Recensione del nostro redattore Carlo Mafera
Marta Sordi, ordinario di Storia Antica presso l’Università Cattolica di Milano, non è certamente una storica che ama cavalcare le generalizzazioni. Nell’introduzione al suo libro, I cristiani e l’impero, esordisce dicendo subito che la persecuzione dei cristiani dei primi tre secoli non fu un fenomeno che ebbe una forte continuità e nello stesso tempo non fu dai contorni marginali, come da qualche parte viene affermato. La visione storiografica del rapporto tra cristianesimo e stato ha risentito purtroppo di un approccio sbagliato dovuto alla connotazione negativa che le ideologie del nostro tempo hanno dato al concetto di potere. Infatti tali ideologie hanno identificato nell’imperialismo romano “un’incarnazione particolarmente maligna” del potere stesso. Partendo da questi presupposti è stata falsificata completamente la vicenda delle persecuzioni riducendola ad uno scontro di classi: quella subalterna rappresentata dal cristianesimo e quella invece incarnata dalle istituzioni romane.Forte di ottime documentazioni, l’autore smaschera questo pensiero ideologico, dimostrando che il conflitto ebbe motivazioni soprattutto religiose ed etiche, e la sfera politica ebbe un ruolo marginale e solo relativamente alla vicenda dell’eresia montanista che diffuse tra i cristiani, per un breve periodo, l’idea di rifiuto dello stato. Secondo Marta Sordi, l’atteggiamento delle istituzioni romane non fu mai di condanna del cristianesimo, a cominciare già dal primo episodio, quello cioè relativo al processo di Gesù, dove l’autorità romana sostanzialmente si piegò alle pressioni del sinedrio. Anzi, l’autore sottolinea la diffusa tolleranza verso il cristianesimo nei primi anni di espansione della nuova religione, riportando una notizia di Tertulliano che, nell’Apologetico, descrive l’iniziativa dell’imperatore Tiberio: la presentazione al Senato - che aveva il compito di accettare o respingere culti nuovi - di una proposta volta a ottenere il riconoscimento di Cristo come Dio. Ma all’intervento imperiale venne opposto un netto rifiuto e il cristianesimo venne considerato come superstitio illicita. Tale senatoconsulto rese legalmente possibile la persecuzione vanificando il tentativo dell’imperatore Tiberio di pacificare la Giudea, sottraendola al controllo del sinedrio.”Io credo, scrive Marta Sordi, che l’episodio riferito da Tertulliano sia storico. Non ho intenzione qui di ripetere tutte le argomentazioni che ho svolto altrove e che non possono essere respinte, a mio avviso, con giudizi o battute che non hanno niente a che fare con un corretto metodo storico…”(pag. 27).
La persecuzione vera e propria cominciò dopo il 62 d.c. e il primo fu l’imperatore Nerone, che applicò fedelmente il senatoconsulto riguardante il cristianesimo superstitio illicita. I cristiani erano accusati di empietà e di mancanza di lealismo nei confronti dello stato, infatti, come dice Marta Sordi a pag. 69 della recente edizione riveduta e aggiornata del 2004, ”Non si deve però dimenticare che Svetonio sa che i cristiani furono incriminati da Nerone non per l’incendio ma perché seguaci di una superstitio nova et malefica (pag.69). Ma a tale empietà non corrispondeva l’idea che il cristiano fosse un sovversivo e quindi pericoloso per le istituzioni. Soltanto durante il governo dell’imperatore Marco Aurelio si diffuse l’eresia montanista, che predicava il rifiuto dello Stato, difficilmente riconoscibile dalla maggioranza dei pagani come la vera dottrina cristiana. Ci fu però un pronto e decisivo intervento apologetico da parte degli scrittori cristiani che svolsero il duro compito di fugare ogni equivoco circa la dottrina di Cristo in merito al rapporto con lo stato, che peraltro fu sempre improntato al rispetto e mai al rifiuto.
Le persecuzioni erano altresì mitigate da un altro senatoconsulto (Non licet esse christianos), per il quale l’essere cristiani era solo una colpa individuale di tipo religioso, non riconoscendo la Chiesa come istituzione e di conseguenza non imputando ai cristiani il reato di collegium illicitum, vietando contemporaneamente la ricerca di ufficio. I cristiani potevano essere perseguiti solo attraverso denunce non anonime di privati cittadini incoraggiando così la loro clandestinità. Emerge chiaramente, nella storia delle persecuzioni, il ruolo decisivo delle masse sobillate e istigate da minoranze pagane e giudaiche intransigenti.
Dopo l’apologia cristiana di Atenagora, Melitone e Apollinare, che presero le distanze dall’eresia montanista, sotto l’imperatore Marco Aurelio troviamo il tentativo, operato da quest’ultimo, di cercare una soluzione allo stato di clandestinità in cui erano costretti i cristiani, chiedendo loro di manifestare esplicitamente un lealismo e una collaborazione nei confronti dello stato romano.
