mercoledì, maggio 27, 2009
Un faldone di 140 pagine. Tante, ma potrebbero non essere sufficienti se si parla di Radovan Karadzic, l'ex leader dei serbi di Bosnia, presidente di quella repubblica Srpska nata dalle ceneri della ex-Jugoslavia nel sanguinoso conflitto all'inizio degli anni Novanta.
Peace Reporter - Memoria difensiva. Il documento è stato presentato lunedì scorso dal collegio di difesa di Karadzic alla Corte Penale Internazionale dell'Aja per i crimini nella ex-Jugoslavia che deve giudicarlo per undici capi d'accusa tra cui crimini di guerra, genocidio e crimini contro l'umanità. La difesa di Karadzic, arrestato a Belgrado il 21 luglio 2008, dopo tredici anni di latitanza, chiede che il processo venga invalidato e le accuse a carico del suo assistito cancellate, con la conseguente immediata scarcerazione del 64enne psichiatra, con la passione per la poesia. La motivazione? Molto semplice: Karadzic non è mai stato latitante, ma ha semplicemente seguito alla lettera l'accordo sottoscritto con il diplomatico Usa Richard C. Holbrooke, mediatore ai tempi del conflitto nella ex-Jugoslavia. Karadzic, in cambio dell'immunità per quanto ordinato ai suoi uomini ai tempi della guerra, doveva abbandonare la scena politica nel 1996, scomparendo nel nulla e permettendo così la firma degli Accordi di Dayton che, sotto l'egida Usa, chiudevano il conflitto nei Balcani.
Patto con il diavolo. "Se il tribunale dovesse appurare che l'accordo-Holbrooke é vincolante, dovrebbe annullare il procedimento giudiziario", hanno concluso i difensori di Karadzic.
Nella memoria difensiva, gli avvocati di Karadzic citano testimoni diretti dell'accordo con Holbrooke, tra cui l'ex speaker del Parlamento serbo-bosniaco, Momcilo Krajisnik, e l'ex ministro degli Esteri, Aleksa Buha, ma anche documenti e lettere che ne proverebbero la veridicità. Nel documento, inoltre, chiedono alla Corte di tenere un'udienza speciale per stabilire la verità circa un incontro che sarebbe avvenuto a Belgrado il 18-19 luglio1996 tra lo stesso Holbrooke e Karadzic, nel quale sarebbe stata promessa l'immunità al leader serbo-bosniaco. Questa versione dei fatti era emersa subito dopo l'arresto di Karadzic, ma Holbrook, oggi inviato speciale dell'amministrazione Obama per Afghanistan e Pakistan, ha sempre smentito.
Storia imbarazzante. Quando Karadzic venne arrestato, su un tram di Belgrado, città nella quale si muoveva nei panni di un certo Dragan Dobic, identità con la quale si era rifatto una vita come guru del salutismo, l'avvocato dell'ex leader serbo-bosniaco, Svetozar Vujacic, aveva denunciato come al suo assistito fossero stati sottratti il computer portatile e cinquanta tra dvd e cd-rom pieni di foto, documenti e testimonianze. "Il materiale rubato rappresenta un elemento necessario per la sua difesa, e non solo per i suoi personali interessi, ma anche - come sottolineato dallo stesso Karadzic - per la difesa della Republika Srpska e della Serbia stessa", commentò Vujacic, che tenne a sottolineare come nell'arresto fossero coinvolti dirigenti serbi molto interessati a far scomparire quei documenti oggi compromettenti per molti di loro.
Sono poche le possibilità che il collegio di difesa di Karadzic ottenga la scarcerazione, perché il tribunale dell'Aja istituto dalle Nazioni Unite ha giurisdizione erga omnes e può quindi giudicare per reati che offendono l'umanità tutta, al di là di eventuali accordi d'immunità concessi da singoli governi. La mossa, in realtà, sembra un chiaro messaggio politico per Holbrooke, l'amministrazione Clinton che all'epoca governava negli Usa e alcuni dirigenti serbi che ai tempi del conflitto si possono essere macchiati di colpe che hanno tutto l'interessa a nascondere. Karadzic, si sa, con la psiche degli uomini ci sa fare.
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mercoledì, maggio 27, 2009
Sostanze in grado di aumentare le capacità cognitive, ma con effetti devastanti sulla memoria
La Stampa - Si chiamano smart drugs, ma in Italia sono meglio conosciute come le droghe-furbe, sostanze legali ma molto pericolose. Queste droghe low-cost, facilmente reperibili su Internet o negli smart-shop, sono diventate lo sballo preferito dai giovani nelle discoteche e nelle palestre. E adesso anche l'"aiutino" di chi deve affrontare l'esame di maturità. Dalla comunità scientifica del Cnr scatta l’allarme per gli esami dopati. Se in passato per resistere alle nottate sui libri gli studenti si limitavano ad aumentare la dose quotidiana di caffè, confidando nelle sue proprietà stimolanti, oggi infatti, in prossimità di una prova d’esame, alcuni fanno ricorso a questi composti di origine vegetale o sintetica dall’effetto dopante. E devastante. Perchè, spiegano i neuroscienziati, se nell’immediato regalano una maggiore efficienza mentale, dopo qualche giorno gli effetti svaniscono, provocando dipendenza e danni gravi alla memoria.
«I cosiddetti nootropi (dal greco noos=mente e tropein=verso) o cognitive enhancers, sono prodotti in grado di aumentare le capacità cognitive. Questa categoria -spiega Anna Lisa Muntoni dell’Istituto di neuroscienze (In) del Cnr di Cagliari- comprende svariate sostanze psicoattive, sia di sintesi che naturali, efficaci non solo nei pazienti con disturbi neurologici o cognitivi, per i quali sono nate, ma anche in persone sane». «In pratica, l’uso delle ’smart drugs’ -prosegue Muntoni- migliora i processi cerebrali che sottendono l’attività mentale come attenzione, concentrazione, percezione, apprendimento, memoria, linguaggio, motivazione, capacità organizzativa e decisionale». Ma sempre più spesso questi farmaci sono assunti al di fuori della prescrizione medica. «Stimolanti come metilfenidato, destroanfetamina e modafinil, normalmente prescritti per la terapia del disturbo da deficit di attenzione e iperattività (Adhd), dell’autismo e di disturbi del sonno -prosegue Muntoni- si possono acquistare anche online e vengono presi in dosi massicce dagli studenti, soprattutto alla vigilia degli esami».
