mercoledì, giugno 03, 2009

Con la violenza siamo tutti perdenti

La Cina di oggi è caratterizzata da decine di migliaia di manifestazioni in cui operai, contadini, migranti chiedono il rispetto dei loro diritti, il salario, la terra. È nata la società civile, primo passo verso la democrazia. É urgente che Pechino apra un dialogo con essa, senza ricorrere ancora alla violenza.

Parigi (AsiaNews) – Cai Chongguo, 53 anni, dissidente cinese di Wuhan (Hubei), lavora a Parigi. È arrivato in Francia, fuggendo dalla Cina dopo il massacro di Tiananmen nel 1989. A Pechino aveva studiato filosofia e si era impegnato, assieme al sindacalista Han Dongfang a far nascere il primo sindacato libero nel Paese. Ora è impegnato nella redazione cinese del China Labour Bulletin. Ha scritto il libro “La Cina: il contrario della potenza” , Ed. Mango. Ha un blog sul sito del francese “Le Monde”.

Ricordare Tiananmen significa anzitutto pensare a quei giovani dell’89 che avevano speranza nel governo, che chiedevano solo delle riforme politiche e pensavano che il governo non si sarebbe vendicato. Ma il governo non li ha compresi ed è stata la tragedia: l’incomprensione si è trasformata in odio e l’odio in repressione violenta.

Venti anni dopo quelle manifestazioni e la risposta violenta del regime, molte cose in Cina sono cambiate. Allora quel movimento era costituito soprattutto da intellettuali e studenti, che manifestavano per chiedere delle riforme politiche. Dopo quei mesi, vi è stata la privatizzazione delle imprese, l’industrializzazione massiccia, gli investimenti stranieri. È cambiata la società come pure i rapporti sociali.

Ormai nelle città ci sono circa 200 milioni di contadini che lavorano in condizioni umilianti; molti operai sono licenziati. Allo stesso tempo molti contadini hanno perduto la terra a causa di sequestri ed espropri. Ora, dopo 20 anni, sono gli operai, i contadini, i migranti che manifestano in ogni punto della Cina. Con l’aiuto di giornalisti e avvocati, sono essi i veri attori della società.

Venti anni fa le richieste degli studenti erano idealiste e forse astratte. Ma oggi gli attori di questo movimento nella società sono operai e contadini che fanno rivendicazioni precise: la terra, il salario, la pensione, le condizioni di lavoro, la loro casa, usare internet con libertà. Essi vogliono difendere i loro diritti civili, non vogliono fare delle rivendicazioni politiche. Sono richieste più pratiche, ma sempre legate alla questione sulla democrazia. Questo movimento sociale che si è costituito, inspira anche gli intellettuali, come è avvenuto con Carta 08, firmata da 300 personalità cinesi. Su quel documento si rivendica la divisione dei poteri, e questa è una richiesta concreta perché il Partito e i governi locali hanno in mano tutto il potere; in Cina non c’è giustizia indipendente, non c’è stampa indipendente e questo alimenta la corruzione dei capi locali.

Carta 08 rivendica le stesse cose di 20 anni fa, ma è ormai basata sul movimento sociale di questi contadini e operai. Tutto ciò è importantissimo: questo movimento ha creato in Cina lo spazio per la società civile, una democrazia sociale, che prima o poi diverrà la base di una democrazia anche politica.

L’atteggiamento del governo verso questo movimento è esitante e non sempre distruttivo. Adesso in Cina si riesce a discutere di molte cose: di salari, di democrazia, di ingiustizie. Si è creato un margine di manovra che prima non c’era: vi sono perfino intellettuali che discutono se affermare la democrazia come valore universale, oppure, come dicono altri, se occorre trovare una “via cinese” ad essa. Anche la repressione contro gli operai è molto minore rispetto a 20 anni fa. Una volta se degli operai manifestavano, venivano subito messi in prigione ed eliminati. Ora invece il governo giunge fino ad esortare le autorità locali a dialogare con loro.

Perché ormai tutti sanno che i contadini e gli operai manifestano non per motivi politici, ma per le loro drammatiche necessità. Le ingiustizie verso di loro sono ormai evidenti e non si può più accusare gli operai di essere dei contro-rivoluzionari che vogliono rovesciare il partito.

Queste manifestazioni avvengono ormai ogni giorno. Venti anni fa manifestazioni e scioperi erano rarissimi. Il governo, controllando anche i media, poteva dire: Sono dei cattivi, vogliono rovesciare la società… Ma ormai questa menzogna è divenuta inutilizzabile.

Dialogo e fede per evitare la tragedia

Ricordare quest’anno Tiananmen vuol dire riportare a galla la verità e non dimenticare, cercare di comprendere il perché di quella repressione, che ha reso tutti noi - governo e popolazione - dei perdenti. Da questa memoria vanno tratte alcune conseguenze per il futuro:

1) anzitutto sono necessari la libertà di stampa e il dialogo fra governo e popolazione. Se ciò non avviene, il governo non capirà quello che studenti e operai vogliono davvero. Se poi la stampa è controllata, c’è disinformazione. Il controllo sulla stampa costruisce un muro fra il governo e la società.

2) In secondo luogo bisogna escludere la violenza dal dialogo. Per questo occorre legalizzare le organizzazioni indipendenti. Senza queste associazioni indipendenti, non si può fare il dialogo sociale e politico e non c’è possibilità di comprendersi.

3) Infine va detto che adesso in Cina vi sono molti che vogliono parlare di Tiananmen. Per la prima volta 19 intellettuali hanno organizzato una riunione pubblica per parlare di Tiananmen. La riunione non era permessa, ma essi hanno osato con coraggio, pubblicando i testi delle loro discussioni e le foto dell’incontro. Anche il libro delle memorie di Zhao Ziyang, in inglese e in cinese, aiuta a discutere. Vi è perfino un pezzo grosso della Xinhua che ha pubblicato un libro di 500 pagine sulla repressione dell’89.

Questo mostra che molti cinesi vogliono parlare di questo evento. Se non si parla, non si comprende la società di oggi e non si comprende nemmeno la storia contemporanea della Cina. E non si comprende nemmeno se stessi.

Fra la gente che ha partecipato al movimento di Tiananmen, o che lavorano per i diritti umani, vi sono alcuni che a poco a poco hanno scoperto una fede religiosa e spesso sono divenuti cristiani. Fra questi vi sono Han Dongfang, Hu Jia, e io stesso, che mi pongo spesso la domanda su Dio. Quando ci si trova davanti a un regime dittatoriale, si ha ancora più bisogno di una forza spirituale. Questo regime dittatoriale è mescolato con un regime di capitalismo selvaggio e con il potere del denaro. Per questo si ha bisogno di ricercare delle fonti spirituali. Il cristianesimo dà una forza e un potere spirituale che va al di là dello stesso desiderio di successo.

Quando si spera nella democrazia, nella libertà, ci si pone anche la domanda: Ma io sono democratico? Come posso migliorare me stesso? Come posso davvero servire gli altri? Per una risposta a queste domande occorre una forza trascendente.

Infine c’è bisogno di un legame sociale, che sia basato su valori comuni e questo lo si trova nella comunità cristiana.
... (continua)
martedì, giugno 02, 2009

L'Italia da salvare


WWF - Ci sono case, paesi, ambienti, parchi e riserve naturali che meritano di rimanere come sono e di non finire nel tritatutto di deroghe, abusi e speculazioni edilizie. In alcuni casi perché sono un patrimonio dell’Italia, in altri semplicemente perché rappresentano un valore per il paesaggio, per gli esseri umani o gli animali, che abitano quei luoghi. Nel nostro paese sopravvive, nonostante tutto, un patrimonio naturale e architettonico a cui non si deve rinunciare. Ci definiamo “Giardino d’Europa”, invitiamo i turisti di tutto il mondo a venirci a visitare. Ma, come per tutti i giardini, serve cura e manutenzione. Spesso, come in Abruzzo, è mancata.

Le segnalazioni

ASINARA: luogo simbolo di bellezza e sofferenze passate
CILENTO: bellezze, incuria e minacce del turismo di massa
BRUSSA: zona protetta, ma non dai rifiuti

SALVA CON FOTO - Corriere.it e Wwf chiedono in questo contesto il contributo dei lettori che vogliono costruire una mappa dell’Italia su cui appuntare foto e video, per realizzare un mosaico del Paese che si è salvato ma che non smette di correre rischi a causa di abusivismo, leggi poco chiare, o controlli insufficienti. Contribuire attraverso le immagini per testimoniare il valore del paesaggio, l’importanza dello spazio libero e "vuoto". Sulle segnalazioni dei lettori i consulenti scientifici del Wwf elaboreranno anche gli indici che esprimono il valore delle aree segnalate, sotto il profilo naturalistico ed economico, in modo da evidenziare quale sarebbe la perdita se non venissero preservate come meritano.

I lettori sono quindi invitati a inviare segnalazioni, foto e video di ciò che dovrebbe rimanere intoccabile, spiegando la storia e il valore dei luoghi che vanno difesi. Magari anche semplicemente spazi rimasti vuoti, che la voracità edilizia non ha ancora inghiottito. Campagna, coste, fiumi, colline, aree di natura, zone ai confini delle città, rimasti miracolosamente liberi. In modo da costruire una vetrina pubblica, e possibilmente infrangibile, dietro alla quale mettere questi luoghi. Tentare di prevenire i danni, come è noto, è meglio che curarli.
... (continua)
martedì, giugno 02, 2009

L’Aquila, nasce il Presidio per la legalità

Dalle macerie del terremoto nasce - per iniziativa dell’associazione contro le mafie fondata da don Luigi Ciotti - il Presidio per la legalità. E non poteva essere diversamente.

LiberaInformazione - Un presidio di legalita’ e di verita’ che si avvale di un gruppo attento “scrutatore” della realtà locale, che già da alcuni anni lavora in sinergia con la struttura nazionale di Libera e del settore di Libera informazione e che, sin dall’alba del 6 aprile, è operativo anche nell’aquilano: per essere vicini alle popolazioni, per monitorare la gestione dell’emergenza e le fasi della ricostruzione, tenere sempre accese le antenne su quello che accade in Abruzzo, soprattutto quando calerà il silenzio. Sin dalle prime ore abbiamo denunciato il rischio incombente delle infiltrazioni criminali non solo sugli affari della ricostruzione ma anche in quelli della gestione dell’emergenza.

