scontato non può esserci niente, servono i provvedimenti giudiziari per arrivare alle sentenze. La posizione del coordinamento però è legata anche ad altro, e cioè si interroga se fu solo mafia quel delitto e se nel buio che in parte lo circonda non si nascondano altre verità. Può anche essere ma queste verità possono venire a galla solo parlandone un po' di più. Loro lo fanno, l'associazione «Ciao Mauro», fondata a Trapani dagli amici di Rostagno e da chi lo seguiva attraverso la Tv, Libera, lo fanno, ma altri no. Sennò sarebbe troppa grazia per l'informazione libera e gli investigatori intelligenti.

di Rino Giacalone

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mercoledì, giugno 03, 2009

Per il cardinale Maradiaga i consacrati sono come “lettere di Cristo”

“Essere il guardiano, il fratello del fratello, colui che, sapendo che tutto ciò che siamo e abbiamo lo abbiamo ricevuto, sa fare della propria vita un'autentica comunione”

Radio Vaticana - Lo ha detto l'arcivescovo di Tegucigalpa, il cardinale Óscar Andrés Rodríguez Maradiaga, intervenendo all'incontro dei rappresentanti dell'Unione dei Superiori Generali, svoltosi dal 27 al 29 maggio, a Roma, sul tema “Cambiamenti geografici e culturali nella vita della Chiesa: sfide e prospettive” L'Unione dei Superiori Generali – spiega l’agenzia Zenit - è un organismo di diritto pontificio, eretto il 3 gennaio 1955, dalla Sacra Congregazione dei Religiosi come persona giuridica pubblica. All’appuntamento “romano” rappresentanti di diverse famiglie di vita consacrata hanno riflettuto sulle sfide e le opportunità dei rapidi cambiamenti geografici e culturali che hanno caratterizzato il primo decennio del XXI secolo. Il cardinale Rodríguez Maradiaga ha ripercorso sinteticamente i cambiamenti nel mondo e nella Chiesa per sottolineare la necessità di uomini e donne che si consacrino all'apostolato e alla preghiera. Per rendere più consapevoli i presenti dei cambiamenti che hanno portato a nuove sfide religiose tra cristiani e consacrati, il porporato ha precisato che: “per molto tempo noi cristiani abbiamo vissuto con un'immagine fortemente caratterizzata dalla geografia. Questa immagine è cambiata nel senso che il centro di gravità della Chiesa non è più nel nord, ma nel sud, visto che il 75% dei cristiani vive in Asia, Africa e America”. I consacrati, per l'arcivescovo di Tegucigalpa, devono far sì che la loro vita diventi una lettera che Cristo invia agli uomini e alle donne del mondo globalizzato. I consacrati sono come “lettere di Cristo”, ovvero per mezzo di questa vocazione Gesù “continua a scrivere a quanti non credono in Lui attraverso la testimonianza che sappiamo dare”. “Come sarebbe bello, che tutti coloro a cui arriva un consacrato potessero leggere le lettere dal sud al nord con gli occhi del cuore e rispondere con spirito di solidarietà”, ha esortato il cardinale che ha anche aggiunto: “L'Asia sfida la missione, e il continente americano con le sue enormi disuguaglianze corre il pericolo di smettere di essere il continente della speranza”, e ancora: “Non dobbiamo solo lavorare per i deboli, ma vivere con loro, perché il cammino del 'rendersi piccoli' è una testimonianza per la nostra generazione”. Infine l’augurio apostolico: “Nulla è impossibile per chi ama”. (A.V.)

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mercoledì, giugno 03, 2009

Grave epidemia di morbillo in Burkina Faso, 45 mila casi

E’ in atto la più grave epidemia di morbillo degli ultimi decenni in Burkina Faso, dove, dall’inizio dell’anno si contano 300 morti e 45mila casi di contagio.

Radio Vaticana - Si tratta perlopiù di bambini di età inferiore ai 5 anni. Il picco dell’epidemia sembrava essere passato ed invece si continuano a registrare 2.600 nuovi malati ogni settimana. I dati sono stati resi noti dal ministero della sanità del Paese nell’Africa occidentale. Sul territorio, prestano cura ed assistenza ai piccoli pazienti i “Medici Senza Frontiere” (Msf), che dallo scorso marzo, hanno fornito trattamenti gratuiti ai malati di morbillo all’interno dei cinque centri di salute pubblica della capitale Ouagadougou e, da maggio, in tre centri di salute, in tre distretti nella parte orientale del Paese. In mancanza di cure, il 10% dei malati di morbillo non riesce a sopravvivere alla malattia. “Nelle strutture supportate da Msf stiamo ancora trattando circa 850 nuovi pazienti ogni settimana – ha dichiarato il capo missione di Msf in Burkina Faso, François Giddey in un’intervista diffusa dal Sir - Ma in numerose strutture sanitarie il trattamento gratuito non è sistematico e l'accesso limitato alle cure, soprattutto per i più poveri”. “Il bilancio di questa epidemia di morbillo – conclude Giddey - potrebbe in realtà peggiorare”. (A.V.)