«Queste sostanze -spiega ancora la neuroscienziata del Cnr, Muntoni- agiscono fondamentalmente aumentando i livelli cerebrali dei neurotrasmettitori dopamina e noradrenalina. In questo modo, da un lato migliorano le capacità di concentrazione e di elaborazione delle informazioni, i livelli di allerta e di attenzione, la motivazione allo studio, e, dall’altro, riducono le sensazioni di sonno, fame e fatica. Di qui la tendenza ad abusarne per migliorare le proprie prestazioni e prendere voti più alti». Un’abitudine insana e pericolosa poichè per la maggior parte di tali droghe non si conoscono gli effetti a lungo termine nei soggetti sani. «In generale, disturbano i meccanismi del sonno -precisa la ricercatrice dell’In-Cnr- vanificando dopo qualche giorno la loro azione e mettendo a repentaglio la memoria. Una buona qualità del sonno è infatti indispensabile per immagazzinare le informazioni e consolidare i ricordi».
E i pericoli non finiscono qui. «Altri effetti collaterali -riferisce Muntone- sono rappresentati da diminuzione dell’appetito, perdita di peso, ansia e irritabilità. Per quanto riguarda il problema della dipendenza, gli stimolanti metilfenidato e anfetamina, amplificando le azioni della dopamina, rendono più interessanti e gratificanti lo studio e le attività quotidiane e ciò può portare all’uso compulsivo e alla dipendenza».
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mercoledì, maggio 27, 2009
Per i musulmani liberali Teheran non rinuncerà al programma nucleare. «L’unica soluzione è una la rivoluzione culturale». Ma intanto gli ayatollah non staranno con le mani in mano
Tempi.it - Il test del nuovo missile terra-terra iraniano Sejil2 (duemila chilometri di gittata) e la conseguente cancellazione del viaggio in Iran del ministro degli Esteri italiano Franco Frattini (programmato da Ahmadinejad proprio a Semnan, sito del provocatorio lancio sperimentale) è l’ennesima conferma dello scacco in cui versa la diplomazia internazionale davanti alle ambizioni nucleari degli ayatollah. Sotto questo profilo le analisi e le stime del Csis di Washington sulle tempistiche dell’ipotizzato raid israeliano potrebbero apparire addirittura prudenti. La pensa così l’analista di origine iraniana Wahied Wahdat-Hagh, senior fellow presso la European Foundation for Democracy a Bruxelles. «L’analisi politica è decisamente superficiale», dice Wahdat-Hagh a Tempi. «Sono convinto che l’Iran potrebbe avere a disposizione già da quest’anno la bomba atomica, sono ormai anni che vado dicendo che Teheran sta giocando la carta israeliana, nega di avere la bomba e nel frattempo guadagna tempo per costruirne una perfetta». Dello stesso parere è l’attivista iraniana Manda Zand Ervin, il cui marito è da anni in carcere per motivi politici: «Chi conosce il regime di Ahmadinejad sa bene che non abbandonerà i suoi programmi, ma sfrutterà cinicamente ogni apertura delle cancellerie internazionali per protrarre ad oltranza i negoziati. La natura del totalitarismo è la menzogna e l’arbitrio. Teheran rinnegherà ogni parola data e sono convinta che continuerà la sua corsa verso la produzione di armi atomiche».
Di diversa opinione è l’iraniana Premio Nobel per la pace Shirin Ebadi, che ritiene un eventuale attacco alla Repubblica islamica un errore poiché andrebbe a colpire fondamentalmente i civili. Auspicabile, invece, sarebbe «un sostegno occidentale a una rivoluzione dal basso con ingenti investimenti a livello culturale ed economico».
«Peggio di così è impossibile»
Altro punto dell’analisi del Csis contestato da molte personalità liberali del mondo musulmano è la prospettiva di una instabilità generalizzata nella regione mediorientale a seguito dell’eventuale attacco israeliano. «Non condivido questo scenario», spiega a Tempi l’intellettuale iracheno residente a Londra Abdulkhaliq Hussein. «Conflitti e terrorismo sono già presenti nell’aerea e sono alimentati e sostenuti proprio dall’Iran, oltreché dalla Siria. Per anni Teheran e Damasco hanno favorito e appoggiato i nemici degli Stati Uniti in Iraq e di Israele a Gaza e in Libano. I due paesi già impegnati a promuovere terrorismo e destabilizzazione in Medio Oriente. Come potrebbe andare peggio di così?». Sulla stessa lunghezza d’onda è l’oppositore siriano membro del Reform Party of Syria Farid Ghadry: «In Medio Oriente l’ascesa del terrorismo è appoggiata dai governi al potere. Non c’è dubbio che ci saranno persone che protesteranno nel caso di un attacco all’Iran da parte di Israele, ma certamente le proporzioni delle reazioni non supereranno quelle che si sono avute quando Israele ha attaccato Hamas». Mentre Abdullah al Sariji, docente di Relazioni internazionali presso l’Università del Kuwait, sostiene che perfino un avvicinamento diplomatico, un dialogo con Teheran potrebbe essere considerato un «tradimento» da parte del mondo arabo.
È naturale che tutte le voci liberali del mondo arabo-islamico contattate da Tempi preferirebbero una soluzione pacifica di questo scontro. Purtroppo, però, come spiega Wahdat-Hagh, «la pace politica necessita di nuovi sistemi politici in seno al mondo islamico e un cambiamento culturale che sfoci in un mutamento di valori in grado di determinare un cambiamento sociale». Una prospettiva che richiede molto tempo, più di quanto non ce ne vorrà all’Iran per avere la sua arma atomica. Shirin Ebadi comunque invita l’Europa, gli Stati Uniti e i loro alleati a una profonda riflessione: invece di promuovere in Medio Oriente politiche a breve termine, «l’Occidente dovrebbe guardare avanti e investire sull’educazione».
