La maggior parte del rischio di alluvioni è concentrata nei paesi asiatici poveri e in via di sviluppo, con il 75% dei decessi mondiali in Bangladesh, India e Cina, seguite da Thailandia e Indonesia
Eco51.it - L’attuale tendenza delle catastrofi naturali (link, ECO 51) è quella di aumentare in tutto il mondo a causa dell’effetto combinato di tre principali “fattori di rischio“: lo sviluppo urbano incontrollato, il degrado ambientale e soprattutto i cambiamenti climatici a causa delle emissioni dei gas serra. Queste sfide minacciano lo sviluppo, la stabilità economica e la sicurezza globale, ma è soprattutto il cambiamento climatico ad acuire l’interazione tra i rischi di catastrofe e la povertà.
All’aumento dei fenomeni meteo-climatici estremi – che si manifestano sottoforma di gravi e frequenti calamità naturali, comprese le siccità e le tempeste – corrisponde la vulnerabilità delle comunità svantaggiate nei paesi in via di sviluppo nell’assorbire l’impatto e nel riuscire a recuperare, oltretutto senza copertura assicurativa né protezione sociale. Negli ultimi 32 anni, in Medio Oriente e nel Nord Africa, 37 milioni di persone hanno subito un danno superiore ai $ 19bn in seguito alla siccità in Sudan e in Somalia, le inondazioni in Sudan e in Marocco, i terremoti in Egitto e in Algeria, il ciclone nell’Oman e negli Emirati Arabi Uniti. L’uragano Katrina negli Stati Uniti nel 2005 è stato invece il più costoso in termini di perdite finanziarie ($ 125 miliardi).
Nei paesi emergenti, la mancanza di misure di sicurezza – costruttive e di dilavamento – espone soprattutto le abnormi baraccopoli urbane al rischio di forti inondazioni in seguito a intense precipitazioni e tempeste. Questi recenti insediamenti di 900 milioni di poveri aumentano nelle nazioni emergenti al ritmo di circa 25 milioni di abitanti all’anno soprattutto per l’inurbamento inarrestabile degli emigranti rurali.
La maggior parte del rischio di alluvioni è concentrata nei paesi asiatici poveri e in via di sviluppo, con il 75% dei decessi mondiali in Bangladesh, India e Cina, seguite da Thailandia e Indonesia. Cina, India, Filippine, Birmania e Madagascar sono ad alto rischio di mortalità a causa dei cicloni, Cina e India per lo più per i terremoti, mentre i paesi dell’Africa sub-sahariana per la siccità.
Nelle regioni particolarmente esposte alle catastrofi naturali, l’insorgere dei fenomeni meteorologici estremi legati ai cambiamenti climatici, hanno accresciuto i rischi da “megadisastri” - devastanti inondazioni, cicloni e terremoti - del 28% rispetto a 20 anni fa, soprattutto in India, Cina e in altre zone dell’Asia. Due esempi recenti di queste proporzioni sono stati provocati dal ciclone Nargis nel Myanmar (140.000 decessi) e dal terribile terremoto in Cina (90.000 morti e 5 milioni di persone senza tetto).
Dal 1975, la catastrofe naturale più distruttiva al mondo è stata la siccità in Etiopia nel 1983 (300.000 vittime), seguita dal terremoto a Tangshan in Cina nel 1976 (242.000 vittime) e dallo tsunami del 2004 nei paesi sull’Oceano Indiano (226.408 vittime). Ammontano a 1,7 milioni le vittime di 23 “megacalamità” e del 13% quelle da inondazione, con il 35% in più di perdite economiche, ma aumenteranno in seguito alle violente tempeste e alle emergenze meteorologiche connesse al riscaldamento globale.
Molte aree urbane verseranno in condizioni critiche per la carenza di acqua ed energia, per ondate di calore e freddo, il diffondersi di malattie, ma particolarmente preoccupante sarà l’impatto in seguito all’innalzarsi degli oceani in megalopoli come Dacca (Bangladesh), Mumbai (India), Shanghai (Cina), Karachi (Pakistan) situate al massimo a quasi dieci metri sopra il livello del mare (qui e qui, ECO 51).