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mercoledì, giugno 03, 2009

Sri Lanka: finita la guerra continua la crisi umanitaria

“Nella prima settimana sono arrivati più di cento pazienti, soprattutto con ferite infette, bambini colpiti da gravi infezioni respiratorie e disidratati a causa della diarrea.

Agenzia Misna - Le attuali restrizioni all’accesso ai campi stanno limitando e rallentando la nostra capacità di rispondere ai bisogni medici tra gli sfollati”: Severine Ramon, coordinatore dell’ospedale da campo di Medici senza frontiere (Msf) a Vavuniya, sottolinea l’alto numero dei feriti in attesa di cure tra gli ultimi sfollati arrivati due settimane fa l’ultima e definitiva battaglia Mullavaikal tra esercito e ribelli delle ‘Tigri per la liberazione tamil’ (Ltte). L’organizzazione umanitaria ha predisposto un campo medico nei pressi della ‘Manik Farm’, il più grande capo profughi allestito nel distretto di Vavunyia; Ramon precisa che l’ospedale di Vavuniya, dove ‘Msf’ ha inviato medici a sostegno dei dottori locali, ha almeno un numero di pazienti tre volte superiore ai 450 posti letto disponibili. Secondo dati dell’Ufficio dell’Onu per il coordinamento degli aiuti umanitari (Ocha) i feriti attualmente in cinque ospedali sono complessivamente 2317; il bilancio non include le molte centinaia di feriti fuori da queste strutture. Sono 280.560 gli sfollati tamil, di cui quasi 261.000 nei 25 campi provvisori di Vavuniya, oltre 11.000 nelle 11 strutture nel distretto di Jaffna, quasi 6700 nei due campi nel distretto di Trincomalee e 398 nel distretto di Mannar. Resta ancora molto limitato l’accesso degli operatori umanitari nei campi profughi, dove continuano le operazioni di identificazioni di possibili ex guerriglieri tra i civili, minori inclusi, pratica che ha sollevato le preoccupazioni delle organizzazioni per i diritti umani. Ci sarebbero stati comunque alcuni passi avanti nell’assistenza ai profughi poiché, riferisce in un comunicato dell’Alto commissario Onu per i rifugiati (Unhcr), sono stati fatte uscire dai campi le persone con bisogni particolari, come anziani e donne in stato di gravidanza, e si sta procedendo al ricongiungimento delle famiglie. L’Unhcr ha sollecitato il governo a predisporre al più presto il rientro dei profughi nella regione di Vanni, ovvero di garantire le condizioni per il ritorno in termini di sicurezza, sminamento, ricostruzione di case e infrastrutture.



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mercoledì, giugno 03, 2009

Esperienze di Agorà 2009

Da alcune diocesi italiane la presenza dei giovani cristiani

PapaBoys - Il Santuario di Nostra Signora della Guardia (a Genova) sabato sera si è fatto una volta in più "casa" per i giovani di Genova, ospitando la loro veglia di Pentecoste a conclusione del triennio dell’Agorà dei giovani italiani. Prima dell’incontro con il card. Angelo Bagnasco, centro della serata, i giovani della diocesi avevano scelto di confrontarsi sul tema della comunicazione attraverso un approfondimento in chiave educativa e missionaria, "Dalle caravelle a Internet: la sfida di un messaggio che naviga", pensato nello spirito di quest’ultimo anno dell’Agorà dedicato alla cultura. Ad animare il colloquio con i giovani, ideato dal responsabile diocesano della pastorale giovanile don Guido Gallese, sono stati don Stefano Olivastri, preside dell’Istituto superiore di scienze religiose, e il giornalista di Avvenire Francesco Ognibene.