Sull’educazione e su quelle persone (politici e intellettuali) che condividono i valori della libertà e della pace. ... (continua)
mercoledì, maggio 27, 2009
E’ un giorno speciale per tutti coloro che lavorano a difesa e tutela dei diritti dei bambini perché festeggiamo i 18 anni di vita della Convenzione Onu sui Diritti del Fanciullo in Italia.
Radio Vaticana - E’ una data importante anche per quei 556.1752 bambini nati nel 1991 e che quest’anno compiono 18 anni e sono quindi la prima generazione ad essere diventata grande sotto l’ombrello protettivo della Convenzione”. E’ il commento di Arianna Saulini, portavoce del Gruppo di lavoro la Convenzione sui diritti dell’infanzia e dell’adolescenza. In occasione di questo importante anniversario ,un network di 79 organizzazioni e associazioni del terzo settore, coordinato da Save the Children Italia, sottolinea la necessità di porre la tutela e la promozione dei diritti dell’infanzia nell’agenda politica e indica gli interventi e azioni prioritarie. “La strada da fare è ancora in salita – spiega Arianna Saulini - perché non siamo ancora al punto di poter dire che a tutti i circa 10.150.0003 minori che vivono in Italia sia garantita la piena tutela di tutti i diritti sanciti dalla Convenzione”. “A novembre prossimo presenteremo un ampio rapporto di monitoraggio sullo stato di attuazione della Convenzione in Italia, supplementare a quello che il governo italiano ha da poco presentato alle Nazioni Unite, illustrando in dettaglio se e come sia rispettato oppure no questo fondamentale documento nel nostro Paese. Oggi però - continua la portavoce del Gruppo Crc - “non vogliamo lasciare passare inosservato l’importante ‘compleanno’ della Convenzione e facciamo appello a tutte le forze politiche, al Governo e alla Commissione Parlamentare per l’Infanzia, affinché sia dato seguito ad alcune azioni, leggi e provvedimenti assolutamente prioritari e necessari in materia di tutela dei diritti dei minori. Le raccomandazioni del Comitato Onu all’Italia sull’attuazione generale della Crc non sono ancora pienamente attuate”, precisa ancora Arianna Saulini. “Sarebbero infatti necessarie maggiori risorse da destinare all’infanzia e maggiore trasparenza in merito alla loro entità. Un più efficace coordinamento nell’applicazione delle politiche per la promozione e la tutela dei bambini, in particolare attraverso l’Osservatorio nazionale infanzia e la Conferenza Stato-Regioni, anche al fine di garantirne maggiore uniformità sull’intero territorio nazionale. “E’ necessario e non più procrastinabile – conclude Arianna Saulini - che il governo assicuri adeguati finanziamenti e un adeguato coordinamento con il livello regionale delle azioni e interventi previsti”. (A.L.)
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mercoledì, maggio 27, 2009
Si celebra oggi la prima Giornata mondiale della sclerosi multipla, che colpisce due milioni e mezzo di persone in tutto il mondo.
Radio Vaticana - Si tratta di una malattia del sistema nervoso centrale che interessa soprattutto i giovani fra i 20 e i 30 anni, con un'alta componente femminile: le donne affette da sclerosi sono infatti il doppio degli uomini. Il costo sociale della malattia si aggira sui 2 miliardi e 400 milioni di euro l'anno. Su questa patologia ascoltiamo Claudio Conforti, consigliere nazionale dell'Aism, l'Associazione italiana sclerosi multipla, al microfono di Eliana Astorri (ascolta):
R. – E’ una delle più gravi malattie del sistema nervoso centrale che riguarda soprattutto la trasmissione dei segnali nervosi lungo le fibre nervose perché attacca la mielina, che è la guaina protettiva delle fibre nervose ed è il principale organo di trasmissione del segnale. E’ una malattia sulla quale c’è moltissima ricerca, in Italia. Solo l’anno scorso, sono stati investiti nella ricerca quasi 4 milioni di euro.
D. – Oggi si può intervenire per rallentare il processo degenerativo?
R. – Si può intervenire, cosa che magari 10-15 anni fa era solo agli inizi, con tutta una serie di medicamenti, di trattamenti, soprattutto i cosiddetti “immunomodulanti”, interferone e tutta la famiglia di quelli che stanno venendo dopo, e anche con tanti altri medicinali ancora in fase di sperimentazione: alcuni già in fase di sperimentazione clinica, cioè ad un passo dall’applicazione, alcuni ancora in fase di ricerca di base. Ma la ricerca è tanta e in tante direzioni diverse. Una su cui si sta investendo molto è quella sulle cellule staminali adulte.
D. – Qual è la vita sociale e lavorativa di queste persone?
R. – Negli ultimi anni, è molto migliorata. Perché? Intanto, la diagnosi è più rapida, è più sicura e i vari tipo di trattamento che oggi sono disponibili possono essere iniziati in maniera molto precoce. I trattamenti non sono risolutivi, purtroppo, ancora; però ritardano gli effetti per cui oggi quella che si chiama “qualità di vita” delle persone con sclerosi multipla, soprattutto dei giovani che hanno avuto la diagnosi da poco, è molto superiore a quello che potevano avere persone della stessa età con la stessa diagnosi 10-15-20 anni fa. Una cosa da dire sulla sclerosi multipla è che ogni caso è diverso dagli altri e quindi una generalizzazione purtroppo è impossibile. Però, la qualità di vita e quindi anche l’approccio al lavoro e alla vita sociale, alla vita familiare, è notevolmente migliorato.