Il nostro compito sarà quello di tenere gli occhi aperti, di porre domande e trovare delle risposte. Per garantire trasparenza nell’operazioni di rimozione, per combattere e denunciare le ingiustizie nell’opera di ricostruzione, per verificare se ci sono state colpe e collusioni, impedire l’infiltrazione delle mafie nel nuovo, appetibile, business ed evitare sperpero di denaro pubblico. In ogni tragedia c’è un prima e un dopo, un passato e un futuro, senza dimenticare il presente. Compito di Libera sarà quello di raccontare quello che succede con il cuore e con la testa. Senza dimenticare cosa hanno rappresentato nel nostro paese le tragedie del passato. E pensiamo al terremoto dell‘Irpinia: in Campania alla tragedia del terremoto seguì quella della malaricostruzione, il trionfo del cemento e di grandi cattedrali nel deserto, sprechi, corruzione e camorra e parallelamente una lentezza esasperata nella ricostruzione delle case. Libera non vuole disperdere la memoria, le immagini di quella gente, dei paesi-presepe distrutti, delle straordinarie prove di generosità e coraggio sbocciate.

Con l’attuale capo, la Protezione civile da struttura di coordinamento è diventata una forza professionale centralizzata. In deroga alle leggi ordinarie spontaneamente tra le macerie. Ci devono servire per non sbagliare oggi e domani in Abruzzo e se c’è una lezione del dopoterremoto che ancora non è stata tratta dalla classe dirigente di questo Paese, passata, presente e futura, a cominciare da quella politica, è forse proprio questa: l’ambiente - inteso nei suoi aspetti archeologici, storici, architettonici, artistici, sociali e naturalistici - è una risorsa strategica dell’Italia, che non può essere lasciata impunemente nelle mani di chi la saccheggia per trarne profitto. Noi, per quello che possiamo fare, staremo molto attenti, con passione e umiltà e con quella quota di corresponsabilità che da anni contraddistingue il nostro percorso di giustizia e di verità.
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martedì, giugno 02, 2009

Falcone e Borsellino: domande senza risposta

A 17 anni dalle stragi di Capaci e Via D’Amelio, Giovanni Falcone e Paolo Borsellino, massacrati con le loro scorte, sono ancora soli. E in gran parte traditi.

LiberaInformazione - Certo non lo sono per i loro cari, per le associazioni e le iniziative che ne alimentano la memoria, né per quella parte della società che nelle scuole, nelle amministrazioni pubbliche, nelle aule di giustizia come nei quartieri e nelle attività produttive, fa vivere valori e diritti di legalità. Né tanto meno per i magistrati, gli investigatori che fanno silenziosamente il proprio dovere, contrastando ogni giorno un espandersi di interessi criminali che se non fermati assimilerebbero l’Italia ai Paesi latino-americani dominati dalla violenza e dalla corruzione. No, non è per questa Italia consapevole che Falcone e Borsellino restano soli e traditi e con loro i tanti che hanno avuto la vita spezzata dalle mafie.

Solitudine e tradimento vengono invece dal potere politico e conseguentemente da una parte delle istituzioni, da coloro che hanno in mano le scelte di fondo della nostra democrazia, ma le accantonano o le deviano per interessi personali e di fazione. Fino a costruire, come sta avvenendo sistematicamente, le basi di un regime strisciante di accentramento, di chiusura a ogni dialogo costruttivo con l’opposizione, di assedio ai principi fondanti della Costituzione, di occupazione del sistema dell’informazione, usato cinicamente per rafforzare solo consenso e immagine. Soprattutto attraverso la creazione di falsi baluardi di sicurezza che aprono la strada alle divisioni, alla xenofobia, al razzismo, minando i processi di integrazione e di sviluppo economico pure già in corso da tempo. In questo processo di progressivo degrado civile, Falcone e Borsellino sono traditi per l’opportunismo e l’asservimento di gran parte dei mezzi d’informazione, che alimentano l’ignoranza e l’indifferenza dell’opinione pubblica, già in parte storicamente predisposta all’elusione di ogni regola e di valori morali collettivi che superino individualismi e miraggi demagogici, esposta ogni giorno allo stillicidio della propaganda del potere che sostituisce ogni conoscenza critica.

Ma, al di là delle cerimonie ufficiali e anche della generosa partecipazione al ricordo da parte di una minoranza di organizzazioni realmente impegnate ogni giorno nella lotta contro il sistema criminale mafioso e le sue complicità, di tanti ragazzi affluiti a Palermo da ogni parte d’Italia, non vengono risposte a quanto Falcone e Borsellino chiedevano allo Stato e quindi alle scelte della politica, come condizione per vincere finalmente la guerra contro le mafie.

Ci chiediamo così, a partire dal loro assassinio, perché non sia stata mai formata una commissione parlamentare che indaghi su tutti gli aspetti ancora oscuri delle stragi e su eventuali mandanti esterni e cosa hanno oggi da dire a questo riguardo la Commissione Antimafia, il CSM, il ministro della Giustizia, ma anche i partiti di maggioranza e di opposizione. Perché i media, con pochissime eccezioni, ignorano il processo in corso a Palermo sulle deviazioni dei servizi e di organismi investigativi, nonché su esponenti politici che trattarono con Cosa Nostra subito dopo le stragi e forse anche prima, secondo molte fonti di pentiti ritenuti attendibili? Perché non si fa pulizia, nel governo e in parlamento, di esponenti che hanno pendenze giudiziarie e sospetti di contiguità con il sistema mafioso, fenomeno riproposto in vari casi anche per le candidature nelle prossime elezioni europee e amministrative? Cosa si attende per varare finalmente l’agenzia centrale di coordinamento dei beni sequestrati ai mafiosi e più incisive misure finanziarie e di controllo contro il riciclaggio, il movimento dei capitali di origine criminale e la loro emersione nell’economia legale, certo crescente per la crisi economica in atto in migliaia di esercizi commerciali e imprese? E come si può accettare che sulla giustizia e sull’informazione, veri pilastri della Costituzione repubblicana, continui a pesare l’impunità e l’arroganza del capo del governo, assicurata da miriadi di leggi “ad personam” e da un conflitto d’interessi mai intaccato e crescente? Dal processo All Iberian-Mills, dove Berlusconi è stato salvato solo da quel lodo Alfano da lui imposto come primo atto della nuova legislatura, fino al disegno di legge sulle intercettazioni telefoniche e ambientali, ancora controverso per i contrasti all’interno stesso della maggioranza e del governo, pesano dure minacce all’autonomia e all’operatività della magistratura inquirente e della libertà d’informazione, mentre l’Europa e il mondo guardano sconcertati e ora anche preoccupati al degrado delle leggi e dei principi etici che pervade il nostro Paese. E sono anche il mancato intervento sui veri mali della Giustizia, la spaventosa carenza di persone e di mezzi, l’insopportabile lentezza dei processi e delle cause civili, i corporativismi e le divisioni nel mondo giudiziario, fino alle responsabilità di giudici e a procedure che consentono di mettere in libertà fior di mafiosi per vergognose inadempienze di una semplice firma, a lasciare soli e traditi Falcone e Borsellino, già vittime allora delle gelosie e dei personalismi imperanti nello stesso ordine giudiziario. Come non ricordare infine, mentre tanti ministri e sottosegretari sono presenti “una tantum” con compunzione e alati discorsi commemorativi al ricordo delle vittime di quella stagione stragista, che più volte il loro leader ha rievocato il capomafia Mangano come un “eroe”, essendone evidentemente convinto o più probabilmente trovandovi una cinica opportunità di consenso elettorale in vasti territori del Meridione?
Solo le risposte ad almeno alcune di queste domande potrebbero rompere la solitudine e l’ostracismo da cui è ancora circondato il concreto impegno dei giudici assassinati, ma non certo la corona di fiori deposta da rappresentanti del governo e dello Stato che, facendo subito ritorno a Roma, continueranno ad accettare passivamente, o in alcuni casi a incoraggiare segretamente, il muro di rimozione e indifferenza che protegge l’espandersi degli interessi criminali. Lo stesso muro, oggi qua e là solo leggermente incrinato, contro il quale si batterono Giovanni Falcone e Paolo Borsellino.
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martedì, giugno 02, 2009

Missione d’inchiesta Onu sulla guerra di Gaza

Richard Goldstone, ex procuratore del Tribunale internazionale, guida il gruppo inviato ad indagare sui crimini di guerra durante la guerra del dicembre-gennaio scorso. Il rapporto definitivo atteso per i primi di agosto.

Rafah (AsiaNews/Agenzie) - È arrivata oggi a Gaza la missione d’inchiesta Onu per indagare sulle violazioni dei diritti umani durante l’offensiva israeliana a Gaza La delegazione è guidata da Richard Goldstone, ex procuratore del Tribuanale penale internazionale per l’ex-Ygoslavia ed il Ruanda, e dovrebbe rimanere nella Striscia per una settimana.

Fonti palestinesi affermano che durante l’offensiva israeliana sono state uccisi più di 1400 persone, di cui 926 civili. I 22 giorni di guerra hanno causato invece tredici morti israeliani, 10 militari e tre civili. Gerusalemme contesta le cifre dei morti palestinesi e parla di 1166 vittime di cui 295 civili.

Fawzi Barhoum, portavoce di Hamas, ha annunciato la disponibilità dell’organizzazione palestinese a collaborare con la missione Onu “affinché compia la sua missione nel modo più completo”. Egli auspica che le indagini “portino i dirigenti del nemico sionista davanti al tribunale penale internazionale”.

Israele a inizio maggio aveva annunciato l’intenzione di non collaborare con la commissione Onu dopo che il Palazzo di Vetro aveva presentato i primi risultati della commissione d’indagine secondo cui le armi israeliane erano “la causa accertata” degli attacchi ad alcune scuole, un ospedale e il quartier generale dell’Unrwa, la missione Onu nella Striscia.

Goldstone ha affermato che la missione compirà una seconda visita nella Striscia, “probabilmente verso la fine di giugno”, prima di consegnare il suo rapporto al Consiglio dei diritti dell’uomo dell’Onu entro i primi di agosto.
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martedì, giugno 02, 2009

Il mondo non dimentichi i crimini dello Sri Lanka

Seminario promosso dall’ Ecumenical Christian Forum For Human Rights sulla “situazione dei tamil in Sri Lanka”. Negli interventi dei relatori la storia della popolazione “resa minoranza nella sua stessa terra”; le condizioni drammatiche dei rifugiati nei “campi di morte”; l’appello a India, Onu e comunità internazionale.

Madurai (AsiaNews) - “C’è il serio pericolo che i crimini commessi dal governo dello Sri Lanka vengano dimenticati”. P. Jeuist Santhanam spiega così ad AsiaNews le ragioni del seminario organizzato ieri a Madurai, nello Stato indiano del Tamil Nadu, su “La situazione dei tamil in Sri Lanka”. Alla giornata di lavori, promossa dall’Ecumenical Christian Forum For Human Rights (Ecfhr), hanno partecipato oltre 300 persone. Sacerdoti e religiosi, pastori protestanti e attivisti per i diritti umani hanno discusso della situazione dei tamil dello Sri Lanka mettendo a tema la situazione attuale e le ragioni storiche delle condizioni della minoranza tamil nell’isola.