Il rischio è distribuito in modo diseguale e tende a crescere nei paesi poveri con governi deboli. La Somalia, stremata dalla guerra civile negli ultimi 19 anni, affronta con maggiore difficoltà la grave siccità che affligge il Corno d’Africa settentrionale rispetto al vicino Gibuti, stabile a livello politico e sociale. Emergono anche alcune differenze tra paesi ricchi e poveri, come il rapporto di decessi di 1 a 17 in Giappone e nelle Filippine, ugualmente esposti ai cicloni tropicali.
Il Segretario generale delle Nazioni Unite, Ban Ki-Moon, ha sottolineato l’importanza della preparazione per ridurre al minimo gli effetti delle future calamità. Non si possono prevenire i fenomeni naturali distruttivi, ma si può limitarne l’impatto partendo dall’impegno politico. Risulta difficile convincere a concentrarsi e a investire sulle misure preventive per la riduzione del rischio per ottenere futuri benefici, ma aiuterà a diminuire la povertà, promuovere lo sviluppo e adattarsi al riscaldamento climatico. Molti paesi devono ancora affrontare pressanti problemi, come la povertà, la carestia, l’istruzione e la sanità, ma sarebbe decisamente più costoso perdere tutto. E’ meglio allora avviare un programma partendo da una revisione globale della sicurezza delle scuole e degli ospedali entro due anni.
Questo primo rapporto mondiale sulla riduzione del rischio di catastrofi nel periodo 1975 - 2007, presentato nei giorni scorsi a Manama (Bahrain), sarà discusso a Ginevra (Svizzera) a metà giugno. E’ stato elaborato dalle Nazioni Unite in collaborazione con la Banca Mondiale e diverse istituzioni governative, scientifiche, accademiche nell’ambito della Strategia internazionale per la Riduzione dei Disastri (ISDR), fondata nel 2000, con obiettivi da raggiungere entro il 2015.
Eco51.it - L’attuale tendenza delle catastrofi naturali (link, ECO 51) è quella di aumentare in tutto il mondo a causa dell’effetto combinato di tre principali “fattori di rischio“: lo sviluppo urbano incontrollato, il degrado ambientale e soprattutto i cambiamenti climatici a causa delle emissioni dei gas serra. Queste sfide minacciano lo sviluppo, la stabilità economica e la sicurezza globale, ma è soprattutto il cambiamento climatico ad acuire l’interazione tra i rischi di catastrofe e la povertà.All’aumento dei fenomeni meteo-climatici estremi – che si manifestano sottoforma di gravi e frequenti calamità naturali, comprese le siccità e le tempeste – corrisponde la vulnerabilità delle comunità svantaggiate nei paesi in via di sviluppo nell’assorbire l’impatto e nel riuscire a recuperare, oltretutto senza copertura assicurativa né protezione sociale. Negli ultimi 32 anni, in Medio Oriente e nel Nord Africa, 37 milioni di persone hanno subito un danno superiore ai $ 19bn in seguito alla siccità in Sudan e in Somalia, le inondazioni in Sudan e in Marocco, i terremoti in Egitto e in Algeria, il ciclone nell’Oman e negli Emirati Arabi Uniti. L’uragano Katrina negli Stati Uniti nel 2005 è stato invece il più costoso in termini di perdite finanziarie ($ 125 miliardi).
Nei paesi emergenti, la mancanza di misure di sicurezza – costruttive e di dilavamento – espone soprattutto le abnormi baraccopoli urbane al rischio di forti inondazioni in seguito a intense precipitazioni e tempeste. Questi recenti insediamenti di 900 milioni di poveri aumentano nelle nazioni emergenti al ritmo di circa 25 milioni di abitanti all’anno soprattutto per l’inurbamento inarrestabile degli emigranti rurali.