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mercoledì, maggio 27, 2009
Nella capitale danese si discuteranno i termini di un nuovo protocollo in sostituzione di quello di Kyoto, in scadenza nel 2012
Agenzia Misna - La Cina intende rafforzare il dialogo con gli Stati Uniti nella lotta al cambiamento climatico e vuole cooperare per ottenere positivi risultati alla conferenza sugli effetti del surriscaldamento del pianeta in programma a Copenhagen, Danimarca, alla fine dell’anno. E’ stato questo il messaggio consegnato dal primo ministro cinese Wen Jiabao alla presidente della Camera dei rappresentanti americana, Nancy Pelosi, in visita a Pechino. Nella capitale danese si discuteranno i termini di un nuovo protocollo in sostituzione di quello di Kyoto, in scadenza nel 2012, che aveva fissato un percorso da seguire per ridurre l’emissione di gas inquinanti nell’atmosfera. Secondo dati diffusi oggi dalla ‘Energy information administration’ (l’ente americano incaricato di produrre statistiche sullo stato dell’ambiente) le emissioni di biossido di carbonio (CO2), principale responsabile dell’effetto serra e quindi del surriscaldamento globale, da qui al 2030 aumenteranno del 39% se non si troveranno e concorderanno sistemi alternativi di produzione e fruizione di energia. Intanto, diverse organizzazioni non governative hanno espresso critiche e perplessità al termine di una riunione dei 16 maggiori paesi ‘produttori di inquinamento’ che si è tenuta a Parigi, in Francia, tra lunedì e martedì. In particolare, sono stati criticati gli obiettivi di riduzione dell’inquinamento fissati, considerati “modesti”, e la mancata presa di responsabilità da parte dei paesi più ricchi, principali responsabili del progressivo degrado ambientale.
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mercoledì, maggio 27, 2009
Abbiamo intervistato l'On. Ermete Realacci sul ritorno in Italia delle centrali nucleari. Il tema è di grande attualità e molto dibattuto, ma ormai la strada del nucleare sembra essere definitivamente riaperta...
di Fabio Gioffrè E’ recente la notizia che il Senato ha approvato definitivamente il ritorno al nucleare in Italia. E proprio nel panorama politico italiano il tema della salvaguardia dell’ambiente è sempre di grande attualità. La scelta di questo governo di riaprire la strada del nucleare in Italia è il fulcro di tante polemiche già in atto - e di altre future - nel momento della scelta dei siti. Entro 6 mesi infatti verrà stilata la mappa dei siti nucleari che sorgeranno nel nostro paese, nonché quella dei siti di stoccaggio del combustibile e di deposito dei rifiuti radioattivi. Gli esperti dicono che le scorie a bassa e media intensità rimarranno “attive” per circa 300 anni, mentre quella ad alta intensità per 250000 anni.
Sono passati più di vent’anni dal referendum che abrogò in Italia l’esistenza di centrali nucleari, era l’8 novembre del 1987. I sondaggi dicono che gli italiani di oggi sono molto più propensi alla costruzioni delle centrali di quanto non lo fossero vent’anni fa. Conoscendo però la storia recente dell’Italia e la reticenza dei cittadini a vivere vicino a potenziali fonti d’inquinamento, è probabile che l’opposizione da parte della cittadinanza sarà decisa. Anche le stesse regioni candidate potrebbero opporre resistenza alle istallazioni.
Rivolgiamo su questo tema alcune domande all’On. Ermete Realacci, Presidente onorario di Legambiente ed attualmente deputato del PD, chiedendogli un parere sulla scelta di politica energetica ‘nucleare’ operata da questo governo.
D. - On. Realacci il Partito Democratico esprime attraverso le parole del capogruppo al Senato, On. Anna Finocchiaro, un chiaro e netto “no” da parte del suo schieramento al ricorso all’energia nucleare in Italia. L’On. Finocchiaro definisce la svolta «Una scelta sbagliata e antieconomica». In molti, tra ricercatori ed ecologisti, stimano spese altissime di costruzione e gestione degli impianti. Quali sono secondo lei i motivi per cui la scelta sarebbe ‘antieconomica’ ?
R. - L’energia nucleare viene presentata dai suoi promotori come una fonte di energia che ha risolto i problemi di sicurezza, pulita, illimitata e di basso prezzo. Non è così. Aggiungo, purtroppo. Anche tralasciando i problemi di sicurezza e la questione aperta dello smaltimento delle scorie, il nucleare ha segnato il passo in questi anni nei paesi occidentali proprio per i suoi costi elevati. E’ per questo motivo che negli Stati Uniti, dove la produzione dell’energia elettrica è tutta in mano ad operatori privati, gli ordini di nuove centrali nucleari sono cessati dal 1978, da prima dell’incidente di Chernobyl. E la Germania, che pure si è data obiettivi molto ambiziosi di riduzione delle emissioni di CO2, - meno 40% entro il 2020 – ha confermato che per quella data chiuderà le sue centrali nucleari. La situazione può cambiare di molto se diverrà concreta la possibilità del nucleare di quarta generazione. Un nucleare che, come dice Carlo Rubbia, affronta alla radice molti problemi legati alla sicurezza e alla gestione delle scorie. E riduce di molto i costi. Per questo ritengo che l’Italia debba essere presente in maniera significativa nella ricerca che va in questa direzione.
D. - Il pericolo di un incidente del nucleare coinvolgerebbe il nostro paese anche se ciò si verificasse in Francia o in Svizzera. Alcune impianti si trovano non molto lontani dai confini del nostro paese, è il caso di sei centrali nucleari francesi costruite a ridosso delle Alpi. Le pongo una domanda che solitamente rientra nei cosiddetti ‘luoghi comuni’; per quale motivo non dovremmo costruire in Italia centrali nucleari quando invece siamo circondati da quelle presenti in altri paesi confinanti con l’Italia?