A. Mariadoss, rifugiato tamil e coordinatore del Jesuit refugee service (Jrs), ha aperto i lavori con un intervento dedicato agli ultimi decenni della storia dei tamil in Sri Lanka. Egli ha mostrato che il governo del Paese ha fatto costante uso di leggi per limitare i diritti dei tamil, rendendoli una minoranza nella loro stessa terra. Il coordinatore del Jrs ha affermato che “i leader tamil hanno dapprima scelto la strada del satyagraha e della protesta non violenta per rivendicare i loro diritti. Quando hanno compreso che non ottenevano frutti e risposte positive da parte del governo singalese, i giovani tamil hanno deciso per la lotta armata per la liberazione”.

Al professor S.V.L. Michael, docente di economia allo Xavier college di Palayamkottai nel Tamil Nadu, è stato affidato il compito di esaminare la condizione odierna dei tamil nello Sri Lanka e gli aspetti politici dell’attuale situazione. Michael ha affermato che diversi Paesi vogliono estendere la loro sfera di influenza e questo avviene a spese dei tamil. Egli ha criticato anche i diversi atteggiamenti assunti dal governo indiano verso i loro problemi. Molta attenzione è stata dedicata alle condizioni attuali dei rifugiati. Michael ha affermato che i cosiddetti ‘campi speciali’ in verità sono ‘campi di morte’ dove manca cibo, acqua, vestiti e privacy. E li ha paragonati ai campi di concentramento di Hitler. I più provati sarbbero i giovani che ogni giorno vengono passati in rassegna per l’identificazione. Il professor Michael ha affermato che se vengono segnalati come membri delle Tigri sono portati via dai campi e torturati.

Al termine del seminario, il gesuita p. Jebamalai Raja, moderatore dell’incontro ha annunciato che l’Ecumenical Christian Forum For Human Rights continuerà le manifestazioni a favore dei tamil dello Sri Lanka e le iniziative per premere sul governo indiano, la comunità internazionale e l’Onu affinché intervengano per proteggere la minoranza da nuove violenze.
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martedì, giugno 02, 2009

Marta Sordi, i Cristiani e l'Impero Romano

Recensione del nostro redattore Carlo Mafera

Marta Sordi, ordinario di Storia Antica presso l’Università Cattolica di Milano, non è certamente una storica che ama cavalcare le generalizzazioni. Nell’introduzione al suo libro, I cristiani e l’impero, esordisce dicendo subito che la persecuzione dei cristiani dei primi tre secoli non fu un fenomeno che ebbe una forte continuità e nello stesso tempo non fu dai contorni marginali, come da qualche parte viene affermato. La visione storiografica del rapporto tra cristianesimo e stato ha risentito purtroppo di un approccio sbagliato dovuto alla connotazione negativa che le ideologie del nostro tempo hanno dato al concetto di potere. Infatti tali ideologie hanno identificato nell’imperialismo romano “un’incarnazione particolarmente maligna” del potere stesso. Partendo da questi presupposti è stata falsificata completamente la vicenda delle persecuzioni riducendola ad uno scontro di classi: quella subalterna rappresentata dal cristianesimo e quella invece incarnata dalle istituzioni romane.

Forte di ottime documentazioni, l’autore smaschera questo pensiero ideologico, dimostrando che il conflitto ebbe motivazioni soprattutto religiose ed etiche, e la sfera politica ebbe un ruolo marginale e solo relativamente alla vicenda dell’eresia montanista che diffuse tra i cristiani, per un breve periodo, l’idea di rifiuto dello stato. Secondo Marta Sordi, l’atteggiamento delle istituzioni romane non fu mai di condanna del cristianesimo, a cominciare già dal primo episodio, quello cioè relativo al processo di Gesù, dove l’autorità romana sostanzialmente si piegò alle pressioni del sinedrio. Anzi, l’autore sottolinea la diffusa tolleranza verso il cristianesimo nei primi anni di espansione della nuova religione, riportando una notizia di Tertulliano che, nell’Apologetico, descrive l’iniziativa dell’imperatore Tiberio: la presentazione al Senato - che aveva il compito di accettare o respingere culti nuovi - di una proposta volta a ottenere il riconoscimento di Cristo come Dio. Ma all’intervento imperiale venne opposto un netto rifiuto e il cristianesimo venne considerato come superstitio illicita. Tale senatoconsulto rese legalmente possibile la persecuzione vanificando il tentativo dell’imperatore Tiberio di pacificare la Giudea, sottraendola al controllo del sinedrio.”Io credo, scrive Marta Sordi, che l’episodio riferito da Tertulliano sia storico. Non ho intenzione qui di ripetere tutte le argomentazioni che ho svolto altrove e che non possono essere respinte, a mio avviso, con giudizi o battute che non hanno niente a che fare con un corretto metodo storico…”(pag. 27).

La persecuzione vera e propria cominciò dopo il 62 d.c. e il primo fu l’imperatore Nerone, che applicò fedelmente il senatoconsulto riguardante il cristianesimo superstitio illicita. I cristiani erano accusati di empietà e di mancanza di lealismo nei confronti dello stato, infatti, come dice Marta Sordi a pag. 69 della recente edizione riveduta e aggiornata del 2004, ”Non si deve però dimenticare che Svetonio sa che i cristiani furono incriminati da Nerone non per l’incendio ma perché seguaci di una superstitio nova et malefica (pag.69). Ma a tale empietà non corrispondeva l’idea che il cristiano fosse un sovversivo e quindi pericoloso per le istituzioni. Soltanto durante il governo dell’imperatore Marco Aurelio si diffuse l’eresia montanista, che predicava il rifiuto dello Stato, difficilmente riconoscibile dalla maggioranza dei pagani come la vera dottrina cristiana. Ci fu però un pronto e decisivo intervento apologetico da parte degli scrittori cristiani che svolsero il duro compito di fugare ogni equivoco circa la dottrina di Cristo in merito al rapporto con lo stato, che peraltro fu sempre improntato al rispetto e mai al rifiuto.

Le persecuzioni erano altresì mitigate da un altro senatoconsulto (Non licet esse christianos), per il quale l’essere cristiani era solo una colpa individuale di tipo religioso, non riconoscendo la Chiesa come istituzione e di conseguenza non imputando ai cristiani il reato di collegium illicitum, vietando contemporaneamente la ricerca di ufficio. I cristiani potevano essere perseguiti solo attraverso denunce non anonime di privati cittadini incoraggiando così la loro clandestinità. Emerge chiaramente, nella storia delle persecuzioni, il ruolo decisivo delle masse sobillate e istigate da minoranze pagane e giudaiche intransigenti.
Dopo l’apologia cristiana di Atenagora, Melitone e Apollinare, che presero le distanze dall’eresia montanista, sotto l’imperatore Marco Aurelio troviamo il tentativo, operato da quest’ultimo, di cercare una soluzione allo stato di clandestinità in cui erano costretti i cristiani, chiedendo loro di manifestare esplicitamente un lealismo e una collaborazione nei confronti dello stato romano.

Pur rimanendo una superstitio illicita, i cristiani non venivano ricercati in quanto tali e la denuncia del privato cittadino metteva a morte sia il cristiano che l’accusatore. La Chiesa così poté uscire dalla clandestinità e gli aristocratici cristiani poterono rivestire cariche pubbliche. Infatti sotto Comodo, e poi sotto i Severi, la Chiesa poté rivendicare la proprietà dei luoghi di culto, di riunione e dei cimiteri, pur restando ancora presenti delle persecuzioni locali da parte dei governatori sobillati dalle masse. Sotto Settimio Severo, i collegia religionis causa non hanno più bisogno di riconoscimenti ufficiali, permettendo così alla chiesa di esercitare pacificamente la le sue attività. “Alla radice di questo nuovo atteggiamento dello stato, che conosce ormai la gerarchia ecclesiastica e tratta, spesso amichevolmente, con essa pur continuando a ignorarne formalmente l’esistenza, c’è la volontà, che abbiamo colto attraverso Celso in Marco Aurelio, di assicurare all’impero la collaborazione della forte minoranza cristiana e di integrare i Cristiani nella vita pubblica: Celso aveva esortato i Cristiani a partecipare alle spedizioni dell’imperatore e ad assumersi le cariche pubbliche, ed aveva promesso, in cambio di questo, la tolleranza.”(pag.115)

Oramai c’era verso il cristianesimo non solo tolleranza, ma addirittura ammirazione, come nel caso della scuola catechetica di Alessandria, la prima - per così dire - università cristiana, e agli imperatori si dedicarono non più semplici apologie ma veri e propri trattati di teologia. Tutto ciò dimostra che l’integrazione dei cristiani con l’impero era decollata e si presume che l’imperatore Filippo l’arabo sia stato il primo imperatore cristiano. Tuttavia, con Decio (249-251) si verifica una reazione, che impone a tutti i cittadini dell’impero il sacrificio agli dei e il ritiro di un libello attestante l’avvenuto sacrificio. Ciò provocò il fenomeno dei lapsi, ossia dei cristiani che abiurarono la loro fede, sotto la pressione delle persecuzioni. Ma spesso questi chiesero in seguito di essere riammessi nella chiesa, che così dimostra di essere forte e vitale rivelando nello stesso tempo la debolezza della persecuzione individuale.

Con Valeriano (253-260) si comincia per la prima volta a colpire non il singolo cristiano ma la chiesa come istituzione. Si scatena così una feroce persecuzione con una serie di editti contro i membri del clero e i laici delle classi dirigenti e di confisca dei luoghi di culto e di sepoltura.”Egli colpisce i Cristiani delle classi dirigenti, perché, diversamente dai suoi predecessori, non vuole l’integrazione politica dei cristiani nello stato romano” (pag.155). Ma, a testimonianza della varietà e alternanza del fenomeno “persecuzione”, il figlio Gallieno nel 260 d.c. ristabilì la pace dell’impero, emanando un editto di tolleranza. Con Gallieno la religione cristiana diventa finalmente licita e i beni ecclesiastici confiscati vennero restituiti alla Chiesa. Anche i cristiani della classe dirigente che erano impegnati nella vita pubblica furono esonerati dal dovere del sacrificio agli dei. All’editto di Gallieno seguirono 40 anni di pace, interrotti però dalla sanguinosa persecuzione di Diocleziano (303 d.C.).

Arriviamo finalmente alla conclusione di questo travagliato fenomeno storico con un epilogo molto significativo e cioè la conversione di Costantino dalla quale poi scaturì il cosiddetto editto di Milano. Emerge chiaramente da tutto questo racconto che il Cristianesimo ebbe quasi sempre un ruolo di lealismo nei confronti dell’impero romano, fondato non solo sugli scritti degli apologeti cristiani ma ancor prima sulle sacre scritture e in particolare sulle lettere apostoliche, come nel cap. 13 della lettera ai romani e nella prima di Pietro. Anzi la dottrina cristiana supportò e diede slancio all’idea ecumenica di Roma già prefigurata da Seneca, portatrice di quella pax romana, sintesi di diritto e di ordine civile, fondata sul superamento delle differenze etniche fra i popoli e sulla ricomposizione delle autonomie fra greco e barbaro. Merito di Costantino fu quello di intuire la forza e la verità della dottrina cristiana; lui cercò in tutti i modi di dare una svolta in senso decisamente cristiano all’impero, in modo da poter realizzare meglio gli ideali della suddetta pax romana.