La maggior parte del rischio di alluvioni è concentrata nei paesi asiatici poveri e in via di sviluppo, con il 75% dei decessi mondiali in Bangladesh, India e Cina, seguite da Thailandia e Indonesia. Cina, India, Filippine, Birmania e Madagascar sono ad alto rischio di mortalità a causa dei cicloni, Cina e India per lo più per i terremoti, mentre i paesi dell’Africa sub-sahariana per la siccità.
Nelle regioni particolarmente esposte alle catastrofi naturali, l’insorgere dei fenomeni meteorologici estremi legati ai cambiamenti climatici, hanno accresciuto i rischi da “megadisastri” - devastanti inondazioni, cicloni e terremoti - del 28% rispetto a 20 anni fa, soprattutto in India, Cina e in altre zone dell’Asia. Due esempi recenti di queste proporzioni sono stati provocati dal ciclone Nargis nel Myanmar (140.000 decessi) e dal terribile terremoto in Cina (90.000 morti e 5 milioni di persone senza tetto).
Dal 1975, la catastrofe naturale più distruttiva al mondo è stata la siccità in Etiopia nel 1983 (300.000 vittime), seguita dal terremoto a Tangshan in Cina nel 1976 (242.000 vittime) e dallo tsunami del 2004 nei paesi sull’Oceano Indiano (226.408 vittime). Ammontano a 1,7 milioni le vittime di 23 “megacalamità” e del 13% quelle da inondazione, con il 35% in più di perdite economiche, ma aumenteranno in seguito alle violente tempeste e alle emergenze meteorologiche connesse al riscaldamento globale.
Molte aree urbane verseranno in condizioni critiche per la carenza di acqua ed energia, per ondate di calore e freddo, il diffondersi di malattie, ma particolarmente preoccupante sarà l’impatto in seguito all’innalzarsi degli oceani in megalopoli come Dacca (Bangladesh), Mumbai (India), Shanghai (Cina), Karachi (Pakistan) situate al massimo a quasi dieci metri sopra il livello del mare (qui e qui, ECO 51).
Il rischio è distribuito in modo diseguale e tende a crescere nei paesi poveri con governi deboli. La Somalia, stremata dalla guerra civile negli ultimi 19 anni, affronta con maggiore difficoltà la grave siccità che affligge il Corno d’Africa settentrionale rispetto al vicino Gibuti, stabile a livello politico e sociale. Emergono anche alcune differenze tra paesi ricchi e poveri, come il rapporto di decessi di 1 a 17 in Giappone e nelle Filippine, ugualmente esposti ai cicloni tropicali.
Il Segretario generale delle Nazioni Unite, Ban Ki-Moon, ha sottolineato l’importanza della preparazione per ridurre al minimo gli effetti delle future calamità. Non si possono prevenire i fenomeni naturali distruttivi, ma si può limitarne l’impatto partendo dall’impegno politico. Risulta difficile convincere a concentrarsi e a investire sulle misure preventive per la riduzione del rischio per ottenere futuri benefici, ma aiuterà a diminuire la povertà, promuovere lo sviluppo e adattarsi al riscaldamento climatico. Molti paesi devono ancora affrontare pressanti problemi, come la povertà, la carestia, l’istruzione e la sanità, ma sarebbe decisamente più costoso perdere tutto. E’ meglio allora avviare un programma partendo da una revisione globale della sicurezza delle scuole e degli ospedali entro due anni.
Questo primo rapporto mondiale sulla riduzione del rischio di catastrofi nel periodo 1975 - 2007, presentato nei giorni scorsi a Manama (Bahrain), sarà discusso a Ginevra (Svizzera) a metà giugno. E’ stato elaborato dalle Nazioni Unite in collaborazione con la Banca Mondiale e diverse istituzioni governative, scientifiche, accademiche nell’ambito della Strategia internazionale per la Riduzione dei Disastri (ISDR), fondata nel 2000, con obiettivi da raggiungere entro il 2015.
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