domenica, maggio 24, 2009

Attentato alla cattedrale di Kathmandu

Testimonianza di un sacerdote. L’autore del gesto sarebbe un esponente del Nepal Defence Army (Nda), movimento legato al fondamentalismo indù che ha rivendicato l’attentato di ieri.

Radio Vaticana - “L’incidente ha scosso l’intera comunità cristiana”. È questo il primo commento di padre Shilas Bogati, il sacerdote che officiava le preghiere del mattino, alla presenza di oltre 350 persone, quando ieri è esplosa la bomba nella cattedrale dell’Assunzione, alla periferia di Kathmandu, uccidendo due donne, di 15 e 30 anni, e causando molti feriti, anche gravi. Un testimone oculare ha riferito ad Asianews, che a piazzare l’ordigno sarebbe stata una donna di mezza età, vestita di nero.“Circa sette mesi fa – continua il sacerdote – abbiamo ricevuto una telefonata minatoria, in cui ci veniva chiesto di fermare le attività e chiudere gli istituti cristiani. In caso contrario avremmo subito pesanti conseguenze”. Una minaccia non presa in grande considerazione, spiega, sebbene siano state informate le forze di sicurezza. L’autore del gesto sarebbe un esponente del Nepal Defence Army (Nda), movimento legato al fondamentalismo indù che ha rivendicato l’attentato di ieri. Sui volantini lasciati dagli attentatori, una serie di rivendicazioni che portano la firma di R.K. Mainali, presidente del Nda, chiedono la nascita di uno Stato indù in Nepal e avvertono tutte le Ong e gli stranieri di “non interferire” con le questioni interne del Paese. L’attentato è stato condannato con forza da diversi leader religiosi, fra i quali il vertice della comunità induista nepalese. Nel frattempo l’Assemblea Costituente ha eletto il nuovo premier del Nepal: è Madhav Kumar Nepal, figura di primo piano del Communist Party of Nepal- United Marxist and Leninist (CPN-UML). Era l’unico candidato in lizza per il ruolo di premier del Paese. Ora dovrà formare la nuova squadra di governo, che sarà composta da uomini del Nepali Congress, CPN-UML, Madhesi Rights Forum e altri partiti minori. (S.G.)



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domenica, maggio 24, 2009

"New african woman", nuovo periodo per la donna africana

Pubblicato finora come supplemento di ‘New African’, da questo mese ‘New African woman’ ha acquistato piena autonomia di testata a sé stante, con periodicità trimestrale.

Agenzia Misna - “Non è solo una boccata d’aria fresca; è soprattutto appassionato impegno a colmare un abisso relativo al ruolo importante delle donne africane”: edito dallo stesso gruppo che pubblica ‘New African’, ‘The Middle East’ e ‘African Business’, è uscito in questi giorni il primo numero di ‘New African Woman’ (La nuova donna africana) periodico con edizioni distinte in inglese e in francese. Pubblicato finora come supplemento di ‘New African’, da questo mese ‘New African woman’ ha acquistato piena autonomia di testata a sé stante, con periodicità trimestrale. “Le nostre ricerche – scrive la casa editrice ‘IC publications’ presentando il periodico - hanno scoperto che, nonostante la pletora di pubblicazioni femminili, lo spazio riservato agli argomenti più importanti per tutte le donne africane, incluse quelle che vivono fuori del continente, è scarso o inesistente”. Indicando che non verrà tralasciato alcun tema di interesse per qualsiasi donna – dalla famiglia alla moda – e che il primo numero include profili di donne africane celebri, Afif Ben Yedder, “group publisher delle IC Publications”, sottolinea che il periodico intende: “Abbracciare tutti gli aspetti della vita sociale che sono di interesse per la donna africana… cercando di consigliare piuttosto che di dettare, di fornire un largo spettro di idee per ispirare piuttosto che per imporre…”. Sulla copertina dei primi due distinti numeri in inglese e in francese, immagini tra loro molto diverse di giovani donne africane, una più moderna, l’altra più tradizionale.



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domenica, maggio 24, 2009

Parola, silenzio e comunicazione

...ovvero la quiete della riflessione dopo la tempesta della relazione

del nostro redattore Carlo Mafera

In una relazione tra due persone o due gruppi è bene che il dialogo e il silenzio siano ben dosati. Esiste un tempo per ogni azione che si compie. Così c’è un momento in cui bisogna dialogare e un momento in cui occorre ascoltare. Il dialogo a tutti i costi, in cui si vuole chiarire ogni cosa immediatamente, è del tutto negativo. Così come è negativo il dialogo compresso (rimosso) in cui si decide di attendere tempi migliori. Spesso tacere è una scelta opportuna per evitare di esasperare una sensibilità già compromessa e snervata dalla stanchezza o dal tema delicato, oggetto del contendere. A volte però il tacere può diventare insopportabile e pesante e può gridare e far rumore più delle parole. Occorrono perciò dei correttivi: chi tende a parlare troppo deve purificare questa smania di chiarire tutto puntigliosamente; ma anche chi ha la tendenza a evitare sempre le discussioni, a “lasciar perdere” non affrontando i temi essenziali in un dialogo significativo con persone significative, allora deve migliorare il suo atteggiamento nel senso di essere più partecipe, di dialogare e di intervenire più attivamente nella relazione. Bisogna poi distinguere due tipi di silenzio : uno negativo, espressione spesso di intolleranza, di violenza che si realizza con la resistenza passiva (così diceva mio padre per quest’ultima ipotesi) la peggiore violenza aggiungo io, manifestazione anche di chiusura di chi non vuole ascoltare le ragioni dell’altro, ignorandolo completamente per paura di rimettersi in discussione e disconoscendo così il suo stesso esistere, la sua dignità di persona e il suo ruolo di interlocutore.
C’è però un silenzio positivo dove entrambi gli attori della comunicazione creano lo “spazio comunicativo” che l’uno offre all’altro per prendere la parola. Un silenzio indispensabile per recepire i contenuti, assimilarli e comprenderli. Un silenzio importante per stabilire i ritmi del dialogo, e funzionale alla creazione del pensiero stesso. Morale della favola : cerchiamo di essere più consapevoli di questi preziosi beni : la parola e il silenzio.
E passiamo allora alla buona comunicazione : una delle caratteristiche che deve possedere chi comunica professionalmente è per così dire “la maieutica” di socratica memoria, cioè la capacità di tirar fuori dall’interlocutore delle verità possedute solo potenzialmente facendogli allargare i propri orizzonti e i propri confini, indicandogli degli obiettivi più ampi. Il cammino dell’umanità e del singolo è purtroppo un cammino costellato di confini., spesso autoimpostoci dalle nostre paure e dalle nostre auto giustificazioni. Il principio animatore delle nostre azioni diventa spesso : “Mi devo difendere e salvare”. Ognuno si crea il proprio orticello invalicabile dove nessuno ha da esserci per infastidirmi. Chi sta dentro non deve rimettermi in discussione, non si deve permettere di farmi vedere i più ampi orizzonti dove spaziare. Se la comunicazione è una porta quindi, si può aprire ma purtroppo si può anche chiudere. Ma quella vera è una comunicazione che mi apre gli occhi e mi fa notare il mio egoismo.
Uno dei virus che impedisce l’apertura e la relazionalità è sicuramente la diffidenza. Questa purtroppo nasce da paure o da traumi subiti anche in età infantile. E’ difficile far superare questo trauma. L’unico modo per combattere questo virus della diffidenza e del sospetto, è far provare all’interlocutore “sofferente di questo male”, che c’è qualcuno che si avvicina a me con un gesto d’amore gratuito e infinito. Infatti chi è stato ferito da una cattiva comunicazione e da una cattiva relazione nei suoi anni precedenti, potrà sperimentare così una comunicazione autenticamente affettiva, quella stessa che proviamo quando ci mettiamo in relazione con la divinità che è nel più profondo di noi stessi.
Veniamo all’approfondimento delle modalità comunicative : per accrescere sempre più la nostra consapevolezza nella gestione della comunicazione bisogna conoscere i punti fondamentali. Il primo è costituito dalla “diversità dei modi di comunicare”. Occorre sempre riconoscere e cercare l’intreccio o lo scambio comunicativo più efficace ed armonico. Trovare insomma le stesse modalità comunicative. Il secondo punto sta nel giudizio nascosto. Infatti, nella comunicazione s’insinua il pregiudizio negativo o positivo che condiziona pesantemente il risultato della comunicazione stessa compromettendo la relazione stessa. Un altro principio animatore è quello della “impossibilità di non comunicare”. Bisogna essere sempre più consapevoli che si comunica con la parola e la presenza ma anche in modo non verbale, con il silenzio, con i gesti, con il “non esserci” (assenza). Poi, un altro punto è quello relativo alla creazione di circoli ripetitivi (le cosiddette “coazioni a ripetere”), dove prevale più che la spontaneità, il meccanicismo. Cioè, ad un dato comportamento di una parte corrisponde un automatico comportamento-risposta dell’altra parte comunicativa. In realtà, inconsciamente ognuno di noi si comporta come l’altro si attende che (io) faccia, secondo uno schema stereotipo (così recita il terzo a priori sociologico).

L’ultimo punto consiste nello “essere complementari”. E’ importante, secondo questo principio, acquisire la consapevolezza che nella comunicazione si assume sempre un ruolo che non sfugge mai alla tripartizione scientifica (del professor Berne) di A) Genitore; B) Adulto; C) Bambino. Soltanto in un incastro psicologicamente flessibile di questi tre ruoli, può scaturire una relazione costruttiva, ricercando per l’appunto ruoli sempre diversi e correttamente intercambiabili secondo le esigenze e l’opportunità del momento. Così facendo si sta attenti ad orientare se stessi e gli altri per raggiungere la reciprocità e rifiutare la competizione aggressiva che talvolta l’interlocutore inconsapevole, e ricco di pregiudizi e malintesi rimossi, vuole innescare.
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domenica, maggio 24, 2009

Lenta viene

Alla marcia del silenzio un assente, il poeta dei desaparecidos Mario Benedetti, morto lunedì

PeaceReporter - Migliaia di persone in marcia per i desaparecidos della dittatura hanno invaso, come ogni anno il 20 maggio, le strade di Montevideo, in Uruguay. "Verità, giustizia, memoria e mai più" è lo slogan che ha accompagnato i manifestanti, i quali dal governo di sinistra di Tabaré Vazquez pretendono l'annullamento della legge di amnistia ai militari, colpevoli durante gli anni bui - 1973-1985 - di soprusi, violenze, omicidi e sparizioni.