Secondo gli ultimi studi storici, sembra che la conversione di Costantino fu vera e autentica e non dettata da opportunismo. La questione costantiniana fu sollevata dallo storico Gregoire che sosteneva che la svolta del 312/313 non fu opera di Costantino ma di Massenzio e di Licinio e che la sua presunta conversione fu semplicemente un’invenzione degli scrittori cristiani Lattanzio ed Eusebio accettata solo per opportunismo dall’imperatore negli anni dello scontro con Licinio. Lo stesso Gregoire sosteneva che il segno da lui adottato era un simbolo solare e non cristiano e che rimase un adoratore del Sole per molto tempo ancora.

Ma la storiografia più recente, afferma Marta Sordi, è arrivata a diverse conclusioni, verificando che nel 312, durante la campagna contro Massenzio, qualcosa di eccezionale era avvenuto nella religiosità di Costantino e che egli aveva abbandonato il paganesimo tradizionale, mostrando anzi un fastidio così aperto verso gli dei che il retore evita di nominarli in sua presenza, ed era passato ad un misterioso Dio Supremo, creatore e provvidente, nel quale si poteva in qualche modo riconoscere il “summus deus” dei filosofi e della religione solare, ma che non poteva essere identificata semplicemente con quello.

Nell’incontro di Milano del 312, Costantino e Licinio dovevano risolvere i massimi problemi politici dell’impero e in particolare quelli relativi alla divinitatis reverentia. Infatti nella tradizione romana c’era sempre stata la pax deorum, ossia l’alleanza con la divinità che doveva essere placata e propizia, a favore sia dell’imperatore che dei sudditi. La caratteristica di Costantino fu quella di capovolgere il rapporto tra l’imperatore e la religione. Mentre nel precedente editto di Serdica la tolleranza veniva presentata come un perdono concesso dalla clemenza imperiale verso un errore, nell’editto di Milano sono proprio gli imperatori che chiedono l’alleanza alla divinità e quindi concedono ai cristiani e a tutti la libertà di seguire la religione che vogliono.

Nell’editto i cristiani vengono nominati per primi, differenziandoli dagli altri. Ciò preparò la strada per togliere al paganesimo il carattere di religione di Stato e nello stesso tempo costituì un’implicita proclamazione del Cristianesimo come religione dell’impero che ebbe la sua esplicita consacrazione con Teodosio.”Nella politica verso Dio di Costantino, che dal suo Dio aspettava più la salvezza dell’impero che la salvezza dell’anima, l’accordo di Milano - afferma Marta Sordi a pag. 182-183 - era soltanto una fase interlocutoria, la ricerca di una possibilità di coesistenza col collega pagano, in attesa che i rapporti di forza, evolvendosi, permettessero a lui di essere l’unico imperatore e alla religione da lui scelta la religione ufficiale di Roma.”

La svolta costantiniana e in particolare la scelta del simbolo cristiano (la croce) potrebbe apparire incomprensibile alla luce del fatto che l’esercito delle Gallie che Costantino comandava contro Massenzio era in gran parte pagano. La scelta quindi fu religiosa; infatti, secondo quanto racconta lo scrittore cristiano Eusebio, Costantino era preoccupato delle arti magiche utilizzate dall’avversario Massenzio e cercava quindi un dio che lo aiutasse a sconfiggerlo. Era ormai consapevole che gli dei, Giove ed Ercole, non erano stati capaci di aiutare i suoi predecessori, Galerio e Severo, e che solo suo padre, Costanzo Cloro, che aveva onorato il dio sommo, fu da quello aiutato.

Costantino allora invocò il dio di suo padre chiedendogli di rivelare il suo nome e di stendergli la sua destra: fu allora che egli vide nel cielo, al di sopra del sole, un trofeo della croce fatto di luce con la scritta: In hoc signo vinces (Con questo segno vincerai). Nel racconto scritto da Eusebio emerge la sincerità di Costantino nell’ammettere che fino al 312 egli era un adoratore del Sole, come suo padre, ma di aver avuto poi un desiderio di una religiosità più profonda e completa rispetto a quella precedente che peraltro non rinnegò come falsa. Il dato di fatto è che il “dio dai molti nomi” gli si era finalmente rivelato sotto il nome e il simbolo di Cristo, sovrapponendosi alla precedente credenza nel dio Sole, senza azzerarla, e ciò spiega perché i simboli solari siano presenti nelle monete di Costantino ancora per qualche anno.

Ma c’è da dire che l’avvento del cristianesimo nel mondo romano corrisponde ad esigenze non solo politiche ma più profondamente culturali e antropologiche. Infatti come l’autore mette in evidenza, “L’anima di Virgilio come quella di Catullo, interpreti sensibilissimi, con la lungimiranza dei poeti, dell’angoscia esistenziale dell’ultima repubblica, è tutta protesa in questa appassionata invocazione di una salvezza divina, che non è risolvibile, né poté essere integralmente risolta, con la fine imposta da Augusto alle guerre civili né con la pace riportata dal principato nell’impero romano: l’ansia di un rapporto nuovo con la divinità… e il bisogno profondo di liberazione, non solo dalle fatiche e dalle difficoltà del vivere, ma dall’angoscia del peccato e della morte, confluiscono in questa invocazione al Dio presente, al Dio che visita l’uomo e lo rende degno della comunione con sé… Il Cristianesimo rispose - nella pienezza dei tempi - a questa domanda appassionata e conquistò il mondo antico.”(pag. 193).
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martedì, giugno 02, 2009

Tragedia aerea, la Farnesina: «A bordo 10 italiani»

Sarkozy: «Al momento non sappiamo cosa è accaduto». Il velivolo, con 228 persone, era decollato da Rio de Janeiro ed era diretto a Parigi.

Parigi - Una «catastrofe» sull'Oceano. Un Airbus 330-200 della compagnia di bandiera francese Air France decollato alle 19 di domenica dall'aeroporto brasiliano di Rio de Janeiro e diretto a quello di Parigi «Charles-de-Gaulle» è scomparso dagli schermi radar alle 3.30, ora italiana, mentre era in volo sull'Oceano Atlantico. L'aereo, con 228 persone a bordo (tra le quali 10 italiani) doveva arrivare alle 11.10 nella capitale francese. Secondo il presidente francese, Nicolas Sarkozy, al momento non si hanno elementi precisi per ricostruire ciò che è accaduto. «Le probabilità di trovare superstiti - ha aggiunto - sono minime». Il direttore generale della compagnia francese, Pierre-Henry Courgeon, ha riferito che la zona della tragedia è stata localizzata, con approssimazione di «qualche decina» di miglia nautiche. La «catastrofe - ha detto Gourgeon - si è prodotta a metà strada fra le coste brasiliane e quelle africane e la zona interessata è circoscritta con approssimazione di qualche decina di miglia nautiche». L'aereo, ha confermato Gourgeon, «è equipaggiato con scatole nere Argos che possono emettere segnali per diversi giorni e consentire il reperimento». La base delle ricerche avviate dalle autorità brasiliane è stata fissata nell'isola di Fernando di Noronha, ma, secondo informazioni riportate dal giornale O'Globo, si teme che l'aereo possa essere scomparso a 700 chilometri dalla costa, dove l'oceano raggiunge circa 4000 metri di profondità.

ALMENO 10 ITALIANI - Il volo AF 447 aveva a bordo 228 persone tra passeggeri e membri dell'equipaggio. Dieci di loro erano italiani. Lo ha detto al Tg1 il capo dell'Unità di crisi della Farnesina, Fabrizio Romano, secondo cui «le autorità francesi hanno consegnato al nostro consolato a Parigi la lista passeggeri e in questa lista figurano dieci cittadini italiani». Tra loro ci sono tre cittadini trentini, ma sull'identità e sulla provenienza degli altri passeggeri la Farnesina mantiene «la linea di non fornire informazioni». I trentini a bordo facevano parte di una delegazione che si era recata in Sud America in visita a strutture dell'emigrazione trentina. La conferma è stata data dal presidente della Trentini del Mondo, Alberto Tafner: i tre italiani che si erano imbarcati sull'Airbus Air France sono il consigliere regionale Giovanni Battista Lenzi, il sindaco di Canal San Bovo, Luigi Zortea, e il direttore dell'associazione trentini nel mondo, Rino Zandonai. I connazionali trentini erano andati in Brasile per una serie di appuntamenti come «l'inaugurazione di una piscina realizzata dall'associazione per i bambini con problemi di handicap». La delegazione, ha riferito Tafner, aveva portato a Rio de Janeiro «le sovvenzioni raccolte per la disastrosa alluvione che c'era stata qualche mese fa proprio in quella zona del Brasile: in tutto, circa 22mila euro destinati alla costruzione di una scuola».

DIRIGENTI THYSSENKRUPP E MICHELIN - In totale, tra i passeggeri dell'Airbus figurano 126 uomini, 82 donne, 7 bambini e un neonato. Un portavoce dell'Air France a Rio De Janeiro ha reso note le nazionalità: 80 brasiliani, 73 francesi, 18 tedeschi, sei statunitensi, cinque cinesi, quattro ungheresi, due spagnoli, due britannici, due marocchini e due irlandesi. I rimanenti passeggeri appartengono, uno per paese, alle seguenti nazioni: Angola, Argentina, Belgio, Islanda, Norvegia, Polonia, Romania, Russia, Slovacchia, Svezia, Turchia, Filippine e Svizzera. Fra i passeggeri c'erano anche alcuni vertici della ThyssenKrupp e della Michelin. Secondo fonti del gruppo tedesco, infatti, era in viaggio verso Parigi il presidente della Companhia Siderurgica do Atlantico membro del board di ThyssenKrupp, Erich Heine. Il gruppo francese Michelin invece fa sapere che erano a bordo dell'Airbus il presidente della filiale del Sud America, Luiz Roberto Anastacio, il direttore esecutivo, Antonio Gueiros, e uno dei direttori del gruppo in Francia Christine Pieraerts.

FORTE TURBOLENZA - L'Air France di Rio ha escluso per il momento la possibilità di un cortocircuito dopo che invece la stessa compagnia aerea aveva fatto riferimento alla possibilità che un fulmine, in condizioni di turbolenza, avesse generato un'avaria. Resta comunque il 'giallo' sulle cause della scomparsa: a marzo l'aereo era rimasto bloccato per diversi giorni a Bangalore per un guasto, ma poi aveva regolarmente passato la revisione in aprile e anche in caso di avaria a un motore era in grado di continuare a volare. È comunque strano che dopo il segnale automatico di avaria l'aereo non abbia più comunicato nulla e, uscito dalla copertura radar brasiliana, non sia entrato in quella del Senegal o del Marocco. Inoltre anche in caso di guasto a un motore l'A330 può continuare a volare e i piloti sono preparati per l'eventualità di un ammaraggio. Infine l'aereo non era vecchio: entrato in servizio nel 2005 e aveva 18.870 ore di volo.

