venerdì, maggio 08, 2009

Genitori e figli, difficoltà e incomprensioni

I genitori spesso si lamentano del comportamento sbagliato e non capiscono perché il figlio non dorme o non mangia o va male a scuola; spesso non sanno cosa gli manca per stare bene.

di Masal Pas Bagdadi

Le complicate difficoltà che i genitori incontrano giornalmente con i figli mi hanno spinto a raccogliere in due libri intitolati “Genitori non si nasce ma si diventa” e “Mamma mi compri playboy” (Ed - F. Angeli) i problemi principali che vivono molti di loro e ho formulato risposte concrete e di facile applicazione nelle varie situazioni in famiglia. L’esperienza ci insegna che l’amore per i figli di per sé non è sufficiente per capire cosa “gira” nella loro mente e non spiega perché a volte si comportano in modo incoerente. I genitori spesso si lamentano del comportamento sbagliato e non capiscono perché il figlio non dorme o non mangia o mangia troppo o va male a scuola e non sanno cosa gli manca per stare bene. L’amore anche se è la “forza motrice”, che nutre il nostro impegno di genitori e determina i rapporti stretti in famiglia, non è esente da elementi consci e inconsci del nostro passato non risolti, che comunque interferiscono e coinvolgono ogni rapporto viscerale.
La forte vicinanza emotiva non ci permette spesso di vedere i figli come individui separati, che pensano e sentono a modo loro. Molti genitori si tormentano con sensi di colpa e si domandano dove hanno sbagliato.
Per riconosce l’unicità di ogni figlio, grande o piccolo, è utile sapere di più sulla sua crescita psicologica e emotiva e sopra tutto ascoltarlo.
Con questo spirito ho affrontato questi due libri.
Nei libri analizzo i problemi legati ai capricci, manie, enuresi notturna, separazione, crisi d’identità, curiosità sessuali e pedofilia.
L’analisi che faccio delle varie situazioni permette di capire prima e agire poi per modificare gli interventi educativi e sciogliere tensioni negative e forse anche aprire un dialogo diverso più aperto e creativo con loro.
Il lavoro che svolgo da lunghi anni con adulti, adolescenti e bambini, mi hanno aiutato a capire quanto sia importante sciogliere i conflitti in famiglia tempestivamente per vivere meglio nel presente e evitare problemi in futuro.
Il mio compito non è tranquillizzare i genitori in modo stupido dicendo “crescerà e tutto si sistemerà” ma piuttosto preferisco introdurli nel mondo infantile con curiosità e interesse. La vita infantile è in fermento continuo di sensazioni di gioia, rabbia, angoscia, paura, e spesso la mente giovane non riesce a contenere l’intreccio di emozioni che la investono. Perciò l’idea comune che i bambini siano privi di preoccupazioni è lontana dalla realtà psichica: piuttosto il pensiero che i bambini siano sereni serve a tranquillizzare i genitori. La frase tipica “Non capisco perché sia così agitato, ha tutto, non gli manca niente” esprime bene questa incomprensione diffusa sul mondo infantile.
Le “cose” materiali non riempiono il profondo bisogno di ogni bambino di sentirsi capito e protetto per non rimanere da solo con i suoi pensieri e le sue angosce. Desiderare di vedere i bambini sempre “felici” contraddice il fatto che la maggior parte delle persone rimuovono il passato infantile, che va quindi a depositarsi nell’inconscio.
L’“allontanamento” dal passato, da adulti ci rende poco sensibili a entrare in empatia con i nostri figli e inabili a captare messaggi celati o espressi in modo confuso o indiretto attraverso il comportamento.
Con il tempo ho affinato la mia capacità osservativa e di ascolto, che oggi mi permette di identificare con rapidità il lato “nascosto” di un problema, quello che determinano le parole, i giochi, i disegni dei bambini.
Riesco così a modellare le mie risposte sui bisogni emotivi di ciascuno, per modificare atteggiamenti nevrotici inadeguati, stimolando contemporaneamente la capacità creativa sia negli adulti che nei bambini.
La “fretta” della vita moderna contribuisce ad allontanarci dalla nostra vita intima, profonda.
Tutto questo si rispecchia anche nei bambini. I miei libri sono una sorta di prevenzione per evitare i problemi più gravi che al giorno d’oggi cominciano a sfuggirci di mano.

Per consultazioni rivolgersi a:

Milano - Dott. Yael Rosenholz cell.339-1332725
Roma – Masal Pas Bagdadi cell.338-2606406

... (continua)
venerdì, maggio 08, 2009

Ce.Mi.Ofs.: il carisma dei francescani laici missionari

Il Centro Missionario dell'Ordine Francescano Secolare è l'organo dell'O.F.S. che organizza le attività missionarie dei francescani secolari che scelgono di passare un periodo della loro vita svolgendo un'opera missionaria in una delle Missioni gestite dall'Ordine. Lucia Iorio si trova in Romania proprio come Missionaria dell'O.F.S. e ci racconta il senso di una scelta di vita che l'ha portata a vivere questa esperienza straordinaria che è la Missione.

Sono laici missionari francescani quanti “intendono rendere presente il carisma del comune Serafico Padre nella vita e nella missione della Chiesa” (Regola Ofs - art. 1) ed in modo specifico, “vogliono impegnarsi nella missione della Chiesa , sia nel campo della prima evangelizzazione e della cooperazione missionaria, come nel campo della solidarietà tra i popoli”. Ed è attraverso questo particolare servizio o ministero di testimonianza e annuncio del Vangelo prioritariamente a coloro che ancora non lo conoscono e alla maniera di S. Francesco per mezzo della Professione, che essi saranno spinti dallo Spirito a raggiungere la perfezione della carità del proprio stato secolare …. (Regola Ofs art. 2 )

Volendo fare proprie queste parole una giovane coppia di sposi di Vittoria (Ragusa) chiese informazione al proprio padre assistente su dove e come potessero formarsi e scoprirono che non esisteva un centro di formazione specifico per i francescani. Praticamente chiunque volesse vivere un periodo della propria vita al servizio missionario poteva partire solo se inviato dalla propria Diocesi, a volte anche senza una specifica formazione. La coppia allora decise di interpellare alcuni referenti Ofs per avere consigli e gli fu suggerito di dedicarsi, prima ancora di partire per la Missione, alla formazione di altri laici intenzionati ad intraprendere il percorso missionario. Dovevano avere autonomia finanziaria, trovare una Fraternità con una struttura che li accogliesse per potersi dedicare a questa nuova missione. La Ministra nazionale Manuela Di Nunzio li spronò e gli incoraggiò in questa iniziativa. Iniziò per loro un cammino itinerante attraverso le Fraternità e durante un incontro a Roma con i Ministri nazionali la loro testimonianza fu raccolta con grande intuizione dall’allora Ministro di Borgo S. Lorenzo, Marcello Degli Innocenti. Fu così che 10 anni fa Umberto e Salvatrice Virgadaula (in attesa del loro primo bambino Stefano) arrivarono a Borgo S. Lorenzo (FI). Questa Fraternità ricchissima di iniziative e di attività tutte atte all’accoglienza e alla condivisione, non solo prese con se questi fratelli ma gli offrì anche il lavoro e la struttura dove poter iniziare questo servizio. Iniziarono i primi incontri , che presto diventarono convegni, successivamente si attivarono i primi campi lavoro e nacquero le prime vocazioni.

Ciò che ha innamorato tanti di noi che fin dall’inizio hanno creduto alla validità di questo progetto è stata la possibilità intravista di una missione che nascesse dal basso, dell’uomo verso l’uomo. Non una istituzione che si prefiggesse di fare tante cose, ma persone che volevano avvicinare altre persone, le più povere, le più emarginate, le ultime. Non grandi strutture ma vivere nella più completa semplicità e condividere il disagio e soprattutto dare la priorità all’ascolto.

In questo contesto è importante anche ricordare la dimensione “fidei donum” , una figura di missionario istituita 50 anni fa dal papa Pio XII ed è composta sia da laici, che da suore e frati che partono per la Missione non a vita, ma a tempo. E’ uno scambio, un dono tra le Chiese. Chi torna riporta con se ‘ricchezza spirituale’ che restituisce sotto forma di testimonianza alla Chiesa da cui è partito.

Cinque anni fa la prima coppia, Marco e Ilaria Petri, in attesa del loro primo figlio Lorenzo sono partiti per Guanare (Venezuela) in un ‘barrio’ (una piccola casetta di due stanze) vicino alla Chiesa di S. Antonio dove due frati conventuali portavano avanti il loro apostolato. Qui hanno vissuto i primi sei mesi ascoltando e guardando quella che era la realtà locale, solo dopo aver compreso la mentalità e le angosce di quelle persone è cominciato il loro lavoro con i bambini di strada e con le famiglie disagiate. Dettero vita anche ad un gruppo di volontariato e riattivarono il centro pastorale chiuso ormai da molti anni. A Guanare vi è anche una fraternità O.F.S.
Nel frattempo dopo la nascita di Cristiana, Umberto e Salvatrice hanno consegnato nelle mani di Alfonso Petrone il testimone della direzione del Ce.mi.Ofs e finalmente dopo sette anni di grande lavoro hanno potuto realizzare la loro vocazione missionaria partendo per Onesti (Romania).

Sempre nello spirito di comunione i luoghi scelti per la missione devono avere il supporto spirituale del I ° Ordine. Ad Onesti sono presenti i padri cappuccini della Provincia di Napoli da circa 17 anni, sotto la direzione della loro opera missionaria è stato costruito il Santuario del Beato Geremia, (ora Basilica Minore) annesso al liceo cattolico che attualmente conta circa 200 allievi sapientemente guidati da padre Mario, cappuccino di Roma. Questa ‘casa di preghiera per l’ecumenismo’ ha dato vita ad una bellissima realtà di fraterna cristianità. L’Ofs locale conta circa 20 professi.

Marco e Ilaria sono rientrati dal Venezuela prima della fine dei tre anni per poter fare nascere il loro secondogenito Giacomo in Italia e dopo pochi mesi sono stati sostituiti da Eugenio e Elisabetta con la piccola Sara ed hanno proseguito il lavoro portando a termine quest’anno il progetto della costituzione della Custodia di Nuestra Senora de Coromoto, che è diventata Parrocchia. Quest’anno finisce il loro mandato e ritornano in Italia con un’altra bambina Teresa e in attesa del maschietto che nascerà a settembre. Anche Umberto e Salvatrice hanno avuto il loro terzo figlio Francesco in Romania, e Marco e Ilaria la loro terza figlia Stella. Penso che raccontare di queste nascite di bambini durante il periodo missionario possa lasciar intendere a voi lettori quanta serenità e felicità possa generare in una coppia un’ esperienza così intensa come quella della missionarietà laica secondo lo spirito francescano.