R. - Come dicevo prima quello della sicurezza è solo uno degli aspetti per cui il ritorno al nucleare non conviene all’Italia L’acceso dibattito che si è aperto nel paese sul nucleare rischia di produrre l’effetto di una cortina fumogena e distrarre l’attenzione rispetto alle scelte che in ogni settore l’Italia è chiamata a compiere per affrontare la sfida dei mutamenti climatici, ridurre il ricorso ai combustibili fossili, mettersi al riparo dai rischi di approvvigionamento e di aumento dei costi legati al prezzo del petrolio. Un po’ come nella storiella dell’ubriaco che cerca le chiavi sotto il lampione non perché le abbia perse lì, ma perché lì ce la luce. Senza il sostegno pubblico, infatti, l’attuale nucleare non è competitivo nei paesi occidentali. E come se non bastasse a fronte di enormi investimenti pubblici, l’Italia non vedrà un solo Kilowatt di energia elettrica prodotta con il nucleare prima di quindici anni. A maggior ragione in un momento di crisi è meglio puntare su misure che danno risultati a breve termine, sostengono e rendono più competitiva l’economia e l’aumento occupazionale. Per il nostro paese questo vuol dire puntare sul risparmio energetico, sulle fonti rinnovabili, sul recupero energetico del patrimonio edilizio esistente, sul ricambio dei beni durevoli orientato su base ambientale.
D. - Durante la votazione al Senato è mancato per quattro volte il numero legale dei votanti tra le file della maggioranza. Segno questo che nei senatori del Polo delle Libertà non vi è un pieno accordo su questa scelta. Nonostante il provvedimento sia stato approvato, il PD è riuscito ad inserire qualche emendamento “migliorativo”, tradotto in benefici compensativi, a favore degli abitanti delle future zone nuclearizzate. Lei pensa che ciò basterà a placare probabili proteste da parte dei cittadini?
R. - Non credo che sia questa la leva da opporre alle tante buone ragioni che ci sono per non volere il nucleare nucleare. Comunque quella dell’opposizione delle comunità locali sarà sicuramente un problema che chi vuole il nucleare si troverà ad affrontare. E penso che è un problema che la maggioranza ha ben presente se se si considera in campagna elettorale che in ogni regione in cui Berlusconi, o qualcuno della sua maggioranza, si trova ad andare assicura che lì non si farà una centrale....
Non sarà con la forza che Berlusconi farà digerire agli italiani una scelta costosa e sbagliata. Oltre all’errore del perseguire con la scelta nucleare è inaccettabile l’idea del Governo di scorciatoie che passino per la militarizzazione delle aree, tagliando di fatto e in barba a ogni idea di federalismo, la necessaria via della concertazione con i territori e con le regioni che non fossero disponibili ad ospitare gli impianti nucleari e i siti di stoccaggio. E’ un approccio insopportabile e lontano da quanto si fa in qualunque paese occidentale e rischia di condurci in un vicolo cieco.
Parliamo adesso di energie alternative.
L’Italia, rispetto ad altri paesi europei, non è certamente in prima fila in tema di politiche ambientali. Chi visita paesi come la Germania resta colpito dalla quantità di impianti fotovoltaici presenti su ogni edificio, a cominciare da quelli degli enti pubblici. Nonostante il territorio tedesco sia meno soleggiato dell’Italia, la Germania si è affermata nel mondo dei pannelli fotovoltaici, avendo saputo creare a monte una vera e propria industria. La legge tedesca sulle fonti rinnovabili nasce nel 1991 e ha sostenuto lo sviluppo del nuovo mercato soprattutto mediante il riconoscimento di tariffe incentivanti ai produttori di energia da tali fonti. Grazie a questa lungimiranza politica oggi la Germania è il paese leader mondiale nell'esportazione delle tecnologie ad energia rinnovabile.
In Italia è possibile installare un impianto fotovoltaico usufruendo di incentivi pubblici denominati ‘in conto energia’, opzione tra l’altro poco pubblicizzata. Sembra però che questi incentivi non siano un buon motivo per spingere la maggior parte degli italiani ad istallare i pannelli fotovoltaici.
Appare evidente la differenza di approccio tra tedeschi e italiani in tema di politica energetica. Nel confronto emerge chiaramente la diversa sensibilità manifestata tra i cittadini dei due stati nella volontà di istallare impianti fotovoltaici in ogni singola abitazione.
D. - On. Realacci, la scarsa sensibilità degli italiani è da attribuire alla mancata informazione e a politiche poco convincenti dei governi che si sono succeduti in questi ultimi anni?
R. - Sicuramente in Italia abbiamo ancora molto terreno da recuperare. Abbiamo un decimo dell’energia eolica della Germania, molti meno pannelli solari termici della piccola Austria. Soprattutto c’è un enorme campo aperto che riguarda l’efficienza energetica e il risparmio. A parità di prestazione in molti settori, dalle lampadine agli elettrodomestici, esistono prodotti che consumano anche un quarto dell’energia. Sono settori in cui le nostre imprese sono leader in Europa. Innovazione, ricerca e ricorso a quella grande energia rinnovabile e non inquinante che è l’intelligenza umana. Queste sono le risorse da mettere in campo.
D. - Negli ultimi anni si stanno diffondendo, in alcuni comuni italiani, nuovi stili di vita, sostenuti da amministrazioni “virtuose” con la compartecipazione dei cittadini e improntati sull'idea che si può vivere meglio adottando semplici misure dettate dal buon senso. Giusto per citarne alcuni, vi sono comuni (Capannori-(LU), Ponte delle Alpi(BL)) dove la raccolta differenziata raggiunge l'80% e produce occupazione; in alcuni comuni (Torraca-SA) l'introduzione dell'illuminazione con il LED ha consentito di ridurre gli sprechi di energia elettrica del 80%; a Padova, gli interventi di riqualificazione energetica consentono di ottenere un taglio nei consumi pari ad un risparmio di 600000 euro l'anno; per non parlare dei comuni, tanti, dove si sperimentano progetti per la riduzione nella produzione dei rifiuti e si investe in progetti educativi di sensibilizzazione e riduzione dei consumi. A sostegno di questi progetti, sono nate associazioni quali l'Associazione dei Comuni Virtuosi per coordinare questa rete di comuni a cinque stelle. Secondo lei, come si possono valorizzare queste esperienze a livello nazionale ?