NON ERA IN CODE-SHARING CON ALITALIA - Il volo non era in code sharing con Alitalia, secondo quanto si è appreso da fonti aeronautiche italiane. Anche Alitalia, peraltro - così come altre compagnie europee - è stata allertata per prestare supporto ad Air France.

SARKOZY - Il presidente francese, Sarkozy, ha chiesto al governo e alle amministrazioni interessate di «fare ogni sforzo per rintracciare l'aereo». «Informato questa mattina della perdita di ogni contatto con un airbus A330 di Air France, che effettuava il collegamento tra Rio de Janeiro e Parigi Charles de Gaulle, il Presidente della Repubblica ha espresso viva preoccupazione e ha chiesto al governo e alle amministrazioni interessate di fare ogni sforzo per rintracciare l’aereo e fare luce, il più rapidamente possibile, sulle circostanze della sua scomparsa», si legge in una nota diffusa dall’Eliseo. La Francia ha chiesto al Pentagono l'assistenza dei satelliti militari di osservazione e di ascolto statunitensi per cercare di localizzare l’Airbus A300: lo hanno reso noto fonti del Ministero della Difesa francese.
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martedì, giugno 02, 2009

Amazzonia, che macello!

Un paio di scarpe Geox, Adidas, Timberland o Clarks, un divano di pelle Chateaux d’ax o Ikea, un piatto di carne Simmenthal o Montana possono avere un’impronta devastante sull’ultimo polmone del mondo. Dopo tre anni di indagine, oggi pubblichiamo l’inchiesta scandalo “Amazzonia, che macello!”.

GreenPeace - Abbiamo scoperto che la foresta amazzonica viene distrutta per far spazio agli allevamenti illegali di bovini. E la carne e la pelle che ne derivano contaminano le filiere internazionali dell’alimentare, dell’arredamento, della moda e delle scarpe. Le prove raccolte dimostrano, infatti, che i giganti del mercato della carne e della pelle brasiliani - Bertin, JBS, Marfrig - vengono regolarmente riforniti da allevamenti che hanno tagliato a raso la foresta ben oltre i limiti consentiti dalla legge. Le materie prime, frutto di crimini forestali, ‘sporcano’ le filiere produttive di tantissimi marchi globali e distributori. Tra questi: Adidas, BMW, Geox, Chateau d’Ax, Carrefour, EuroStar, Ford, Honda, Gucci, Ikea, Kraft, Cremonini, Nike, Tesco, Toyota, Wal-Mart.

A livello globale la deforestazione determina il 20 per cento delle emissioni di gas serra. Il Brasile è il quarto più grande emettitore di gas serra a livello globale (dopo Usa, Cina e Indonesia). Il governo brasiliano è a tutti gli effetti un socio in affari della distruzione della foresta: per promuovere la crescita della produzione di carne e pelle sta investendo per sviluppare ogni singola parte della filiera della carne e delle pelle nel Paese.

Mentre voi leggete queste righe, gli allevamenti bovini continuano a distruggere un ettaro di Amazzonia ogni 18 secondi. Non è tutto. I dati a nostra disposizione rivelano che alcune delle fattorie che riforniscono Bertin, JBS e Marfrig utilizzano forme illegali di lavoro schiavile e occupazione di riserve indigene. In Brasile, nel 2008, ben 3005 nuovi schiavi sono stati liberati da decine di aziende zootecniche. Il 99 per cento di questi erano tenuti prigionieri in Amazzonia.

È il tempo del coraggio e della responsabilità per i governi e per le aziende che stanno dietro ai marchi globali se vogliamo vincere la sfida del cambiamento climatico. Per produrre una paio di scarpe sportive, invece, rischiamo di deforestare illegalmente, promuovere forme di nuova schiavitù e accelerare il cambiamento climatico.
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martedì, giugno 02, 2009

Dialogo tra i cristian ie il contributo della Chiesa alla società

Questi i temi centrali dell'udienza del Papa al presidente ucraino Yushenko

RadioVaticana - Benedetto XVI ha ricevuto questa mattina in udienza il presidente dell’Ucraina, Viktor Yushenko, con la consorte e il seguito. Nel corso dei cordiali colloqui – si legge nel comunicato della Sala Stampa della Santa Sede - ci si è soffermati sulla situazione internazionale. A livello bilaterale sono stati ricordati i buoni rapporti esistenti tra l’Ucraina e la Santa Sede e “alcune prospettive di approfondimento della collaborazione in ambito culturale e sociale”. Esprimendo la volontà di trovare soluzioni eque alle questioni ancora aperte tra lo Stato e la Chiesa, sottolinea la nota, non si è mancato inoltre di rilevare il contributo offerto “anche dalla Chiesa cattolica alla società ucraina per l’educazione ai valori cristiani e alla loro diffusione”. E’ stata infine ribadita "l’importanza del dialogo tra i cristiani per promuovere l’unità nel rispetto di tutti".

Successivamente, il presidente Yushenko, accompagnato dal ministro degli Affari Esteri ad interim, Volodymyr Khandogiy, ha incontrato il cardinale segretario di Stato Tarcisio Bertone e mons. Dominique Mamberti, segretario vaticano per i Rapporti con gli Stati.
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lunedì, giugno 01, 2009

Ciclone Aila: in Bangladesh si profila un disastro umanitario

Oltre 500mila sfollati, in gran parte per strada o in barche. Mancano cibo e medicine e le fonti d’acqua sono contaminate. Si diffonde la diarrea, che minaccia di diventare una vera epidemia.

Dhaka (AsiaNews) – Si aggrava la situazione di circa 500mila vittime del ciclone Alia in Bangladesh, ancora non raggiunte dai soccorsi e prive di riparo, cibo e acqua potabile. Cresce a 168 il numero ufficiale di morti, ma fonti ufficiose parlano di oltre 200. Ora il pericolo sono le malattie infettive, che hanno già colpito migliaia di profughi. Migliaia di abitanti dei villaggi nelle province meridionali di Bagerhat, Satkhira, Khulna, Bhola e Noakhali sono privi di cibo e acqua potabile. Secondo dati ufficiosi, nella regione ci sono già almeno 2mila casi di diarrea per la scarsità di acqua potabile (le fonti sono contaminate) e le cattive condizioni igieniche. Le autorità sanitarie parlano di circa un milione di persone colpite.

Kazi Atiur Rahman, ufficiale del subditretto di Dakop, parla di 4mila persone affette da diarrea nella zona di Kamarkhola, Sutarkhali, Tildanga e Banishanta.

Ci sono già 8 morti ufficiali per diarrea nel solo Patuakhali, ma il timore è che scoppi una vera epidemia.

Oltre alle decine di migliaia di abitazioni distrutte, molte altre sono danneggiate e di fatto inabitabili. Secondo Abdur Razzak, ministro bengalese per il Cibo e la gestione dell’emergenza, più di 500mila persone sono senzatetto. Parte di loro hanno trovato rifugio negli appositi centri di accoglienza, ma molti di più ora vivono lungo le strade, presso le dighe, dentro barche.

di William Gomes
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lunedì, giugno 01, 2009

I Paesi asiatici parlano di pace, ma corrono ad armarsi

Si è conclusa ieri l’8° Conferenza sulla Sicurezza in Asia. Tutti gli Stati hanno insistito sulla necessità della pace. Eppure tutti dicono che, per meglio difendersi, vogliono comprare più armi. La Cina all’avanguardia nella corsa agli armamenti.

Singapore (AsiaNews/Agenzie) – Si è conclusa ieri a Singapore l’annuale Conferenza sulla Sicurezza in Asia, con i delegati dei diversi Stati che nel dibattito hanno insistito sull’importanza della pace, mentre nei corridoi dell’hotel di lusso hanno discusso accordi per la vendita di armi. Molti Stati asiatici guardano con preoccupazione alle mosse dei Paesi confinanti e vogliono migliorare le proprie difese. Il ministro giapponese della Difesa ha detto che Tokyo è preoccupata per i recenti test nucleari della Corea del Nord e vuole rinforzare la propria forza aerea con il jet da combattimento F-22.

Rohitha Bogollagama, ministro cingalese della Difesa, il cui governo di recente ha posto fine con la forza delle armi a oltre 20 anni di ribellione Tamil, non ha negato ai cronisti che il suo Paese voglia pure potenziare gli armamenti.

La Cina nel 2009 ha aumentato del 15% la spesa per le armi ed è all’avanguardia nella corsa agli armamenti, anche se ripete che il suo esercito ha solo fini difensivi e vuole assicurare la stabilità della regione.

L’India progetta di spendere oltre 30 miliardi di dollari in 5 anni per modernizzare le forze militari, risalenti in gran parte all’era sovietica.

Il ministro indonesiano alla Difesa ha annunciato il progetto di portare le spese militari dall’attuale 0,68% del Prodotto interno lordo all’1,2% entro 5 anni e di acquistare aerei jet e sottomarini.

Alla Conferenza erano presenti alti dirigenti di ditte come la Boeing, 2° fornitore di armamenti al Pentagono Usa, che cerca nuovi mercati dopo che il governo del neo presidente Barack Obama ha annunciato tagli alle spese militari. Jim Albaugh della Boeing ha spiegato che è in aumento la domanda in Asia per mezzi navali e aerei, ritenuti necessari per difendere i propri commerci e il territorio.

Jonathan Pollack, docente di Studi su Asia e Pacifico al Naval War College degli Stati Uniti, ha detto che “per i venditori di forniture per la difesa è qui possibile instaurare una serie di contatti”.

Tim Huxley, direttore esecutivo dell’Istituto internazionale per gli studi strategici, ha osservato che “tutti i presenti sono attenti a guardarsi alle spalle”.

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lunedì, giugno 01, 2009

Omelia per la veglia di Pentecoste al Capitolo generale ofm

Con stupore siamo entrati in questa celebrazione, supplicando con forza : " Veni Creator Spiritus". È la Pentecoste! Oggi celebriamo la discesa dello Spirito vivificante, oggi lo Spirito Santo è effuso su tutta la terra, su ogni uomo.

Ofm.org - In questa santa notte, come abbiamo pregato all'inizio della Veglia: " si rinnova il prodigio della Pentecoste". Eccoci allora a celebrare il mistero nella contemplazione della luce, nell'ascolto della Parola, nella silenziosa adorazione eucaristica, compiendo tutto questo insieme con Maria, la Vergine degli Angeli, la Sposa dello Spirito Santo, colei che ancora una volta accompagna i discepoli del suo Figlio e prega insieme con loro in ardente attesa del dono dello Spirito.

