domenica, maggio 24, 2009
Testimonianza di un sacerdote. L’autore del gesto sarebbe un esponente del Nepal Defence Army (Nda), movimento legato al fondamentalismo indù che ha rivendicato l’attentato di ieri.
Radio Vaticana - “L’incidente ha scosso l’intera comunità cristiana”. È questo il primo commento di padre Shilas Bogati, il sacerdote che officiava le preghiere del mattino, alla presenza di oltre 350 persone, quando ieri è esplosa la bomba nella cattedrale dell’Assunzione, alla periferia di Kathmandu, uccidendo due donne, di 15 e 30 anni, e causando molti feriti, anche gravi. Un testimone oculare ha riferito ad Asianews, che a piazzare l’ordigno sarebbe stata una donna di mezza età, vestita di nero.“Circa sette mesi fa – continua il sacerdote – abbiamo ricevuto una telefonata minatoria, in cui ci veniva chiesto di fermare le attività e chiudere gli istituti cristiani. In caso contrario avremmo subito pesanti conseguenze”. Una minaccia non presa in grande considerazione, spiega, sebbene siano state informate le forze di sicurezza. L’autore del gesto sarebbe un esponente del Nepal Defence Army (Nda), movimento legato al fondamentalismo indù che ha rivendicato l’attentato di ieri. Sui volantini lasciati dagli attentatori, una serie di rivendicazioni che portano la firma di R.K. Mainali, presidente del Nda, chiedono la nascita di uno Stato indù in Nepal e avvertono tutte le Ong e gli stranieri di “non interferire” con le questioni interne del Paese. L’attentato è stato condannato con forza da diversi leader religiosi, fra i quali il vertice della comunità induista nepalese. Nel frattempo l’Assemblea Costituente ha eletto il nuovo premier del Nepal: è Madhav Kumar Nepal, figura di primo piano del Communist Party of Nepal- United Marxist and Leninist (CPN-UML). Era l’unico candidato in lizza per il ruolo di premier del Paese. Ora dovrà formare la nuova squadra di governo, che sarà composta da uomini del Nepali Congress, CPN-UML, Madhesi Rights Forum e altri partiti minori. (S.G.)
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domenica, maggio 24, 2009
Pubblicato finora come supplemento di ‘New African’, da questo mese ‘New African woman’ ha acquistato piena autonomia di testata a sé stante, con periodicità trimestrale.
Agenzia Misna - “Non è solo una boccata d’aria fresca; è soprattutto appassionato impegno a colmare un abisso relativo al ruolo importante delle donne africane”: edito dallo stesso gruppo che pubblica ‘New African’, ‘The Middle East’ e ‘African Business’, è uscito in questi giorni il primo numero di ‘New African Woman’ (La nuova donna africana) periodico con edizioni distinte in inglese e in francese. Pubblicato finora come supplemento di ‘New African’, da questo mese ‘New African woman’ ha acquistato piena autonomia di testata a sé stante, con periodicità trimestrale. “Le nostre ricerche – scrive la casa editrice ‘IC publications’ presentando il periodico - hanno scoperto che, nonostante la pletora di pubblicazioni femminili, lo spazio riservato agli argomenti più importanti per tutte le donne africane, incluse quelle che vivono fuori del continente, è scarso o inesistente”. Indicando che non verrà tralasciato alcun tema di interesse per qualsiasi donna – dalla famiglia alla moda – e che il primo numero include profili di donne africane celebri, Afif Ben Yedder, “group publisher delle IC Publications”, sottolinea che il periodico intende: “Abbracciare tutti gli aspetti della vita sociale che sono di interesse per la donna africana… cercando di consigliare piuttosto che di dettare, di fornire un largo spettro di idee per ispirare piuttosto che per imporre…”. Sulla copertina dei primi due distinti numeri in inglese e in francese, immagini tra loro molto diverse di giovani donne africane, una più moderna, l’altra più tradizionale.
