La Banca Mondiale presenta l'edizione 2009 del Little Green Data Book: la raccolta mondiale dei dati enegetici e ambientali. Un'attenzione particolare al rapporto tra città e cambiamenti climatici. Un confronto impietoso tra le situazioni di partenza dei paesi ricchi e di quelli poveri.
Qualenergia.it - A pesare sul riscaldamento globale sono soprattutto le città, ma è anche nel contesto urbano che si può agire meglio per rallentare il cambiamento climatico. È questa la conclusione che la Banca Mondiale mette in evidenza nel presentare l'edizione 2009 del Little Green Data Book, la raccolta dei dati mondiali sulle questioni ambientali che la World Bank pubblica annualmente. Che le città, dove ovviamente si concentrano popolazione e attività economiche e, dunque, emissioni, siano al centro dell’attenzione di questa edizione d’altra parte lo spiega la previsione che vi si fa: entro il 2050 il 70% della popolazione vivrà nei grossi centri urbani.
Basta pensare alle gigantesche metropoli del terzo mondo, come Lagos in Nigeria o Karachi in Pakistan, per stimare quali saranno i problemi ambientali e sociali di un’umanità sempre più concentrata attorno alle città. A questo, si scopre dal Green Data Book 2009, va aggiunto il fatto che le città, pur avendo livelli di emissione procapite inferiori dal 30 al 50% rispetto a quelli delle zone suburbane, dipendono ancora dalle fonti fossili per il 72% del loro fabbisogno energetico. E gli effetti del global warming colpiranno soprattutto le città costiere in tutto il mondo: circa 360 milioni di persone vivono in zone urbane costiere a quote che le mettono a rischio per l'innalzamento del livello del mare o per l'aumento della frequenza di fenomeni metereologici estremi. È anche nelle città, si spiega però nel presentare la raccolta di dati, che più si può intervenire per contenere le emissioni: le metropoli in crescita dovrebbero adottare le soluzioni sviluppate nelle realtà più avanzate come Germania e Svezia. Occorre pensare a una pianificazione urbana che massimizzi l’efficienza, ad esempio riducendo la necessità di spostarsi.
Ma oltre al focus sulle città il Little Green Data Book è soprattutto una fonte pratica e preziosa di informazioni sulle questioni ambientali che consentono paragoni tra le nazioni del mondo. Così se guardiamo ai dati sull’energia per il nostro paese, scopriamo che per alcuni aspetti siamo già favoriti nella transizione al low carbon rispetto agli altri paesi industrialializzati. Ad esempio, abbiamo un’intensità energetica (cioè un rapporto tra energia usata e ricchezza prodotta) più bassa di quasi 3 punti percentuali rispetto a alla media OCSE (un rapporto Pil/energia consumata di 9,1 contro una media di 6,3), usiamo relativamente poco carbone (16,4% della produzione elettrica contro una media del 37,4% tra i paesi ricchi e con paesi come la Polonia e la Cina che producono dal carbone rispettivamente il 93,6% e l’80,3% della loro elettricità). Allo stesso modo abbiamo un fabbisogno procapite di energia di 3.215 kg di petrolio equivalente contro una media OCSE di 5.416 ed emettiamo 7,7 tonnellate di CO2 equivalenti a testa contro i 12,6 degli altri paesi ricchi.
Se però si guardano i dati del resto del mondo si fa presto a vedere come lo stile di vita dei paesi sviluppati impatti in maniera sproporzionatamente maggiore sul pianeta. La media delle emissioni procapite dei paesi di sviluppo è infatti di 2,8 tonnellate di CO2 equivalente, quella delle nazioni più povere è 0,6: oltre 20 volte inferiore a quella dei paesi OCSE.
Se in Italia ci sono 595 auto per ogni 1000 abitanti e la media Oecd è di 472, in Cina le automobili ogni 1000 abitanti sono 18, la media dei paesi emergenti è di 14, mentre non ci sono dati per le nazioni più povere. Insomma, varrebbe la pena dare un’occhiata alle tabelle (si possono consultare qui). Anche per capire la situazione economica ed energetica che hanno alle spalle i vari paesi che si siederanno attorno al tavolo di Copenhagen, a dicembre, per decidere come fare a evitare ulteriori danni al pianeta.
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Ma oltre al focus sulle città il Little Green Data Book è soprattutto una fonte pratica e preziosa di informazioni sulle questioni ambientali che consentono paragoni tra le nazioni del mondo. Così se guardiamo ai dati sull’energia per il nostro paese, scopriamo che per alcuni aspetti siamo già favoriti nella transizione al low carbon rispetto agli altri paesi industrialializzati. Ad esempio, abbiamo un’intensità energetica (cioè un rapporto tra energia usata e ricchezza prodotta) più bassa di quasi 3 punti percentuali rispetto a alla media OCSE (un rapporto Pil/energia consumata di 9,1 contro una media di 6,3), usiamo relativamente poco carbone (16,4% della produzione elettrica contro una media del 37,4% tra i paesi ricchi e con paesi come la Polonia e la Cina che producono dal carbone rispettivamente il 93,6% e l’80,3% della loro elettricità). Allo stesso modo abbiamo un fabbisogno procapite di energia di 3.215 kg di petrolio equivalente contro una media OCSE di 5.416 ed emettiamo 7,7 tonnellate di CO2 equivalenti a testa contro i 12,6 degli altri paesi ricchi.
Se però si guardano i dati del resto del mondo si fa presto a vedere come lo stile di vita dei paesi sviluppati impatti in maniera sproporzionatamente maggiore sul pianeta. La media delle emissioni procapite dei paesi di sviluppo è infatti di 2,8 tonnellate di CO2 equivalente, quella delle nazioni più povere è 0,6: oltre 20 volte inferiore a quella dei paesi OCSE.
Se in Italia ci sono 595 auto per ogni 1000 abitanti e la media Oecd è di 472, in Cina le automobili ogni 1000 abitanti sono 18, la media dei paesi emergenti è di 14, mentre non ci sono dati per le nazioni più povere. Insomma, varrebbe la pena dare un’occhiata alle tabelle (si possono consultare qui). Anche per capire la situazione economica ed energetica che hanno alle spalle i vari paesi che si siederanno attorno al tavolo di Copenhagen, a dicembre, per decidere come fare a evitare ulteriori danni al pianeta.
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