Pur rimanendo una superstitio illicita, i cristiani non venivano ricercati in quanto tali e la denuncia del privato cittadino metteva a morte sia il cristiano che l’accusatore. La Chiesa così poté uscire dalla clandestinità e gli aristocratici cristiani poterono rivestire cariche pubbliche. Infatti sotto Comodo, e poi sotto i Severi, la Chiesa poté rivendicare la proprietà dei luoghi di culto, di riunione e dei cimiteri, pur restando ancora presenti delle persecuzioni locali da parte dei governatori sobillati dalle masse. Sotto Settimio Severo, i collegia religionis causa non hanno più bisogno di riconoscimenti ufficiali, permettendo così alla chiesa di esercitare pacificamente la le sue attività. “Alla radice di questo nuovo atteggiamento dello stato, che conosce ormai la gerarchia ecclesiastica e tratta, spesso amichevolmente, con essa pur continuando a ignorarne formalmente l’esistenza, c’è la volontà, che abbiamo colto attraverso Celso in Marco Aurelio, di assicurare all’impero la collaborazione della forte minoranza cristiana e di integrare i Cristiani nella vita pubblica: Celso aveva esortato i Cristiani a partecipare alle spedizioni dell’imperatore e ad assumersi le cariche pubbliche, ed aveva promesso, in cambio di questo, la tolleranza.”(pag.115)
Oramai c’era verso il cristianesimo non solo tolleranza, ma addirittura ammirazione, come nel caso della scuola catechetica di Alessandria, la prima - per così dire - università cristiana, e agli imperatori si dedicarono non più semplici apologie ma veri e propri trattati di teologia. Tutto ciò dimostra che l’integrazione dei cristiani con l’impero era decollata e si presume che l’imperatore Filippo l’arabo sia stato il primo imperatore cristiano. Tuttavia, con Decio (249-251) si verifica una reazione, che impone a tutti i cittadini dell’impero il sacrificio agli dei e il ritiro di un libello attestante l’avvenuto sacrificio. Ciò provocò il fenomeno dei lapsi, ossia dei cristiani che abiurarono la loro fede, sotto la pressione delle persecuzioni. Ma spesso questi chiesero in seguito di essere riammessi nella chiesa, che così dimostra di essere forte e vitale rivelando nello stesso tempo la debolezza della persecuzione individuale.
Con Valeriano (253-260) si comincia per la prima volta a colpire non il singolo cristiano ma la chiesa come istituzione. Si scatena così una feroce persecuzione con una serie di editti contro i membri del clero e i laici delle classi dirigenti e di confisca dei luoghi di culto e di sepoltura.”Egli colpisce i Cristiani delle classi dirigenti, perché, diversamente dai suoi predecessori, non vuole l’integrazione politica dei cristiani nello stato romano” (pag.155). Ma, a testimonianza della varietà e alternanza del fenomeno “persecuzione”, il figlio Gallieno nel 260 d.c. ristabilì la pace dell’impero, emanando un editto di tolleranza. Con Gallieno la religione cristiana diventa finalmente licita e i beni ecclesiastici confiscati vennero restituiti alla Chiesa. Anche i cristiani della classe dirigente che erano impegnati nella vita pubblica furono esonerati dal dovere del sacrificio agli dei. All’editto di Gallieno seguirono 40 anni di pace, interrotti però dalla sanguinosa persecuzione di Diocleziano (303 d.C.).
Arriviamo finalmente alla conclusione di questo travagliato fenomeno storico con un epilogo molto significativo e cioè la conversione di Costantino dalla quale poi scaturì il cosiddetto editto di Milano. Emerge chiaramente da tutto questo racconto che il Cristianesimo ebbe quasi sempre un ruolo di lealismo nei confronti dell’impero romano, fondato non solo sugli scritti degli apologeti cristiani ma ancor prima sulle sacre scritture e in particolare sulle lettere apostoliche, come nel cap. 13 della lettera ai romani e nella prima di Pietro. Anzi la dottrina cristiana supportò e diede slancio all’idea ecumenica di Roma già prefigurata da Seneca, portatrice di quella pax romana, sintesi di diritto e di ordine civile, fondata sul superamento delle differenze etniche fra i popoli e sulla ricomposizione delle autonomie fra greco e barbaro. Merito di Costantino fu quello di intuire la forza e la verità della dottrina cristiana; lui cercò in tutti i modi di dare una svolta in senso decisamente cristiano all’impero, in modo da poter realizzare meglio gli ideali della suddetta pax romana.
Secondo gli ultimi studi storici, sembra che la conversione di Costantino fu vera e autentica e non dettata da opportunismo. La questione costantiniana fu sollevata dallo storico Gregoire che sosteneva che la svolta del 312/313 non fu opera di Costantino ma di Massenzio e di Licinio e che la sua presunta conversione fu semplicemente un’invenzione degli scrittori cristiani Lattanzio ed Eusebio accettata solo per opportunismo dall’imperatore negli anni dello scontro con Licinio. Lo stesso Gregoire sosteneva che il segno da lui adottato era un simbolo solare e non cristiano e che rimase un adoratore del Sole per molto tempo ancora.
