Mentre Obama giunge in Medio oriente, esercitazioni di guerra e di emergenza per tutta la popolazione e tutte le scuole. Ci si esercita a attacchi missilistici da nord e da sud. L’aviazione israeliana ha fatto esercizi per bloccare bombe e missili da Siria e Iran. Obama sembra essere divenuto “impaziente” con l’Iran.
Gerusalemme (AsiaNews) – “L’attacco all’Iran arriverà di certo. Qui aspettiamo le elezioni presidenziali a Teheran e poi si decide”. Parla così un membro della sicurezza israeliana che chiede l’anonimato, alla vigilia del viaggio del presidente Barack Obama, che vuole riformulare un nuovo rapporto fra gli Usa e il mondo islamico e arabo e che preferisce – per ora – il dialogo con Teheran. “Obama dovrà convincersi” dice ancora l’anonima fonte. E aggiunge: “Anche l’economia mondiale, per uscire dalla crisi ha bisogno di una sola cosa: una guerra, che cambi tutti i ritmi e le spinte nel commercio internazionale”.
Da tempo Israele mette in guardia il mondo contro la minaccia nucleare che proviene da Teheran e le voci di possibili attacchi aerei per distruggere i siti nucleari di Isfahan, Natanz e Arak girano da anni nel mondo diplomatico.
Ad accrescere il senso di una guerra imminente, quest’oggi alle 11 tutte le sirene di allarme hanno suonato in Israele per un’esercitazione di guerra chiamata “Turning point 3”. Al suono delle sirene tutti gli abitanti e le scolaresche hanno raggiunto al più presto rifugi anti-bomba e di sicurezza, dove hanno potuto assistere a filmati sulle operazioni di emergenza.
Il “Turning point 3” è iniziato il 31 maggio scorso e dura fino al 4 giugno. È il terzo esercizio di questo tipo dall’estate 2006 – dalla guerra fra Israele e Hezbollah in Libano – e stavolta coinvolge tutta la popolazione e tutte le scuole per affrontare una lunga lista di emergenze: attacchi missilistici dal sud (v. Gaza) e dal nord (v. Hezbollah); minaccia di armi non convenzionali (batteriologiche); possibili attacchi contro infrastrutture essenziali alla popolazione.
Che queste esercitazioni puntino all’Iran si vede dal fatto che due settimane fa le forze aree israeliane hanno svolto esercitazioni per contrastare possibili bombardamenti aerei e missili provenienti da Siria e Iran.
Il premier israeliano Benjamin Netanyahu ha basato tutta la sua campagna elettorale sull’urgenza di neutralizzare la minaccia nucleare che viene da Teheran e ha chiesto sostegno a questa sua posizione perfino a Benedetto XVI, ma soprattutto a Obama, durante il loro incontro lo scorso maggio a Washington. Secondo alcune voci, egli avrebbe lanciato alla politica americana una sorta di ultimatum: se entro agosto la linea di Teheran non sarà concretamente cambiata, gli aerei israeliani ne attaccheranno i siti nucleari.
Alla conferenza stampa che ne è seguita, Obama ha dichiarato che si attende qualche segno da Teheran almeno fino a dicembre prossimo, per vedere se la sua politica di apertura verso l’Iran lanciata all’inizio del suo mandato, porta frutti.
In questo mettere delle “scadenze” , alcuni analisti vedono un cambiamento nella politica del presidente Usa, divenuto “impaziente” verso Teheran.
Da domani Barack Obama sarà in Arabia saudita e poi in Egitto. Secondo le previsioni dei media egli spingerà i Paesi arabi ad impegnarsi per la soluzione del conflitto israelo-palestinese; in Egitto egli ha detto che cercherà di “riparare la fiducia spezzata” fra Usa e Islam. Ma il suo viaggio in Medio oriente potrebbe servirebbe anche a coalizzare il mondo arabo, o la maggior parte di esso, in un fronte anti-Iran. Anche le sue critiche a Israele sul blocco degli insediamenti e la sua richiesta di impegno per la soluzione dei “due Stati” (Israele e Palestina), sarebbe un modo per avvicinare i Paesi arabi a un presidente degli Stati Uniti che – almeno in apparenza - non è totalmente succube della politica israeliana.