Il Ce.Mi.Ofs oltre alla formazione del laicato missionario si occupa anche dei problemi di Giustizia e Pace.

“Nel mondo tante situazioni domandano guarigione, cioè Giustizia, Pace e promozione umana. Chi parte non va a fare tutto, ma coagula la generosità di tanti, rende credibile la speranza. Chi più dei laici vive la concretezza delle situazioni? Qui in questa cultura occidentale dove Dio è sempre più ai margini, dove l’uomo si sente il protagonista della storia, in questo mondo che ha globalizzato i mercati e la miseria destabilizzando ogni tradizione, dove culture e religioni sono incerte tra sfaldamento e integralismo, mentre il bisogno assorbe i poveri, e il senso della vita inquieta i ricchi, proprio qui è divenuto importante e urgente l’impegno dei laici cristiani missionari: ‘essere nel mondo come cristiani’ adulti e responsabili, guardando Gesù e guardando l’umanità”. (Tratto da: l’urgenza della missione ad gentes e la partecipazione dei laici di padre Vittorio Farronato missionario comboniano).

Noi francescani missionari partecipiamo alla vita e alla missione di Gesù ispirati da quei valori di amore e fraternità che sono il pane quotidiano che ispira le nostre azioni. Senza l’esempio di Gesù e del nostro serafico Francesco non potremo donare l’amore e i sorrisi di cui i poveri e i sofferenti che incontriamo hanno bisogno. Gesù non ha altro che le nostre mani.
Nell’agosto 2008 è stato festeggiati il decennale del Ce.Mi, lungo questo percorso è maturata anche la mia vocazione che si è concretizzata il 13 luglio dello stesso anno, quando ho ricevuto dalle mani del Vescovo di Prato Gastone Simoni il mandato missionario. Il 16 luglio sono partita per la Romania.

... (continua)
venerdì, maggio 08, 2009

Usa, Nancy Pelosi sapeva delle torture

Il presidente democratica della Camera dei Rappresentanti Usa sapeva delle torture usate per far parlare i sospetti terroristi. Un rapporto dei servizi l'avrebbe informata nel settembre 2002.

PeaceReporter - Nancy Pelosi sapeva delle durissime tecniche di interrogatorio utilizzate contro i sospettati di terrorismo e avrebbe mentito dicendo sempre di non esserne a conoscenza. La rivelazione è scaturita da un servizio televisivo mandato in onda da Abc secondo cui un rapporto avrebbe informato nel settembre 2002 la Pelosi sui sistemi usati per far parlare i presunti terroristi legati a al-Qaeda, come Abu Zubaydah, su cui i militari Usa applicarono la tecnica di tortura conosciuta come waterboardin ben 83 volte.
... (continua)
venerdì, maggio 08, 2009

Talebani occasionali

I giovani afgani non hanno lavoro e i ribelli li assumono come guerriglieri part-time

PeaceReporter - Abdullah Jan e Abdul Khaleg vengono dal distretto Pushtrod, nella provincia occidentale di Farah. Entrambi sono giovani, disoccupati, quando trovano un lavoro a giornata, guadagnano circa 200 afgani, Abdul Khaleg scavando fossati, intonacando case o con altri lavori manuali, Abdullah Jan colpendo i posti di blocco della polizia. E' un talebano a tempo determinato. "In famiglia siamo otto e sono il solo che porta i soldi a casa" dice Andullah Jan, che ha 22 anni e viene da un piccolo villaggio. "Sono andato in Iran tre volte per cercare lavoro, ma sono stato espulso. La mia famiglia era piena di debiti e mio padre mi ha detto di andare in città. Ho cercato lavoro per tre settimane, poi mio fratello si è ammalato e aveva bisogno di medicine. E' morto poco dopo. Due amici mi hanno suggerito di andare dai talebani."Mia madre era contraria e ha cercato di dissuadermi. Mio padre invece non ha detto niente. Il mio primo lavoro è stato attaccare un posto di blocco nel distretto Guakhan" ricorda Abdullah Jan. "Abbiamo ucciso quattro poliziotti e abbiamo perso due dei nostri. Un altro è stato ferito. Lo scontro a fuoco è durato due ore, mentre i veri talebani ci incoraggiavano nascosti e dicevano ‘Su, ancora, muoviti muoviti.' Quando tutto è finito, il loro capo mi ha pagato 400 afgani e mi ha detto che se avessi fatto meglio la prossima volta mi avrebbe pagato di più. Da allora ho fatto altri cinque assalti e ho guadagnato mille afgani alla settimana."

Con questo particolare tipo di ‘contratto a termine', Abdullah Jan è un talebano solo per poche ora a settimana. Per il resto vive la sua vita come un qualunque altro cittadino. Non possiede armi o altro tipo di attrezzatura che possa qualificarlo come ribelle e non si considera tale. "Combatto soltanto per i soldi" dice "se trovo un altro lavoro, lascio subito questo."

Secondo alcune stime, circa il 70 percento dei talebani sono giovani disoccupati che cercano un modo per sopravvivere. Nelle province di Farah, Helmand, Uruzgan, Zabul e nelle province del sud la maggior parte dei ribelli combattono per denaro non per ideologia. Ma si ritrovano incastrati in un circolo vizioso: fino a quando le loro province sono nell'instabilità è difficile che si possa investire per creare opportunità di lavoro. Il lavoro continua a non esserci, allora si alleano con i ribelli, la violenza si protrae e questo garantisce che sicurezza e sviluppo rimangano un sogno distante. Mohammad Omar Rassouli, capo della polizia del distretto di Pushtrod, ha confermato la storia di Abdullah Jan, sostenendo che la disoccupazione è la motivazione principale per cui compaiono questi talebani occasionali.< "Farah è dominata dalla disoccupazione e da condizioni di vita molto povere," ha detto "per questo i giovani decidono di unirsi all'opposizione. Il numero degli assalti ai posti di blocco è aumentato negli ultimi tempi e penso che sia perché i giovani si alleano con i ribelli per un po' di soldi. I talebani diventano più forti e noi non possiamo fare niente. Questi giovani sono armati solo quando combattono, altrimenti sono normali cittadini, per cui è molto difficile identificarli." Questo lavoro però non è senza rischi, a quanto dice Abdullah Jan. "Avevo un caro amico, si chiamava Rahmatullah ed era molto coraggioso" racconta "Ma è stato ucciso quando abbiamo attaccato il posto di blocco Karez Shekha, due settimane fa. Da allora non mi interessa più fare questo lavoro e spero di trovare qualcos'altro presto. Non voglio morire, sono l'unico che porta i soldi alla mia famiglia." Abdul Khaleg intanto fa lavoretti nella città di Farah, la capitale. Guadagna circa 200 afghani al giorno quando c'è lavoro. E non vuole rischiare la sua vita. "Mio cugino ed io eravamo entrambi disoccupati", dice, "i talebani ci hanno chiesto varie volte di unirci a loro. Ma non abbiamo accettato. Non ho un lavoro ma preferisco così piuttosto che essere ucciso." Abdullah Jan non è d'accordo. "Devo lavorare per i talebani" insiste "non c'è altro lavoro a parte rubare o prendere ostaggi. Penso che sia meglio che rubare. Se ci uccidono noi diventiamo martiri. Questo ce lo dicono i mullah. Ci dicono che facciamo una guerra santa". Il mullah Sadeq, capo talebano dei distretti Pushtrod e Khak Safed ha detto all'Institute for War and Peace Reporting (Iwpr) che è giustificato reclutare i giovani senza lavoro: "Tutti i giovani uomini dovrebbero partecipare alla guerra santa e difendere il proprio paese. Useremo qualunque modo e strumento per combattere contro il governo e l'esercito straniero." Secondo il mullah Sadeq c'è un sistema di retribuzione per i guerriglieri talebani ma non ha voluto entrare nei particolari. "I soldi che diamo a questi giovani sono soltanto pochi spiccioli", ha detto parlando dei lavoratori a giornata. Le autorità di Pushtrod e Khak Safed stimano che più di cinquecento giovani stiano lavorando per i Talebani. Un anziano, che non vuole dare il suo nome, ha spiegato che le giovani reclute come Abdullah Jan vengono usati soprattutto per offensive minori: "I Talebani non vogliono perdere i loro migliori soldati in queste schermaglie." I giovani vengono portati lontano dai loro villaggi o distretti perché non siano riconosciuti da quelli contro cui devono combattere o che debbano ritrovarsi ad attaccare amici o parenti. Piantare bombe o bruciare scuole sono operazioni più delicate e di solito vengono fatte dai ‘veri' talebani. Alcuni esperti afgani si sono detti preoccupati del fatto che i Talebani reclutino guerriglieri part-time perché dimostra quanto sia per loro facile attirare normali cittadini afgani nei loro ranghi. "E' una strategia che va studiata", ha detto un analista politico che non ha voluto rivelare il suo nome. "Così portano sempre più persone a contatto con la violenza e aumentano la loro influenza nella società".

... (continua)
venerdì, maggio 08, 2009

Oggi il Papa in Terra Santa

Prima tappa Amman, in Giordania

RadioVaticana - Oggi il Papa in Giordania, prima tappa del suo pellegrinaggio apostolico in Terra Santa. Benedetto XVI giungerà all’aeroporto internazionale di Amman alle 14.30 ora locale, saranno le 13.30 in Italia, e sarà accolto dal re Abdallah II, accompagnato dalla regina Rania, e dai Patriarchi e vescovi della Giordania e della Terra Santa. Subito dopo la cerimonia di benvenuto, primo atto del Papa sarà la visita al Centro di riabilitazione per handicappati “Regina Pacis”.