Pistoia. "La Chiesa conta su di voi, io conto su di voi. È tempo di arricciarci le maniche". Ha citato un’espressione di Giovanni Paolo II il vescovo di Pistoia, Mansueto Bianchi, per spiegare ai giovani il significato di una nuova "chiamata in piazza". Le ragazze e i ragazzi sono infatti stati invitati, sabato sera a "testimoniare in che modo la Chiesa di Pistoia è già missionaria". L’appuntamento era in piazza del Duomo, "occupata" da 22 gazebo, segno della grande vitalità dei movimenti e delle associazioni presenti in diocesi. In mezzo, "il ragno dell’Agorà", un gigantesco gazebo in plastica gonfiabile a forma di ragno. Cuore del programma il dialogo in piazza tra Bianchi e i ragazzi. Poi, dopo cena, la preghiera e la processione verso la Cattedrale per l’Eucaristia presieduta da Bianchi. Nella piazza, intanto, la luce dei sette grandi bracieri per rappresentare i doni dello Spirito Santo.

Lombardia. "Luce di verità...". Parte l’inno ed è tutto di nuovo come a Loreto 2007. Solo che stavolta il Santuario ai piedi del quale termina il cammino è quello di Cara­vaggio. "...Fa’ dell’umanità il tuo canto di lode". Di nuo­vo come a Sydney, ma sta­volta sono diecimila giova­ni lombardi a far sentire la loro voce. Santa Maria del Fonte a Caravaggio, provin­cia di Bergamo e diocesi di Cremona, è stato in questi due giorni il cuore ideale della Chiesa lombarda: die­ci diocesi, con i loro vesco­vi, si sono raccolte qui per l’Agorà dei giovani italiani. Migliaia di ragazzi hanno percorso a piedi, in pellegrinaggio con i sacchi a pelo in spalla le strade pro­vinciali in mezzo ai campi concimati fino al santuario. "Fino ai confini della terra", come vuole il tema di quest’anno. "L’orizzonte più lontano /e lo sguardo d’o­gni uomo / sarà metà del cammino che da te ripar­tirà", canta l’inno dei lom­bardi. "Un viaggio che ci chiede di uscire da noi stessi e con­frontarci con le sfide del mondo": sono le parole pronunciate durante la veglia di preghiera dall’arcivescovo di Milano, il card. Dionigi Tettamanzi. Parole piene di futuro: "Costruite una so­cietà diversa. In tutto quel­lo che fate, coltivate una passione per il mondo. An­che nella Chiesa, siate una presenza autenticamente critica". Diecimila candele hanno cominciato a brillare in fronte al Santuario che ce­lebra l’apparizione mariana avvenuta in un maggio co­me questo, nel 1432. "La vostra presenza è un se­gno di speranza per la Lom­bardia", ha detto Tettaman­zi, affiancato dai vescovi del­la regione. Ha paragonato ciascun giovane a "un diamante che può riflettere nel mondo la luce della fede". Senza l’ansia di "apparire", di "successo facile", di "fin­ta notorietà". Con negli oc­chi "la tenacia e i sogni" dei profughi che cercano un nuovo approdo di vita. "Ab­biate la stessa speranza, lo stesso indomito coraggio nell’affidarvi alle acque del mare e nel rischiare".
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mercoledì, giugno 03, 2009

Pechino commemora Tiananmen con arresti e siti oscurati

Il mausoleo di Mao chiuso “per riparazioni”. Oscurati siti e servizi internet popolari come Twitter, Flick, Hotmail. Il Congresso Usa chiede alla Cina di liberare chi è ancora detenuto per le proteste e di consentire un’indagine Onu sul massacro.

Pechino (AsiaNews/Agenzie) – La polizia cinese “commemora” a suo modo il massacro di Piazza Tiananmen: stretto controllo intorno alla piazza, dissidenti arrestati, siti internet oscurati. Intanto il Senato Usa propone di chiedere alle Nazioni Unite un’indagine sui fatti del 4 giugno 1989. Da ieri la polizia, in uniforme e in borghese, presidia l’intero centro di Pechino, per impedire qualsiasi commemorazione del massacro in cui hanno perso la vita migliaia di dimostranti per la democrazia. Oggi è stato chiuso per 3 giorni “per riparazioni” il mausoleo di Mao Zedong, abituale meta dei turisti. Ieri le autorità hanno anche oscurato il popolare sito internet Twitter (una sorta di blog sul quale molti si scambiano notizie e commenti, ma anche apprezzato sito di intrattenimento), il sito di fotografie online Flick, il provider di posta elettronica Hotmail e il sito MSN Space.

C’è pure stretto controllo su turisti e stranieri, con la richiesta ai responsabili universitari di tenere d’occhio studenti e docenti esteri e ai tassisti di segnalare subito alla polizia ogni cliente sospetto, specie chi vuole andare a piazza Tiananmen.