Gerusalemme (AsiaNews) – “L’attacco all’Iran arriverà di certo. Qui aspettiamo le elezioni presidenziali a Teheran e poi si decide”. Parla così un membro della sicurezza israeliana che chiede l’anonimato, alla vigilia del viaggio del presidente Barack Obama, che vuole riformulare un nuovo rapporto fra gli Usa e il mondo islamico e arabo e che preferisce – per ora – il dialogo con Teheran. “Obama dovrà convincersi” dice ancora l’anonima fonte. E aggiunge: “Anche l’economia mondiale, per uscire dalla crisi ha bisogno di una sola cosa: una guerra, che cambi tutti i ritmi e le spinte nel commercio internazionale”.Da tempo Israele mette in guardia il mondo contro la minaccia nucleare che proviene da Teheran e le voci di possibili attacchi aerei per distruggere i siti nucleari di Isfahan, Natanz e Arak girano da anni nel mondo diplomatico.
Ad accrescere il senso di una guerra imminente, quest’oggi alle 11 tutte le sirene di allarme hanno suonato in Israele per un’esercitazione di guerra chiamata “Turning point 3”. Al suono delle sirene tutti gli abitanti e le scolaresche hanno raggiunto al più presto rifugi anti-bomba e di sicurezza, dove hanno potuto assistere a filmati sulle operazioni di emergenza.
Il “Turning point 3” è iniziato il 31 maggio scorso e dura fino al 4 giugno. È il terzo esercizio di questo tipo dall’estate 2006 – dalla guerra fra Israele e Hezbollah in Libano – e stavolta coinvolge tutta la popolazione e tutte le scuole per affrontare una lunga lista di emergenze: attacchi missilistici dal sud (v. Gaza) e dal nord (v. Hezbollah); minaccia di armi non convenzionali (batteriologiche); possibili attacchi contro infrastrutture essenziali alla popolazione.
Che queste esercitazioni puntino all’Iran si vede dal fatto che due settimane fa le forze aree israeliane hanno svolto esercitazioni per contrastare possibili bombardamenti aerei e missili provenienti da Siria e Iran.
Il premier israeliano Benjamin Netanyahu ha basato tutta la sua campagna elettorale sull’urgenza di neutralizzare la minaccia nucleare che viene da Teheran e ha chiesto sostegno a questa sua posizione perfino a Benedetto XVI, ma soprattutto a Obama, durante il loro incontro lo scorso maggio a Washington. Secondo alcune voci, egli avrebbe lanciato alla politica americana una sorta di ultimatum: se entro agosto la linea di Teheran non sarà concretamente cambiata, gli aerei israeliani ne attaccheranno i siti nucleari.
Alla conferenza stampa che ne è seguita, Obama ha dichiarato che si attende qualche segno da Teheran almeno fino a dicembre prossimo, per vedere se la sua politica di apertura verso l’Iran lanciata all’inizio del suo mandato, porta frutti.
In questo mettere delle “scadenze” , alcuni analisti vedono un cambiamento nella politica del presidente Usa, divenuto “impaziente” verso Teheran.
Da domani Barack Obama sarà in Arabia saudita e poi in Egitto. Secondo le previsioni dei media egli spingerà i Paesi arabi ad impegnarsi per la soluzione del conflitto israelo-palestinese; in Egitto egli ha detto che cercherà di “riparare la fiducia spezzata” fra Usa e Islam. Ma il suo viaggio in Medio oriente potrebbe servirebbe anche a coalizzare il mondo arabo, o la maggior parte di esso, in un fronte anti-Iran. Anche le sue critiche a Israele sul blocco degli insediamenti e la sua richiesta di impegno per la soluzione dei “due Stati” (Israele e Palestina), sarebbe un modo per avvicinare i Paesi arabi a un presidente degli Stati Uniti che – almeno in apparenza - non è totalmente succube della politica israeliana.
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