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domenica, maggio 24, 2009
...ovvero la quiete della riflessione dopo la tempesta della relazione
del nostro redattore Carlo Mafera
In una relazione tra due persone o due gruppi è bene che il dialogo e il silenzio siano ben dosati. Esiste un tempo per ogni azione che si compie. Così c’è un momento in cui bisogna dialogare e un momento in cui occorre ascoltare. Il dialogo a tutti i costi, in cui si vuole chiarire ogni cosa immediatamente, è del tutto negativo. Così come è negativo il dialogo compresso (rimosso) in cui si decide di attendere tempi migliori. Spesso tacere è una scelta opportuna per evitare di esasperare una sensibilità già compromessa e snervata dalla stanchezza o dal tema delicato, oggetto del contendere. A volte però il tacere può diventare insopportabile e pesante e può gridare e far rumore più delle parole. Occorrono perciò dei correttivi: chi tende a parlare troppo deve purificare questa smania di chiarire tutto puntigliosamente; ma anche chi ha la tendenza a evitare sempre le discussioni, a “lasciar perdere” non affrontando i temi essenziali in un dialogo significativo con persone significative, allora deve migliorare il suo atteggiamento nel senso di essere più partecipe, di dialogare e di intervenire più attivamente nella relazione. Bisogna poi distinguere due tipi di silenzio : uno negativo, espressione spesso di intolleranza, di violenza che si realizza con la resistenza passiva (così diceva mio padre per quest’ultima ipotesi) la peggiore violenza aggiungo io, manifestazione anche di chiusura di chi non vuole ascoltare le ragioni dell’altro, ignorandolo completamente per paura di rimettersi in discussione e disconoscendo così il suo stesso esistere, la sua dignità di persona e il suo ruolo di interlocutore.
C’è però un silenzio positivo dove entrambi gli attori della comunicazione creano lo “spazio comunicativo” che l’uno offre all’altro per prendere la parola. Un silenzio indispensabile per recepire i contenuti, assimilarli e comprenderli. Un silenzio importante per stabilire i ritmi del dialogo, e funzionale alla creazione del pensiero stesso. Morale della favola : cerchiamo di essere più consapevoli di questi preziosi beni : la parola e il silenzio.
E passiamo allora alla buona comunicazione : una delle caratteristiche che deve possedere chi comunica professionalmente è per così dire “la maieutica” di socratica memoria, cioè la capacità di tirar fuori dall’interlocutore delle verità possedute solo potenzialmente facendogli allargare i propri orizzonti e i propri confini, indicandogli degli obiettivi più ampi. Il cammino dell’umanità e del singolo è purtroppo un cammino costellato di confini., spesso autoimpostoci dalle nostre paure e dalle nostre auto giustificazioni. Il principio animatore delle nostre azioni diventa spesso : “Mi devo difendere e salvare”. Ognuno si crea il proprio orticello invalicabile dove nessuno ha da esserci per infastidirmi. Chi sta dentro non deve rimettermi in discussione, non si deve permettere di farmi vedere i più ampi orizzonti dove spaziare. Se la comunicazione è una porta quindi, si può aprire ma purtroppo si può anche chiudere. Ma quella vera è una comunicazione che mi apre gli occhi e mi fa notare il mio egoismo.
Uno dei virus che impedisce l’apertura e la relazionalità è sicuramente la diffidenza. Questa purtroppo nasce da paure o da traumi subiti anche in età infantile. E’ difficile far superare questo trauma. L’unico modo per combattere questo virus della diffidenza e del sospetto, è far provare all’interlocutore “sofferente di questo male”, che c’è qualcuno che si avvicina a me con un gesto d’amore gratuito e infinito. Infatti chi è stato ferito da una cattiva comunicazione e da una cattiva relazione nei suoi anni precedenti, potrà sperimentare così una comunicazione autenticamente affettiva, quella stessa che proviamo quando ci mettiamo in relazione con la divinità che è nel più profondo di noi stessi.