R. - Ci sono molte amministrazioni locali, sopratutto quelle dei piccoli comuni, che rappresentano casi virtuosi per il paese. Sono piccoli comuni, ad esempio, la metà delle municipalità italiane che producono energia pulita. Tra le fonti rinnovabili la più diffusa nel Paese è quella solare. Anche in questo caso la metà dei comuni che la utilizzano sono piccoli. Seppur troppo poco diffuso, grazie al solo fotovoltaico ogni anno in Italia si risparmiano circa 98 mila tonnellate di CO2. Presente in soli 157 comuni - il 74,5% dei quali sono piccoli - l’eolico risponde al fabbisogno energetico di 2.225.000 famiglie. Anche in fatto di raccolta differenziata e riciclo, infine, i Piccoli Comuni sono la punta di diamante dell’intero Paese. Infatti, mentre la media nazionale di raccolta differenziata si attesta al 26%, nei Piccoli Comuni sale al 59%. Il 51% dei Piccoli Comuni, inoltre, promuove il compostaggio domestico per ridurre la quantità di rifiuti organici prodotti dai cittadini. Con Legambiente stiamo lavorando molto e con varie campagne per promuovere queste realtà.
Ringraziamo l'On. Ermete Realacci per le sue risposte che certamente sono servite a fare un po di chiarezza in merito al futuro energetico dell'Italia, non del tutto "verde", a cui andremo incontro nei prossimi anni.
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mercoledì, maggio 27, 2009
Illustrando la figura di San Teodoro Studita, monaco bizantino dell’VIII secolo, Benedetto XVI sottolinea l’importanza della “sobrietà di vita” per superare il problema della povertà in questo mondo, della necessità dell’obbedienza, per superare l’individualismo che pone se stessi al centro del mondo, del lavoro, “criterio per saggiare la propria devozione personale”, che produce ricchezza da destinare ai poveri.
Città del Vaticano (AsiaNews) – Imparare “la legalità, cioè la sottomissione al bene comune”, senza il quale “il tessuto sociale non può funzionare” e che serve anche a “sanare l’io dalla superbia dell’essere il centro del mondo” e quindi “resistere all’individualismo spirituale”; non “dipendere dalla proprietà, ma avere sobrietà sociale, solidale”, perché solo la “sobrietà” di vita può permettere di “superare il grande problema della povertà di questo mondo”; guardare al lavoro come “virtù spirituale particolarmente importante”, perché “chi è fervente nel lavoro lo è nei propri impegni spirituali”. Sono gli insegnamenti anche attuali che Benedetto XVI ha indicato oggi alle 20mila persone presenti all’udienza generale, alle quali ha parlato di San Teodoro Studita, monaco bizantino dell’VIII secolo, grande riformatore della vita monastica.
La sua vicenda, ha detto il Papa, ci porta in pieno medioevo bizantino, “periodo turbolento”. Nato nel 759 da famiglia nobile e pia, entrato nella vita monastica a 22 anni, Teodoro entrò in conflitto con l’imperatore Costantino VI per il suo divorzio, per cui fu esiliato nel 796. L’anno dopo, grazie alla riconciliazione con l’imperatrice Irene, fu chiamato a Costantinopoli. Ma la sua vita continuò ad essere “movimentata”, per la lotta che intraprese contro la secondo iconoclastia. Processato e incarcerato, alla fine poté rientrare a Costantinopoli, ove morì l’11 novembre 826. In tale giorno è ricordato nel calendario bizantino. E’ santo sia per la Chiesa cattolica che per quella ortodossa.
Di Teodoro Benedetto XVI ha in particolare sottolineato l’opera legata alla riforma del monachesimo bizantino. Suo “apporto caratteristico è l’insistenza sulla necessità dell’ordine e della sottomissione da parte dei monaci”. Durante gli anni della persecuzione, infatti, essi si erano spesso trovati isolati e conducevano una vita personale; “ricostituita la vita comune occorreva impegnarsi per fare del monastero una vera comunità organizzata”, “corpo di Cristo” diceva Teodoro.
“Caratteristico dei monaci sono povertà, castità e obbedienza”. Teodoro “parla in modo concreto, quasi pittoresco della povertà”. che “è dall'inizio una rinuncia alla proprietà privata, per imparare la libertà dalle cose materiali, la sobrietà”. “Essenziale del monachesimo”, essa “vale in questa forma radicale per i monaci, ma lo spirito di questo insegnamento indica la strada per noi tutti: non dobbiamo dipendere dalla proprietà, imparare la rinuncia, la semplicità, l’austerità, la sobrietà, solo così può crescere una società solidale e può essere superato il grande problema della povertà di questo mondo”.
Ricordato quanto il monaco diceva a proposito delle tentazioni contro la castità, “lotta per trovare il dominio su se stesso”, il Papa ha sottolineato che per Teodoro, la rinuncia principale è quella dell’obbedienza, che chiama anche “martirio della sottomissione”. “I monaci sono l’esempio di quanto essa è necessaria per noi stessi”. “Dopo il peccato originale c’è la tentazione di fare della propria volontà il principio fondamentale” e oggi “molte correnti spingono a un pericoloso individualismo e alla superbia spirituale”. Ma così “il tessuto sociale non può funzionare se ognuno pensa solo a se stesso”. Occorre “imparare la legalità cioè la sottomissione al bene comune, alle regole del vivere, che sole possono sanare la società” e anche “sanare l’io stesso da questa superbia dall’essere il centro del mondo”.
Al pari dell’obbedienza, “umiltà opposta a egoismo e superbia”, è l’amore al lavoro, che per Teodoro era “virtù particolarmente importante” e che definiva “criterio per saggiare la propria devozione personale”. “Chi è fervente nel lavoro lo è nei propri impegni spirituali”. Il lavoro delle mani è, “sacrificio del monaco”, “la sua liturgia”, per suo tramite “la vita monastica diventa vita angelica”, “cammino verso Cristo”. “Una conseguenza merita di essere ricordata: le ricchezze originate dal lavoro comune non andavano destinate ai monaci, ma ai poveri”. “Tutti dobbiamo imparare”.