C’è grande attenzione da parte dell’opinione pubblica giordana all’arrivo di Benedetto XVI, la seconda visita di un Papa qui in nove anni. Il fatto che il paese sia a maggioranza musulmana non fa che accrescere la stima e la simpatia per questa predilizione, che viene avvertita in modo speciale anche per la durata della visita. Dal canto suo la comunità araba cattolica, che costituisce il tre per cento della popolazione, è qui ben radicata fin dai primi secoli del cristianesimo.
Il clima di attenzione e la pacifica convivenza che hanno sempre contraddistinto qui i rapporti fra musulmani e cristiani è evidente anche nello spazio che i principali quotidiani della Giordania, sia su carta che su internet, danno alla visita di Benedetto XVI. Tutti dedicano fin da ieri diversi articoli, con immagini molto belle e sorridenti del Papa, ed inserti che illustrano i diversi luoghi che verranno toccati.
Tra gli altri, c’è grande enfasi sulla visita del sito del Battesimo, dove il Papa sarà accompagnato in macchina elettrica tra gli ultimi ritrovamenti archeologici avvenuti sulla riva del Giordano. Ed a quella alla citta di Madaba, dove Benedetto XVI sarà accolto dalla locale comunità cristiana e da tutta la popolazione per un momento pubblico in occasone della benedizione della prima pietra della nuova Università cattolica.
Al fine di permettere poi a tutti i cristiani di partecipare ai vari eventi con il Papa, previsti anche per domenica che qui è giorno lavorativo, il Governo ha concesso un giorno di festività in più per i dipendenti pubblici cristiani e nelle scuole.
Da Amman, Pietro Cocco, RV

Dopo Paolo VI e Giovanni Paolo II, Benedetto XVI è il terzo Pontefice dell’era moderna a recarsi in Terra Santa. Il Santo Padre giunge nei luoghi della vita di Cristo, facendosi portatore, ancor più che in passato, di quella pace, che da troppo tempo manca nella regione. Il nostro inviato a Gerusalemme, Roberto Piermarini:

A 45 anni dallo storico viaggio di Paolo VI ed a 9 da quello di Giovanni Paolo II, un altro Papa ritorna come pellegrino sui luoghi resi santi dalla vita di Gesù. Lo fa in un momento di forte tensione per la tormentata Terra Santa dove la tregua dopo il conflitto a Gaza, è solo un surrogato della pace vera. E Benedetto XVI viene - come ha detto alla vigilia della sua partenza - per pregare per il dono della pace e dell'unità". Il clima di forte speranza socio-politica che aveva fatto da sfondo alla visita di Papa Wojtyla nel 2000, sembra svanito; nella gente c'è molta rassegnazione. Eppure sembrano svanite anche le polemiche su Ratisbona, da parte musulmana e sul caso Williamson sul fronte ebraico. Nei Territori Autonomi Palestinesi lo attendono le autorità politiche, lacerate dopo la spaccatura con Hamas a Gaza ed i profughi del Campo di Aida, che dal 1948 vivono in condizioni di estrema povertà: un gesto per manifestare la vicinanza del Papa alle sofferenze del popolo palestinese. Da Gaza oltre 200 arabi cristiani non hanno ricevuto il permesso di entrare in Israele per le messe a Gerusalemme e Betlemme. Diverso trattamento per i cristiani di Cisgiordania: su 15 mila richieste, ne sono state accolte 11 mila. In questa Terra dove Gesù ha compiuto la sua missione, il Papa dovrà ridare speranza cristiani locali: nella sola Gerusalemme al tempo della creazione dello Stato d'Israele erano 24 mila, ora poco meno di sei mila. Cristiani che emigrano a causa della mancanza di alloggi, per l'incertezza del lavoro, il precario futuro dei figli, in una società spesso a loro ostile. A tutto questo si deve aggiungere lo smembramento di molte famiglie causato dal muro di separazione costruito da Israele, che ha diviso quelle coppie che avevano la residenza nei Territori palestinesi. Le autorità israeliane attribuiscono al viaggio un importanza altissima ed hanno stanziato 10 milioni di euro per l'organizzazione; altri 10 milioni di dollari per le 44 scuole cattoliche in modo che possano preparare alla visita, i loro 24 mila studenti, cristiani e musulmani. Il presidente Peres parla di "evento toccante e di importanza primaria dal quale spira un'aria di pace e di speranza". I giornali indugiano più sulla preparazione che sui commenti mentre la radio statale continua a mandare in onda spot con gli appuntamenti della visita. Il programma a Gerusalemme prevede anche la tappa allo Yad Vashem, il memoriale dell'Olocausto, per una cerimonia in ricordo delle vittime della Shoah. Ma il Pontefice non entrerà nella sala del museo che contiene una didascalia offensiva contro Pio XII. Benedetto XVI si farà quindi pellegrino di pace per riaffermare - come ha detto nel Messaggio di Pasqua - che "Cristo ha bisogno di uomini e donne, che in ogni tempo e luogo lo aiutino ad affermare la sua vittoria con le armi della giustizia e della verità, della misericordia, del perdono e dell'amore.
Da Gerusalemme, Roberto Piermarini, RV.
... (continua)
giovedì, maggio 07, 2009

Co. Cri., «suicidato» dalla mafia

49 anni dopo la morte del giovane cronista siciliano è ancora una pagina senza giustizia

Liberainformazione.it - Gli atti processuali parlano di suicidio. La storia di Cosimo Cristina invece è quella di un giornalista attento, scrupoloso e coraggioso, ucciso dalla mafia in una Sicilia immobile e silenziosa. Cronista e corrispondente di numerosi quotidiani come L’Ora, ma anche testate nazionali come Il Giorno di Milano, l’agenzia Ansa, Il Messaggero di Roma e Il Gazzettino di Venezia, Cristina muore il 5 maggio del 1960 a soli 24 anni. Il suo corpo viene trovato dilaniato con il cranio sfondato sui binari ferroviari di Terme Imerese, a pochi kilometri dal capoluogo siciliano.
Dopo i primi anni da corrispondente nel 1959 Cosimo Cristina insieme a Giovanni Cappuzzo fonda un settimanale di approfondimento “Prospettive Siciliane” . Da subito la testata comincia a pubblicare denunce, inchieste, scavando dietro la realtà, indagando su omicidi e fatti di mafia facendo nomi e cognomi “importanti” già all'epoca. Le minacce e intimidazioni arrivate in quegli anni non fermarono mai lo spirito di giustizia e lo slancio politico con cui Cristina si occupò come corrispondente e come direttore di raccontare la Sicilia che aveva sotto gli occhi. Erano anni quelli in cui Cosa nostra stava cambiando volto, dalle campagne si stava dirigendo in città, dai latifondi stava allargando i propri tentacoli verso altri settori dell’economia. Cosimo Cristina aveva colto i segnali di questo cambiamento e aveva intenzione di raccontarli prima che fosse troppo tardi.

Così da subito Prospettive Siciliane raccontò la mafia in anni in cui nessuno osava nemmeno nominarla. Non era ancora stata istituita la prima Commissione parlamentare antimafia del dopoguerra quando il giornalista Cosimo Cristina scriveva di quel sistema di poteri, collusioni, privilegi che governava l’isola e le città sovrastate dalle Madonie. Lo faceva con il piglio dell’intellettuale, lo slancio che hanno i giovani sotto i trent'anni e la professionalità di un giornalista d’esperienza, nonostante la giovane età.

Questo era il giornalista, poi c'era l'uomo. Non passava inosservato Cristina, soprattutto in un piccolo paese di provincia come Termini Imerese - andava in giro con la bicicletta e portava baffi e pizzetto che incorniciava con eleganti camice e papillon a giro collo. Era uno di quei colleghi sfruttati che per poche lire in questi ultmi trent’anni hanno pagato cara la scelta di restare liberi e onesti e non hanno presentato il conto a nessuno. La stessa categoria li ha dimenticati, con imbarazzo, quasi con riservatezza, per anni.

Era un giornalista "senza peli sulla lingua" Cosimo Cristina, uno che quando succedeva un fatto, correva per giungere sul posto, vedere con i propri occhi; vivere per raccontarla. Era un cronista curioso e attento, in poco tempo molte denunce arrivarono al giornale, spesso accompagnate da intimidazioni e minacce. Di lui Cappuzzo, codirettore del mensile ricordava “Aveva un particolare fiuto della notizia-sensazione, della notizia da prima pagina. Si era fatto tutto da sé, con la sua ostinata capacità, con il suo grande intuito, ed aveva un programma ben definito: sapeva quel che voleva. Per primo, bisogna dargliene atto, in un periodo in cui era pericoloso nella nostra provincia muoversi in un certo senso, affondare il bisturi su certi temi tabù, affrontare certi argomenti spinosi, egli ebbe questo coraggio. Il mestiere lo conosceva, con un istinto da sbalordire anche i più preparati giornalisti”.

Scomparso il 3 maggio del 1960 Cosimo Cristina venne ritrovato cadavere due giorni dopo, nonostante amici, carabinieri e famigliari lo avessero cercato senza sosta per 48 ore. Le indagini furono approssimative e subirono depistaggi e rallentamenti. Il suo delitto rimase impunito e archiviato come “suicidio”. Nel 1966 il funzionario di polizia Angelo Mangano cercò di riaprire le indagini, riesumò il cadavere per l’autopsia che però non diede più i risultati utili per tenere aperto il caso. Mangano in provincia di Palermo aveva condotto inchieste che avevano portato all’arresto di Luciano Liggio e fatto mettere in manette fra gli altri Santo Gaeta, considerato il boss di Termini Imerese, Agostino Rubino, consigliere comunale sempre di Termini, Vincenzo Sorce, Orazio Calà Lesina e Giuseppe Panzeca, capomafia di Caccamo.

Il funzionario di polizia era convinto che ad uccidere Cristina fossero state le cosche mafiose termitane, con l’assenso della famiglia di Caccamo, che tenevano sotto controllo la zona. Il movente dell’omicidio sarebbe da ricercare in un articolo che scavava dietro i misteri dell’uccisione del pregiudicato Agostino Tripi, denunciato per un attentato dinamitardo ad una gioielleria poi eliminato dalla mafia perché “parlava troppo”. Cristina aveva fatto un’intervista alla moglie. Quella testimonianza, ultima di tante altre storie del palermitano firmata Co. Cri. come era solito fare, una firma che era la piccola e significativa ricompensa di quel lavoro fatto più per passione che non per profitto. Quell’ultima intervista potrebbe aver segnato la sua condanna a morte.

