venerdì, maggio 29, 2009
Intervento del portavoce di Amnesty Italia

PeaceReporter - Nel 2008, anno in cui è stato celebrato il 60mo anniversario della Dichiarazione universale dei diritti umani, i diritti umani sono stati messi in secondo piano, se non addirittura traditi. È difficile trovare più di una manciata di eventi positivi: l'arresto di Radovan Karadzic e la sua consegna al Tribunale per la ex Jugoslavia; la quasi scomparsa delle esecuzioni capitali in Africa; le battaglie giudiziarie per il possesso della terra vinte da comunità indigene dell'America del Sud. Ma questo anno è iniziato con la crisi in Kenya, con oltre un migliaio di morti nelle violenze seguite alle contestate elezioni politiche e si è concluso con un tributo di sangue di civili palestinesi, uccisi a Gaza nel corso dell'operazione "Piombo fuso". Per la prima volta dopo quasi 10 anni la guerra è tornata in Europa con lo scontro tra Russia e Georgia. Conflitti dimenticati, in Sudan, in Congo, in Somalia e nello Sri Lanka, hanno continuato a fare migliaia di vittime.

Rimpatri e torture. Il Rapporto Annuale 2009 di Amnesty International propone un quadro mondiale decisamente preoccupante e i dati che emergono sull'Italia sono altrettanto inquietanti. L'Italia è ormai precipitata in una spirale di disprezzo dei diritti umani, con un accanimento discriminatorio verso le minoranze: dagli sgomberi delle comunità rom e sinti, a norme sull'immigrazione palesemente discriminatorie, dal rinvio forzato in Libia di migranti giunti sulle nostre coste, ai discutibili accordi di cooperazione con il paese africano, dal rimpatriato di due cittadini tunisini in spregio delle decisioni della Corte europea dei diritti umani, alla mancanza di parole di condanna da parte degli ultimi tre governi sul caso della rendition di Abu Omar. In Italia, inoltre, la tortura non è ancora reato e per chi ne cade vittima le leggi non hanno parole da usare per condannare in modo adeguato i responsabili, come nel caso Bolzaneto.

Insicurezza e repressione. Negli Stati Uniti l'ultimo anno della presidenza Bush è trascorso in continuità con i precedenti, con la rivendicazione di una politica di sicurezza basata sulle violazioni dei diritti umani. La nuova amministrazione ha intrapreso un cammino diverso, anche se il percorso da seguire appare ancora incerto e ricco di ostacoli. Nella seconda parte dell'anno sullo scenario mondiale si è affacciato un nuovo tema: la crisi economica. I diritti umani, già sacrificati in nome della "guerra al terrore", sono stati nuovamente messi in secondo piano da questa nuova emergenza. La recessione, oltre a peggiorare le condizioni di vita, ha alimentato l'instabilità politica e la violenza di massa ed è stata usata per giustificare una dura repressione del dissenso: dall'Iran allo Zimbabwe, dal Guatemala alla Siria, dalla Turchia alla Cina. Il clima di insicurezza ha reso ancora più vulnerabili paesi che già vivevano gravi difficoltà, dall'Afghanistan, dove il clima di instabilità ha pregiudicato l'accesso al cibo, alle cure mediche e all'istruzione, al Pakistan, precipitato in una spirale di violenza. Dobbiamo essere consapevoli che la povertà non è un accidente inevitabile ma il frutto di decisioni e politiche reversibili. La crisi che stiamo vivendo non è solo finanziaria, è una crisi dei diritti umani ed è proprio dai diritti umani che dobbiamo ripartire, nei diritti umani dobbiamo cercare la soluzione. Per queste ragioni abbiamo lanciato la nuova campagna "Io pretendo dignità", per ridare dignità ai prigionieri della povertà, affinché possano cambiare la loro vita e diventare loro stessi attori di questo cambiamento.

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