Abbiamo iniziato la nostra celebrazione con il simbolo della luce cantando. " Accende lumen sensibus, infonde amorem cordibus". Nella sacre Scritture lo Spirito Santo non proclama mai il proprio nome, ma sempre quello del Padre o del Figlio. Non ci insegna a dire: Ruach, che è il suo nome, ma Abbà, cioè Padre, e Maranatha. Cioè Signore Gesù! Lo Spirito si rivela rivelando altre persone. Sconosciuto, egli è colui che fa conoscere ogni cosa. Lo Spirito Santo dunque è luce; luce nel senso che illumina le cose, rimanendo essa stessa nascosta. Ma è proprio così facendo che egli si dà a conoscere per quello che è.

San Basilio Magno lo spiega in base alla profonda osservazione che ciò che è causa del vedere, è visto insieme a ciò che si vede. Mostrandoci il Figlio - che è l'immagine di Dio e lo splendore della sua gloria - il Paraclito rivela se stesso ( Basilio Magno, Sullo Spirito Santo, XVI 64 PG 32,185 ). L'illuminazione dello Spirito allora ci permette, anche questa sera di fare esperienza viva di Cristo, luce da luce, splendore della gloria del Padre ( cf. preghiera iniziale ), e di accogliere insieme al Padre e al Figlio il medesimo e vivificante Spirito. L'illuminazione dello Spirito ci permette dunque di fare esperienza viva del Dio Uno e Trino.

Ed è sotto questa luce che noi abbiamo ascoltato e accolto nel rendimento di grazie la Parola di Dio che abbiamo proclamato. Una parola che illumina ancora una volta la nostra vita e ci aiuta ad entrare nella profondità del mistero che con tutta la Chiesa celebriamo, facendoci comprendere che cosa lo Spirito Santo opera nella vita del mondo e dei credenti. Ripercorriamo brevemente i testi proclamati.
Il giorno di Babele segnò per gli uomini la sciagura della divisione per incomunicabilità Il giorno di Pentecoste restaura la gioiosa possibilità del dialogo ritrovato per la potenza redentrice del sacrificio di Gesù. Egli morì non per una nazione, ma per radunare tutti i figli di Dio dispersi. Così, come abbiamo pregato, la terra può diventare una solo famiglia e ogni lingua può proclamare che Gesù è il Signore ( cf. orazione alla prima lettura ). Accogliendo il dono dello Spirito siamo dunque chiamati a diventare strumenti e segni di unità.

Ai piedi del Sinai, Dio si sceglie un popolo. Egli fa sempre le sue scelte. Ha preferito i poveri per parlare del suo amore; ha scelto dei discepoli per farli testimoni della risurrezione. Ma, a sua volta, anche l'eletto da Dio è costretto a fare delle scelte: gli avvenimenti di cui è testimone non sono semplici fatti di cronaca: lo impegnano direttamente. Chi è stato liberato, si sente chiamato a sua volta a un'opera di liberazione. Il fuoco del Sinai è lo stesso fuoco del Cenacolo. Nasce un nuovo popolo chiamato a far conoscere la salvezza e la liberazione che Cristo ha portato. Ecco chi diventiamo accogliendo il dono dello Spirito.

Lo Spirito che noi invochiamo, perché scenda ancora abbondante su tutti noi, è lo Spirito del Signore che dona vita. La visione di Ezechiele è molto eloquente a tal proposito. Il deserto delle ossa aride e secche, vivificate dalla Parola di Dio e dallo Spirito, diventa il simbolo di Israele senza speranza, a cui Dio promette sopravvivenza e liberazione. La vita nuova che lo Spirito Santo dona continuamente alla sua Chiesa è la continua risurrezione che trasforma la nostra vita e ci rende capaci di speranza dentro le diverse situazione di morte.

A Gerusalemme il giorno di Pentecoste i discepoli annunziavano in varie lingue le grandi opere di Dio e tutti comprendevano il messaggio di salvezza. Si compiva quello che il profeta Gioele predisse: un popolo intero è capace di profetizzare. Lo Spirito ci rende testimoni e profeti.
Ecco cosa compie in noi lo Spirito Santo, portando a compimento tutta la storia della salvezza. Lo Spirito Santo, come afferma la quarta preghiera eucaristica, è infatti colui che ci aiuta a non vivere più per noi stessi e a perfezione l'opera di Dio nel mondo compiendo ogni santificazione. L'apostolo Paolo ci ha ricordato poi che lo Spirito viene in aiuto alla nostra debolezza. È lui che prega in noi, è lui che ci fa comprendere i misteri del regno di Dio, è lui che ci fa entrare nell'intimità di Dio.

Raccogliamo il grido di Gesù che forte risuona questa sera anche per noi: " Chi ha sete venga a me e beva, chi crede in me. Come dice la Scrittura: dal suo seno sgorgheranno fiumi d'acqua viva". È il richiamo a dissetarci a quell'acqua zampillante che è lo Spirito Santo, dono del Cristo Risorto. È in Cristo che la nostra vita ha senso e chi fa esperienza dello Spirito, cioè di quest'acqua viva, di questa sorgente che zampilla per la vita eterna, incontra il Cristo ed è anche chiamato a far conoscre agli altri, che solo Cristo è l'amore gratuito, che sazia il cuore dell'uomo. Quando nel cuore dell'uomo alberga lo Spirito Santo, quando egli prende dimora dentro di noi, la vita cambia. Cambia la nostra mentalità, il nostro modo di pensare ed agire: non viviamo più per noi stessi, ma viviamo nel dono e nel perdono. Viviamo da Risorti. Così la Pasqua si compie nella nostra vita e non solo nel tempo liturgico.

Attuali più che mai mi sembrano le parole di papa Paolo VI che in una udienza del 29 novembre 1972 diceva: " Quale bisogno avvertiamo, primo e ultimo, per questa nostra Chiesa benedetta, quale?", E potremmo aggiungere noi frati minori qui radunati alla Porziuncola per il Capitolo generale, " Quale bisogno avvertiamo per la nostra fraternità universale?". Paolo VI rispondeva e diceva anche per noi: " Avvertiamo il bisogno dello Spirito, lo Spirito Santo, animatore e santificatore della Chiesa, suo respiro divino, il vento delle sue vele, suo principio unificatore, sua sorgente interiore di luce e di forza, suo sostegno e sua consolatore, sua sorgente di carismi e di canti, sua pace e suo gaudio….La Chiesa ha bisogno della sua perenne Pentecoste; ha bisogno di fuoco nel cuore, di parola sulle labbra, di profezia nello sguardo…..Ha bisogno la Chiesa di sentir fluire per tutte le sue umane facoltà l'onda dell'amore, di quell'amore che si chiama carità, e che appunto è diffusa nei nostri cuori proprio dallo Spirito Santo".

Forse è proprio per questo che Francesco voleva che i suoi frati si radunassero a Capitolo nel tempo di Pentecoste. Forse è proprio questo che intendeva quando affermava che il ministro generale dell'Ordine è lo Spirito Santo. Forse è proprio questo che voleva e vuole dai suoi frati e cioè che " facciano attenzione che sopra ogni cosa devono desiderare di avere lo Spirito del Signore e la sua santa operazione" ( Rb X, 8 ).
Alla vergine Maria che Francesco invoca e saluta con i titoli di " Figlia e ancella dell'altissimo sommo Re, il Padre celeste, madre del santissimo Signore nostro Gesù Cristo, sposa dello Spirito Santo" ( Antifona UffPass 2 ) affidiamo la nostra vita e la comprensione di quanto lo Spirito dice oggi alla sua Chiesa, a tutto il nostro Ordine e a ciascuno di noi. " Chi ha orecchi ascolti ciò che lo Spirito dice …" ( Ap 2,7b ) in questa sera di grazia.

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lunedì, giugno 01, 2009

Genocidio in Ruanda, primo rinvio a giudizio in Finlandia

Un cittadino ruandese residente a Porvoo, nel sud della Finlandia, è stato formalmente accusato di responsabilità nel genocidio del 1994: il processo, che si terrà presumibilmente in autunno, sarà il primo per genocidio celebrato in Finlandia.

Agenzia Minsa - François Bazaramba, 58 anni, ex-pastore battista, era arrivato nel 2003 nel paese nord-europeo, dove aveva chiesto asilo; arrestato nell’aprile 2007, è stato oggetto di un’inchiesta preliminare che secondo il pubblico ministero Raija Toiviainen ha consentito di ottenere prove sufficienti per incriminarlo. Bazaramba è accusato di complicità nell’eccidio per aver orchestrato l’assassinio di centinaia di civili nel comune di Nyakizu; gli sono imputati direttamente almeno 15 omicidi. Su di lui pendeva una richiesta di estradizione che la magistratura di Helsinki ha recentemente negato per timore che non gli fosse garantito un giusto processo in Rwanda. La scorsa settimana per la prima volta un cittadino ruandese, Rwandais Désiré Munyaneza, è stato condannato all’ergastolo per il genocidio di 15 anni fa in Canada, in virtù di una legge federale, approvata nel 2000, che sancisce la “competenza universale” per perseguire i crimini contro l’umanità.

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lunedì, giugno 01, 2009

GM dichiara bancarotta. Avviato il piano di salvataggio

L’americana General Motors, la prima casa automobilistica al mondo, ha ufficializzato la bancarotta, dichiarando che entro la fine del 2010, verranno chiusi 13 impianti.

Radio Vaticana - Dalla Casa Bianca arriva già l’annuncio di un piano per il salvataggio dell’azienda che fornirà aiuti per 30.1 miliardi di dollari e consentirà al governo americano di diventare il primo azionista, con il 60% delle quote. Il settore automobilistico è dunque nuovamente protagonista sulla scena economica dominata dalla crisi globale tanto negli Usa quanto in Europa. A Mario Deaglio, docente di economia internazionale dell’Università di Torino, Stefano Leszczynski ha chiesto perché la produzione automobilistica sia tanto importante per l’economia contemporanea.

R. - E’ importante per due motivi. Il primo è che il bisogno di spostarsi è un bisogno profondamente radicato, uno dei bisogni al quale la società industriale ha risposto di più, puntando sullo spostamento privato. Il secondo è che l’industria dell’auto è importante perché è il punto di arrivo di numerose filiere industriali, il punto attraverso cui passano le produzioni di tantissimi altri settori che poi troviamo nell’auto; pensiamo alle gomme, alle parti elettriche, ai cambi ai freni, etc. Si stima che per ogni lavoratore stabilmente impiegato dalle case automobilistiche ce ne siano almeno quattro a monte che forniscono i componenti che vanno dentro l’auto e probabilmente uno o due e a valle, cioè gli assicuratori, i benzinai, etc.

D. - Professore, per quanto riguarda l’industria dell’auto sembra che i governi non siano mai stati così disponibili a scendere in campo con la finanza pubblica. Si stanno un po’ abbandonando, però, quelli che erano i criteri del non interventismo pubblico nelle aziende. Questo vale sia per gli Stati Uniti che per l’Europa. E’ effettivamente così?