Ancora oggi, nonostante il caso sia stato chiuso - come dimostra il lavoro d’inchiesta di Luciano Mirone nel suo libro “gli Insabbiati” permangono molti dubbi e interrogativi. Il tempo cancella le prove troppo in fretta ma non la memoria. Cosimo Cristina è stato ricordato il 21 marzo a Napoli nella giornata nazionale in memoria delle vittime delle mafie e - dopo molti anni di silenzi - il 3 maggio scorso dai colleghi giornalisti (Fnsi, Ordine e Unci), nella seconda giornata in memoria dei giornalisti uccisi dalle mafie e dal terrorismo, a Napoli. A lui sono dedicati blog e articoli che ne ricordano l’impegno e il contributo giornalistico.

E di lui rimane a siglare l'impegno di ieri quel Co. Cri.;oggi iniziali di una memoria che è nuovo impegno per un giornalismo locale d'inchiesta "senza peli sulla lingua".

... (continua)
giovedì, maggio 07, 2009

La morsa di racket e usura sull'Abruzzo

Tra il 2007 e il 2008, sono state le operazioni Histonium e Histonium 2 a dare la misura del fenomeno. Incendi, attentati dinamitardi, infiltrazioni nell’economia del Vastese, ma non solo.

Liberainformazione.it - I dati parlano chiaro: pagano il pizzo 2mila commercianti, il 10% del totale. Una quota molto minore rispetto al Sud. Ma l’Abruzzo ha una percentuale pari a quella del Lazio, e le due regioni dell’Italia Centrale seguono alle sole realtà a occupazione mafiosa. Nel triangolo Pescara, Chieti, Vasto il racket è sistematico, anche se a macchia di leopardo e in alcune attività specifiche (edilizia, ristorazione, locali). Altro nodo nevralgico quello dell’usura. Pescara è la prima città usurata d’Italia in base a tutti gli indicatori statistici, mentre peggiora notevolmente la situazione di L’Aquila. E si tratta di usura mafiosa.
Le stime parlano di 48oo imprenditori caduti nelle mani degli strozzini, ben il 22% degli attivi, livelli simili a quelli delle regioni meridionali. Sono le famiglie rom a prestare i soldi a strozzo. Una pratica antica nella regione, che oggi i clan “zingari” esportano anche in altre regioni dell’Italia centrale. E anche le reti usuraie della Capitale (famiglie Rom, banda della Magliana, organizzazioni collegate alle mafie meridionali) sono attive in Abruzzo.

La morsa del racket

Tra il 2007 e il 2008, sono state le operazioni Histonium e Histonium 2 a dare la misura del fenomeno. Incendi, attentati dinamitardi, minacce, infiltrazioni nell’economia del Vastese, ma non solo. Ad agire una ‘ndrina guidata dal calabrese Michele Pasqualone (da anni residente in Abruzzo, dove è stato destinato al soggiorno obbligato), attiva anche in Lombardia. Pasqualone comandava dal carcere, grazie a complicità nell’istituto penitenziario. Secondo gli inquirenti, il denaro ricavato veniva reinvestito nell’usura, ma anche nell’edilizia, con il tentativo di controllo del mercato del calcestruzzo. L’inchiesta è rivelatrice del meccanismo di colonizzazione mafiosa: piccoli nuclei criminali mettono le tende in un nuovo territorio (con le emigrazioni, ma anche a causa della pratica dei soggiorni obbligati), col tempo si strutturano, si estendono, si rendono autonomi, fino a sviluppare legami con la criminalità locale e con altre organizzazioni simili (facevano parte del gruppo Pasqualone anche vastesi, campani e pugliesi). Un’azione criminale che inevitabilmente infiltra il mondo produttivo e le amministrazioni del territorio (nell’inchiesta sono stati coinvolti anche imprenditori della zona).

La capitale dello strozzo

Secondo i dati del Cnel, Pescara è la più colpita d’Italia, la provincia più a rischio dopo quelle di Messina e Siracusa. Mentre gli indicatori statitici rilevano una debolezza economica pericolosa a Teramo, ma soprattutto nella provincia di L’Aquila. La Confesercenti rileva la pratica dell’usura in trasferta: nei piccoli centri, per evitare pettegolezzi, si preferisce cercare un po’ d’ossigeno chiedendo prestiti a Roma. E conferma l’esposizione di Pescara, L’Aquila, ma anche Chieti, in base agli indicatori statistico-penali. Una pratica diffusissima, a volte anche da cittadini al di sopra di ogni sospetto. In un’indagine è stato anche un carabiniere di Lanciano, accusato di usura ed estorsione ai danni di alcuni imprenditori della Val di Sangro (interessi fino al 20% mensile). La cartina al tornasole. Estorsioni e strozzo sono le attività primordiali, addirittura precedono l’esistenza stessa delle mafie in quanto tali. Ma il pizzo e l’usura sono i sintomi dell’esposizione di una società al condizionamento mafioso. Il controllo del territorio e l’assoggettamento dell’economia locale sono le pratiche che le cosche mafiose portano avanti per affermarsi prima ancora che per finanziarsi. E l’usura è un metodo da “entrismo” oltre che un ottimo reinvestimento del denaro accumulato. Prestando i soldi alle aziende in difficoltà, le mafie hanno spesso l’opportunità di rilevarle. E di inondare silenziosamente l’economia di capitali sporchi. Ecco che i dati ci restituiscono l’immagine di una regione nella quale le mafie sono, nella più ottimistica delle analisi, dei pericoli che si sono concretizzati da anni.
di Alessio Magro

... (continua)
giovedì, maggio 07, 2009

Strangers into citizens

del nostro collaboratore Padre Renato Zilio

Mai avrei immaginato di passare un giorno sotto il Big Ben, davanti al Parlamento inglese, come un manifestante in corteo, con un cartello in pugno. Abituati come si è a guardarlo con l’occhio del turista o quello distratto di un abitante di Londra. Ed è successo qualche giorno fa, il 4 maggio: è stato straordinario. Eravamo in migliaia. Migliaia erano i cartelli arancione con scritto Strangers into citizens. Da clandestini a cittadini. Un fiume lunghissimo, un’arteria viva che percorreva il centro città mentre policeman dappertutto cercavano cortesemente di arginare questa colata lavica arancione, che dalla cattedrale scendeva al Parlamento. Immagine efficace per dire quanto il lavoro di questi stranieri è un’arteria invisibile, che irrora le vene di tutta una società. Ed era per chiedere di regolarizzare 500 mila lavoratori migranti da tempo in Gran Bretagna non ancora regolari.

Dalla cattedrale di Westminster si era partiti dopo la solenne “messa per i lavoratori migranti” in onore di s.Giuseppe lavoratore. Provvidenziale patrono di un lavoro silenzioso, discreto, invisibile di migliaia di stranieri. Magica ne era stata l’accoglienza. Sulle gradinate dell’austera cattedrale, al mattino, un coro di bambini di tutte le razze dell’età apparente di sei anni cantava assorto, accompagnato da una musica registrata. Immagine bella e tenera del popolo di domani. Un maestoso cero pasquale splendeva più che mai al centro dell’assemblea eucaristica: segno da sempre della presenza viva del Signore in mezzo ai discepoli. Ma questa volta era anche segno forte di comunione di un’umanità dispersa - la diaspora dei migranti - riunita in nome Suo.

Le nazionalità non si contavano. Incantava in prima fila il gruppo degli indiani sotto eleganti ombrelli di seta lavorati in argento dai pendagli d’oro, dietro di loro nazionalità di ogni angolo della terra… e ultimi i portoghesi in costume tradizionale rosso-nero, che comparivano proprio all’offertorio, cantando da soli alla grande e portando un delizioso porto con pane alle olive in abbondanza! Il successo più grande, tuttavia, fu riservato non ai tre vescovi che celebravano (erano tre diocesi riunite), ma al piccolo parroco inglese della cattedrale, quando alla fine invitava tutto il popolo di Dio a scendere in piazza. “La giustizia è sempre stata la passione della Chiesa!” ricordava tra gli applausi. La messa non era finita! E fu sufficiente per vedere comparire bandiere di ogni nazione e cartelli arancione ad ogni lato. Era l’ora di mettersi in moto con tantissimi altri che aspettavano già fuori, terminato il loro culto anglicano o altri culti religiosi. Un’orchestrina jazz subito fuori la cattedrale lanciò i primi passi di danza…

Per strada il giovane padre Jake piroettava in aria davanti alla sua comunità filippina ripetendo a salve “Mabuhay! viva le Filippine!” Un inglese in camice, stola e megafono a tracolla dava ordini alternando canti mariani. Il popolo etiopico eseguiva le sue antiche canzoni. Africani dagli splendidi costumi avanzavano a suon di tam-tam, mentre vecchie sisters con i cartelli arancione e il nome della congregazione seguivano ben a ritmo. Gruppi giovanili delle scuole cattoliche avanzavano con l’abituale serietà e naturalmente i vescovi seguivano a passo... “Ma anche in America i vescovi vanno in piazza per la giustizia e gli emigranti!” mi commentava secco qualcuno al mio interrogativo. E finalmente eccoci a Trafalgar square, dove tra parole, canti e ritmi scorrevano due ore indimenticabili… come indimenticabile fu per un popolo dai mille colori cantare all’unisono l’inno nazionale stampato sui maxi-schermi God save the Queen!
Mi immaginavo, segretamente, quando tutti gli stranieri da noi un giorno si metteranno anch’essi a cantare “Fratelli d’Italia”… Strangers into citizens, da stranieri a cittadini! In fondo, tutti avevano preso sul serio l’invio finale della messa. Se non loro, infatti, chi mai ricorderebbe alla società di oggi la sete di dignità del popolo dei migranti?!
... (continua)
giovedì, maggio 07, 2009

Associazioni: no al reato d'ingresso illegale in Italia

Il timore di avvicinarsi a ogni tipo di servizio pubblico “escluderebbe dall’accesso all’assistenza e ai diritti soprattutto le fasce più deboli della popolazione migrante, quali le vittime di tratta, i minori e le altre persone vulnerabili”