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mercoledì, maggio 27, 2009
Ha colpito lo Stato indiano del West Bengala ed i distretti costieri del Bangladesh. Migliaia di persone hanno perso la casa. Danni anche a strade, ferrovie e infrastrutture. Alcune aree restano ancora inaccessibili ai soccorsi.
Calcutta (AsiaNews/Agenzie) - Almeno 200 morti e un milione di sfollati. Sono le prime stime del passaggio del ciclone Aila che lunedì si è abbattuto sullo Stato del West Bengala in India e sui distretti costieri del Bangladesh. New Delhi afferma che i morti rinvenuti nella giornata di ieri sono almeno 68. Più alto il numero delle vittime in Bangladesh dove le vittime accertate del ciclone sono oltre 130. Il computo dei morti sembra tuttavia destinato a salire, mentre le autorità dei due Paesi hanno iniziato a prestare soccorso agli sfollati non appena Aila è calato di intensità.
In India più di 41mila persone hanno perso la casa e si trovano ora nei 109 campi di accoglienza allestiti per l’emergenza. Circa 61 mila case sono andate distrutte e centinaia di migliaia sono quelle danneggiate. Alcune zone, come l’area di Patharpratima nel distretto di South 24 Parganas, rimangono ancora inaccessibili. Il ciclone ha danneggiato strade, ferrovie e costretto al blocco dell’aeroporto di Calcutta.
Le autorità del Bangladesh parlano di 500mila persone sfollate per fuggire alle raffiche di vento di Aila che hanno raggiunto i 120 chilometri orari. Un ufficiale della task force per l’emergenza di Dhaka afferma che “un milione di persone è stato colpite dal ciclone, mezzo milione sono in rifugi di fortuna e un altro mezzo milione è stato costretto a lasciare le proprie case per motivi di sicurezza”.
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mercoledì, maggio 27, 2009
del nostro redattore Renato Zilio
Una giornata splendida, un sole caldo e bello proprio come da noi: era già il primo miracolo! La gente del Sud che vive da 40 o 50 anni a Bedford (GB), con un tempo inglese freddo e piovigginoso ancora a fine maggio, lo scommetteva a occhi chiusi. Un miracolo. È la domenica in cui si celebra la festa dei santi patroni: sono una dozzina a scendere in piazza dalla chiesa della Missione cattolica italiana. Percorrono le vivaci streets nelle ore del pomeriggio in una maestosa e lunghissima processione. Ed è una marea di italiani che si riversa per le strade di questa tranquillissima città del Bedfordshire, mentre un fuoco di bombardamento copre le spalle. Don’t worry, sono i fuochi d’artificio all’ora della siesta, che ricreano il clima delle feste patronali e sconvolgono i ritmi della vita normale. Prendono di sorpresa solo gli inglesi. Per i nostri, invece, è una bella rivincita morale.
Quest’anno, poi, dopo la lunga fila di bambine vestite in bianco incoronate come reginette, vedi giovani, uomini, bambini in carrozzina, famiglie intere e tantissime donne... Ancora un altro miracolo. La comunità italiana qui è grande - uno su sette è di origine italiana - ma ormai abituata al ritmo e ai gusti inglesi. Oggi, tuttavia, l’italianità si risveglia, si compatta, si rende visibile al richiamo dei suoi santi patroni.
Li guardi avanzare alti, in legno dorato, circondati di fiori, con un’eleganza nel procedere che ti stupisce... pur anchilosati nelle loro nicchie per un anno intero! Un miracolo, ancora. Gli uomini di ogni paese dell’Irpinia o del napoletano, poi, fanno a gara per portare il loro santo per un tratto di strada, con emozione: è un privilegio conteso da un anno. Le donne di Cava dei Tirreni, invece, portano la statua della loro S.Lucia, altre quella di una dolcissima Madonna.
In fondo, i miracoli più grandi sono sempre invisibili, nascosti. Toccano il cuore. La Vergine con il bambino in braccio avanza mostrando con grazia il suo tesoro a un gruppo di ragazze pakistane, a mamme e bambini indiani, incantati davanti alle loro case a contemplare il corteo.
S. Lorenzo, diacono sensibile ai poveri, patrono di Busso, osserva dall’alto con compassione la povera gente di ogni razza e colore che si ferma davanti agli shops, stupita di vedergli accanto una graticola da barbecue.
Il nostro santo Padre Pio con la mano destra alta, energica, benedicente, passa davanti alla moschea e al suo verde minareto umilmente sorridendo. Cambiano i tempi, anche lui ha capito quanto è importante per un emigrante - a qualsiasi religione appartenga - la fede in cui è nato: una forza che spesso lo fa vivere o sopravvivere là dove arriva.
S.Antonio, migrante tra i migranti, avanza tra tutti con passo sicuro. Pur di sangue portoghese si era così ben acclimatato alla nostra terra da essere sempre scambiato per padovano! Da vero leader oggi sembra capeggiare la fede e il coraggio di questo popolo di Montefalcione, che tanto devotamente segue i suoi passi...
Eppoi viene santa Francesca Cabrini, donna forte, coraggiosa, appassionata dei nostri emigranti italiani al di là dell’oceano: un’immensa ferita aperta nella società americana agli inizi del ‘900. Con il suo drappello di suore e la sua tempra da comandante fondó per loro scuole, ospedali, orfanatrofi nella nuova patria. Viene poi S.Ciriaco, portandosi dietro un pezzo di paese di Buonvicino; S.Angelo, invece, quelli di Sant’Angelo Muxaro...
L’emigrazione è una scuola di universalità. Si impara perfino a portare in processione i santi degli altri: essi, infatti, ricordano ad ognuno che siamo tutti compagni di viaggio. Al di là di ogni fondamentalismo, del culto dell’identità o delle origini si capisce, allora, di far parte di un unico popolo in cammino verso il Regno di Dio, che è la fratellanza, la giustizia, una solidarietà più grande. Con convinzione qui lo si rivivrà, poi, in una grande festa popolare fino a notte, tra inglesi e migranti.