Tra simboli e battaglie. Le organizzazioni di Familiari e detenuti-scomparsi, che dal 1996 non si stancano di scendere in piazza ogni maggio in assoluto silenzio per "non dimenticare", pretendono un referendum che rimetta nelle mani dei cittadini la decisione sul futuro degli aguzzini della dittatura. La legge in questione è la Ley de Caducidad e la speranza è che le firme raccolte per indire la consulta siano ritenute valide dalla Corte elettorale che le sta esaminando e che quindi il prossimo ottobre, il tanto atteso referendum venga aggiunto alle legislative.
La scelta del 20 maggio è simbolica: quel giorno del lontano 1976 vennero uccisi a Buenos Aires, nell'ambito del Plan Condor che vedeva cooperare le dittature latinoamericane, Zelmar Michelini, capo e fondatore del Frente Amplio, coalizione di sinistra adesso al governo, Héctor Gutièrrez Ruiz, esponente del Partito nazionale (conservatore) e presidente della Camera dei deputati, e i militanti del movimento rivoluzionario tupamaros Rosario Barredo e William Whitelaw. Come loro scomparvero, durante il regime, duecento oppositori, perlopiù uccisi nella vicina Argentina, a suggello della collaborazione nel programma di sterminio sistematico.

Come in Argentina. La legge uruguaiana a garanzia dell'impunità di chi si è macchiato di orrendi delitti, tutti accomunati da una continua violazione dei diritti umani, fu votata nel 1986 e ratificata dalla cittadinanza in un referendum tre anni dopo. Solo i casi indicati dal Governo potevano essere investigati con relativa inquisizione dei colpevoli. Il resto, tabù.
La medesima legge era stata imposta anche in Argentina, ma già da un paio d'anni è stata abolita e le aulee dei tribunali si sono finalmente spalancate ai colpevoli, senza riserve.

A commentare a Peacereporter l'evento è Gennaro Carotenuto, il professore di storia dell'America Latina che dal 1997 è redattore del settimanale uruguaiano Brecha. "La marcia di quest'anno ha avuto molti significati. E' mancato a tutti don Mario Benedetti, il grande poeta deceduto lunedì che aveva i desaparecidos come uno dei filoni ispiratori principali della sua poesia oltre che della sua militanza, essendo stato egli stesso esiliato per 10 anni. Ma è anche una marcia che avviene in un contesto peculiare. Con il governo di centro-sinistra si fanno i processi, si cercano i resti dei desaparecidos, ma non è stata ancora abrogada, come è invece successo in Argentina, la legge dell'impunità voluta al ritorno della democrazia nell'85. Tutta la marcia è stata dedicata allo sforzo per arrivare a un referendum. E questo, unito al fatto che i dittatori Bordaberry e Álvarez stanno in galera ci conferma che in Uruguay la giustizia, per citare Benedetti "lenta ma viene".
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domenica, maggio 24, 2009

Myanmar: Amnesty International chiede al Consiglio di sicurezza di pretendere il rilascio immediato di Aung San Suu Kyi

Amnesty International ha chiesto oggi al Consiglio di sicurezza delle Nazioni Unite (in particolare a Cina e Giappone) e ai paesi dell'Asean di attivarsi con urgenza per garantire il rilascio di Aung San Suu Kyi dalla prigione di Insein

Amnesty International - "Il governo di Myanmar deve liberare Aung San Suu Kyi una volta per tutte, senza condizioni e senza arresti domiciliari" - ha dichiarato Benjamin Zaracki, esperto di Amnesty sul paese. Aung San Suu Kyi e due sue collaboratrici arrestate con lei, Khin Khin Win e la figlia di quest'ultima, dovrebbero essere processate il 18 maggio in relazione a un episodio verificatosi all'inizio del mese, quando un cittadino statunitense attraversò a nuoto il lago di fronte all'abitazione della Nobel per la pace, trattenendovisi per due giorni. Le condizioni di salute di Aung San Suu Kyi sono peggiorate di recente. Il 7 maggio le forze di sicurezza hanno impedito al suo medico, Tin Myo Win, di visitarla. Quando poi è rientrato a casa, è stato arrestato e da allora si sono perse le sue tracce.

"Khin Khin Win, sua figlia e Tin Myo Win sono tra gli oltre 2100 prigionieri politici birmani a rischio di torture e altri maltrattamenti. Le condizioni detentive sono proibitive e mettono a rischio la salute dei prigionieri" - ha proseguito Zaracki.

"Se la comunità internazionale non assumerà una posizione chiara e univoca, il governo di Myanmar continuerà ad agire con un profondo disprezzo per i diritti umani. Ora più che mai il Consiglio di sicurezza delle Nazioni Unite e i paesi membri dell'Asean devono dire ai generali birmani che non potranno più agire impunemente" - ha concluso Zaracki.

Aung San Suu Kyi, leader del partito di opposizione "Lega nazionale per la democrazia", è stata privata della libertà per 13 degli ultimi 19 anni, buona parte dei quali trascorsi agli arresti domiciliari. La scadenza degli arresti domiciliari è fissata al 27 maggio.
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domenica, maggio 24, 2009

I giovani portino Gesù nel web

Così il Papa per la Giornata delle Comunicazioni Sociali

Si celebra oggi la 43.ma Giornata Mondiale delle Comunicazioni Sociali. Il Papa nel suo Messaggio, dedicato alle nuove tecnologie, si rivolge in particolare ai giovani, alla cosiddetta “generazione digitale”, invitando a promuovere una cultura di rispetto, di dialogo e di amicizia. E ai giovani cattolici chiede di “portare nel mondo digitale la testimonianza della loro fede”. Quale il ruolo della Chiesa? Ascoltiamo padre Fabio Pasqualetti, docente di teorie e tecniche del linguaggio radiofonico presso la Pontificia Università salesiana.

R. – I mezzi e le tecnologie fanno parte di quella realtà che non solo cambia il modo con cui ci relazioniamo ma addirittura ridefinisce le nostre identità. Credo che in questo processo complesso, in cui noi addirittura ridefiniamo la cultura e la realtà, la Chiesa si debba preoccupare di essere presente cercando non solo di dare senso a queste tecnologie ma soprattutto cercando di comprendere e di saper agire all’interno di questi nuovi linguaggi, di questi nuovi spazi, per potere portare avanti sempre il piano di evangelizzazione e creare il regno di Dio.

D. - Recentemente al convegno alla Lateranense, dedicato a questi temi, lei ha detto che le nuove tecnologie ingigantiscono gli aspetti positivi ma anche quelli negativi della nostra umanità. In che senso?
R. - Credo che questo sia un po’ vero per tutta la storia dell’umanità, soprattutto a livello tecnologico. Internet, che ormai è un po’ in tutte le case, dà la possibilità effettivamente di condividere il meglio di noi stessi ma - come sappiamo - purtroppo in internet fra le voci che hanno maggior reddito e profitto ci sono dimensioni come la pornografia, la prostituzione, il gioco di azzardo e, quindi, anche i lati negativi della nostra umanità. D’altra parte credo sia uno spazio che la nostra umanità abita proprio con tutto il bene e il male che facciamo nella vita reale e per questo è molto importante mettere in discussione i nostri stili di vita, la nostra cultura per capire come poi poter essere presente in queste dimensioni virtuali.

D. – Quindi, invece di condannare in maniera un po’ superficiale questi strumenti di comunicazione è più importante cercare di trovare una coerenza esistenziale tra le scelte tecnologiche e i valori culturali. A questo proposito lei ha detto che “i cristiani vivono in un modo schizofrenico oggi”...
R. - Direi di sì perché da una parte il Vangelo propone tutta una serie di valori - non solo la centralità della persona, ma la collaborazione, una vita fatta di essenzialità – mentre invece dall’altra, la nostra cultura è una cultura di consumo, della sovrabbondanza, del superfluo. Quello che succede spesso è che noi, magari in un’ora di catechismo e un incontro domenicale, viviamo o entriamo in contatto con una certa visione di vita, per il resto della settimana la viviamo, invece, con valori contrari; con l’ansia di non avere l’ultimo oggetto informatico, di non avere l’ultimo vestito alla modo, di non avere l’ultimo videogioco... Questa schizofrenia poi si riflette anche nei nostri comportamenti. Credo che sia necessario ricominciare a ricostruire anzitutto il tessuto sociale, le persone, la cultura e, allora, anche questi nuovi spazi, come possono essere queste nuove tecnologie, saranno abitati da gente che ha qualcosa da dire.
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domenica, maggio 24, 2009

I dati energetici e ambientali del mondo

La Banca Mondiale presenta l'edizione 2009 del Little Green Data Book: la raccolta mondiale dei dati enegetici e ambientali. Un'attenzione particolare al rapporto tra città e cambiamenti climatici. Un confronto impietoso tra le situazioni di partenza dei paesi ricchi e di quelli poveri.

Qualenergia.it - A pesare sul riscaldamento globale sono soprattutto le città, ma è anche nel contesto urbano che si può agire meglio per rallentare il cambiamento climatico. È questa la conclusione che la Banca Mondiale mette in evidenza nel presentare l'edizione 2009 del Little Green Data Book, la raccolta dei dati mondiali sulle questioni ambientali che la World Bank pubblica annualmente. Che le città, dove ovviamente si concentrano popolazione e attività economiche e, dunque, emissioni, siano al centro dell’attenzione di questa edizione d’altra parte lo spiega la previsione che vi si fa: entro il 2050 il 70% della popolazione vivrà nei grossi centri urbani.

