venerdì, maggio 22, 2009
del nostro redattore Renato Zilio

Come missionario in Francia mi trovavo a vivere le unità pastorali come pane quotidiano: il raggruppamento di diverse comunità parrocchiali è cosa abituale, normale. Una nuova esigenza pastorale senz’altro, ma anche una realtà fisiologica: la povertà di pastori. Tuttavia, si faceva strada uno nuovo stile, dove la parola chiave era «insieme». Una vera rivoluzione copernicana per la gente, ma soprattutto per i leader, i pastori. Programmare insieme, lavorare insieme, valutare insieme. Gestire insieme un largo territorio pastorale, immettendovi i carismi e le competenze di ognuno, condividendo le risorse e le fragilità di differenti comunità parrocchiali: che miracolo pastorale! E che ampiezza di respiro, anche per un giovane prete, al posto di rinchiuderlo in una comunità di... 800 abitanti, come a volte succede da noi. Una sinergia finora sconosciuta che prepara l’avvenire e contrasta il clima dei nostri tempi, l’individualismo. Nell’era della globalizzazione, infatti, è ancora attuale ritrovarsi da soli in un microcosmo, in una piccola parrocchia?

Per qualche anno ho vissuto l’esperienza di co-parroco (in solidum) con altri due sacerdoti per una dozzina di piccole parrocchie francesi: un’unità pastorale. Il prete che seguiva la catechesi, lo faceva per tutte le comunità, mettendo in sinergia tutte le forze, le idee, i progetti. Chi era per i giovani lo faceva per tutta la gioventù dell’insieme pastorale… Per le messe, a volte, ecco un volto nuovo, un messaggio diverso, un approccio differente. Oppure, qualche volta, grandi celebrazioni di più comunità insieme, dopo un bel cammino insieme di preparazione… ma che qualità di celebrazione alla fine!

Evidentemente, si richiedeva al Vescovo un’attenzione particolare al motore: un’equipe di preti interattiva, complementare. Di persone capaci e desiderose di lavorare insieme. Per queste comunità era la scoperta di una grande ricchezza, anche attraverso questi compiti pastorali traversali, efficaci, stimolanti e una responsabilità per loro accresciuta.

Veniva, poi, da sorridere trovandomi successivamente nella grande diocesi di Friburgo e che – secondo lo spirito programmatico e pragmatico elvetico – la cosa si facesse perfino per decreto. Per una certa data il Vescovo aveva disposto che tutte le parrocchie dovevano accorparsi a due o tre o più in unità pastorale. Visto che questo era il futuro, meglio anticiparlo! Omogeneità sociologica, problematiche analoghe e una popolazione massimale attorno ai 30.000 abitanti erano alcuni criteri.

In verità, si avvertiva che stavamo scrivendo un’altra teologia. Concretamente. Non più quella del Padre onnipotente, che si riflette (quasi sua ipostasi) nell’auctoritas del parroco, ma la teologia della Trinità - caratteristica squisitamente cristiana nel panorama multireligioso attuale - che richiede la pratica della concertazione, della comunione, del dialogo, della corresponsabilità, della condivisione (pericoresi). Di fronte alla posizione solitaria di un parroco, come spesso da noi, lasciato solo a vivere, a riflettere, a decidere e ad agire, si optava per una collegialità di forze, di mente e di cuore per affrontare le sfide del domani e le nuove strategie pastorali. Presentare, in fondo, un volto nuovo di Chiesa: il valore della comunione. Anche perchè, come ricorda un bel proverbio africano : «Da soli si va più in fretta, ma insieme si va più lontano…»

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