Camminando insieme, però, tra tante preghiere li senti commentare le ultime novità. Qualcuno parla dell’Italia. “Ma hanno perso la testa?! Riportare a casa gli emigranti! Noi qui, allora, non ci hanno mica trattato così! Ed è come quando si tagliavano le mani a chi si agrappava alla scialuppa per salvarsi!”
Così si spegne la nostra processione. Con una nota amara di umanità.
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mercoledì, maggio 27, 2009
L'America Latina celebra l'indipendenza dalla Spagna. Raul Zibechi: "Al colonialismo sono subentrate le multinazionali: ancora deve arrivare il giorno della libertà"
PeaceReporter - Tra il 2009 e il 2010 nove paesi dell'America Latina - Messico, Argentina, Bolivia, Ecuador, Paraguay, Cile, Venezuela, El Salvador e la Colombia - celebrano il bicentenario dell'indipendenza dalla Corona spagnola. Per capire il senso storico, sociale, culturale che ha questo appuntamento per un continente in piena e frettolosa evoluzione, abbiamo intervistato Raul Zibechi, uno degli intellettuali più illuminati dell'America Latina. E' docente e ricercatore dei movimenti sociali alla Multiversità francescana dell’America Latina di Montevideo e membro del consiglio editoriale del settimanale uruguaiano Brecha.
Professore, che senso ha questa celebrazione per l'America Latina di oggi?
Il bicentenario non è un tema che mette d'accordo l'intera società. Il suo significato dipende dai punti di vista. Ricordiamo che poco tempo fa, nel 1992, abbiamo celebrato anche il quinto centenario dell'arrivo degli spagnoli e dal mio punto di vista non c'era nulla da festeggiare. Ed è proprio nel rapporto con questi cinque secoli che si nasconda la risposta. Ci sono due visioni del bicentenario in America Latina: quella delle classi medie, più europeista, che data la nascita dei paesi dal giorno dall'indipendenza; mentre l'altra, più indigena, più afro, che è quella che io condivido, che fa coincidere l'indipendenza con la fine di cinque secoli di oppressione. Secondo quest'ultima, le varie indipendenze ottenute dagli attuali paesi latinoamericani non furono che una continuazione di ciò che iniziò secoli prima. A causa delle decisioni prese da altri settori sociali, gli spagnoli e i creoli, la dipendenza dell'America Latina è continuata e continua tutt'oggi. Di fatto, ci sono alcune interpretazioni, come quella della Bolivia di Evo Morales, che datano l'inizio del processo indipendentista al 1780-81, ossia l'inizio dei movimenti rivoluzionari. Voglio dire, con questo, che in America Latina, ci sono due visioni che corrispondono a due settori sociali differenti, e a due forme politiche diverse.
Il ruolo della Spagna oggi in America Latina?
Anche se agli spagnoli non piace - visto che oggi su El Pais il governo afferma che la disuguaglianza del continente non è nata durante il periodo coloniale, ma nel Ventesimo secolo, tagliandosene fuori - con il modello neoliberale subentrato alla colonia, non c'è stata che una neocolonizzazione per mezzo delle privatizzazioni. Le imprese europee, Repsol in testa, hanno beneficiato di un processo di privatizzazione immane, comprando a prezzi molto bassi molti beni latinoamericani. Un esempio di ri-colonizzazione è quello che sta accadendo oggi alla cordigliera andina. Ci sono progetti minerari - miniere a cielo aperto, vengono definite, per il tipo di sfruttamento applicato - che hanno praticamente comprato il grosso delle Ande. Ci sono luoghi, come la miniera Pacua Lama alla frontiera tra Cile e Argentina, che sono completamente controllati dalle multinazionali. E se teniamo conto che lo sfruttamento minerario, nel futuro, potrebbe acquistare ben più importanza del petrolio, i conti sono fatti. Tutta la cordigliera è stata svenduta alle multinazionali. Questo il frutto dei governi neoliberali. E questa forma di neocolonizzazione è anche molto pericolosa: le miniere contaminano i fiumi, le falde acquifere, attentando direttamente alla sopravvivenza delle comunità.
Che possono fare i paesi latinoamericani? Possono sperare in un'integrazione che li traghetti verso l'indipendenza reale?
Ci sono alcuni paesi, in particolare la Bolivia, e un po' anche il Venezuela, che stanno recuperando la sovranità sulle risorse naturali, quello che ormai noi chiamiamo i beni comuni, perché sono beni di tutta l'umanità. L'acqua, il sottosuolo, le ricchezze minerali, gli idrocarburi, appartengono alla terra quindi sono di tutti. Non si possono privatizzare. Riappropriarsi delle risorse comuni, ecco il primo passo per rendere indipendente il continente dal primo mondo. Poi viene il lato economico-finanziario. Anche qui ci sono grandi novità. Brasile e Argentina, ma anche altri paesi, hanno sostituito il dollaro con peso e real, le rispettive monete, per gli scambi bilaterali. Questo è il modo per creare, poco a poco, le condizioni per raggiungere un'indipendenza economica, che non sarà totale, ma chissà fra qualche anno... Già abbiamo il Banco del Sur, potremmo avere una moneta sudamericana, il nostro euro. Già abbiamo un consiglio di difesa sudamericano, che si insediò dopo il 1 marzo 2008, quando la Colombia attaccò l'Ecuador per uccidere il numero due delle Farc, Raul Reyes. Ci sono elementi per pensare che in questo momento c'è una volontà politica di lavorare per l'indipendenza dell'America Latina.
E per l'integrazione...
Sì, ma non un'integrazione qualunque, un'integrazione politica, militare, finanziaria, che è una integrazione non subordinata a nessuno. Perché anche l'Alca potrebbe essere considerata un'integrazione, invece no. Noi abbiamo bisogno di un'integrazione indipendente dagli Stati Uniti, indipendente dal primo mondo.
Perché, dunque, questo bicentenario è importante, al di là delle tante parole che sono state e che verranno dette a conferenze e cerimonie varie?
Perché è un modo per ribadire la continuità che ci fu tra la colonia e la repubblica. Può essere un modo per imparare dalla storia, in modo da non ripeterla.
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