Radio Vaticana -“Profonda preoccupazione per le barriere all'esercizio di alcuni diritti fondamentali da parte dei migranti, che sorgerebbero con l’introduzione del reato di ingresso e soggiorno illegale” previsto dell’articolo 21 del disegno di legge sulla Sicurezza in discussione in Parlamento. E’ quanto esprimono Amnesty international Italia, Associazione studi giuridici sull’immigrazione (Asgi), Consiglio italiano per i rifugiati (Cir), Medici Senza Frontiere (Msf), Save the Children e Società italiana di medicina delle migrazioni (Simm) in un documento nel quale si appellano ai parlamentari affinché “stralcino l’art. 21 del ddl 2180 o esprimano voto contrario”. Lo riferisce il Sir. “Stabilire che fare ingresso o risiedere irregolarmente in Italia – scrivono le associazioni - equivale a violare la legge penale significa infatti rendere obbligatoria la denuncia del migrante che si trovi in tale situazione da parte di ogni pubblico ufficiale (art. 361 c.p.) o incaricato di pubblico servizio (art. 362 c.p.) che ne venga a conoscenza”. Le organizzazioni firmatarie sono “fortemente preoccupate” dal fatto che i migranti, per “timore di essere denunciati con conseguenze di rilievo penale, sarebbero indotti a sottrarsi al contatto con tutti gli incaricati di pubblico servizio, in qualunque ambito, innescando un’allarmante situazione di compromissione dei diritti fondamentali”. Il timore di avvicinarsi a ogni tipo di servizio pubblico “escluderebbe dall’accesso all’assistenza e ai diritti soprattutto le fasce più deboli della popolazione migrante, quali le vittime di tratta, i minori e le altre persone vulnerabili”. Tra i rischi le associazioni citano quello nell'ambito socio-sanitario ed assistenziale: “il rischio di denuncia creerebbe fra gli immigrati privi di permesso di soggiorno e bisognosi di cure mediche una reazione di paura che ne ostacolerebbe l'accesso alle strutture sanitarie”. Inoltre per sottrarsi al “pericolo di denuncia” da parte dell’ufficiale di stato civile, il genitore straniero privo di permesso di soggiorno “potrebbe evitare – scrivono le associazioni - di registrare la nascita del figlio o di perfezionare il procedimento di riconoscimento dello stesso”. A causa di questo “potrebbero aprirsi procedure di adottabilità di questi minori, con conseguenze anche gravi sul diritto del minore, universalmente riconosciuto, a vivere e crescere insieme alla propria famiglia” e “potrebbero verificarsi situazioni in cui la madre, consapevole del rischio della denuncia sia indotta a partorire in casa, con evidenti rischi per la salute sua e del nascituro”. D qui l’auspicio di un dibattito “aperto e approfondito” che “non sia impedito dal ricorso al voto di fiducia”.

... (continua)
giovedì, maggio 07, 2009

In Messico meno paura per l'influenza suina

Potranno riaprire i locali pubblici, compresi cinema, teatri, stadi e ristoranti

Agenzia Misna - E’ aumentato il numero delle vittime causate dalla cosiddetta ‘influenza suina’, ma è diminuito il livello di allerta in Messico dove da oggi, secondo dichiarazioni del ministro della Sanità José Ángel Córdova Villalobos riferite dalla stampa locale, potranno riaprire i locali pubblici, compresi cinema, teatri, stadi e ristoranti. La riapertura sarà possibile perché il Comitato scientifico di vigilanza sanitaria ed epidemiologica ha abbassato il livello d’allerta da ‘arancio’ a ‘giallo’. L’aumento dei casi e del numero delle vittime – saliti rispettivamente a 1112 e 42 – è dovuto in realtà a ritardi nella fase di registrazione; l’ultimo decesso risale infatti a due giorni fa e la fase critica sembra essere stata superata, ha detto il ministro usando comunque cautela. Córdova ha detto che “la riapertura delle attività è intesa come un modo per tornare lentamente alla normalità, anche se non sono ancora maturi i tempi per parlare di normalità”. Il governo attuerà controlli perché siano rispettate le norme igieniche e ha ribadito l’importanza di mantenere in isolamento i pazienti che hanno contratto l’influenza. A livello globale, secondo l’Organizzazione mondiale della sanità (Oms), la diffusione dell’influenza si è stabilizzata anche se viene ritenuta ancora necessaria la cautela. Casi sporadici sono stati segnalati in diversi paesi per un totale di circa 2000 casi.

... (continua)
giovedì, maggio 07, 2009

Afghanistan: dopo le bombe americane proteste a Farah

La notizia sulla strage di Farah si è diffusa rapidamente in tutto il paese proprio mentre il presidente Hamid Karzai si trovava a Washington

Agenzia Misna - Una folla di dimostranti si è radunata questa mattina nella città di Farah (ovest) scandendo slogan anti-americani e lanciando sassi contro uffici governativi in segno di protesta per la morte di decine di civili - secondo alcune fonti circa 120 - uccisi tra lunedì e martedì durante incursioni aeree statunitensi; alcune fonti riferiscono anche di incidenti tra manifestanti e polizia. Sebbene manchi un bilancio definitivo, la presenza di decine di corpi senza vita è stata confermata dalla Croce Rossa che ha inviato sul posto una sua delegazione.
La portavoce della Croce Rossa Dimitra Krimitsas, contattata a Ginevra, ha detto alla MISNA che l’organizzazione umanitaria non è in grado di riferire il numero esatto delle vittime; la responsabile ha aggiunto che operare sul posto resta rischioso. La notizia sulla strage di Farah si è diffusa rapidamente in tutto il paese proprio mentre il presidente Hamid Karzai si trovava a Washington per colloqui con il presidente americano Barack Obama e quello pachistano Asif Ali Zardari. I tre hanno discusso di questioni di sicurezza regionale relative alla zona di confine tra i due paesi asiatici e in vista dell’invio di altri 21.000 soldati americani. Inevitabile anche un confronto sui frequenti casi di vittime civili che hanno reso più difficili le relazioni di Washington con Islamabad e Kabul. Secondo diverse fonti di stampa internazionali, gli scontri erano cominciati nella mattina di lunedì quando nella provincia di Farah erano arrivati combattenti talebani (sembrerebbe anche di origine pakistana e iraniana) che avevano ingaggiato combattimenti con soldati delle forze speciali della marina americana; questi avrebbero chiesto l’intervento dell’aviazione, che ha bombardato alcune strutture nei pressi del villaggio di Gerani, distante tre chilometri dal luogo degli scontri, villaggio dove in precedenza si erano rifugiati i civili per sfuggire ai combattimenti. La coalizione internazionale sotto comando Nato che opera in Afghanistan (Isaf) ha reso noto di aver aperto un’inchiesta.

... (continua)
giovedì, maggio 07, 2009

Un figlio di nome ‘Libro’

"Scrivere un romanzo è una scoperta di tutto un mondo che si concretizza da un unico pensiero che sfocia in un oceano di vite, sensazioni, emozioni". Sono le parole di Monica Cardarelli, scrittrice e redattrice di Perfetta Letizia, che attraverso una riflessione sull'arte della scrittura ci parla dei suoi libri ed in particolare di "Parentesi di Luna", opera narrativa il cui spessore è stato riconosciuto dalla critica con l'assegnazione di vari premi letterari e che presentiamo anche quì sulla nostra rivista.

di Monica Cardarelli

Per chi scrive, ogni libro ha un suo carattere, una sua storia. C’è sempre un motivo per cui nasce un libro, un progetto che si sogna prima di scriverlo. Un figlio lo si desidera e si pensa a come potrebbe essere realmente anche prima della sua nascita. Così per un’opera narrativa, ogni manoscritto nasce da un’idea, un progetto dell’autore e quando si inizia a scrivere non si sa ancora dove lui ci porterà perché non si può sapere in anticipo il suo carattere. Il processo di scrittura è un percorso. In genere, si sa da dove si parte e quali strade si vogliono intraprendere ma non si sa dove questo percorso ci porterà. Non si sa per quali scorciatoie o salite i protagonisti si avventureranno e soprattutto, non si sa cosa e chi si può trovare lungo il cammino.
Ecco allora che da un punto di partenza iniziale, poco a poco, delineando i personaggi, dandogli dei nomi e delle fisionomie, l’autore si accorge che loro, i protagonisti, gli sfuggono di mano (o meglio, gli prendono la mano) e gli presentano un loro mondo, tutto loro, a cui lui inizialmente non aveva proprio pensato.
Scrivere un romanzo è una scoperta di tutto un mondo che si concretizza da un unico pensiero che sfocia in un oceano di vite, sensazioni, emozioni.
È un percorso estremamente affascinante e accattivante per chi riesce a seguirlo perché è anche, in parte, un percorso di scoperta personale.
Ogni scrittore si mette in gioco, dà qualcosa di sé alle proprie opere, proprio come un genitore che trasmette i propri caratteri somatici e caratteriali al proprio figlio.
Da un simile percorso, ho visto realizzarsi e staccarsi da me la mia prima opera narrativa ‘Pensieri, parole scritte, lunghi silenzi’ (Ed. Sovera) un racconto epistolare e, successivamente, il romanzo ‘Parentesi di luna’ (Ed. Firenze Libri).
Ambedue sono in attesa di un terzo arrivo, previsto per settembre, e sono già in compagnia di due opere teatrali, con un carattere e un genere quindi ancora diverso, ‘Tra cielo e terra’ testo su Jacopone da Todi e ‘Te veramente felice!’ testo teatrale su Santa Chiara d’Assisi.
Diversi, come dicevo, gli stimoli che spingono ad avvicinarsi ad alcuni temi in particolare. In genere, ciò è dipeso da urgenze personali, dalla necessità di soffermarsi di volta in volta a riflettere su alcuni temi o caratteri.
L’idea primaria che ha dato origine a ‘Parentesi di luna’ era l’analisi di come nella vita di ciascuno di noi ci siano dei sentimenti, degli stati d’animo, delle emozioni che ritornano e che sono comuni a tutti gli esseri umani, in qualunque paese e in qualunque momento storico vivano.
Partendo da ciò, ho voluto raccontare la storia di due persone, Sergio e Sofia, che vivono in paesi diversi e non si incontreranno mai. Questo il punto di partenza che però mi ha poi portato più lontano, molto lontano, presentandomi anche i figli dei due protagonisti, il rapporto fra genitori e figli e molto altro, non ultimo il rapporto col tempo.
Tutto il racconto si snoda in tre momenti temporali, raccontato a ritroso: passato, presente e futuro.