Veniamo all’approfondimento delle modalità comunicative : per accrescere sempre più la nostra consapevolezza nella gestione della comunicazione bisogna conoscere i punti fondamentali. Il primo è costituito dalla “diversità dei modi di comunicare”. Occorre sempre riconoscere e cercare l’intreccio o lo scambio comunicativo più efficace ed armonico. Trovare insomma le stesse modalità comunicative. Il secondo punto sta nel giudizio nascosto. Infatti, nella comunicazione s’insinua il pregiudizio negativo o positivo che condiziona pesantemente il risultato della comunicazione stessa compromettendo la relazione stessa. Un altro principio animatore è quello della “impossibilità di non comunicare”. Bisogna essere sempre più consapevoli che si comunica con la parola e la presenza ma anche in modo non verbale, con il silenzio, con i gesti, con il “non esserci” (assenza). Poi, un altro punto è quello relativo alla creazione di circoli ripetitivi (le cosiddette “coazioni a ripetere”), dove prevale più che la spontaneità, il meccanicismo. Cioè, ad un dato comportamento di una parte corrisponde un automatico comportamento-risposta dell’altra parte comunicativa. In realtà, inconsciamente ognuno di noi si comporta come l’altro si attende che (io) faccia, secondo uno schema stereotipo (così recita il terzo a priori sociologico).
L’ultimo punto consiste nello “essere complementari”. E’ importante, secondo questo principio, acquisire la consapevolezza che nella comunicazione si assume sempre un ruolo che non sfugge mai alla tripartizione scientifica (del professor Berne) di A) Genitore; B) Adulto; C) Bambino. Soltanto in un incastro psicologicamente flessibile di questi tre ruoli, può scaturire una relazione costruttiva, ricercando per l’appunto ruoli sempre diversi e correttamente intercambiabili secondo le esigenze e l’opportunità del momento. Così facendo si sta attenti ad orientare se stessi e gli altri per raggiungere la reciprocità e rifiutare la competizione aggressiva che talvolta l’interlocutore inconsapevole, e ricco di pregiudizi e malintesi rimossi, vuole innescare.
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domenica, maggio 24, 2009
Alla marcia del silenzio un assente, il poeta dei desaparecidos Mario Benedetti, morto lunedì
PeaceReporter - Migliaia di persone in marcia per i desaparecidos della dittatura hanno invaso, come ogni anno il 20 maggio, le strade di Montevideo, in Uruguay. "Verità, giustizia, memoria e mai più" è lo slogan che ha accompagnato i manifestanti, i quali dal governo di sinistra di Tabaré Vazquez pretendono l'annullamento della legge di amnistia ai militari, colpevoli durante gli anni bui - 1973-1985 - di soprusi, violenze, omicidi e sparizioni.
Tra simboli e battaglie. Le organizzazioni di Familiari e detenuti-scomparsi, che dal 1996 non si stancano di scendere in piazza ogni maggio in assoluto silenzio per "non dimenticare", pretendono un referendum che rimetta nelle mani dei cittadini la decisione sul futuro degli aguzzini della dittatura. La legge in questione è la Ley de Caducidad e la speranza è che le firme raccolte per indire la consulta siano ritenute valide dalla Corte elettorale che le sta esaminando e che quindi il prossimo ottobre, il tanto atteso referendum venga aggiunto alle legislative.
La scelta del 20 maggio è simbolica: quel giorno del lontano 1976 vennero uccisi a Buenos Aires, nell'ambito del Plan Condor che vedeva cooperare le dittature latinoamericane, Zelmar Michelini, capo e fondatore del Frente Amplio, coalizione di sinistra adesso al governo, Héctor Gutièrrez Ruiz, esponente del Partito nazionale (conservatore) e presidente della Camera dei deputati, e i militanti del movimento rivoluzionario tupamaros Rosario Barredo e William Whitelaw. Come loro scomparvero, durante il regime, duecento oppositori, perlopiù uccisi nella vicina Argentina, a suggello della collaborazione nel programma di sterminio sistematico.