Basta pensare alle gigantesche metropoli del terzo mondo, come Lagos in Nigeria o Karachi in Pakistan, per stimare quali saranno i problemi ambientali e sociali di un’umanità sempre più concentrata attorno alle città. A questo, si scopre dal Green Data Book 2009, va aggiunto il fatto che le città, pur avendo livelli di emissione procapite inferiori dal 30 al 50% rispetto a quelli delle zone suburbane, dipendono ancora dalle fonti fossili per il 72% del loro fabbisogno energetico. E gli effetti del global warming colpiranno soprattutto le città costiere in tutto il mondo: circa 360 milioni di persone vivono in zone urbane costiere a quote che le mettono a rischio per l'innalzamento del livello del mare o per l'aumento della frequenza di fenomeni metereologici estremi. È anche nelle città, si spiega però nel presentare la raccolta di dati, che più si può intervenire per contenere le emissioni: le metropoli in crescita dovrebbero adottare le soluzioni sviluppate nelle realtà più avanzate come Germania e Svezia. Occorre pensare a una pianificazione urbana che massimizzi l’efficienza, ad esempio riducendo la necessità di spostarsi.

Ma oltre al focus sulle città il Little Green Data Book è soprattutto una fonte pratica e preziosa di informazioni sulle questioni ambientali che consentono paragoni tra le nazioni del mondo. Così se guardiamo ai dati sull’energia per il nostro paese, scopriamo che per alcuni aspetti siamo già favoriti nella transizione al low carbon rispetto agli altri paesi industrialializzati. Ad esempio, abbiamo un’intensità energetica (cioè un rapporto tra energia usata e ricchezza prodotta) più bassa di quasi 3 punti percentuali rispetto a alla media OCSE (un rapporto Pil/energia consumata di 9,1 contro una media di 6,3), usiamo relativamente poco carbone (16,4% della produzione elettrica contro una media del 37,4% tra i paesi ricchi e con paesi come la Polonia e la Cina che producono dal carbone rispettivamente il 93,6% e l’80,3% della loro elettricità). Allo stesso modo abbiamo un fabbisogno procapite di energia di 3.215 kg di petrolio equivalente contro una media OCSE di 5.416 ed emettiamo 7,7 tonnellate di CO2 equivalenti a testa contro i 12,6 degli altri paesi ricchi.

Se però si guardano i dati del resto del mondo si fa presto a vedere come lo stile di vita dei paesi sviluppati impatti in maniera sproporzionatamente maggiore sul pianeta. La media delle emissioni procapite dei paesi di sviluppo è infatti di 2,8 tonnellate di CO2 equivalente, quella delle nazioni più povere è 0,6: oltre 20 volte inferiore a quella dei paesi OCSE.
Se in Italia ci sono 595 auto per ogni 1000 abitanti e la media Oecd è di 472, in Cina le automobili ogni 1000 abitanti sono 18, la media dei paesi emergenti è di 14, mentre non ci sono dati per le nazioni più povere. Insomma, varrebbe la pena dare un’occhiata alle tabelle (si possono consultare qui). Anche per capire la situazione economica ed energetica che hanno alle spalle i vari paesi che si siederanno attorno al tavolo di Copenhagen, a dicembre, per decidere come fare a evitare ulteriori danni al pianeta.

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sabato, maggio 23, 2009

Londra, test Aids dalla saliva in 20 minuti

Un semplice stick per sapere se si ha il virus dell'Aids in soli venti minuti da un campione di saliva. A Londra fare il test per l'Hiv è ora più facile.

Ilmessaggero.it - Il test, già in uso negli Stati Uniti, è stato approvato dal servizio sanitario nazionale (Nhs) e Londra è la prima città in tutta la Gran Bretagna ad offrire questo servizio. Si può fare in meno di mezz'ora e senza fare le analisi del sangue.
Con uno speciale spazzolino da denti, infatti, si prende un campione di saliva e degli indicatori che si trovano sul tampone segnalano se nell'organismo si sono sviluppati gli anticorpi contro l'Hiv. Da marzo scorso già 200 persone hanno fatto questo esame e l'azienda sanitaria locale si augura che si arrivi a 250 pazienti al mese, sperando di poter iniziare a distribuire i tamponi anche nei locali.

«È importante - ha spiegato Merle Symonds, capo del dipartimento per le malattie sessuali del NHS di Londra - che l'Hiv si prenda in tempo, prima che ci si ammali. Speriamo veramente che il test della saliva possa incoraggiare molte persone a scoprire se hanno contratto il virus. Prima si sa e meglio è». A preoccupare l'azienda sanitaria è il fatto che molti britannici non sanno di essere ammalati di Aids. Solo nel 2007 in Gran Bretagna ci sono stati più di 7.700 nuovi casi di Aids, il numero più alto tra i paesi dell'Europa Occidentale. Di questi solo il 41% erano uomini gay, mentre la maggior parte erano eterosessuali che hanno contratto l'Hiv mentre si trovavano all'estero.

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sabato, maggio 23, 2009

Camerun: migliaia di bambini vittime della malnutrizione

Secondo i dati, la malnutrizione cronica affligge soprattutto le regioni del nord dove il 40 per cento dei bambini - circa 350 mila – non ha cibo sufficiente

Radio Vaticana - Sono oltre 115 mila i bambini camerunensi al di sotto dei 5 anni che soffrono di malnutrizione acuta globale (MAG) e ogni anno ne muoiono circa 45 mila. A lanciare l’allarme, l’Unicef che, in un rapporto appena pubblicato, parla di “emergenza silenziosa”, in quanto il Camerun si presenta come una nazione relativamente stabile dell'Africa sub-sahariana, offuscata, in altre zone, dai conflitti e dalla crisi dei rifugiati. Secondo i dati, la malnutrizione cronica affligge soprattutto le regioni del nord dove il 40 per cento dei bambini - circa 350 mila – non ha cibo sufficiente.
Tra le cause principali, oltre all’isolamento dell’area, la mancanza di assistenza sanitaria di base, l’insicurezza alimentare e l’accesso minimo ai servizi per la sopravvivenza dei bambini. Il rapporto delle Nazioni Unite, tuttavia, sottolinea anche gli sforzi che stanno compiendo le autorità governative per intervenire in questa situazione e loda la solidarietà del Camerun verso i rifugiati che in gran numero giungono nel Paese dalla Repubblica Africana Centrale e dal Ciad. E proprio in Camerun, ricorda la Fides, nel suo recente viaggio africano, Benedetto XVI, ha rivolto all’intero continente, quella “parola di conforto e di speranza” che “innumerevoli uomini e donne anelano udire” e ha deplorato i “conflitti locali” che in questo continente “lasciano migliaia di senzatetto e di bisognosi, di orfani e di vedove”. Tutte persone – ha detto il Papa – che “implorano a gran voce riconciliazione, giustizia e pace, e questo è proprio ciò che la Chiesa offre loro”. (S.G.)

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sabato, maggio 23, 2009

Nepal. Attentato contro Chiesa cattolica: due morti

Secondo i primi rapporti delle forze dell’ordine, l’attacco è stato organizzato da un gruppo fondamentalista indù; gli agenti hanno rinvenuto dei volantini siglati Nepal Defence Army, in cui si chiede che il Paese venga dichiarato “uno Stato indù”

Radio Vaticana - È di due morti e decine di feriti il bilancio, ancora provvisorio, di un attentato che ha colpito la cattedrale cattolica dell’Assunzione, a Kathmandu, in Nepal. L’attacco è avvenuto alle 9 ora locale, nel sobborgo di Dhobighat a Lalitpur, una cittadina satellite nella periferia sud della capitale, dove per la preghiera del mattino erano riunite circa 150 persone. Una delle due vittime accertate è una giovane cattolica di nome SalestinaI feriti, molti dei quali in gravi condizioni, sono stati ricoverati negli ospedali della capitale; la polizia ha circondato l’area teatro dell’attentato. . Secondo i primi rapporti delle forze dell’ordine, l’attacco è stato organizzato da un gruppo fondamentalista indù; gli agenti hanno rinvenuto dei volantini siglati Nepal Defence Army, in cui si chiede che il Paese venga dichiarato “uno Stato indù”. Un analogo volantino, firmato dallo stesso gruppo combattente, è stato ritrovato sul luogo dell’assassinio di padre John Prakash, sacerdote salesiano 62enne – preside dell’istituto Don Bosco – ucciso il primo luglio 2008 a Sirsiya, nella parte est del Paese. Il Nepal Defence Army – informa Asianews – è una formazione poco nota, ma negli anni ha rivendicato una serie di attività terroristiche fra cui omicidi, esplosioni e intimidazioni. È la prima volta che in Nepal viene colpita una Chiesa cattolica. Nel Paese, divenuto una Repubblica, dopo secoli di monarchia, appena due anni fa, è in corso una grave crisi politica, acuita dalle dimissioni dell’ex premier Prachanda. Questo pomeriggio, era in programma una seduta parlamentare per eleggere un nuovo primo ministro. (ascolta)

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sabato, maggio 23, 2009

Beato Angelico, L’alba del Rinascimento

Il nostro redattore Carlo Mafera visita la mostra al Palazzo dei Caffarelli a Roma