Libro "Parentesi di Luna"
critica letteraria di Flavia Weisghizzi

“Ci sono storie che sono destinate a incrociarsi. Ci sono invece storie destinate a non incontrarsi mai, come binari paralleli che proseguono il proprio viaggio verso l’infinito.
Eppure, proprio come binari di un treno, corrono legate le une alle altre, strette da traversine che impediscono di avvicinarsi troppo ma anche di deragliare.
Sofia e Sergio, due persone che non hanno in apparenza nulla in comune. La storia di lei è legata alla valle di un piccolo centro montano, quella di lui al mare del Portogallo.
Non si conoscono e non si conosceranno mai, eppure…
Eppure le loro vicende scorrono complementari, entrambi partono alla ricerca del proprio passato, per far luce sulle ombre dolorose che li hanno segnati da bambini, entrambi trovano per caso l’amore, in un’estate piena di gioia, entrambi rimarranno soli come sono sempre stati.
Ma c’è un passato in questa vicenda e c’è un futuro, che è quello dei figli cui raccontano la loro storia, come a voler chiudere definitivamente l’era dei segreti e dar loro la forza di accettare il loro presente, nella consapevolezza delle loro origini.
Sofia e Sergio non si incontreranno mai, ma sarà la luna a riflettere l’uno per l’altro, i loro sorrisi.
Parentesi di luna è prima di tutto un romanzo sulla ricerca del sé attraverso la scoperta del nostro passato, un lungo e non facile percorso di autodeterminazione dei protagonisti che nel confronto con gli altri, silenziose comparse che si affacciano di tanto in tanto nelle pagine e soprattutto con i loro compagni, Giulio e Valentina, riusciranno a ricostruire una propria dimensione.
Questi personaggi vengono ritratti all’alba di una loro rinascita, e si confrontano, da stranieri in terra straniera, con la vita che per un caso del destino ha dato ad entrambi la possibilità rara di compiere una svolta, anzi La svolta.
Sono personaggi che sembrano nascere in quel momento, carichi di un futuro più che di un passato, e di una voglia di diventare artefici del proprio destino.
L’amore, la mancanza. Questi sono forse i due temi più significativi del libro. L’amore e la mancanza.
La mancanza dell’amore è il motore immobile di tutte le ricerche, dei genitori e dei figli, che come in una tragedia greca espiano i mali dei padri e in qualche modo rendono loro la salvezza, spezzando la catena della sofferenza.
Come in una tragedia greca Monica Cardarelli racconta questa vicenda attraverso le storie dei padri e dei figli: tre generazioni che si compenetrano in un romanzo circolare.
Una eterna sequenza di partenze e ritorni di ricerche che sono destinate a completarsi forse solo in uno sguardo.
Monica Cardarelli ci racconta le vicende di Sergio e Sofia premendo l’acceleratore sulle loro storie e soffermandosi a riflettere sui momenti più significativi delle loro esistenze.
Come da lettere dedicate ai figli, le voci dei due protagonisti si levano raccontando brandelli di vita.
Monica vede e fa vedere Sergio e Sofia all’inizio della loro ricerca, quando incontrano il compagno della propria vita, quando esso se ne va, portandosi dietro un pezzo importante della loro anima.
Li fa vedere mentre piangono, mentre sono felici, ma soprattutto mentre vivono.
Prendendo a prestito le tecniche teatrali, ponendo sul palco una scenografia vuota di quasi tutto, se non del mare, delle montagne, della luna e dei sorrisi, Monica Cardarelli impernia la sua narrazione sui gesti, sulle cose, sui sorrisi: piccole attenzioni, piccoli particolari che comunicano più delle parole, talvolta inutili, spesso di troppo.
Tutto è rivissuto attraverso lo sguardo dei protagonisti, in una dimensione di sospensioni interiori che si affranca così dallo scorrere del tempo.
Noi sappiamo che è passato dalle foglie che si arrossano e cadono come gocce di sangue sulle strade, ma in realtà, il tempo interiore si ferma nel momento dell’incontro con l’altro e rimane così, impercettibilmente in attesa fino alla fine del senso della vita, che non è la morte, ma la fine dell’amore.
Parentesi di luna è un libro che ha il suo punto di forza nella struttura, una struttura che racconta il parallelismo di due vite diverse e divise, eppure così vicine.
Il racconto, l’oralità, la tradizione, si fanno così protagonisti assoluti, assieme alla memoria.
In questo romanzo la memoria si fa spazio concreto di movimento, si interseca e si fonde con il tempo della narrazione, e il ricordo si moltiplica nei luoghi del passato, del presente e del futuro.
Eppure nella sua moltiplicazione ritorna a una unità di fondo, che è qualcosa che si eredita per diritto di sangue, quella memoria fisiologica scritta nel DNA che, come queste due storie, è formato da due catene unite ma divise, la doppia elica che si spiralizza densamente come le vicende di Sergio e Sofia ma che fa parte di un progetto più grande, che sfugge se lo si guarda troppo da vicino e si fa confuso se visto da lontano.
Bisogna seguirlo passo dopo passo, un pezzo alla volta e lasciarsi incantare dalla perfezione del suo progetto, un progetto che sfugge a noi che ne siamo così coinvolti, ma che ha la sua meta finale nel viaggio reale e simbolico che ha la vita come strada e il futuro come meta.
Perché forse, l’unico vero osservatore, che sa tutto e però tace, è proprio il sorriso silente della luna.”

“Parentesi di luna è, come altre opere di taglio moderno, un libro da leggere e non da raccontare. L’incisività delle sue formule, l’intensità rappresentativa di eventi, luoghi e personaggi, il tratto che assume i toni di un forte cromatismo lirico, si associano a ‘scene’ e a ‘dialoghi’ dall’efficace resa scenografica. E’ proprio quello che potremmo definire come il ‘piglio teatrale’ di gran parte degli effetti narrativi, è ciò che rende assai difficile ‘spiegarne’ i contenuti. Le emozioni, infatti, non si descrivono. Si possono ‘vivere’ e basta anche in quel modo, tutto personale e, ripetiamolo ancora una volta, giocato sull’intersecarsi di più di una vicenda, di più di un contesto storico ed esistenziale. Sia come sia, “Parentesi di luna” è un omaggio che la narrativa, l’editoria, la cultura di Roma fanno, oggi, a Firenze”. (Paolo Briganti, Caffè storico letterario Giubbe Rosse, Firenze 22 febbraio 2008)

Al libro è stato assegnato il 1° Premio per la Sezione Narrativa Edita del Premio Nazionale “Il Delfino” 2007; il Premio Menzione d’onore “Prato: un tessuto di cultura” 2009 ACSI; il Premio Segnalazione al “Viareggio Carnevale” 2009.

... (continua)
giovedì, maggio 07, 2009

All'ospedale S.Paolo di Milano, come alla Diaz

PeaceReporter - 'La notte nera di Milano'. Il video della controinchiesta sui fatti accaduti il 16 marzo 2003 all'ospedale milanese San Paolo, dove le forze dell'ordine picchiarono brutalmente i ragazzi accorsi per sapere come stava il loro amico Davide Cesare, 'Dax', mortalmente accoltellato poco prima da due neofascisti. Decine di giovani vennero gravemente feriti nei pestaggi. Il processo, che finora ha visto condannati i ragazzi e assolti i poliziotti, arriva oggi in Cassazione.

... (continua)
giovedì, maggio 07, 2009

Esercito in piazza a Kathmandu

Dopo gli scontri tra maoisti e polizia per le strade della capitale, il governo di unità nazionale schiera i militari per tentare di tenere sotto controllo la situazione

Kathmandu (AsiaNews) - Esercito in piazza a Kathmandu dopo gli scontri per le strade della capitale tra la polizia e manifestanti maoisti. È il nuovo capitolo della crisi istituzionale che sta colpendo il Nepal dopo le dimissioni del premier Pushpa Kamal Dahal, conosciuto anche con il nome di battaglia Prachanda. Nella giornata di ieri un migliaio di sostenitori del premier hanno manifestato per le strade, prendendo il controllo del traffico sino ad arrivare allo scontro frontale con la polizia: lanci di pietre dei manifestanti a cui le forze dell’ordine hanno risposto con lacrimogeni e cariche.

La decisione di ricorrere all’esercito è stata presa del governo di unità nazionale insediatosi dopo lo scontro tra il presidente Ram Baran Yadav ed il primo ministro. Dahal aveva licenziato con una decisione unilaterale il generale Rookmangud Katawal, capo del Nepal Army; il capo dello Stato lo ha reinsediato sconfessando la scelta del leader maoista. Il casus belli tra le due più alte cariche istituzionali del Paese è legato alla posizione del generale Katawal che si oppone al progetto di inserimento degli ex-ribelli maoisti tra le file dell’esercito regolare.

Ad arroventare il clima ha contribuito anche la diffusione, da parte di una tv locale, di immagini risalenti al gennaio 2008. In esse Prachanda arringa i suoi sostenitori ed i ribelli maoisti annunciando la presa del potere totale nel Paese. Il video precede di alcuni mesi le elezioni, le prime democratiche nella storia del Nepal, con cui i maoisti sono saliti al governo. Per l’opposizione e per i partiti della coalizione, che sostenevano il governo di Prachanda, le immagini documentano le mire totalitarie e le intenzioni anti-democratiche dei maoisti.

La comunità internazionale guarda con preoccupazione la situazione del Nepal. Per i commentatori il governo di unità nazionale avrà vita breve perché affidato a equilibri troppo labili. Il presidente Yadav confida nella leadership del Communist Party of Nepal (Unified Marxist-Leninist), il secondo partito del Paese, che dovrebbe sostituire quella dei maoisti dello Unified Communist Party of Nepalche può contare sul 40% dei parlamentari.
... (continua)
mercoledì, maggio 06, 2009

Ecco a voi la casa senza bollette

E' off grid, completamente autonoma e autosufficiente. Sarà presentata alla Campionaria di Milano. Ma ha un limite...

Milano (LaRepubblica) - La parola d'ordine è off grid. Ma la traduzione letterale non dà l'idea giusta: fuori dalla rete sì ma non dal web. La rete, anzi le reti in questione sono altre: luce, gas, acqua, rifiuti, telefono. La casa off grid è una casa completamente autonoma, perfettamente autosufficiente: è un luogo che ricicla all'infinito le risorse naturali che vengono dal cielo e trasforma i rifiuti in risorse. Questo modello, replicabile sino a formare un intero quartiere o una città, il più radicale finora proposto, viene presentato alla Fiera Campionaria di Milano, organizzata dalla Fondazione Symbola dal 7 al 10 maggio.