Come in Argentina. La legge uruguaiana a garanzia dell'impunità di chi si è macchiato di orrendi delitti, tutti accomunati da una continua violazione dei diritti umani, fu votata nel 1986 e ratificata dalla cittadinanza in un referendum tre anni dopo. Solo i casi indicati dal Governo potevano essere investigati con relativa inquisizione dei colpevoli. Il resto, tabù.
La medesima legge era stata imposta anche in Argentina, ma già da un paio d'anni è stata abolita e le aulee dei tribunali si sono finalmente spalancate ai colpevoli, senza riserve.
A commentare a Peacereporter l'evento è Gennaro Carotenuto, il professore di storia dell'America Latina che dal 1997 è redattore del settimanale uruguaiano Brecha. "La marcia di quest'anno ha avuto molti significati. E' mancato a tutti don Mario Benedetti, il grande poeta deceduto lunedì che aveva i desaparecidos come uno dei filoni ispiratori principali della sua poesia oltre che della sua militanza, essendo stato egli stesso esiliato per 10 anni. Ma è anche una marcia che avviene in un contesto peculiare. Con il governo di centro-sinistra si fanno i processi, si cercano i resti dei desaparecidos, ma non è stata ancora abrogada, come è invece successo in Argentina, la legge dell'impunità voluta al ritorno della democrazia nell'85. Tutta la marcia è stata dedicata allo sforzo per arrivare a un referendum. E questo, unito al fatto che i dittatori Bordaberry e Álvarez stanno in galera ci conferma che in Uruguay la giustizia, per citare Benedetti "lenta ma viene".
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domenica, maggio 24, 2009
Amnesty International ha chiesto oggi al Consiglio di sicurezza delle Nazioni Unite (in particolare a Cina e Giappone) e ai paesi dell'Asean di attivarsi con urgenza per garantire il rilascio di Aung San Suu Kyi dalla prigione di Insein
Amnesty International - "Il governo di Myanmar deve liberare Aung San Suu Kyi una volta per tutte, senza condizioni e senza arresti domiciliari" - ha dichiarato Benjamin Zaracki, esperto di Amnesty sul paese. Aung San Suu Kyi e due sue collaboratrici arrestate con lei, Khin Khin Win e la figlia di quest'ultima, dovrebbero essere processate il 18 maggio in relazione a un episodio verificatosi all'inizio del mese, quando un cittadino statunitense attraversò a nuoto il lago di fronte all'abitazione della Nobel per la pace, trattenendovisi per due giorni. Le condizioni di salute di Aung San Suu Kyi sono peggiorate di recente. Il 7 maggio le forze di sicurezza hanno impedito al suo medico, Tin Myo Win, di visitarla. Quando poi è rientrato a casa, è stato arrestato e da allora si sono perse le sue tracce.
"Khin Khin Win, sua figlia e Tin Myo Win sono tra gli oltre 2100 prigionieri politici birmani a rischio di torture e altri maltrattamenti. Le condizioni detentive sono proibitive e mettono a rischio la salute dei prigionieri" - ha proseguito Zaracki.
"Se la comunità internazionale non assumerà una posizione chiara e univoca, il governo di Myanmar continuerà ad agire con un profondo disprezzo per i diritti umani. Ora più che mai il Consiglio di sicurezza delle Nazioni Unite e i paesi membri dell'Asean devono dire ai generali birmani che non potranno più agire impunemente" - ha concluso Zaracki.
Aung San Suu Kyi, leader del partito di opposizione "Lega nazionale per la democrazia", è stata privata della libertà per 13 degli ultimi 19 anni, buona parte dei quali trascorsi agli arresti domiciliari. La scadenza degli arresti domiciliari è fissata al 27 maggio.