Il 30 maggio la polizia ha “portato via” Wu Gaoxing, detenuto per due anni per avere partecipato nella provincia del Zhejiang alle proteste pro-democrazia del 1989. Di recente Wu aveva scritto una lettera aperta al presidente Hu Jintao, chiedendo un risarcimento per chi come lui è stato detenuto per anni e ora si trova povero e senza nemmeno l’assistenza sanitaria gratuita.

A Ding Zilin, 72 anni, il cui figlio è stato ucciso il 4 giugno e fondatrice del gruppo Madri di Tiananmen, la polizia ha intimato di “allontanarsi” da Pechino in questi giorni. Si è rifiutata ed ora è sorvegliata a vista.

Sono agli arresti domiciliari Chen Xi, attivista pro diritti umani del Guizhou, e Qi Zhiyong a Pechino, che perse una gamba quella notte. E’ pure ristretto in casa lo scrittore Yu Jie. E’ stato portato via da Pechino Bao Tong, ex collaboratore di Zhao Ziyang. L’ex professore di sociologia Zhou Duo, che si unì alle proteste degli studenti nel 1989, è stato portato lontano da Pechino e messo agli arresti domiciliari. La polizia impedisce di uscire da casa anche a Zeng Jinyan, moglie del famoso attivista detenuto Hu Jia.

Analisti commentano che per il controllo sulla popolazione Pechino appare più sicura, rispetto a 10 anni fa: allora la famosa piazza fu chiusa al pubblico per mesi “per riparazioni”.

Sempre ieri il Congresso Usa ha invitato Pechino a liberare chi è ancora detenuto per quei fatti (la fondazione Dui Hua indica almeno 30 persone) e “a consentire un’indagine completa e indipendente” sotto il controllo delle Nazioni Unite sull’intervento dell’esercito contro i pacifici dimostranti.
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mercoledì, giugno 03, 2009

«È desiderio del Signore»

«Il grande segreto della nostra santità si riduce ad assomigliare sempre di più a lui, unico, vero modello» (san Josemaría Escrivá de Balaguer).


del nostro redattore Carlo Mafera

Spiegare al grande pubblico cosa sia la santità e cosa siano i processi di canonizzazione, sembra impresa facile, ma non lo è. Si crede di conoscere entrambe le cose, ma probabilmente si ha una informazione approssimativa, legata a luoghi comuni. L’importante è seguire lo stile di vita di Gesù, ha affermato mons. Guido Mazzotta, ordinario di metafisica presso la Pontificia Università Urbaniana (consultore della Congregazione per le cause dei santi e relatore ad casum nella causa di Paolo VI), in un incontro del corso di aggiornamento per giornalisti, tenutosi recentemente all’Università della Santa Croce di Roma. Mazzotta ha esaminato la fenomenologia della santità mostrandone cinque diverse tipologie. Icona iniziale è Stefano, il primo martire morto con le stesse modalità del Cristo. La seconda è rappresentata dalla figura del monaco, la cui ascesi è imperniata sulla preghiera, sulla solitudine, sul silenzio, sulla disciplina. È stata poi la volta di san Francesco («Vivere secondo la forma del santo Vangelo sine glossa»). Il Poverello scelse, come luogo proprio, la città schierandosi dalla parte degli ultimi (minores) ad imitazione di Gesù, come ha fatto in tempi moderni Charles de Foucauld. «Le stimmate nella santità di Francesco sono l’ultimo sigillo e segno della perfetta conformità a Cristo», ha sottolineato il relatore.

Un altro significativo testimone è Ignazio di Loyola, autore degli Esercizi spirituali, dove esprime il concetto cardine «Scegliere come sceglie Gesù». Mons. Mazzotta ha ricordato a proposito del Fondatore dei Gesuiti «la meditazione dei due stendardi»; cioè: «Dietro quale stendardo decido di mettermi? Quale scelta faccio e come investo la mia vita?».

Infine, nell’ultima tipologia, è stata menzionata santa Teresa di Lisieux, dottore della Chiesa, che ebbe quella grande intuizione: «Nel cuore della Chiesa, sarò l’amore». Vale a dire: non ha importanza il ruolo che ho, ma quanto amore metto in ogni cosa che faccio.

Per quanto attiene ai processi di canonizzazione, mons. Mazzotta ha messo in evidenza l’importanza della vox populi, cioè della fama di santità come presupposto del processo diocesano. Poi ha luogo la fase romana dell’iter presso la Congregazione dove si sviluppano quattro distinti momenti: verifica della validità giuridica del processo diocesano, elaborazione della positio del relatore, esame dei consultori storici e vaglio dei consultori teologi.