Il progetto ha due genitori: Mario Cucinella, l'architetto che l'anno scorso ha lanciato la casa ecologica da 100 euro a metro quadro, ed Emiliano Cecchini, il presidente della Fabbrica del Sole, la società che ha costruito ad Arezzo il primo idrogenodotto al mondo. L'idea di fondo è utilizzare solo le risorse che il territorio su cui è costruita la casa è in grado di utilizzare. L'energia è quella che viene dal sole ed è accumulata nei momenti di picco producendo idrogeno: visto che manca il collegamento alla rete elettrica non c'è bisogno dell'inverter perché si può usare la corrente continua senza trasformarla (in questo modo si evitano sprechi e si migliora l'efficienza del sistema). I rifiuti vengono riciclati. Per la telefonia si adopera un ponte radio. Per regolare la temperatura degli ambienti si usano la coibentazione spinta degli edifici e le pompe di calore. Per l'acqua basta quella piovana raccolta in vasche e riciclata. "Con l'off grid l'inquinamento viene quasi annullato e il costo di tutta l'operazione è estremamente contenuto: un 10 per cento in più che rientra in circa 10 anni", spiega Cecchini.

L'operazione ha però un punto debole: lo spazio necessario a ricaricare ecologicamente le risorse necessarie alla vita quotidiana. Per poter essere autosufficiente una casa abitata da 4 persone ha bisogno di circa 2 ettari di terreno. "E' un ordine di grandezza simile a quello della nostra impronta ecologica, un concetto basato proprio sullo spazio che serve per soddisfare il nostro livello di vita", continua Cecchini. "So che è tanto, ma anche le città tradizionali hanno bisogno di una superficie proporzionalmente analoga: non ce ne accorgiamo perché usiamo più risorse di quelle disponibili. Di fatto ci stiamo mangiando la Terra. Per mantenere questo livello di consumi avremmo bisogno di altri due pianeti".
... (continua)
mercoledì, maggio 06, 2009

Roxana Saberi interrompe lo sciopero della fame

Il 12 maggio è in programma il processo di appello contro la giornalista, richiusa in un carcere della capitale con l’accusa di spionaggio. Nei giorni scorsi il padre aveva lanciato l’allarme per le condizioni di salute della donna. Secondo Teheran ha sempre mangiato con regolarità.

Teheran (AsiaNews/Agenzie) – Roxana Saberi ha interrotto lo sciopero della fame. Lo riferisce Reza Saberi, padre della 32enne giornalista iraniana e americana, condannata a otto anni di prigione per spionaggio a favore degli Stati uniti.Il padre ha accolto con gioia la notizia dell’interruzione dello sciopero della fame; nei giorni scorsi l’uomo si era detto preoccupato per le condizioni di salute di Roxana, che appariva “molto debole”. Le autorità iraniane hanno sempre negato la tesi sostenuta da Reza Saberi: secondo Teheran la giornalista mangia con regolarità e le condizioni fisiche sono buone.

Il 21 aprile scorso la donna aveva iniziato a rifiutare il cibo per protesta contro la sentenza inflittale da un tribunale iraniano, nel corso di un processo che si è svolto a porte chiuse. In due settimane, Roxana Saberi aveva mangiato solo un paio di datteri e bevuto un quantitativo minimo di acqua zuccherata. Il 12 maggio è in programma il processo di appello; il verdetto dovrebbe essere emesso il giorno stesso o in un tempo massimo di sette giorni.

La giornalista, a cui la legge iraniana non riconosce la doppia nazionalità, è stata arrestata a fine gennaio con l’accusa di aver acquistato alcolici e lavorato nella Repubblica islamica con l’accredito di giornalista scaduto. La donna è stata quindi incriminata per spionaggio. (continua a leggere)

... (continua)
mercoledì, maggio 06, 2009

Appello dell'arcivescovo di Città del Capo contro la schiavitù

Nel documento, che è stato inviato all'Agenzia Fides, l'arcivescovo di Città del Capo ricorda che "nel 2007 in tutto il mondo, oltre 27 milioni di persone vivevano in stato di servitù forzata"

Radio Vaticana - “Come Chiesa di Città del Capo abbiamo il dovere di agire per aiutare le vittime del traffico di esseri umani”. Così mons. Lawrence Henry, arcivescovo di Città del Capo (Sudafrica), esorta i fedeli a prendere coscienza del dramma vissuto da milioni di persone. Rivolgendosi ai fedeli con una lettera intitolata “Letter to raise awareness on human trafficking to all Parishes”, mons. Hanry definisce la tratta degli esseri umani “un male che è presente in mezzo a noi”. Nel documento, che è stato inviato all'Agenzia Fides, l'arcivescovo ricorda che “nel 2007 in tutto il mondo, oltre 27 milioni di persone vivevano in stato di servitù forzata. Nell'intero periodo della tratta degli schiavi che si è tenuta tra le due sponde dell'Atlantico, 25 milioni di persone sono state costrette in schiavitù. Oggi si stima che 12,3 milioni di persone vengano trafficate ogni anno in tutto il mondo”. Un dramma- sottolinea Mons. Henry- che ha spinto la Southern African Catholic Bishops Conference (SACBC) a creare l'ufficio per la lotta alla tratta delle persone (CTIP), che ha elaborato una strategia su quattro punti: la preghiera, la prevenzione, la protezione e la promozione. “Come Chiesa locale di Città del Capo, abbiamo il dovere di agire” afferma mons. Henry, che ricorda che “nel messaggio di Gesù è centrale l'insegnamento “Amerai il tuo prossimo come te stesso”. L'arcivescovo di Città del Capo nota che “diversi nostri fratelli e sorelle sono attirati con l'inganno nella nostra città con la promessa di un lavoro ma in realtà sono portati qui per altri motivi, come la prostituzione, la pornografia infantile, il lavoro domestico non retribuito e il lavoro agricolo, ecc”. Per affrontare questa situazione, mons. Henry propone alcune linee guida: creare la consapevolezza del problema e pregare nelle parrocchie per le vittime della tratta di esseri umani; accogliere i forestieri e gli stranieri in modo che possano trovare una casa nelle comunità parrocchiali; i gruppi parrocchiali per la “Giustizia e la Pace” si facciano promotori di una legislazione sul traffico di esseri umani; creare o aderire a gruppi già esistenti che si oppongono al previsto boom dell'industria giovanile del sesso, prevista con i Mondiali di calcio che si terranno in Sudafrica nel 2010.

... (continua)
mercoledì, maggio 06, 2009

Pakistan: cristiani a rischio sopravvivenza

Il Direttore delle POM chiede attenzione e sostegno a tutti cristiani del mondo e invita e pregare perché le minoranze cristiane in Pakistan

Radio Vaticana - Temendo un’escalation della violenza talebana, constatata la debolezza del governo, della polizia e delle istituzioni civili, le famiglie cristiane della città di Karachi, aggredite la scorsa settimana da gruppi talebani armati, sono terrorizzate e rinchiuse nelle loro case. E’ quanto comunica all’Agenzia Fides padre Mario Rodriguez, Direttore delle Pontificie Opere Missionarie (POM) in Pakistan, esprimendo preoccupazione e allarme per l’espandersi della violenza dei gruppi militanti islamici nel paese, non solo nella Provincia della Frontiera di Nordovest, ma anche nelle principali città pakistane. Padre Rodriguez afferma: “I talebani si aggirano minacciosi nei quartieri cristiani della città terrorizzando le donne e invitando la gente a convertirsi all’islam, pena la morte. Si susseguono episodi di violenza, percosse e maltrattamenti improvvisi. Sono militanti armati di pistole e kalashnikov. Siamo scioccati da questa situazione e da questa ondata di violenza insensata, che le autorità non dovrebbero permettere: la polizia ha il dovere di difendere tutti i cittadini dalle aggressioni”.Il Direttore delle POM chiede attenzione e sostegno a tutti cristiani del mondo e invita e pregare perché le minoranze cristiane in Pakistan stanno attraversando uno dei momenti più bui e difficili della loro storia. “Speriamo nell’aiuto del Signore e chiediamo al governo di riprendere il controllo della situazione, in tutto il paese, Intanto le famiglie cristiane sono terrorizzate e non escono dalle loro case. Sono costrette all’isolamento”. La Chiesa sta vivendo questa situazione cercando di coinvolgere la società civile (inclusi gruppi musulmani moderati) nel contrastare l’estremismo religioso. Mons. Lawrence Saldanha, Arcivescovo di Lahore e presidente della Conferenza Episcopale del Pakistan, nelle scorse settimane ha inviato una lettera a tutti i leader politici e istituzionali del Pakistan, segnalando la situazione di terrore e violenza a cui sono sottoposte le minoranze religiose, sotto la pressione dei gruppi integralisti islamici, parlando della presenza di una “macchina omicida di terrore in nome della religione”. Oggi l’Arcivescovo sottolinea: “Esiste un fondato timore che gli episodi di violenza avvenuti a Karachi possano ripetersi in altre parti del paese. I cristiani già subiscono ingiustizie e violenze a causa della iniqua legge sulla blasfemia, usata contro di loro. Ora è in pericolo la loro stessa sopravvivenza”. L’Arcivescovo si chiede preoccupato: “Il governo sarà in grado di salvare i cristiani? Il governo e l’esercito sapranno salvare lo stato democratico del Pakistan?”. Intanto un’altra brutta notizia per le minoranze religiose viene dal sistema giuridico nazionale: per il reato di “blasfemia” (profanare il nome di Maometto o il Corano) previsto dall’art 295.C del Codice Penale del Pakistan, ora è prevista la pena di morte, mentre è stata cancellata l’opzione dell’ergastolo. La Corte Suprema infatti, in una recente sentenza, ha reso la pena di morte obbligatoria. La Chiesa da tempo denuncia l’abuso della legge sulla blasfemia e il suo utilizzo per penalizzare o eliminare cittadini di fede non islamica.

