A 17 anni dalle stragi di Capaci e Via D’Amelio, Giovanni Falcone e Paolo Borsellino, massacrati con le loro scorte, sono ancora soli. E in gran parte traditi.
LiberaInformazione - Certo non lo sono per i loro cari, per le associazioni e le iniziative che ne alimentano la memoria, né per quella parte della società che nelle scuole, nelle amministrazioni pubbliche, nelle aule di giustizia come nei quartieri e nelle attività produttive, fa vivere valori e diritti di legalità. Né tanto meno per i magistrati, gli investigatori che fanno silenziosamente il proprio dovere, contrastando ogni giorno un espandersi di interessi criminali che se non fermati assimilerebbero l’Italia ai Paesi latino-americani dominati dalla violenza e dalla corruzione. No, non è per questa Italia consapevole che Falcone e Borsellino restano soli e traditi e con loro i tanti che hanno avuto la vita spezzata dalle mafie.
Solitudine e tradimento vengono invece dal potere politico e conseguentemente da una parte delle istituzioni, da coloro che hanno in mano le scelte di fondo della nostra democrazia, ma le accantonano o le deviano per interessi personali e di fazione. Fino a costruire, come sta avvenendo sistematicamente, le basi di un regime strisciante di accentramento, di chiusura a ogni dialogo costruttivo con l’opposizione, di assedio ai principi fondanti della Costituzione, di occupazione del sistema dell’informazione, usato cinicamente per rafforzare solo consenso e immagine. Soprattutto attraverso la creazione di falsi baluardi di sicurezza che aprono la strada alle divisioni, alla xenofobia, al razzismo, minando i processi di integrazione e di sviluppo economico pure già in corso da tempo. In questo processo di progressivo degrado civile, Falcone e Borsellino sono traditi per l’opportunismo e l’asservimento di gran parte dei mezzi d’informazione, che alimentano l’ignoranza e l’indifferenza dell’opinione pubblica, già in parte storicamente predisposta all’elusione di ogni regola e di valori morali collettivi che superino individualismi e miraggi demagogici, esposta ogni giorno allo stillicidio della propaganda del potere che sostituisce ogni conoscenza critica.
Ma, al di là delle cerimonie ufficiali e anche della generosa partecipazione al ricordo da parte di una minoranza di organizzazioni realmente impegnate ogni giorno nella lotta contro il sistema criminale mafioso e le sue complicità, di tanti ragazzi affluiti a Palermo da ogni parte d’Italia, non vengono risposte a quanto Falcone e Borsellino chiedevano allo Stato e quindi alle scelte della politica, come condizione per vincere finalmente la guerra contro le mafie.
Ci chiediamo così, a partire dal loro assassinio, perché non sia stata mai formata una commissione parlamentare che indaghi su tutti gli aspetti ancora oscuri delle stragi e su eventuali mandanti esterni e cosa hanno oggi da dire a questo riguardo la Commissione Antimafia, il CSM, il ministro della Giustizia, ma anche i partiti di maggioranza e di opposizione. Perché i media, con pochissime eccezioni, ignorano il processo in corso a Palermo sulle deviazioni dei servizi e di organismi investigativi, nonché su esponenti politici che trattarono con Cosa Nostra subito dopo le stragi e forse anche prima, secondo molte fonti di pentiti ritenuti attendibili? Perché non si fa pulizia, nel governo e in parlamento, di esponenti che hanno pendenze giudiziarie e sospetti di contiguità con il sistema mafioso, fenomeno riproposto in vari casi anche per le candidature nelle prossime elezioni europee e amministrative? Cosa si attende per varare finalmente l’agenzia centrale di coordinamento dei beni sequestrati ai mafiosi e più incisive misure finanziarie e di controllo contro il riciclaggio, il movimento dei capitali di origine criminale e la loro emersione nell’economia legale, certo crescente per la crisi economica in atto in migliaia di esercizi commerciali e imprese? E come si può accettare che sulla giustizia e sull’informazione, veri pilastri della Costituzione repubblicana, continui a pesare l’impunità e l’arroganza del capo del governo, assicurata da miriadi di leggi “ad personam” e da un