“La più grande mostra dedicata al Beato Angelico in Italia, dopo quella del 1955 in Vaticano e a Firenze, presenta un’esauriente selezione di opere dai più importanti musei italiani e stranieri, alcune delle quali mai esposte in passato, che documentano la lunga e feconda attività dell’artista a conclusione delle celebrazioni per il 550° anniversario della sua morte.” Così recita il sottotitolo del sito dei musei capitolini. Si rimane esterrefatti davanti all’immagine, come diceva Vittorio Sgarbi, in un suo celebre successo editoriale. La visione di ogni quadro è un atto di contemplazione e anche una preghiera. E’ un rapimento estatico che ti fa raggiungere le più incommensurabili vette spirituali. E’ un viaggio verso l’eternità. E’ un assaggiare un frammento di quello che potremo godere lassù. Non ci sono parole per l’emozione che si prova davanti al paradiso dipinto dal Beato Angelico. Soprattutto si viene colpiti dalla luminosità rafforzata dall’uso di un colore sicuramente composto con l’oro stesso. Cosa dire se non invitare tutti coloro che abitano a Roma di affrettarsi ad andare a vedere questa splendida mostra per assaggiare un pezzetto di paradiso in terra ed elevarsi per qualche istante dalla bruta materialità della vita quotidiana dove si fa presto a precipitare nel desiderio di afferrare qualche momentaneo piacere dei sensi. La gioia spirituale è tutt’altra cosa e questa mostra è una splendida occasione per provarla in modo straordinario. Non mi voglio soffermare sui numerosi quadri del Beato Angelico ma desidero spendere due parole sull’Annunciazione. Basta uno sguardo all’immagine per rendersi conto che il pittore non ha voluto fare una rappresentazione storicizzata. Non colloca Maria nell’ ambiente povero in cui si compì l’evento. La colloca in uno spazio sacro:un convento. Sulla parete di fondo c’è il vano della porta di una cella con una piccola inferriata. Maria è seduta su un panchetto monastico. I due archi con le tre colonne formano la M di Maria. L’abito e l’atteggiamento di Maria L’abito dell’Annunziata è di quel rosa tenue che è tipico dell’incarnato e connota vita e gioia. L’ampio mantello è a doppia faccia. L’interno è nero (lo si vede dal risvolto), l’esterno è blu scuro, come quello che nella iconografia è riservato all’Addolorata. Il volto delicatissimo, leggermente proteso in avanti, la bocca chiusa e lo sguardo attento connotano l’apertura all’ascolto, mentre le mani incrociate sul grembo dicono insieme, accoglienza della parola e protezione della vita che è in lei. L’angelo non parla, ma si inchina volutamente con le braccia incrociate sul petto e si genuflette davanti a Maria e al Figlio di Dio che è in lei. Il giardino sulla sinistra, pur aperto allo sguardo, è un giardino chiuso e delimitato da una palizzata. Questo a motivo della verginità di Maria. Quando si contempla questa Annunciazione si vorrebbe parafrasare Giuseppe Ungaretti dicendo …. M’illumino d’immenso…
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sabato, maggio 23, 2009

Liberato il giovane insegnante cristiano con l’aiuto dei musulmani

L’intervento congiunto di esercito e tribali ha portato al rilascio di Namir Nadhim Gourguis, rapito il 14 maggio scorso. Non è stato versato alcun riscatto. Decisiva la mediazione di imam e capi tribù. Mons. Sako: “la gioia regna sulla comunità cristiana di Kirkuk”.

Kirkuk (AsiaNews) – Namir Nadhim Gourguis, insegnante cristiano di 32 anni, è stato liberato. Ieri un'operazione congiunta dell’esercito e delle forze arabe del risveglio ha portato alla liberazione del giovane, rapito il 14 maggio da un gruppo armato. Fonti di AsiaNews in Iraq spiegano che “la mediazione con i capi tribù” e “la collaborazione fornita dagli imam locali” si è dimostrata decisiva per ottenere il rilascio. Ai rapitori “non è stato versato alcun riscatto”.

Il rapimento è avvenuto la mattina del 14 maggio: un gruppo armato di quattro persone, ha fatto irruzione nella scuola elementare del villaggio di Ruwaidha – nel sottodistretto di Al Rashad, a circa 30 km da Kirkuk – sequestrando il giovane insegnante. Fonti locali avevano spiegato che egli “appartiene a una famiglia semplice e povera”, che la cifra richiesta dai rapitori era “molto elevata” e i parenti “non erano in grado di pagarla”.

La collaborazione fra la comunità cristiana, il mondo arabo e i capi tribù è stata fondamentale per ottenere la liberazione di Namir, per il cui rilascio si era subito impegnato anche mons. Louis Sako, arcivescovo di Kirkuk. “Oggi è un giorno di festa per la comunità cristiana – racconta mons. Sako ad AsiaNews – Dopo 8 giorni Namir è libero. Ringraziamo Dio: oggi la gioia regna sulla comunità cristiana di Kirkuk”.
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sabato, maggio 23, 2009

Kathmandu, attentato alla cattedrale dell’Assunzione

Due morti, decine di feriti. Colpito l’edificio cattolico più famoso del Nepal. L’attacco rivendicato da un gruppo fondamentalista indù, autore dell’assassinio di un sacerdote cattolico nel 2007. Questo pomeriggio era in programma una seduta parlamentare per eleggere il nuovo premier.

Kathmandu (AsiaNews) – È di due morti e decine di feriti il bilancio, ancora provvisorio, di un attentato che ha colpito la cattedrale cattolica dell’Assunzione di Kathmandu. L’attacco è avvenuto alle 9 ora locale, durante la preghiera del mattino, nel sobborgo di Dhobighat a Lalitpur, una cittadina satellite nella periferia sud della capitale. Una delle due vittime accertate è una giovane cattolica di nome Salestina. I feriti, molti dei quali in gravi condizioni, sono stati ricoverati negli ospedali della capitale; la polizia ha circondato l’area teatro dell’attentato.

Secondo i primi rapporti delle forze dell’ordine, l’attacco è stato organizzato da un gruppo fondamentalista indù; gli agenti hanno rinvenuto dei volantini siglati Nepal Defence Army, in cui si chiede che il Nepal venga dichiarato “uno stato indù”. Un analogo volantino, firmato dallo stesso gruppo combattente, è stato ritrovato sul luogo dell’assassinio di un sacerdote cattolico – preside dell’istituto Don Bosco – lo scorso anno a Syrsia, nella parte orientale del Paese.

Il Nepal Defence Army è una formazione poco nota, ma negli anni ha rivendicato una serie di attività terroristiche fra cui omicidi, esplosioni e intimidazioni. È la prima volta che in Nepal viene colpito un edificio di culto cattolico. Le autorità di governo e le forze di polizia mantengono uno stretto riserbo sulla vicenda; nessuno, sinora, ha voluto rilasciare commenti ufficiali.

Dopo secoli di monarchia, alla fine del 2007 il parlamento nepalese ha approvato un emendamento costituzionale che ha sancito la transizione dalla monarchia alla Repubblica, conclusa il 28 maggio 2008 con la votazione pressoché unanime dell’Assemblea Costituente. La fine della monarchia ha anche concluso il ruolo dell’induismo come religione di Stato, aprendo una nuova stagione di libertà religiosa. In queste settimane il Paese è attraversato da una grave crisi politica, acuita dalle dimissioni dell’ex premier Prachanda a inizio mese. Questo pomeriggio era in programma una seduta parlamentare per eleggere un nuovo primo ministro.
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venerdì, maggio 22, 2009

Se la Spagna lascia il nucleare per le rinnovabili

Abbandonare l'atomo e sostituirlo con le rinnovabili è la raccomandazione per il futuro energetico spagnolo di Ideas, think tank vicino al partito di governo di Zapatero. Negli Usa si chiarisce che il nucleare non va considerato un fonte da promuovere all'interno del Climate Bill. Intanto in Italia continua lo scontro tra Governo e Regioni.

Qualenergia.it - Mentre il Governo italiano persevera nel suo disegno nucleare, dove le centrali già ci sono c’è chi pensa di chiudere con l’atomo e rimpiazzarlo completamente con le fonti rinnovabili. Succede in Spagna dove questa settimana la fondazione Ideas, think tank legato al Partito socialista, attualmente al governo, ha presentato un rapporto che contiene una visione del futuro energetico del paese molto chiara e in cui il nucleare non trova posto.
Entro il 2050, spiega il documento, intitolato “Un nuevo modelo energetico para España”, la nazione dovrà essere libera dal nucleare e libera dalla CO2.

La Spagna conta sei centrali funzionanti, che forniscono un quarto dell’elettricità del paese ma - secondo il rapporto presentato dall’ex ministro Jesús Caldera, ora responsabile del programma elettorale del Psoe, e redatto da numerosi esperti tra cui Jeremy Rifkin, Arjun Makhijani, Marcel Coderch e Valeriano Ruiz - la fonte nucleare ha troppi inconvenienti: dai rischi legati alla proliferazione bellica e allo stoccaggio delle scorie, agli enormi investimenti necessari. Le rinnovabili, al contrario, possono essere sviluppate a costi più bassi e sono in grado di creare molti più posti di lavoro: fino a 1 milione e 188 mila al 2050, secondo uno degli scenari dipinti dal report.

La Spagna può e deve di conseguenza arrivare a coprire il 100% del suo fabbisogno con le energie pulite nei prossimi 40 anni: “In uno scenario con un aumento della domanda medio – si legge – le fonti rinnovabili elettriche potrebbero rimpiazzare la produzione nucleare attuale in meno di un decennio”. La strada da seguire sarebbe quella dell’abbandono progressivo delle centrali una volta che hanno sorpassato i 40 anni di vita: si inizierebbe subito da quella di Garoña (già “pensionabile”) e si spegnerebbe l’ultima delle sei nel 2028. Una strada, quella dell’abbandono progressivo dell’atomo, che l’esecutivo Zapatero sembra intenzionato a seguire: anche se all’interno del partito di governo non mancano alcuni nuclearisti convinti, il premier e il ministro dell’industria Miguel Sebastián sono dichiaratamente contrari alla realizzazione di nuovi reattori.

Diversa, come ben sappiamo la situazione nel nostro paese, dove il progetto di far sorgere da zero le nuove centrali procede, spaccando il paese e le istituzioni. Il disegno di legge 1195, approvato la settimana scorsa, che affida al Governo pieni poteri in fatto di autorizzazioni e localizzazione delle centrali, come abbiamo scritto, sta infatti suscitando una vera e propria levata di scudi da parte delle Regioni. Ieri la Conferenza delle Regioni ha chiesto un incontro urgente al Governo perché, come ha dichiarato il presidente Vasco Errani, il provvedimento “nei fatti straccia le competenze delle Regioni, per le quali non è stata prevista nessuna forma di coinvolgimento”.

In una delle molte Regioni che si sono già apertamente rifiutate di ospitare eventuali centrali, il Piemonte, 8.520 citadini hanno consegnato nei giorni scorsi le loro firme per introdurre nella legge regionale di pianificazione energetico-ambientale il principio esplicito dell’ “esclusione della produzione di energia da fonte nucleare”. Anche i Comuni insistono per “un adeguato confronto” sulla questione della localizzazione dei siti nucleari: è questa la richiesta, definita urgente e indispensabile, contenuta nella lettera che il presidente dell’Anci, Sergio Chiamparino, e il coordinatore della Consulta Comuni sedi di servitù nucleari, Fabio Callori, hanno inviato al ministro per lo Sviluppo Economico, Claudio Scajola.