R. - E’ effettivamente così. Questi criteri sono completamente saltati con la crisi finanziaria. Per seguire questi criteri ci sarebbero milioni e milioni di disoccupati e nessun Paese si può permettere qualcosa del genere, neppure i potentissimi Stati Uniti. Questi disoccupati farebbero poi da motore di una crisi ancora più vasta perché deprimerebbero i consumi di tutto il Paese. Se noi lo guardiamo dall’ottica del mercato invochiamo quelle situazioni di emergenza in cui i mercati devono tacere, diciamo per salute pubblica, e i governi intervengono. Se invece non siamo favorevoli al mercato possiamo dire: si vede il fallimento di un sistema basato solo sul mercato. Bisogna che ci sia in ogni momento una qualche presenza pubblica come rete di sicurezza.

D. - Questa rete di sicurezza è destinata a essere temporanea, cioè tolta nel momento in cui la crisi passa. La parte pubblica verrà nuovamente privatizzata o alla fine diventerà una consuetudine avere una fetta pubblica nei grandi settori dell’economia?

R. - Questa è una domanda a cui è difficilissimo rispondere. Penso che in un modo o nell’altro una presenza pubblica rimarrà. Non è possibile su settori così important avere una totale mano libera privata, intanto perché queste imprese diventano enormi e vengono a condizionare e a scontrarsi con il settore del pubblico. Quindi, tanto vale che il rapporto pubblico-privato che le caratterizza abbia dei caratteri di trasparenza e di ufficialità.

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lunedì, giugno 01, 2009

Scomparso Airbus francese a largo delle coste brasiliane

Un Airbus dell’Air France, con a bordo 228 persone, è scomparso questa notte dagli schermi radar al largo delle coste brasiliane.

Radio Vaticana - Il velivolo, partito da Rio de Janeiro, era atteso alle ore 11.10 a Parigi. Secondo la compagnia francese, prima di perdere i contatti l’equipaggio ha segnalato un corto circuito a bordo dopo essere finito in una turbolenza. L’ipotesi più probabile è che sia stato colpito da un fulmine. Al momento sono in corso le ricerche dell’aviazione brasiliana. Ma le autorità francesi ormai temono il peggio. Il servizio di Francesca Pierantozzi (ascolta):

Nessuna traccia e ormai nessuna speranza per il volo Air France 447 da Rio de Janeiro a Parigi. L’aereo, un Airbus 330, con 228 persone a bordo, è scomparso questa notte dai radar circa tre ore e mezzo dopo il decollo. L’arrivo a Parigi era previsto alle 11.10, questa mattina, all’aeroporto Charles de Gaulle. L’aeronautica brasiliana è a lavoro per cercare di ritrovare le tracce dell’aereo probabilmente scomparso sull’oceano Atlantico. Il ministro dei Trasporti francese Borloz ha detto poco fa che l’ipotesi più tragica deve essere presa in considerazione, anche se tutte le piste restano ancora aperte. Borloz ha comunque praticamente escluso la possibilità di un dirottamento. Sembra improbabile, ma non è del tutto da escludere l’ipotesi di un attentato. Con ogni probabilità l’aereo si è inabissato a causa di un incidente. Quando è scomparso dai radar si trovava in una zona di forte turbolenza. A bordo si trovavano anche cinque cittadini italiani. Il presidente francese, Nicolas Sarkozy, ha immediatamente chiesto al governo di fare tutto il possibile per ritrovare al più presto tracce dell’aereo. Una cellula di crisi è stata istallata all’aeroporto Charles de Gaulle, per accogliere i familiari dei passeggeri a bordo del volo 447.



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lunedì, giugno 01, 2009

Un Olocausto dimenticato

Una storia poco raccontata (del nostro redattore Carlo Mafera)

La misteriosa causalità della storia fece affluire nel nostro Friuli un intero popolo, quello cosacco, nell’estate del 1944. Esso si era schierato con i tedeschi durante la seconda guerra mondiale per sfuggire alla dittatura comunista, non sopportando la limitazione di libertà e autonomia che questa gli procurava, essendo il popolo cosacco da secoli un popolo libero e nello stesso fiero e geloso di tale condizione. Quindi, solo per opportunità si schierò a fianco dei nazisti sperando che questi alla fine della guerra gli concedessero un territorio dove vivere. Questo era stato individuato nel Friuli. E così per un intero anno i Cosacchi soggiornarono all’interno del nostro territorio con donne, bambini, cavalli, cammelli, scimitarre, tende ed icone. Purtroppo, alla fine della guerra, con la sconfitta dei tedeschi, il loro destino fu affidato agli alleati e in particolar modo agli Inglesi nella persona del ministro Mac-Millan. Scelta più infelice non fu mai fatta. Questi fu l’esecutore e il becchino di tutto un popolo, obbedendo pedissequamente a delle scelte fatte a Yalta da un Roosvelt malato e remissivo. Di fronte ad uno Stalin tronfio e arrogante ci fu un autentico “abbassamento di braghe” del debole presidente degli Stati Uniti” che sacrificò così tutti i popoli dell’est europeo che ne hanno pagato le conseguenze fino al 1989, anno della caduta del muro di Berlino. Fu una vera tragedia quella che si verificò nel 1945 e il primo capitolo fu il sacrificio del popolo cosacco. Mi preme sottolineare il modo con il quale si perpetrò tale olocausto. Durante la marcia, alla fine della quale le truppe inglesi avrebbero dovuto consegnare i Cosacchi all’esercito russo, si verificò un avvenimento di fronte al quale l’intera comunità internazionale avrebbe dovuto rimettersi in discussione. Riconsiderare che la lotta per la libertà non era finita e che se il nazismo aveva perpetrato degli orrendi olocausti, la dittatura comunista non era stata da meno, come del resto si conobbe nel 1956 quando Krusciov rese pubbliche le efferate epurazioni interne staliniane che avevano procurato più morti dell’olocausto degli ebrei. Non a caso, dopo quelle dichiarazioni ci fu la spaccatura della sinistra in Italia nel 1956. Cosa allora avvenne? Alla prospettiva di essere massacrato o di essere deportato in massa in Siberia, a causa della sua aperta dissidenza, preferì suicidarsi collettivamente tuffandosi nei gorghi del fiume Drava che costeggiava la sua “via crucis” riuscendo a sfuggire persino alle mitragliatrici inglesi.
Mi è sembrato doveroso ricordare e rendere omaggio ad un popolo fiero del bene prezioso che è la libertà e che proclamandosi anticomunista e dissidente ha pagato con la vita di tutti i suoi componenti, l’altissimo prezzo di questo coraggioso atteggiamento. Purtroppo questo triste episodio è passato sotto silenzio , sia perché di olocausti in quel periodo se ne verificarono diversi e di più grosse dimensioni, sia perché era molto vergognoso per gli alleati, e in particolare per gli inglesi, dover ammettere la propria responsabilità per questo crimine. Unica eccezione ci fu qualche anno fa, da parte dei giovani del partito conservatore inglese, che contestarono con durezza il loro più eminente rappresentante,dopo aver saputo che era proprio lui quel Mac-Millan che aveva avuto l’incarico di consegnare ai Russi il popolo cosacco.
Se questo non fosse un articolo ma un testo da leggere in una conferenza, alla fine della lettura avrei proposto all’uditorio un doveroso minuto di silenzio in onore di un popolo che ha dimostrato a tutti noi l’altissimo valore della libertà.
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lunedì, giugno 01, 2009

Saranno gli indigeni a salvare il pianeta?‏

Saranno proprio loro a salvarci. Eppure i loro diritti sono calpestati senza riguardo. E' questa la conclusione del rapporto congiunto dell'organizzazione internazionale sui legni tropicali (International Tropical Timber Organization - ITTO) e del Rights and Resources Initiative (RRI).

SalvaLeForeste - Lo studio, reso pubblico in occasione della conferenza internazionale Forest Governance, Tenure and Enterprise (25-31 maggio 2009,Yaoundé, Camerun) analizza il trasferimento della proprieta' della terra in 39 paesi (che ospitano il 96 per cento delle foreste tropicali).Dove le comunità indigene sono legalmente titolari delle proprie foreste tradizionali, è molto più probabile che queste vengano preservate. La foresta infatti è essenziale per sostentamento a oltre 800 milioni di persone.Le foreste tropicali possono svolgere un ruolo essenziale nel contenimento del cambiamento climatico. Secondo l'Onu il 17,4 per cento di tutte le emissioni viene proprio dalla deforestazione. I paesi in cui le comunità indigeni hanno meno diritti sono anche i responsabili di oltre la metà delle emissioni di CO2 da deforestazione: Indonesia, Myanmar, Thailandia, Cambogia, Zambia, Repubblica Democratica del Congo, Nigeria, Costa d'Avorio, Camerun e Venezuela. Se la deforestazione non viene fermata immediatamente con misure drastiche, un innalzamento delle temperature globali di oltre ue gradi centigradi porterebbe all'estinzione del 30-40 per cento delle specie viventi, e avvierebbe un circuito vizioso (piu' deforestazione, maggiore innalzamento delle temperature), aprendo uno scenario di desertificazione, cicloni, e inondazioni. Ecco il ruolo essenziale che le comunità indigene possono svolgere, di guardiani delle loro stesse foreste. Un ruolo essenziale per l'intera umanità, ma che può essere effettivo solo se i popoli indigeni vedono riconosciuti i diritti legali sulle proprie foreste. Ancora oggi quando un'impresa è interessata alle loro terre, le comunità locali non hanno gli strumenti legali per fermare la distruzione, mentre polizia e esercito intervengono solitamente a sedare le proteste, come recentemente avvenuto in indonesia e Perù. Ma rispetto a questi paesi, sostengono gli autori dello studio, le comunità indigene in Africa si trovano in condizioni assai peggiori: i paesi del Bacino del Congo sarebbero indietro di secoli (per l'esattezza di 260 anni) rispetto ai paesi del bacino amazzonico, almeno per quanto riguarda i diritti di proprietà delle terre tradizionali da parte delle comunità forestali. Le loro foreste vengono cedute alle multinazionali del legname, alle compagnie minerarie e alle grandi piantagioni della palma da olio. E a rischio è l'intero pianeta. Il dibattito internazionale sulla protezione delle foreste, sostengono gli autori dello studio, ancora non ha iniziato a prendere seriamente in considerazione il tema dei diritti ancestrali, che invece è un elemento chiave di qualsiasi strategia volta a fermare la deforestazione. Al contrario, le proposte di finanziamento della protezione delle foreste, potrebbero portare alla valorizzazione di aree marginali e alla conseguente cacciata delle comunità tradizionali, aprendo così la strada alla deforestazione.
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lunedì, giugno 01, 2009

Migliaia in marcia ad Hong Kong per ricordare Tiananmen

L’anno scorso erano mille, quest’anno sono stati 8 mila. Si attende grande partecipazione alla veglia del 4 giugno al Victoria Park. Xiong Yan, già leader di Tiananmen, ora in esilio negli Usa, ha ricevuto il visto un giorno prima, dopo vari rifiuti. Presenti anche alcuni studenti dalla Cina. Hong Kong è l’unico luogo cinese dove in pubblico si commemora Tiananmen.