conflitto d’interessi mai intaccato e crescente? Dal processo All Iberian-Mills, dove Berlusconi è stato salvato solo da quel lodo Alfano da lui imposto come primo atto della nuova legislatura, fino al disegno di legge sulle intercettazioni telefoniche e ambientali, ancora controverso per i contrasti all’interno stesso della maggioranza e del governo, pesano dure minacce all’autonomia e all’operatività della magistratura inquirente e della libertà d’informazione, mentre l’Europa e il mondo guardano sconcertati e ora anche preoccupati al degrado delle leggi e dei principi etici che pervade il nostro Paese. E sono anche il mancato intervento sui veri mali della Giustizia, la spaventosa carenza di persone e di mezzi, l’insopportabile lentezza dei processi e delle cause civili, i corporativismi e le divisioni nel mondo giudiziario, fino alle responsabilità di giudici e a procedure che consentono di mettere in libertà fior di mafiosi per vergognose inadempienze di una semplice firma, a lasciare soli e traditi Falcone e Borsellino, già vittime allora delle gelosie e dei personalismi imperanti nello stesso ordine giudiziario. Come non ricordare infine, mentre tanti ministri e sottosegretari sono presenti “una tantum” con compunzione e alati discorsi commemorativi al ricordo delle vittime di quella stagione stragista, che più volte il loro leader ha rievocato il capomafia Mangano come un “eroe”, essendone evidentemente convinto o più probabilmente trovandovi una cinica opportunità di consenso elettorale in vasti territori del Meridione?
Solo le risposte ad almeno alcune di queste domande potrebbero rompere la solitudine e l’ostracismo da cui è ancora circondato il concreto impegno dei giudici assassinati, ma non certo la corona di fiori deposta da rappresentanti del governo e dello Stato che, facendo subito ritorno a Roma, continueranno ad accettare passivamente, o in alcuni casi a incoraggiare segretamente, il muro di rimozione e indifferenza che protegge l’espandersi degli interessi criminali. Lo stesso muro, oggi qua e là solo leggermente incrinato, contro il quale si batterono Giovanni Falcone e Paolo Borsellino.
LiberaInformazione - Certo non lo sono per i loro cari, per le associazioni e le iniziative che ne alimentano la memoria, né per quella parte della società che nelle scuole, nelle amministrazioni pubbliche, nelle aule di giustizia come nei quartieri e nelle attività produttive, fa vivere valori e diritti di legalità. Né tanto meno per i magistrati, gli investigatori che fanno silenziosamente il proprio dovere, contrastando ogni giorno un espandersi di interessi criminali che se non fermati assimilerebbero l’Italia ai Paesi latino-americani dominati dalla violenza e dalla corruzione. No, non è per questa Italia consapevole che Falcone e Borsellino restano soli e traditi e con loro i tanti che hanno avuto la vita spezzata dalle mafie.Solitudine e tradimento vengono invece dal potere politico e conseguentemente da una parte delle istituzioni, da coloro che hanno in mano le scelte di fondo della nostra democrazia, ma le accantonano o le deviano per interessi personali e di fazione. Fino a costruire, come sta avvenendo sistematicamente, le basi di un regime strisciante di accentramento, di chiusura a ogni dialogo costruttivo con l’opposizione, di assedio ai principi fondanti della Costituzione, di occupazione del sistema dell’informazione, usato cinicamente per rafforzare solo consenso e immagine. Soprattutto attraverso la creazione di falsi baluardi di sicurezza che aprono la strada alle divisioni, alla xenofobia, al razzismo, minando i processi di integrazione e di sviluppo economico pure già in corso da tempo. In questo processo di progressivo degrado civile, Falcone e Borsellino sono traditi per l’opportunismo e l’asservimento di gran parte dei mezzi d’informazione, che alimentano l’ignoranza e l’indifferenza dell’opinione pubblica, già in parte storicamente predisposta all’elusione di ogni regola e di valori morali collettivi che superino individualismi e miraggi demagogici, esposta ogni giorno allo stillicidio della propaganda del potere che sostituisce ogni conoscenza critica.