Che il nucleare non sia la strada da seguire per ridurre le emissioni in questi giorni lo ha ribadito il Congresso Usa: è stato infatti bocciato l’emendamento alla legge sul clima che avrebbe permesso alle utility americane di avere sconti sulla quota obbligatoria di energia da generare con le rinnovabili qualora producessero elettricità da nuove centrali atomiche. Henry Waxman, l’autore principale del Climate Bill, nel chiedere la bocciatura dell’emendamento nuclearista ha spiegato che il nucleare non può essere accomunato alle fonti rinnovabili, perché si basa su di una risorsa limitata, l’uranio. La quota obbligatoria, ha sottolineato Waxman, serve invece a promuovere fonti e tecnologie nuove e pulite. Parole che paiono sottointendere lo stesso messaggio del report spagnolo: il nucleare appartiene al passato ed è su altre fonti che bisogna puntare.

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venerdì, maggio 22, 2009

Missionarietà laica francesca, il perchè di una scelta

Continua il racconto di Lucia Iorio, missionaria dell'Ordine Francescano Secolare, che dalla Missione in Romania ci scrive e racconta poco alla volta i motivi che l'hanno spinta a lasciare la famiglia e l'Italia per dedicare un periodo della sua vita ai bisognosi.

Raccontare le ragioni che mi hanno fatto decidere di partire per la missione è molto semplice: non ho trovato altro modo per corrispondere all’amore di Dio Padre. Questa per me è stata la tappa naturale di un cammino iniziato tanti anni fa dall’incontro con l’Uomo Dio Gesù Cristo. L’articolo 6 del II capitolo della nostra Regola dice: Sepolti e resuscitati con Cristo nel Battesimo, che li rende membri vivi della Chiesa, e ad essa più fraternamente vincolati per la professione, si facciano testimoni e strumenti della sua missione tra gli uomini, annunciando Cristo con la vita e con la parola. Non ero mai stata prima in missione nel senso vero e proprio del termine, ma da sempre mi sono sentita missionaria, e soprattutto sempre mi sono sentita figlia di Francesco e della Chiesa.

Nell’esperienza fatta a Mlali in Tanzania con p. Flavio e gli allora ragazzi della Gi. Fra, ho toccato con mano l’amore misericordioso di Dio, lì è cominciata la svolta più importante della mia vita, lì è nato il mio desiderio di condivisione e di servizio.

Così sono iniziati i campi estivi con i ragazzi, le vacanze con gli anziani, i mercatini missionari, l’impegno per le adozioni a distanza, il servizio nel Consiglio locale a Prato (6 anni) e nel Consiglio e Coordinamento regionale Toscano (8 anni), le raccolte alimentari e il viaggio fatto in Bosnia con il camion degli alimenti con Claudio e Ilaria, l’animazione nell’orfanotrofio Giovanni XXIII in Croazia, con Santino, Ilaria, Livia, con questi amici fraterni ho condiviso tante esperienze, tante gioie e tante lacrime, sono i miei amici santi che mi hanno aiutata nel cammino.

E il viaggio fatto con p. Corrado e p. Luciano in visita ai conventi e alle fraternità della Nigeria. Sempre mi domandavo dove il Signore mi avrebbe chiamata, guardavo quei luoghi con gli occhi di chi si aspetta una risposta.

Poi un anno sono andata a trovare Umberto e Salvatrice in Romania. Non pensavo che quella fosse la mia terra di missione, perché non capivo neppure la loro scelta. Quanti schemi, quante chiusure,… ancora non avevo incontrato il mio lebbroso.

Dal Testamento di Francesco(110-1,3) "Mi sembrava cosa troppo amara vedere i lebbrosi: e il Signore stesso mi condusse tra loro …. ciò che mi sembrava amaro mi fu cambiato in dolcezza di anima e di corpo".

Quello che della Romania vediamo alla TV o sui giornali è solo una parte di quello che quel popolo è veramente, profitto di bambini, prostituzione, giri loschi, si, c’è anche questo, come in qualsiasi altra parte del mondo. Sono entrata con stupore nella storia di questo paese così vicino a noi eppure così sconosciuto, giudicato solo per sentito dire, senza vera conoscenza. Cosa sappiamo di loro? Di quello che hanno sofferto sotto la dittatura? Oppressi, schiacciati, privati di ogni libertà, anche quella di credere. Tanti hanno pagato con la vita. Chiese distrutte, sacerdoti e laici che si sono opposti al regime imprigionati e torturati. Il seme di questi martiri è un seme d’amore che sta rifiorendo, questo popolo si vuole rialzare e ritrovare la dignità di vere donne e veri uomini e vuole farlo con il lavoro; per questo vanno aiutati, perché soprattutto questo popolo è quella fetta di umanità per cui Cristo è morto e risorto.

Quando sono partita molti mi chiedevano: "ma cosa vai a fare? Con quale spirito ci vai? Che cosa ti aspetti?"
Cose da fare sapevo che ce ne erano molte, nella Enciclica Deus caritas est il papa Benedetto XVI al punto 16 dice: "Guardando con gli occhi di Cristo io posso dare all’altro ben più delle cose estremamente necessarie: posso donargli lo sguardo d’amore di cui egli ha bisogno"

Fossi riuscita a fare solo questo!

Cosa mi aspettavo? Quello che ci ha promesso Gesù: Chiunque avrà lasciato case, o fratelli, o sorelle, o padre, o madre, o figli, o campi nel mio nome, riceverà cento volte tanto insieme alle tribolazioni.

Queste tribolazioni che non vorremmo mai! Eppure mi avevano avvisato gli amici missionari che erano partiti prima di me, mi avevano detto come sarebbe stato duro quando cominciano a mancare gli amici, le cose lasciate, gli affetti più cari, i figli. Ed anche il mio padre spirituale me l’aveva detto, aspettati la tribolazione del fallimento e della delusione, quando le cose non andranno come vorresti o come ti aspetteresti. E il giorno del mandato me l’ha ricordato anche il nostro Vescovo donandomi la croce missionaria, sapevo cosa voleva dire quella croce, Gesù c’e l’ha detto:

"Chi vuole venire dietro a me, prenda la sua croce e mi segua".

Ma guardavo quella croce e vedevo Cristo con gli occhi aperti, vivo! Risorto! E mi diceva: non temere Lucia, io ti sono vicino e ti proteggo, ti sostengo, anzi ti precedo, sono già in Romania e ti aspetto perché c’è una missione da compiere. Si, perché la missione la compie Gesù, non la Lucia, ma Gesù ha bisogno delle mie mani, delle mie gambe, del mio cuore, ed io quel giorno dissi: "eccomi, manda me".

Come sono partita? Con il mio carisma francescano, che è specifico, quello di amare e servire Cristo povero e crocifisso, vorrei dire a tutti quanto Dio ama i suoi figli, da parte mia e con l’aiuto di Dio, sto cercando di fare tutto quanto è possibile per condividere e camminare insieme alle persone che incontro, verso la speranza, verso la gioia, per essere testimone di fede e di amore, a nome dell’Ordine francescano secolare e a nome della Chiesa di Prato.
Pace e bene Lucia



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venerdì, maggio 22, 2009

Forti divergenze al vertice Russia-Ue

Con forti divergenze tra le parti si è chiuso oggi, nell’estremo oriente russo, il 23.mo vertice tra la Russia e l’Unione Europea, dopo quello di Nizza del 15 novembre scorso. Il servizio di Anna Villani: ascolta

Radio Vaticana - Restano alcuni nodi importanti, che vanno dalla sicurezza energetica alla politica commerciale, fino alla recente partnership orientale della Ue con 6 ex repubbliche sovietiche, che Mosca teme possa trasformarsi in una alleanza antirussa. Dall’UE la disponibilità a prendere in considerazione le proposte russe in merito alle forniture di energia, mentre Mosca ha rifiutato di concedere rassicurazioni contro nuove crisi del gas con Kiev, scaricando eventuali responsabilità sull'insolvenza ucraina. Medvedev ha invitato la Ue in particolare a definire un prestito bancario a garanzie delle forniture. “Se stiamo parlando di prestiti, lasciateci aiutare l'Ucraina a mettere insieme una rilevante quantità di denaro”, ha detto il presidente russo. Inoltre, nessun passo in avanti nel vertice russo-europeo di Khabarovsk sul fronte della sicurezza. Al di là delle dichiarazioni di interesse da parte dell’Unione Europea, la proposta russa di un nuovo Trattato europeo in materia non ha registrato passi avanti. Medvedev non ha comunque rinunciato a rilanciarla. Nella conferenza finale, la Georgia è stata solo citata tra i temi discussi, ma nessuno dei leader è entrato nel merito. L'alto rappresentante Ue per la politica estera, Javier Solana, ne aveva parlato brevemente, ribadendo la posizione (negativa) della Ue sul riconoscimento da parte della Russia delle due regioni georgiane separatiste dell'Ossezia del sud e dell'Abkhazia. In definitiva, nel summit tenutosi nell’estremo oriente russo - detto "Eldorado" per la natura selvaggia e seguito da oltre 300 giornalisti di più di 20 Paesi - si è discusso di rinnovo della partnership con la Ue, energia, sicurezza, crisi economica e questioni internazionali: in parrticolare, rapporti con Iran, Afghanistan, Pakistan, Medio Oriente, Moldova e Georgia.