Ma la storiografia più recente, afferma Marta Sordi, è arrivata a diverse conclusioni, verificando che nel 312, durante la campagna contro Massenzio, qualcosa di eccezionale era avvenuto nella religiosità di Costantino e che egli aveva abbandonato il paganesimo tradizionale, mostrando anzi un fastidio così aperto verso gli dei che il retore evita di nominarli in sua presenza, ed era passato ad un misterioso Dio Supremo, creatore e provvidente, nel quale si poteva in qualche modo riconoscere il “summus deus” dei filosofi e della religione solare, ma che non poteva essere identificata semplicemente con quello.
Nell’incontro di Milano del 312, Costantino e Licinio dovevano risolvere i massimi problemi politici dell’impero e in particolare quelli relativi alla divinitatis reverentia. Infatti nella tradizione romana c’era sempre stata la pax deorum, ossia l’alleanza con la divinità che doveva essere placata e propizia, a favore sia dell’imperatore che dei sudditi. La caratteristica di Costantino fu quella di capovolgere il rapporto tra l’imperatore e la religione. Mentre nel precedente editto di Serdica la tolleranza veniva presentata come un perdono concesso dalla clemenza imperiale verso un errore, nell’editto di Milano sono proprio gli imperatori che chiedono l’alleanza alla divinità e quindi concedono ai cristiani e a tutti la libertà di seguire la religione che vogliono.
Nell’editto i cristiani vengono nominati per primi, differenziandoli dagli altri. Ciò preparò la strada per togliere al paganesimo il carattere di religione di Stato e nello stesso tempo costituì un’implicita proclamazione del Cristianesimo come religione dell’impero che ebbe la sua esplicita consacrazione con Teodosio.”Nella politica verso Dio di Costantino, che dal suo Dio aspettava più la salvezza dell’impero che la salvezza dell’anima, l’accordo di Milano - afferma Marta Sordi a pag. 182-183 - era soltanto una fase interlocutoria, la ricerca di una possibilità di coesistenza col collega pagano, in attesa che i rapporti di forza, evolvendosi, permettessero a lui di essere l’unico imperatore e alla religione da lui scelta la religione ufficiale di Roma.”
La svolta costantiniana e in particolare la scelta del simbolo cristiano (la croce) potrebbe apparire incomprensibile alla luce del fatto che l’esercito delle Gallie che Costantino comandava contro Massenzio era in gran parte pagano. La scelta quindi fu religiosa; infatti, secondo quanto racconta lo scrittore cristiano Eusebio, Costantino era preoccupato delle arti magiche utilizzate dall’avversario Massenzio e cercava quindi un dio che lo aiutasse a sconfiggerlo. Era ormai consapevole che gli dei, Giove ed Ercole, non erano stati capaci di aiutare i suoi predecessori, Galerio e Severo, e che solo suo padre, Costanzo Cloro, che aveva onorato il dio sommo, fu da quello aiutato.
Costantino allora invocò il dio di suo padre chiedendogli di rivelare il suo nome e di stendergli la sua destra: fu allora che egli vide nel cielo, al di sopra del sole, un trofeo della croce fatto di luce con la scritta: In hoc signo vinces (Con questo segno vincerai). Nel racconto scritto da Eusebio emerge la sincerità di Costantino nell’ammettere che fino al 312 egli era un adoratore del Sole, come suo padre, ma di aver avuto poi un desiderio di una religiosità più profonda e completa rispetto a quella precedente che peraltro non rinnegò come falsa. Il dato di fatto è che il “dio dai molti nomi” gli si era finalmente rivelato sotto il nome e il simbolo di Cristo, sovrapponendosi alla precedente credenza nel dio Sole, senza azzerarla, e ciò spiega perché i simboli solari siano presenti nelle monete di Costantino ancora per qualche anno.
Ma c’è da dire che l’avvento del cristianesimo nel mondo romano corrisponde ad esigenze non solo politiche ma più profondamente culturali e antropologiche. Infatti come l’autore mette in evidenza, “L’anima di Virgilio come quella di Catullo, interpreti sensibilissimi, con la lungimiranza dei poeti, dell’angoscia esistenziale dell’ultima repubblica, è tutta protesa in questa appassionata invocazione di una salvezza divina, che non è risolvibile, né poté essere integralmente risolta, con la fine imposta da Augusto alle guerre civili né con la pace riportata dal principato nell’impero romano: l’ansia di un rapporto nuovo con la divinità… e il bisogno profondo di liberazione, non solo dalle fatiche e dalle difficoltà del vivere, ma dall’angoscia del peccato e della morte, confluiscono in questa invocazione al Dio presente, al Dio che visita l’uomo e lo rende degno della comunione con sé… Il Cristianesimo rispose - nella pienezza dei tempi - a questa domanda appassionata e conquistò il mondo antico.”(pag. 193).
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Sono presenti 2 commenti
Sempre limpida ed esaustiva! AN
non una parola sull'utilizzo "allegro" che delle fonti faceva Marta Sordi, utilizzando acriticamente quelle cristiane, anche quelle palesemente non storiografiche, e gettando ombre e dubbi su quelle pagane, di fatto adottando solo quelle che riteneva confacenti alla sua visione.
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