Ma, al di là delle cerimonie ufficiali e anche della generosa partecipazione al ricordo da parte di una minoranza di organizzazioni realmente impegnate ogni giorno nella lotta contro il sistema criminale mafioso e le sue complicità, di tanti ragazzi affluiti a Palermo da ogni parte d’Italia, non vengono risposte a quanto Falcone e Borsellino chiedevano allo Stato e quindi alle scelte della politica, come condizione per vincere finalmente la guerra contro le mafie.
Ci chiediamo così, a partire dal loro assassinio, perché non sia stata mai formata una commissione parlamentare che indaghi su tutti gli aspetti ancora oscuri delle stragi e su eventuali mandanti esterni e cosa hanno oggi da dire a questo riguardo la Commissione Antimafia, il CSM, il ministro della Giustizia, ma anche i partiti di maggioranza e di opposizione. Perché i media, con pochissime eccezioni, ignorano il processo in corso a Palermo sulle deviazioni dei servizi e di organismi investigativi, nonché su esponenti politici che trattarono con Cosa Nostra subito dopo le stragi e forse anche prima, secondo molte fonti di pentiti ritenuti attendibili? Perché non si fa pulizia, nel governo e in parlamento, di esponenti che hanno pendenze giudiziarie e sospetti di contiguità con il sistema mafioso, fenomeno riproposto in vari casi anche per le candidature nelle prossime elezioni europee e amministrative? Cosa si attende per varare finalmente l’agenzia centrale di coordinamento dei beni sequestrati ai mafiosi e più incisive misure finanziarie e di controllo contro il riciclaggio, il movimento dei capitali di origine criminale e la loro emersione nell’economia legale, certo crescente per la crisi economica in atto in migliaia di esercizi commerciali e imprese? E come si può accettare che sulla giustizia e sull’informazione, veri pilastri della Costituzione repubblicana, continui a pesare l’impunità e l’arroganza del capo del governo, assicurata da miriadi di leggi “ad personam” e da un conflitto d’interessi mai intaccato e crescente? Dal processo All Iberian-Mills, dove Berlusconi è stato salvato solo da quel lodo Alfano da lui imposto come primo atto della nuova legislatura, fino al disegno di legge sulle intercettazioni telefoniche e ambientali, ancora controverso per i contrasti all’interno stesso della maggioranza e del governo, pesano dure minacce all’autonomia e all’operatività della magistratura inquirente e della libertà d’informazione, mentre l’Europa e il mondo guardano sconcertati e ora anche preoccupati al degrado delle leggi e dei principi etici che pervade il nostro Paese. E sono anche il mancato intervento sui veri mali della Giustizia, la spaventosa carenza di persone e di mezzi, l’insopportabile lentezza dei processi e delle cause civili, i corporativismi e le divisioni nel mondo giudiziario, fino alle responsabilità di giudici e a procedure che consentono di mettere in libertà fior di mafiosi per vergognose inadempienze di una semplice firma, a lasciare soli e traditi Falcone e Borsellino, già vittime allora delle gelosie e dei personalismi imperanti nello stesso ordine giudiziario. Come non ricordare infine, mentre tanti ministri e sottosegretari sono presenti “una tantum” con compunzione e alati discorsi commemorativi al ricordo delle vittime di quella stagione stragista, che più volte il loro leader ha rievocato il capomafia Mangano come un “eroe”, essendone evidentemente convinto o più probabilmente trovandovi una cinica opportunità di consenso elettorale in vasti territori del Meridione?
Solo le risposte ad almeno alcune di queste domande potrebbero rompere la solitudine e l’ostracismo da cui è ancora circondato il concreto impegno dei giudici assassinati, ma non certo la corona di fiori deposta da rappresentanti del governo e dello Stato che, facendo subito ritorno a Roma, continueranno ad accettare passivamente, o in alcuni casi a incoraggiare segretamente, il muro di rimozione e indifferenza che protegge l’espandersi degli interessi criminali. Lo stesso muro, oggi qua e là solo leggermente incrinato, contro il quale si batterono Giovanni Falcone e Paolo Borsellino.
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