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venerdì, maggio 22, 2009

Ruanda: un bambino su due soffre di malnutrizione

I vertici del ministero della Sanità ruandese hanno sottolineato come un scarsa alimentazione possa non portare necessariamente alla morte, ma acceleri sicuramente il tasso di mortalità di altre malattie o problematiche

Agenzia Misna - La malnutrizione interessa il 45% dei bambini del Rwanda: lo ha riferito il direttore generale del centro di comunicazione del ministero della Sanità di Kigali presentando i dati di un rapporto realizzato dal governo e alla base di un nuovo programma contro la malnutrizione lanciato proprio in questi giorni. Nel riportare la notizia, il quotidiano ufficiale ruandese ‘New Times’ scrive oggi che la campagna messa a punto dal governo interesserà tutto il paese e avrà lo scopo di identificare e curare i casi di malnutrizione, sia attraverso la distribuzione di cibo sia attraverso una formazione diretta a genitori e parenti sulle corrette modalità di alimentazione dei bambini. Dopo aver confermato alcuni casi di ricoveri in ospedale di bambini a causa di evidenti sintomi legati alla malnutrizione, i vertici del ministero della Sanità hanno sottolineato come un scarsa alimentazione possa non portare necessariamente alla morte, ma acceleri sicuramente il tasso di mortalità di altre malattie o problematiche. Proprio per questo, sempre secondo i dati, il ministero ruandese ha affermato che la malnutrizione contribuisce a vario titolo al 50% delle morti infantili del paese.

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venerdì, maggio 22, 2009

Gaza: scontri al confine con Israele, vittime palestinesi

Non c'è pace tra israeliani e palestinesi, scontri armati ogni giorno

Agenzia Misna - E’ di due palestinesi uccisi e altri sei feriti il bilancio di differenti operazioni militari israeliane nella Striscia di Gaza condotte tra ieri sera e questa mattina. I due uccisi, secondo fonti israeliane, erano uomini armati che stavano cercando di raggiungere la recinzione che segna il confine con Israele nei pressi di Kerem Shalom; i feriti sono stati causati da incursioni militari in altre zone della Striscia. Con ogni via di ingresso e uscita chiusa e controllata da Tel Aviv, le condizioni della popolazione civile di Gaza restano critiche. Chiuso resta anche l’accesso al mare: come già avvenuto in altre occasioni, questa mattina navi da guerra israeliane hanno sparato colpi di mitragliatore contro alcuni pescherecci che stavano tentando di andare al largo. Dalla fine dell’offensiva militare israeliana che tra dicembre e gennaio causò la morte di oltre 1400 persone, in gran parte civili, le navi da guerra hanno mantenuto le loro posizioni di fronte alle coste di Gaza, danneggiando le famiglie che vivevano dei proventi della pesca.

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venerdì, maggio 22, 2009

Da soli si va più in fretta, ma insieme si va più lontano…

del nostro redattore Renato Zilio

Come missionario in Francia mi trovavo a vivere le unità pastorali come pane quotidiano: il raggruppamento di diverse comunità parrocchiali è cosa abituale, normale. Una nuova esigenza pastorale senz’altro, ma anche una realtà fisiologica: la povertà di pastori. Tuttavia, si faceva strada uno nuovo stile, dove la parola chiave era «insieme». Una vera rivoluzione copernicana per la gente, ma soprattutto per i leader, i pastori. Programmare insieme, lavorare insieme, valutare insieme. Gestire insieme un largo territorio pastorale, immettendovi i carismi e le competenze di ognuno, condividendo le risorse e le fragilità di differenti comunità parrocchiali: che miracolo pastorale! E che ampiezza di respiro, anche per un giovane prete, al posto di rinchiuderlo in una comunità di... 800 abitanti, come a volte succede da noi. Una sinergia finora sconosciuta che prepara l’avvenire e contrasta il clima dei nostri tempi, l’individualismo. Nell’era della globalizzazione, infatti, è ancora attuale ritrovarsi da soli in un microcosmo, in una piccola parrocchia?

Per qualche anno ho vissuto l’esperienza di co-parroco (in solidum) con altri due sacerdoti per una dozzina di piccole parrocchie francesi: un’unità pastorale. Il prete che seguiva la catechesi, lo faceva per tutte le comunità, mettendo in sinergia tutte le forze, le idee, i progetti. Chi era per i giovani lo faceva per tutta la gioventù dell’insieme pastorale… Per le messe, a volte, ecco un volto nuovo, un messaggio diverso, un approccio differente. Oppure, qualche volta, grandi celebrazioni di più comunità insieme, dopo un bel cammino insieme di preparazione… ma che qualità di celebrazione alla fine!

Evidentemente, si richiedeva al Vescovo un’attenzione particolare al motore: un’equipe di preti interattiva, complementare. Di persone capaci e desiderose di lavorare insieme. Per queste comunità era la scoperta di una grande ricchezza, anche attraverso questi compiti pastorali traversali, efficaci, stimolanti e una responsabilità per loro accresciuta.

Veniva, poi, da sorridere trovandomi successivamente nella grande diocesi di Friburgo e che – secondo lo spirito programmatico e pragmatico elvetico – la cosa si facesse perfino per decreto. Per una certa data il Vescovo aveva disposto che tutte le parrocchie dovevano accorparsi a due o tre o più in unità pastorale. Visto che questo era il futuro, meglio anticiparlo! Omogeneità sociologica, problematiche analoghe e una popolazione massimale attorno ai 30.000 abitanti erano alcuni criteri.

In verità, si avvertiva che stavamo scrivendo un’altra teologia. Concretamente. Non più quella del Padre onnipotente, che si riflette (quasi sua ipostasi) nell’auctoritas del parroco, ma la teologia della Trinità - caratteristica squisitamente cristiana nel panorama multireligioso attuale - che richiede la pratica della concertazione, della comunione, del dialogo, della corresponsabilità, della condivisione (pericoresi). Di fronte alla posizione solitaria di un parroco, come spesso da noi, lasciato solo a vivere, a riflettere, a decidere e ad agire, si optava per una collegialità di forze, di mente e di cuore per affrontare le sfide del domani e le nuove strategie pastorali. Presentare, in fondo, un volto nuovo di Chiesa: il valore della comunione. Anche perchè, come ricorda un bel proverbio africano : «Da soli si va più in fretta, ma insieme si va più lontano…»
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venerdì, maggio 22, 2009

La Chiesa irlandese: dolore e vergogna per gli abusi sui minori

Vasta eco sulla stampa internazionale al Rapporto - reso noto ieri pomeriggio - della Commissione governativa irlandese che ha indagato sugli abusi - perpetrati tra la fine degli anni ’30 la fine degli anni ’70 - in alcune scuole ed istituti gestiti da religiosi, che accoglievano minori in difficoltà. Questa inchiesta è “un passo atteso e importante nell’accertamento della verità” perché tali fatti non ripetano più, ha commentato il cardinale Sean Brady, primate d’Irlanda.

RadioVaticana - “Un periodo oscuro del passato”. Il cardinale Sean Brady, primate d’Irlanda definisce così gli anni in cui – secondo il rapporto della Commissione voluta dal governo di Dublino – si perpetrarono abusi in istituti ed orfanotrofi statali e religiosi in Irlanda. Il porporato saluta con favore il rapporto perché finalmente rende giustizia alle vittime, spesso orfani, “bambini vulnerabili”. Il rapporto, lungo 3.500 pagine e costato 70 milioni di euro e quasi 10 anni di lavoro, è stato realizzato da una commissione voluta nel 1999 dal governo di Dublino: circa 2.500 le testimonianze raccolte tra gli allievi di istituti che fino agli anni ’70 hanno ospitato orfani, minori condannati per reati diversi e figli di famiglie alle prese, in genere, con problemi di alcolismo. Dunque situazioni di degrado ed emarginazione in istituti statali gestiti da commissioni miste in cui lavoravano anche congregazioni religiose.

L’inchiesta denuncia gravi negligenze nel trattamento dei minori e abusi sessuali, fisici, emotivi. L’abuso sessuale – è spiegato – avvenne prevalentemente negli istituti maschili. Inoltre – secondo il documento – le autorità religiose “sapevano”, ma non hanno ascoltato le denunce. L’inchiesta è – secondo il cardinale Brady – “un catalogo vergognoso di crudeltà”, “crudeltà” che i minori hanno subito anche da chi avrebbe dovuto occuparsi di loro in nome di Cristo. L’auspicio dei vescovi irlandesi è che il rapporto possa guarire le ferite delle vittime: la Chiesa cattolica – si legge nella nota del cardinale Brady – farà tutto il necessario per rendere i luoghi religiosi, luoghi sicuri per i bambini. “Non è un rapporto da archiviare nello scaffale – dichiara l’arcivescovo di Dublino, mons. Diarmuid Martin – le vicende e i terribili abusi esposti sono rivoltanti. Ammirevole il coraggio delle vittime nel raccontare quanto subito”.

“Le istituzioni ecclesiali – scrive ancora il presule – dovrebbero seriamente esaminare il processo di svilimento dei loro ideali con la pratica sistematica di abusi”. Sotto accusa in particolare le Congregazioni delle Suore della Misericordia e dei Fratelli Cristiani. In una nota questi ultimi chiedono perdono a tutte le vittime “per le terribili e deplorevoli azioni dovute ad alcuni fratelli o all’inerzia di tutta la Congregazione”. Si chiede inoltre perdono a tutti coloro che, pur avendo denunciato, non sono stati ascoltati. Di “duro colpo” per la Chiesa irlandese parla Micheal Kelly, vicedirettore del “The Irish Catholic”, il più importante settimanale cattolico in Irlanda. Un “duro colpo” anche per i tanti fedeli che negli ultimi anni hanno visto vacillare la fiducia nella Chiesa”. La Chiesa irlandese – spiega ancora Kelly – sta preparando due rapporti: uno sulle accuse di abusi sessuali rivolte a sacerdoti nell’arcidiocesi di Dublino (la più grande in Irlanda), l’altro sul malfunzionamento delle indagini sugli abusi sessuali nella diocesi di Cloyne. Soddisfazione per la pubblicazione del Rapporto è stata espressa da “Barnardos”, l’associazione che in Irlanda si occupa della tutela dei diritti dei minori, vittime di abusi: “Il documento possa ridare speranza alle vittime e faccia finalmente verità su un periodo vergognoso del nostro passato in cui – si legge sul sito della ong – ci siamo coperti gli occhi di fronte alla sofferenza di tanti bambini”.