Hong Kong (AsiaNews) – Almeno 8 mila persone hanno marciato ieri pomeriggio nel centro di Hong Kong per ricordare le dimostrazioni e il massacro avvenuto in piazza Tiananmen a Pechino il 4 giugno 1989. Fra i dimostranti vi era anche Xiong Yan, uno dei leader del movimento di 20 anni fa, che oggi vive negli Usa come cappellano dell’esercito. Xiong Yan ha detto di aver ricevuto il visto di entrata nel territorio solo il giorno precedente, dopo molti rifiuti.

Il corteo si è snodato da Victoria Park fino agli uffici del governo ed era aperto da 20 giovani nati nell’89. L’Alleanza per il sostegno al movimento democratico e patriottico della democrazia in Cina, il gruppo di Hong Kong che ogni anno commemora il 4 giugno, ha voluto sottolineare in questo modo la continuazione della memoria di quell’evento. Fra gli slogan scanditi lungo il percorso vi è uno che diceva: “ Passa la torcia, trasmetti il messaggio della democrazia a quelli che vengono dopo di noi”.

La presenza di 8 mila persone – molti di essi vestiti di bianco e di nero, i colori del lutto - è un grande successo: lo scorso anno i dimostranti erano solo un migliaio. Secondo un’inchiesta dell’università di Hong Kong, il 61% degli studenti del territorio vuole che il governo cinese riveda il suo giudizio su Tiananmen e il 69% pensa che l’uso della violenza contro indifesi dimostranti è stato un errore di Pechino. Lo scorso anno le percentuali erano rispettivamente del 41% e del 58%. L'incremento di coscienza politica è uno smacco per il governatore del territorio, Donald Tsang, che nei giorni scorsi aveva dichiarato che era tempo di mettere da parte il ricordo di Tiananmen e badare allo sviluppo economico della Cina.

Da giorni ad Hong Kong è stato pubblicato il libro delle memorie di Zhao Ziyang, il segretario del partito nel 1989, che a causa della sua contrarietà al massacro, è stato esautorato e messo agli arresti domiciliari per il resto della vita. Il libro in inglese e in cinese è già esaurito. Tutto questo interesse sulla storia e sulle responsabilità di Pechino e il massacro accrescerà la partecipazione alla veglia che ogni anno ad Hong Kong si tiene la sera del 4 giugno nel Victoria Park.

Alla manifestazione di ieri hanno partecipato anche giovani studenti della Cina. Lee Cheuk Yan, sindacalista di Hong Kong, fra gli organizzatori della marcia e della veglia ha dichiarato che Hong Kong “è l’unico luogo in terra cinese che può commemorare il 4 giugno. Hong Kong è divenuta la coscienza della Cina per ricordare… il crimine del massacro di piazza Tiananmen e spingere il regime ad ammettere i suoi errori”.

Il commento di Xiong Yan è che “vi è speranza, dato che sempre più gente di Hong Kong capisce cosa significhi la libertà. Essi aspirano, ricercano la libertà e la attuano”.
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domenica, maggio 31, 2009

Gli obiettivi della green economy

I pacchetti di stimolo e le strategie per sviluppare un’economia verde servono anche per sostenere il tessuto industriale di un paese ad un radicale cambiamento, fondamentale per affrontare i futuri e più rigorosi obiettivi di riduzione delle emissioni. Dall’intervento di Gianni Silvestrini al Forum “QualEnergia?”.

Qualenergia.it - I pacchetti di stimolo varati in diversi paesi, che includono anche una spinta verso la cosiddetta “green economy”, produrranno i primi effetti nella seconda metà del 2009 e nel primo semestre del 2010. Ma l’utilizzo della “green economy” per uscire dalla crisi è importante per far capire come nei momenti di crisi possano innescarsi rapidi processi di cambiamento. E’ il caso del comparto auto in Usa, che ha perso notevoli quote di mercato a vantaggio dell’industria giapponese e che oggi si rimette in moto grazie al denaro pubblico, ma condizionato alla creazione di modelli molto meno energivori. Anche per la produzione e il consumo di energia ci possono essere nuovi processi innovativi da innescare.

Nel periodo di recessione post-crisi del ’29, con la sua gravissima disoccupazione, si diceva, come paradosso, che pur di far lavorare la gente e favorire così un incremento dei consumi, poteva bastare far scavare delle buche per poi tapparle. Noi in Italia, ma è così anche nel mondo, abbiamo dei buchi che dovrebbero essere tappati. Sono quelle delle nostre abitazioni. Avremmo l’opportunità di attivare un processo di forte riqualificazione energetica dei nostri edifici, che è poi uno dei punti centrali del pacchetto di stimolo di Obama, e grazie ad una seria politica di riduzione dei consumi di energia nel settore civile potremmo risparmiare quello che l’Italia produce in termini di gas naturale, cioè una sorta di nuovo giacimento sul nostro territorio.

Questo è un tipico esempio di intervento “contro-ciclico” che consentirebbe di sviluppare le piccole-medie imprese, di risparmiare energia e di ridurre le emissioni di CO2.
Ma nella logica della green economy c’è un altro obiettivo che dobbiamo tenere presente: aiutare i nostri settori economici alla transizione economica ed energetica che negli anni sarà molto più accelerata e radicale. Nel recente rapporto della IEA (International Energy Agency) si può notare come gli investimenti energetici dei prossimi 30 anni, necessari a mantenere le emissioni in atmosfera a 450 ppm (target indicato dall’Ipcc come scenario meno rischioso per il pianeta), dovranno essere superiori di 3 o 4 volte rispetto a quelli attuali.

Siamo, dunque, solo all’inizio di una rivoluzione energetica che porterà ad un cambiamento drastico nel modo di costruire edifici e di produrre e consumare energia. E per questo motivo bisognerà sostenere il mondo delle imprese e avere le competenze per avviare questa transizione.
Gli investimenti verdi in un periodo di crisi economica devono servire anche a preparare il tessuto industriale e imprenditoriale di un paese a questa nuova fase che ci aspetta dietro l’angolo, soprattutto alla luce di obiettivi sempre più stringenti di riduzione delle emissioni di gas serra.

Quando Stati Uniti e Gran Bretagna si pongono obiettivi di riduzione delle emissioni dell’80% entro 40 anni, significa porre le condizioni per cambiare, in questo lasso di tempo, tutto il sistema produttivo. Un passaggio che potrebbe essere anche molto doloroso. Con vincitori e vinti.

Anche l’obiettivo dell’Unione Europea di un terzo di energia elettrica verde tra 11 anni è un impegno gigantesco che certamente comporterà ingenti costi economici. Un discorso che vale anche per l’Italia che oggi ha in vigore incentivi elevatissimi. Solo attraverso una costante riduzione degli incentivi si avrà però una maggiore competitività delle tecnologie verdi e una diminuzione dei costi complessivi per raggiungere gli ambiziosi obiettivi che ci siamo dati. La strategia è dunque quella di ridurre gli incentivi senza però bloccare la crescita delle imprese.
Ma dobbiamo ricordare che, come affermato in uno studio IEA, uno scenario avanzato di sviluppo delle fonti rinnovabili e dell’efficienza energetica rispetto ad uno scenario convenzionale è comunque sempre una strategia a minor costo per il paese.

L’Italia si deve attrezzare da subito per questo cambiamento. E’ partita in ritardo, ma esistono ancora margini di successo.
Quando il nostro paese decise di uscire dal nucleare, venti anni fa, c’erano già tutti i segnali per far giocare all’Italia la carta dell’energia pulita. A quel tempo era partita la California sull’efficienza energetica, la Danimarca sull’eolico, la Germania sul solare termico e il Giappone sul fotovoltaico.
Adesso avremmo avuto un tessuto industriale in grado di competere nel mondo. Il nostro sistema paese ha una finestra di 5-7 anni per recuperare in questi settori, ma serve avere la chiarezza del quadro mondiale in cui ci sta muovendo e comprendere le straordinarie opportunità che sono legate ad una rivoluzione che ormai è già partita.



Dall’intervento di Gianni Silvestrini, direttore scientifico del Kyoto Club e di QualEnergia, al Forum “QualEnergia?” di Roma (27 maggio 2009).

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domenica, maggio 31, 2009

L’Onu: oltre 50 milioni di disoccupati a causa della crisi

Le Nazioni Unite ritengono che nel biennio 2009-2010 la contrazione dell'economia globale provocherà nel mondo 50 milioni di nuovi disoccupati.

Radio Vaticana - Tale cifra può anche raddoppiare se la situazione peggiorerà e se l'uscita dalla crisi dovesse avere tempi più lunghi di quelli attualmente stimati. Il dato è contenuto nel rapporto sull'economia globale presentato ieri al Palazzo di Vetro di New York. Gli esperti delle Nazioni Unite sottolineano inoltre che la crisi finanziaria ed economica, nata nei Paesi più ricchi del pianeta, ha colpito in maniera sproporzionata l'economia reale di quelli in via di sviluppo. Lo studio prevede per il 2009 una contrazione del 2,6 per cento dell'economia mondiale. La valutazione è oltre cinque volte maggiore di quella indicata dalle stime precedenti diffuse a gennaio che parlavano dello 0,5 per cento. Nel documento si sottolinea, poi, che la situazione è critica nel settore del commercio mondiale, sceso nei primi tre mesi del 2009 con un tasso annuale del 40%. Si può ipotizzare una contrazione dell'11% a fine anno. Una simile perdita sarebbe la più grave dagli anni Trenta. Sulla questione del commercio mondiale è intervenuto oggi anche il primo ministro britannico Gordon Brown in un articolo pubblicato dal "Wall Street Journal", nel quale chiede un'azione urgente contro il protezionismo e le barriere doganali. Secondo Brown, le economie mondiali devono impegnarsi per una cifra superiore ai 250 miliardi di dollari. Il primo ministro britannico ricorda che la contrazione degli scambi ha ridotto in povertà circa cento milioni di persone. Tra gli effetti della crisi, secondo un rapporto presentato ieri da Amnesty International, c'è anche una diminuita attenzione alla tutela dei diritti umani in diverse parti del mondo. Sempre alla crisi e alla crescita della disoccupazione – sottolinea l’Osservatore Romano - andrebbe attribuito anche l'aumento del 12,4% dei furti registrato in Giappone nel primo quadrimestre di quest'anno, secondo quanto reso noto dall'ultimo rapporto della polizia nazionale. Il dato è particolarmente allarmante considerato che i crimini sono complessivamente diminuiti del 4,9%. (A.L.)

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