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domenica, maggio 24, 2009
Così il Papa per la Giornata delle Comunicazioni Sociali
Si celebra oggi la 43.ma Giornata Mondiale delle Comunicazioni Sociali. Il Papa nel suo Messaggio, dedicato alle nuove tecnologie, si rivolge in particolare ai giovani, alla cosiddetta “generazione digitale”, invitando a promuovere una cultura di rispetto, di dialogo e di amicizia. E ai giovani cattolici chiede di “portare nel mondo digitale la testimonianza della loro fede”. Quale il ruolo della Chiesa? Ascoltiamo padre Fabio Pasqualetti, docente di teorie e tecniche del linguaggio radiofonico presso la Pontificia Università salesiana.
R. – I mezzi e le tecnologie fanno parte di quella realtà che non solo cambia il modo con cui ci relazioniamo ma addirittura ridefinisce le nostre identità. Credo che in questo processo complesso, in cui noi addirittura ridefiniamo la cultura e la realtà, la Chiesa si debba preoccupare di essere presente cercando non solo di dare senso a queste tecnologie ma soprattutto cercando di comprendere e di saper agire all’interno di questi nuovi linguaggi, di questi nuovi spazi, per potere portare avanti sempre il piano di evangelizzazione e creare il regno di Dio.
D. - Recentemente al convegno alla Lateranense, dedicato a questi temi, lei ha detto che le nuove tecnologie ingigantiscono gli aspetti positivi ma anche quelli negativi della nostra umanità. In che senso?
R. - Credo che questo sia un po’ vero per tutta la storia dell’umanità, soprattutto a livello tecnologico. Internet, che ormai è un po’ in tutte le case, dà la possibilità effettivamente di condividere il meglio di noi stessi ma - come sappiamo - purtroppo in internet fra le voci che hanno maggior reddito e profitto ci sono dimensioni come la pornografia, la prostituzione, il gioco di azzardo e, quindi, anche i lati negativi della nostra umanità. D’altra parte credo sia uno spazio che la nostra umanità abita proprio con tutto il bene e il male che facciamo nella vita reale e per questo è molto importante mettere in discussione i nostri stili di vita, la nostra cultura per capire come poi poter essere presente in queste dimensioni virtuali.
D. – Quindi, invece di condannare in maniera un po’ superficiale questi strumenti di comunicazione è più importante cercare di trovare una coerenza esistenziale tra le scelte tecnologiche e i valori culturali. A questo proposito lei ha detto che “i cristiani vivono in un modo schizofrenico oggi”...
R. - Direi di sì perché da una parte il Vangelo propone tutta una serie di valori - non solo la centralità della persona, ma la collaborazione, una vita fatta di essenzialità – mentre invece dall’altra, la nostra cultura è una cultura di consumo, della sovrabbondanza, del superfluo. Quello che succede spesso è che noi, magari in un’ora di catechismo e un incontro domenicale, viviamo o entriamo in contatto con una certa visione di vita, per il resto della settimana la viviamo, invece, con valori contrari; con l’ansia di non avere l’ultimo oggetto informatico, di non avere l’ultimo vestito alla modo, di non avere l’ultimo videogioco... Questa schizofrenia poi si riflette anche nei nostri comportamenti. Credo che sia necessario ricominciare a ricostruire anzitutto il tessuto sociale, le persone, la cultura e, allora, anche questi nuovi spazi, come possono essere queste nuove tecnologie, saranno abitati da gente che ha qualcosa da dire.
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domenica, maggio 24, 2009
La Banca Mondiale presenta l'edizione 2009 del Little Green Data Book: la raccolta mondiale dei dati enegetici e ambientali. Un'attenzione particolare al rapporto tra città e cambiamenti climatici. Un confronto impietoso tra le situazioni di partenza dei paesi ricchi e di quelli poveri.