Il dolore e la vergogna della Chiesa universale di fronte - in particolare a casi di abuso sessuali - sono state espresse dal Papa incontrando negli anni scorsi i presuli irlandesi, statunitensi e australiani investiti da inchieste nei loro Paesi, che hanno coinvolto numerosi esponenti ecclesiali. Il servizio di Roberta Gisotti:

“E’ importante stabilire la verità di ciò che è accaduto in passato, prendere tutte le misure atte ad evitare che si ripeta in futuro, assicurare che i principi di giustizia vengano pienamente rispettati e, soprattutto, guarire le vittime e tutti coloro che sono colpiti da questi crimini abnormi”. Questo il mandato che Benedetto XVI aveva affidato ai vescovi irlandesi incontrandoli in Vaticano durante la visita ad Limina, nell’ottobre del 2006. Si riferiva il Papa in particolare ai “molti casi dolorosi di abusi sessuali sui minori”, “ancor più tragici quando a compierli è un ecclesiastico”, di cui i presuli irlandesi nell’esercizio del loro ministero pastorale hanno dovuto rispondere negli ultimi anni.


Il dolore e la vergogna della Chiesa universale di fronte a tali tragici avvenimenti erano stati poi esplicitati da Benedetto XVI durante il viaggio verso gli Stati Uniti nell’aprile del 2008. “Mi riesce difficile comprendere – aveva detto parlando ai giornalisti sull’aereo papale – come sia possibile che alcuni sacerdoti abbiano potuto fallire in questo modo nella missione di portare sollievo, di portare l’amore di Dio” a dei bambini. “Provo vergogna”, aveva detto, assicurando tutto l’impegno possibile per evitare il ripetersi di tali fatti. Quindi aveva sollecitato “una riposta determinata e collettiva” nella Chiesa e nella società, operando giustizia, escludendo i pedofili dal ministero sacerdotale, discernendo severamente i candidati al sacerdozio e sostenendo adeguatamente le vittime. “Nessuna mia parola – aveva detto il Papa ai vescovi statunitensi - potrebbe descrivere il dolore e il danno recati da tale abuso” alle vittime e a tutta la comunità ecclesiale. Per questo - aveva chiesto prima di ripartire dagli Stati Uniti – di pregare tutti per “un tempo di purificazione” e “di guarigione”.


Su questi gravi “misfatti”, che vanno condannati “in modo inequivocabile”, il Papa era tornato a parlare nel viaggio apostolico in Australia, lo scorso luglio, perché la Chiesa – aveva ribadito - sappia riconciliare, prevenire, aiutare e riconoscere le colpe. Benedetto XVI mostrava ancora una volta sollecitudine verso le vittime, alcune delle quali aveva voluto incontrare personalmente, cosi come aveva già fatto negli Stati Uniti, per ascoltare la loro storia ed unirsi a loro nella preghiera.
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venerdì, maggio 22, 2009

Obama agli Usa e al mondo: Guantanamo va chiusa

Chiudere Guantanamo e sconfiggere Al Qaeda, rispettando i valori base dell’ordinamento americano. Così il presidente statunitense Barack Obama, parlando a Washington del progetto di smantellamento della base Usa operativa a Cuba

RadioVaticana - Il Senato americano ha recentemente bocciato lo stanziamento di 80 milioni di dollari richiesti dall’Amministrazione Obama per mettere i sigilli all’installazione militare, dove attualmente sono detenuti 240 prigionieri accusati di terrorismo. Obama è tornato ieri sull’argomento, nel giorno in cui 4 uomini sono stati arrestati a New York, con l'accusa di aver pianificato attentati. Il servizio di Elena Molinari.
Il presidente statunitense rimane dunque convinto della chiusura della base di Guantanamo entro il 2010. Sulle ragioni della linea di Obama, Giada Aquilino ha intervistato il prof. John Harper, docente di Storia Americana alla Johns Hopkins University.
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giovedì, maggio 21, 2009

Giornata Mondiale dell’Africa

La conferenza della LVIA a Cuneo

LVIA, Cuneo - Il 25 maggio il Comune di Cuneo ospiterà la conferenza “Giornata Mondiale dell’Africa: nuove forme di cooperazione” che la LVIA, l’associazione da oltre quarant’anni impegnata nella cooperazione internazionale con le comunità del Sud del mondo, promuove per celebrare la giornata mondiale dedicata all’Africa. L’appuntamento è alle 14.30 nella sala comunale in via Roma 28. L’incontro svilupperà tre tematiche: sovranità alimentare, ambiente e sviluppo, cooperazione tra comunità. Tre urgenze che rafforzano la consapevolezza di un destino comune tra Nord e Sud del mondo.

Sandro Bobba, presidente della LVIA, dichiara: “Tante istituzioni, fondazioni, enti pubblici e privati e cittadini del cuneese hanno agito in Africa insieme alla LVIA e i partner locali contribuendo alla realizzazione di progetti idrici, agricoli, formativi, sanitari e ambientali. Anche in Italia, tanti portano avanti con noi azioni di informazione e lobbying per promuovere un cambiamento delle politiche che causano ingiustizia e povertà. La giornata vuole quindi essere un momento propositivo con il riconoscimento e il rafforzamento di impegni, progetti, campagne di solidarietà e di pace”.

Nel corso della conferenza, problemi e potenzialità dei popoli africani saranno affrontati con la consapevolezza della necessità di valorizzare le soggettività africane nella progettazione di risposte alle cause della povertà. La LVIA insieme alla federazione nazionale di ong Volontari nel mondo FOCSIV, promuove la cooperazione tra comunità come una nuova opportunità di impegno e cittadinanza attiva. Giuseppe Salvinelli, vicepresidente FOCSIV che parteciperà all’incontro spiega: “Proponiamo una nuova modalità di partenariato tra Nord e Sud del mondo, dove Enti locali, università, associazioni di categoria, scuole, ed ogni soggetto della società civile organizzata del Nord può impegnarsi, in base alle proprie attitudini e competenze con soggetti omologhi del Sud”.

Nell’ambito delle attività che la LVIA promuove per la tutela dell’ambiente, sarà presentata la Campagna internazionale “Crea un clima di giustizia” promossa in Italia dalla FOCSIV e a cui la LVIA aderisce: sarà possibile firmare l’appello con cui si chiede ai governi che a dicembre parteciperanno al Vertice di Copenaghen, la ratifica in sede ONU di un accordo per la tutela dell’ambiente e lo sviluppo sostenibile. È inoltre possibile firmare l’appello sul sito www.climadigiustizia.it.

Parteciperà alla conferenza anche “Volontari per lo Sviluppo”, la rivista che dà voce al Sud del mondo, redatta dalle ong della FOCSIV.

Apriranno i lavori, il Sindaco di Cuneo Alberto Valmaggia e don Aldo Benevelli, fondatore e presidente onorario della LVIA. Il settimanale cuneese La Guida assicurerà la moderazione degli interventi.

Questo evento si inserisce nell'iniziativa "PIEMONTE chiama MONDO 2009 - Un intero mese dedicato alla cooperazione internazionale e all'educazione allo sviluppo" patrocinato dalla Regione Piemonte e organizzato per il terzo anno consecutivo dalle Ong che aderiscono al Consorzio Ong piemontesi. Sul sito www.ongpiemonte.it è disponibile il programma con il dettaglio degli oltre 40 eventi nelle diverse località piemontesi.

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giovedì, maggio 21, 2009

Per un'antimafia senza confini

L'economia della criminalità organizzata attraversa e inquina anche il territorio marchigiano

Liberainformazione - Ad Ascoli Piceno Libera è stata recentemente costituita, e proprio dall’associazionismo antimafia viene la necessità di informazione sui fenomeni criminali del nostro paese, anche in quelle regioni che ancora oggi molti si ostinano a considerare “isole felici”. Di queste realtà, purtroppo non ne esistono più. Le mafie sono presenti e attive ovunque, anche a livello internazionale. La proiezione di “Gomorra”, riproposizione cinematografica di Garrone del romanzo di Saviano, è l’occasione ideale per fare il punto sulle mafie nelle Marche.

Le mafie giocano un ruolo importante nelle regioni dell’Italia centro-settentrionale, ma lo declinano in modo differente. Se nelle regioni meridionali la presenza mafiosa si realizza principalmente con il controllo del territorio, quindi racket, controllo sociale, intimidazioni, nelle regioni centro-settentrionali si realizza in maniera “soft”. Almeno inizialmente.L’infiltrazione avviene silenziosamente, sotto traccia, ma avviene. Si manifesta con il monopolio sui traffici, con il riciclaggio di denaro sporco, con il controllo sugli appalti, cercando la collusione di amministratori locali “sensibili”, corrompendo il mercato, la politica e l’informazione. Realizzando un controllo “leggero”, ma pur sempre effettivo, sui gangli vitali dell’economia e della società.

Incrociando i dati della relazione della Direzione Nazionale Antimafia 2008, con gli ultimi rapporti di Legambiente sulle ecomafie, e tenendo in considerazione l’ultimo rapporto di Sos Impresa, possiamo provare a tratteggiare un quadro sulle infiltrazioni mafiose nelle Marche.

Dalle analisi fatte dalla Dna, le mafie sono operative, anche se non si sembrano strutturalmente radicate. Nella regione operano organizzazioni criminali italiane e straniere. I cinesi sono attivi per lo più nella tratta degli esseri umani e nello sfruttamento di manodopera in nero. Dominicani ed albanesi si occupano dei traffici di droga, cocaina ed eroina, con collegamenti sia a livello internazionale, che con le mafie del nostro paese.

Il tentativo di infiltrazione nel settore degli appalti è preoccupante: « vi è il rischio concreto che fenomeni di rilevante entità…abbiano a transitare attraverso il mercato delle false certificazioni in tema di imprese abilitate alla partecipazione alle gare di appalto». Imprese, denuncia la Direzione Nazionale Antimafia, per lo più provenienti dalla Sicilia, riescono ad ottenere falsi certificati per partecipare alle gare di appalto in alcune realtà marchigiane, alterando le regole e viziando il corretto funzionamento del mercato.