E mons. Mazzotta ha tenuto a precisare: «La vera storia dell’umanità è la storia della santità». «Il Sì di Maria è per tutti i cristiani lezione ed esempio per fare dell’obbedienza alla volontà del Padre la via e il mezzo della propria santificazione» (Paolo VI, Marialis cultus).
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mercoledì, giugno 03, 2009

Israele si prepara alla guerra con l’Iran

Mentre Obama giunge in Medio oriente, esercitazioni di guerra e di emergenza per tutta la popolazione e tutte le scuole. Ci si esercita a attacchi missilistici da nord e da sud. L’aviazione israeliana ha fatto esercizi per bloccare bombe e missili da Siria e Iran. Obama sembra essere divenuto “impaziente” con l’Iran.

Gerusalemme (AsiaNews) – “L’attacco all’Iran arriverà di certo. Qui aspettiamo le elezioni presidenziali a Teheran e poi si decide”. Parla così un membro della sicurezza israeliana che chiede l’anonimato, alla vigilia del viaggio del presidente Barack Obama, che vuole riformulare un nuovo rapporto fra gli Usa e il mondo islamico e arabo e che preferisce – per ora – il dialogo con Teheran. “Obama dovrà convincersi” dice ancora l’anonima fonte. E aggiunge: “Anche l’economia mondiale, per uscire dalla crisi ha bisogno di una sola cosa: una guerra, che cambi tutti i ritmi e le spinte nel commercio internazionale”.

Da tempo Israele mette in guardia il mondo contro la minaccia nucleare che proviene da Teheran e le voci di possibili attacchi aerei per distruggere i siti nucleari di Isfahan, Natanz e Arak girano da anni nel mondo diplomatico.

Ad accrescere il senso di una guerra imminente, quest’oggi alle 11 tutte le sirene di allarme hanno suonato in Israele per un’esercitazione di guerra chiamata “Turning point 3”. Al suono delle sirene tutti gli abitanti e le scolaresche hanno raggiunto al più presto rifugi anti-bomba e di sicurezza, dove hanno potuto assistere a filmati sulle operazioni di emergenza.

Il “Turning point 3” è iniziato il 31 maggio scorso e dura fino al 4 giugno. È il terzo esercizio di questo tipo dall’estate 2006 – dalla guerra fra Israele e Hezbollah in Libano – e stavolta coinvolge tutta la popolazione e tutte le scuole per affrontare una lunga lista di emergenze: attacchi missilistici dal sud (v. Gaza) e dal nord (v. Hezbollah); minaccia di armi non convenzionali (batteriologiche); possibili attacchi contro infrastrutture essenziali alla popolazione.

Che queste esercitazioni puntino all’Iran si vede dal fatto che due settimane fa le forze aree israeliane hanno svolto esercitazioni per contrastare possibili bombardamenti aerei e missili provenienti da Siria e Iran.

Il premier israeliano Benjamin Netanyahu ha basato tutta la sua campagna elettorale sull’urgenza di neutralizzare la minaccia nucleare che viene da Teheran e ha chiesto sostegno a questa sua posizione perfino a Benedetto XVI, ma soprattutto a Obama, durante il loro incontro lo scorso maggio a Washington. Secondo alcune voci, egli avrebbe lanciato alla politica americana una sorta di ultimatum: se entro agosto la linea di Teheran non sarà concretamente cambiata, gli aerei israeliani ne attaccheranno i siti nucleari.

Alla conferenza stampa che ne è seguita, Obama ha dichiarato che si attende qualche segno da Teheran almeno fino a dicembre prossimo, per vedere se la sua politica di apertura verso l’Iran lanciata all’inizio del suo mandato, porta frutti.

In questo mettere delle “scadenze” , alcuni analisti vedono un cambiamento nella politica del presidente Usa, divenuto “impaziente” verso Teheran.

Da domani Barack Obama sarà in Arabia saudita e poi in Egitto. Secondo le previsioni dei media egli spingerà i Paesi arabi ad impegnarsi per la soluzione del conflitto israelo-palestinese; in Egitto egli ha detto che cercherà di “riparare la fiducia spezzata” fra Usa e Islam. Ma il suo viaggio in Medio oriente potrebbe servirebbe anche a coalizzare il mondo arabo, o la maggior parte di esso, in un fronte anti-Iran. Anche le sue critiche a Israele sul blocco degli insediamenti e la sua richiesta di impegno per la soluzione dei “due Stati” (Israele e Palestina), sarebbe un modo per avvicinare i Paesi arabi a un presidente degli Stati Uniti che – almeno in apparenza - non è totalmente succube della politica israeliana.
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