Qualenergia.it - A pesare sul riscaldamento globale sono soprattutto le città, ma è anche nel contesto urbano che si può agire meglio per rallentare il cambiamento climatico. È questa la conclusione che la Banca Mondiale mette in evidenza nel presentare l'edizione 2009 del Little Green Data Book, la raccolta dei dati mondiali sulle questioni ambientali che la World Bank pubblica annualmente. Che le città, dove ovviamente si concentrano popolazione e attività economiche e, dunque, emissioni, siano al centro dell’attenzione di questa edizione d’altra parte lo spiega la previsione che vi si fa: entro il 2050 il 70% della popolazione vivrà nei grossi centri urbani.
Basta pensare alle gigantesche metropoli del terzo mondo, come Lagos in Nigeria o Karachi in Pakistan, per stimare quali saranno i problemi ambientali e sociali di un’umanità sempre più concentrata attorno alle città. A questo, si scopre dal Green Data Book 2009, va aggiunto il fatto che le città, pur avendo livelli di emissione procapite inferiori dal 30 al 50% rispetto a quelli delle zone suburbane, dipendono ancora dalle fonti fossili per il 72% del loro fabbisogno energetico. E gli effetti del global warming colpiranno soprattutto le città costiere in tutto il mondo: circa 360 milioni di persone vivono in zone urbane costiere a quote che le mettono a rischio per l'innalzamento del livello del mare o per l'aumento della frequenza di fenomeni metereologici estremi. È anche nelle città, si spiega però nel presentare la raccolta di dati, che più si può intervenire per contenere le emissioni: le metropoli in crescita dovrebbero adottare le soluzioni sviluppate nelle realtà più avanzate come Germania e Svezia. Occorre pensare a una pianificazione urbana che massimizzi l’efficienza, ad esempio riducendo la necessità di spostarsi.
Ma oltre al focus sulle città il Little Green Data Book è soprattutto una fonte pratica e preziosa di informazioni sulle questioni ambientali che consentono paragoni tra le nazioni del mondo. Così se guardiamo ai dati sull’energia per il nostro paese, scopriamo che per alcuni aspetti siamo già favoriti nella transizione al low carbon rispetto agli altri paesi industrialializzati. Ad esempio, abbiamo un’intensità energetica (cioè un rapporto tra energia usata e ricchezza prodotta) più bassa di quasi 3 punti percentuali rispetto a alla media OCSE (un rapporto Pil/energia consumata di 9,1 contro una media di 6,3), usiamo relativamente poco carbone (16,4% della produzione elettrica contro una media del 37,4% tra i paesi ricchi e con paesi come la Polonia e la Cina che producono dal carbone rispettivamente il 93,6% e l’80,3% della loro elettricità). Allo stesso modo abbiamo un fabbisogno procapite di energia di 3.215 kg di petrolio equivalente contro una media OCSE di 5.416 ed emettiamo 7,7 tonnellate di CO2 equivalenti a testa contro i 12,6 degli altri paesi ricchi.
Se però si guardano i dati del resto del mondo si fa presto a vedere come lo stile di vita dei paesi sviluppati impatti in maniera sproporzionatamente maggiore sul pianeta. La media delle emissioni procapite dei paesi di sviluppo è infatti di 2,8 tonnellate di CO2 equivalente, quella delle nazioni più povere è 0,6: oltre 20 volte inferiore a quella dei paesi OCSE.
Se in Italia ci sono 595 auto per ogni 1000 abitanti e la media Oecd è di 472, in Cina le automobili ogni 1000 abitanti sono 18, la media dei paesi emergenti è di 14, mentre non ci sono dati per le nazioni più povere. Insomma, varrebbe la pena dare un’occhiata alle tabelle (si possono consultare qui). Anche per capire la situazione economica ed energetica che hanno alle spalle i vari paesi che si siederanno attorno al tavolo di Copenhagen, a dicembre, per decidere come fare a evitare ulteriori danni al pianeta.
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