Il porto di Ancona costituisce un ghiotto approdo per traffici illeciti di ogni sorta. Droga, principalmente l’eroina che viaggia attraverso le innumerevoli varianti della “rotta balcanica”, e la cocaina, che i narcos colombiani riescono a far arrivare dalle più svariate destinazioni. Esseri umani, “importati” dall’Asia e dall’Europa dell’est, destinati a lavorare in condizioni di schiavitù. Contrabbando di sigarette, che continua ad essere uno tra le più lucrose fonti di arricchimento delle mafie balcaniche. Nella sola operazione “Trojan Horse” nel novembre 2007 sono stati sequestrati 39 mila chili di tabacco estero lavorato, pari a 195.100 stecche di sigarette. Riciclaggio di denaro sporco, come risulta dall’operazione “easy money”, come evidenziato da un’operazione condotta dalla Guardia di Finanza e dalla Direzione Distrettuale di Ancona, che ha portato alla luce una vasta rete di sub-agenzie in tutta Italia, circa 60 mila, coinvolte nella “ripulitura” di denaro sporco verso l’estero. La Dna indaga, inoltre, su operazioni di riciclaggio riconducibili diretti verso San Marino. Nell’ambito delle ecomafie tra il 2007 e il 2008, si registrano numerosi casi di illecito smaltimento di rifiuti. Operazioni dai nomi suggestivi: “Staccionata”, “Toxic country”, che raffigurano una dimensione allarmante, ed interregionale, di aggressione all’ambiente.

Campanelli di allarme che da un lato dimostrano la capacità di infiltrazione delle mafie sia a livello nazionale che internazionale, dovuta alla enorme disponibilità di denaro da reinvestire in attività lecite e in operazioni illecite. Dall’altro lato mettono in evidenza la necessità che la società si responsabilizzi di fronte alla minaccia delle mafie, evitando il preoccupante, ma diffuso, fenomeno della “depenalizzazione” dei reati nelle coscienze dei cittadini.

di Gaetano Liardo

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giovedì, maggio 21, 2009

Primo rapporto mondiale 2009 sul rischio di catastrofi naturali

La maggior parte del rischio di alluvioni è concentrata nei paesi asiatici poveri e in via di sviluppo, con il 75% dei decessi mondiali in Bangladesh, India e Cina, seguite da Thailandia e Indonesia

Eco51.it - L’attuale tendenza delle catastrofi naturali (link, ECO 51) è quella di aumentare in tutto il mondo a causa dell’effetto combinato di tre principali “fattori di rischio“: lo sviluppo urbano incontrollato, il degrado ambientale e soprattutto i cambiamenti climatici a causa delle emissioni dei gas serra. Queste sfide minacciano lo sviluppo, la stabilità economica e la sicurezza globale, ma è soprattutto il cambiamento climatico ad acuire l’interazione tra i rischi di catastrofe e la povertà.

All’aumento dei fenomeni meteo-climatici estremi – che si manifestano sottoforma di gravi e frequenti calamità naturali, comprese le siccità e le tempeste – corrisponde la vulnerabilità delle comunità svantaggiate nei paesi in via di sviluppo nell’assorbire l’impatto e nel riuscire a recuperare, oltretutto senza copertura assicurativa né protezione sociale. Negli ultimi 32 anni, in Medio Oriente e nel Nord Africa, 37 milioni di persone hanno subito un danno superiore ai $ 19bn in seguito alla siccità in Sudan e in Somalia, le inondazioni in Sudan e in Marocco, i terremoti in Egitto e in Algeria, il ciclone nell’Oman e negli Emirati Arabi Uniti. L’uragano Katrina negli Stati Uniti nel 2005 è stato invece il più costoso in termini di perdite finanziarie ($ 125 miliardi).

Nei paesi emergenti, la mancanza di misure di sicurezza – costruttive e di dilavamento – espone soprattutto le abnormi baraccopoli urbane al rischio di forti inondazioni in seguito a intense precipitazioni e tempeste. Questi recenti insediamenti di 900 milioni di poveri aumentano nelle nazioni emergenti al ritmo di circa 25 milioni di abitanti all’anno soprattutto per l’inurbamento inarrestabile degli emigranti rurali.

La maggior parte del rischio di alluvioni è concentrata nei paesi asiatici poveri e in via di sviluppo, con il 75% dei decessi mondiali in Bangladesh, India e Cina, seguite da Thailandia e Indonesia. Cina, India, Filippine, Birmania e Madagascar sono ad alto rischio di mortalità a causa dei cicloni, Cina e India per lo più per i terremoti, mentre i paesi dell’Africa sub-sahariana per la siccità.

Nelle regioni particolarmente esposte alle catastrofi naturali, l’insorgere dei fenomeni meteorologici estremi legati ai cambiamenti climatici, hanno accresciuto i rischi da “megadisastri” - devastanti inondazioni, cicloni e terremoti - del 28% rispetto a 20 anni fa, soprattutto in India, Cina e in altre zone dell’Asia. Due esempi recenti di queste proporzioni sono stati provocati dal ciclone Nargis nel Myanmar (140.000 decessi) e dal terribile terremoto in Cina (90.000 morti e 5 milioni di persone senza tetto).

Dal 1975, la catastrofe naturale più distruttiva al mondo è stata la siccità in Etiopia nel 1983 (300.000 vittime), seguita dal terremoto a Tangshan in Cina nel 1976 (242.000 vittime) e dallo tsunami del 2004 nei paesi sull’Oceano Indiano (226.408 vittime). Ammontano a 1,7 milioni le vittime di 23 “megacalamità” e del 13% quelle da inondazione, con il 35% in più di perdite economiche, ma aumenteranno in seguito alle violente tempeste e alle emergenze meteorologiche connesse al riscaldamento globale.

Molte aree urbane verseranno in condizioni critiche per la carenza di acqua ed energia, per ondate di calore e freddo, il diffondersi di malattie, ma particolarmente preoccupante sarà l’impatto in seguito all’innalzarsi degli oceani in megalopoli come Dacca (Bangladesh), Mumbai (India), Shanghai (Cina), Karachi (Pakistan) situate al massimo a quasi dieci metri sopra il livello del mare (qui e qui, ECO 51).

Il rischio è distribuito in modo diseguale e tende a crescere nei paesi poveri con governi deboli. La Somalia, stremata dalla guerra civile negli ultimi 19 anni, affronta con maggiore difficoltà la grave siccità che affligge il Corno d’Africa settentrionale rispetto al vicino Gibuti, stabile a livello politico e sociale. Emergono anche alcune differenze tra paesi ricchi e poveri, come il rapporto di decessi di 1 a 17 in Giappone e nelle Filippine, ugualmente esposti ai cicloni tropicali.

Il Segretario generale delle Nazioni Unite, Ban Ki-Moon, ha sottolineato l’importanza della preparazione per ridurre al minimo gli effetti delle future calamità. Non si possono prevenire i fenomeni naturali distruttivi, ma si può limitarne l’impatto partendo dall’impegno politico. Risulta difficile convincere a concentrarsi e a investire sulle misure preventive per la riduzione del rischio per ottenere futuri benefici, ma aiuterà a diminuire la povertà, promuovere lo sviluppo e adattarsi al riscaldamento climatico. Molti paesi devono ancora affrontare pressanti problemi, come la povertà, la carestia, l’istruzione e la sanità, ma sarebbe decisamente più costoso perdere tutto. E’ meglio allora avviare un programma partendo da una revisione globale della sicurezza delle scuole e degli ospedali entro due anni.

Questo primo rapporto mondiale sulla riduzione del rischio di catastrofi nel periodo 1975 - 2007, presentato nei giorni scorsi a Manama (Bahrain), sarà discusso a Ginevra (Svizzera) a metà giugno. E’ stato elaborato dalle Nazioni Unite in collaborazione con la Banca Mondiale e diverse istituzioni governative, scientifiche, accademiche nell’ambito della Strategia internazionale per la Riduzione dei Disastri (ISDR), fondata nel 2000, con obiettivi da raggiungere entro il 2015.

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giovedì, maggio 21, 2009

Caritas Senegal: immigrati respinti verso la morte

In Africa, soprattutto in Senegal, Paese di transito e di partenza, il 68 per cento della popolazione non riesce ad avere un euro al giorno per vivere

Radio Vaticana - Un barcone con 26 migranti è stato intercettato da una motovedetta della Guardia di Finanza, a dieci miglia a Sud-Ovest di Pozzallo. Ieri hanno fatto riflettere le parole del presidente della Commissione Cei per i problemi sociali e il lavoro, mons. Arrigo Miglio. I migranti respinti dalle autorità italiane in Libia sono stati costretti a tornare su strade di fame e di morte – ha detto - non tutti erano bisognosi di asilo, non tutti sono santi ma poveri di certo. La Chiesa - ha aggiunto - è per sua natura multi etnica e la solidarietà cui è chiamata comprende sia il pane quotidiano sia l'apertura di cuore verso ogni persona. Intanto si parla di un possibile incontro tra Italia, Malta, Libia e Alto commissariato Onu per i Rifugiati, per una strategia comune. E da Tripoli il segretario generale per la Sicurezza Pubblica respinge le accuse di trattamento inumano nei centri per gli immigrati libici dicendo che questi non sono peggiori di quelli italiani. Non è della stessa opinione padre Ambroise Tin, direttore di Caritas Senegal, intervistato da Francesca Sabatinelli. (ascolta)

R. – Respingere tutti questi migranti che cercano una vita migliore in Italia, mi sembra veramente sbagliato a livello politico e strategico. La questione fondamentale è quella della povertà e della dignità umana. In Africa, soprattutto in Senegal, Paese di transito e di partenza, il 68 per cento della popolazione non riesce ad avere un euro al giorno per vivere. Se questa gente, arrivando nel Mediterraneo o in Italia, viene respinta - non rispettando la dignità umana e i diritti umani - verso la Libia, dove ci sono almeno 25 centri di detenzione, di prigioni, significa mandarla all’inferno: non mangiano come si deve, non hanno l’acqua e ogni tanto vengono spinti nel deserto, dove muoiono.

D. – Padre Tin, in Italia il dibattito molto forte è sulla necessità di dover coniugare l’accoglienza alle persone che entrano con la sicurezza dei cittadini...

R. – Va bene, ci vogliono anche delle regole che possano permettere alla gente di venire in Europa in modo degno. Sono d’accordo. Ma se facciamo un’analisi di queste regole, vediamo che tutto il fenomeno della migrazione è percepito come una minaccia per il benessere della gente in Europa. Il fenomeno viene anche incriminato e non è giusto.

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