... (continua)
mercoledì, maggio 06, 2009

L'Africa chiede aiuto per fermare l'agonia del lago Ciad

Secondo gli esperti della Banca africana per lo sviluppo, che si è unita all’appello della Cblt, dal 1963 ad oggi la sua capacità idrica è diminuita del 90%

Agenzia Misna - In meno di 20 anni potrebbe scomparire il bacino del lago Ciad, lasciando senza risorse i milioni di persone che ricorrono alla sua acqua e al suo pesce: a lanciare l’allarme è la Commissione per il bacino del lago Ciad (Cblt) in un appello alla comunità internazionale per il finanziamento di misure urgenti a contrastare il fenomeno. Quarto lago dell’Africa per estensione, ma di acque poco profonde, la grandezza del bacino d’acqua varia con le stagioni e di anno in anno, ma lo scarto diventa sempre più grande. Più che a un vero lago somiglia a un enorme acquitrino cosparso di isole. Secondo gli esperti della Banca africana per lo sviluppo, che si è unita all’appello della Cblt, dal 1963 ad oggi la sua capacità idrica è diminuita del 90% , passando dai 25.000 chilometri quadrati ai 2000 odierni. Benché il processo di contrazione sia cominciato millenni fa (quando si ipotizza che bacino fosse esteso 300.000 chilometri) il fenomeno appare accelerato dal riscaldamento climatico che è la prima causa dell’evaporazione dell’acqua (problema insito in questo bacino per la sua scarsa profondità), insieme alla riduzione delle piogge e all’impoverimento dei fiumi immissari. La situazione è peggiorata anche per l’aumento dello sfruttamento umano, poiché le crescenti popolazione di Ciad, Niger, Nigeria, Camerun che affacciano sul bacino stanno utilizzando a fini domestici e agricoli l’acqua degli immissari; si stima che siano oggi 30 milioni le persone che dipendono dal bacino. La Cblt è composta dai paesi confinanti con il lago insieme a Sudan, Repubblica Centrafricana e Libia.

... (continua)
mercoledì, maggio 06, 2009

Messaggio del Papa a israeliani, palestinesi e giordani

Il Pontefice: "Sono stati fatti passi da gigante nel dialogo e nello scambio culturale”

Agenzia Misna - “Attendo con impazienza di essere con voi e di condividere con voi le vostre aspirazioni e le speranze, ma anche il vostro dolore e le vostre lotte. Io verrò fra voi come pellegrino di pace”: lo ha detto oggi il Papa al termine dell’udienza generale, rivolgendo un messaggio alle popolazioni giordane, israeliane e palestinesi a due giorni dall’inizio del suo viaggio apostolico in Terra Santa. “Il mio principale intento è quello di visitare i luoghi santificati dalla vita di Gesù e pregare per il dono della pace e dell’unità per le vostre famiglie e per tutti coloro per i quali la Terra Santa e il Medio Oriente rappresentano la casa” ha proseguito Benedetto XVI, ricordando che nel corso del suo viaggio sono previsti incontri con le comunità musulmana ed ebrea; con queste comunità, ha evidenziato, “sono stati fatti passi da gigante nel dialogo e nello scambio culturale”.
In conclusione il Pontefice ha rivolto un augurio in particolare ai cattolici della regione: “Vi chiedo di unirvi a me nella preghiera perché la visita porti molto frutto per la vita spirituale e civile di tutti coloro che vivono in Terra Santa. Possiamo tutti lodare Dio per la sua bontà. Possiamo tutti essere uomini della speranza. Possiamo tutti essere risoluti nel nostro desiderio e nei nostri sforzi per la pace”.

... (continua)
mercoledì, maggio 06, 2009

La santità e i processi di canonizzazione della Chiesa

del nostro redattore Carlo Mafera

Spiegare al grande pubblico cosa sia la santità e cosa siano i processi di canonizzazione sembra impresa facile, ma non lo è affatto. Tutti pensano di conoscere entrambe le cose ma probabilmente hanno una conoscenza approssimativa infarcita di luoghi comuni. Per esempio sembrerebbe indispensabile spargere il sangue per diventare santi ma ciò non corrisponde al vero. Poteva valere per i primi cristiani, ma dopo l’editto di Costantino che rendeva la religione cristiana religione ufficiale dell’impero romano, non vi era più bisogno del martirio, anche se di martiri ce ne sono ancora al giorno d’oggi. L’importante è seguire lo stile di vita di Gesù Cristo, così ha affermato Mons. Guido Mazzotta, ordinario di metafisica presso la Pontificia Università Urbaniana (consultore della Congregazione della causa dei santi e relatore “ad casum” nella causa di Paolo VI) nel quarto incontro del corso di aggiornamento per giornalisti, tenutosi alla Università della Santa Croce il 27 marzo ’09. Il prof. Guido Mazzotta ha esaminato la fenomenologia della santità mostrandone cinque diverse tipologie. La prima relativa a Stefano, il primo martire morto con le stesse modalità del Cristo. La seconda espressione della santità è rappresentata dalla figura del monaco. Antonio e Benedetto sono coloro che hanno incarnato il desiderio dell’uomo di “ingaggiare la lotta contro Satana e riscoprire lo spirito di Gesù” come ha ben messo in evidenza mons. Mazzotta nella sua presentazione. “Il bisogno di andare nel deserto è perché lì Satana viene stanato” e, ha continuato l’emerito professore, “non ha nascondigli come nella città”. Ciò rappresenta la motivazione principale del monaco e la caratteristica essenziale del monachesimo. E’ stata poi la volta di San Francesco che è il santo che ha espresso la santità secondo l’estrinsecazione: “vivere secondo la forma del santo vangelo” (sine glossa). San Francesco ebbe l’intuizione di vivere all’interno della città schierandosi dalla parte degli ultimi (minores) ad imitazione della vita terrena di Gesù come fece in tempi moderni Charles De Faucauld” ha dichiarato mons. Mazzotta. Egli ha continuato sottolineando un aspetto particolare della vita del santo rappresentato dai segni della croce del Cristo. “Le stimmate nella santità di san Francesco sono l’ultimo sigillo e sono segno della perfetta conformità a Gesù ”. Un altro santo significativo, per quanto riguarda la fenomenologia della santità è Ignazio di Loyola autore degli Esercizi Spirituali dove egli esprime il concetto cardine : “scegliere come sceglie Gesù”. Mons. Mazzotta ha ricordato a proposito del santo “la meditazione dei due stendardi” cioè “dietro quale stendardo decido di mettermi. Quale scelta faccio e come investo la mia vita?” Tutte domande esemplificatrici del pensiero di Sant’Ignazio che il prof. Mazzotta ha messo in evidenza per dimostrare la via della santità come “scelta” di vita cristiana. Infine nell’ultima tipologia è stata menzionata Santa Teresa di Lisieux, proclamata dottore della Chiesa nel 1998, che ebbe la grande intuizione, espressa nel suo più profondo pensiero , “nel cuore della Chiesa sarò l’amore”. Ciò sta a significare, secondo il prof. Mazzotta, l’importanza del modo con cui ogni cristiano sta nel mondo sia che faccia un lavoro umile oppure uno professionistico. Cioè, quanto amore metto in ogni cosa che faccio.
Per quanto attiene invece ai processi di canonizzazione Mons. Mazzotta ha messo in evidenza l’importanza della Vox populi cioè della fama di santità come presupposto dell’inchiesta diocesana che è la ricerca che si fa intorno alle virtù del futuro santo, nella diocesi dove egli è morto o dove egli ha vissuto. C’è innanzitutto una fase preparatoria dove i protagonisti sono l’attore, il postulatore e il vescovo competente. Poi c’è l’avviamento della causa che si esplica nell’istanza dell’attore, nell’ammissione o nel rigetto dell’istanza stessa, nell’esame degli scritti pubblicati e nelle ricerche storico-archivistiche. Infine, nell’inchiesta diocesana c’è la fase informativa giudiziale che consiste nel Nihil obstat della Santa Sede, nell’istituzione del tribunale e nell’esame dei testi (de visu e de auditu a videntibus, cioè di coloro che hanno visto di persona o per sentito dire) e dei testi di ufficio.
Poi si svolge la fase romana del processo presso la Congregazione dove si sviluppano quattro distinti momenti. Il primo consiste in un provvedimento amministrativo per verificare la validità giuridica dell’inchiesta diocesana. Il secondo è quello relativo all’elaborazione della Positio del relatore. E’ questa la fase più importante. Infatti il prof. Mazzotta ha ribadito più volte la centralità del ruolo del relatore “che è il responsabile della Positio ed è il garante del processo.” Si passa poi ad un eventuale esame dei consultori storici e ad un congresso dei consultori teologi. Questi ultimi possono dare un voto affermativo, negativo o sospensivo motivato. Il procedimento si trasferisce in seguito presso la Congregazione dei Cardinali e dei Vescovi che devono votare circa il dubium proposto. Il segretario, in una successiva fase proporrà una relazione per il Romano Pontefice e si terrà una lettura di un decreto alla presenza del Santo Padre. Dopo tutto questo complesso iter, si arriva finalmente all’Atto Pontificio di beatificazione e/o di canonizzazione.
Tutto ciò a dimostrare la serietà con la quale la Chiesa affronta la delicatezza di questo tema. Infatti Mons. Guido Mazzotta ha tenuto a precisare che “la vera storia dell’umanità è la storia della santità”. La Chiesa quindi rivolge tanta attenzione alla perfezione cristiana proprio perché è un elemento costitutivo di essa. E infatti, ha affermato il prof. Mazzotta “la Chiesa esiste nel mondo per aiutare le persone a conformarsi a Gesù” e per far ciò, è importante indicare al Popolo di Dio, gli esempi delle persone che hanno saputo fedelmente incarnare lo spirito evangelico. Andando ancora più in profondità, il tema dell’essere beati o santi è una questione centrale nella storia della chiesa perché, ha concluso mons. Mazzotta “il Vangelo spiega la vita dei santi e la vita dei santi spiega il Vangelo”.
... (continua)
mercoledì, maggio 06, 2009

Myanmar: un anno dopo il ciclone Nargis, ventuno persone ancora in carcere per aver aiutato le vittime

A un anno di distanza dal ciclone Nargis che devastò Myanmar, Amnesty International ha chiesto al governo del paese asiatico il rilascio immediato e incondizionato di 21 persone imprigionate per aver portato soccorsi alle vittime.

Amnesty - Nelle prime ore successive al ciclone (che fece oltre 84.500 vittime e quasi due milioni e mezzo di sfollati), privati cittadini si misero al lavoro per distribuire aiuti e ricostruire le aree devastate. Per 3 settimane, il governo rifiutò l'assistenza internazionale. Decine di migliaia di persone risultano ancora disperse. 20 delle 21 persone arrestate un anno fa sono state condannate al termine di processi irregolari e 6 di esse a pene che vanno da 10 a 35 anni. Tutte sono state incriminate per aver portato aiuti alle vittime, aver dato notizia del ciclone o aver seppellito i morti.

"Questa è la parte sconosciuta delle conseguenze del ciclone Nargis: il governo di Myanmar che si accanisce contro le persone che portano i soccorsi" - ha dichiarato Benjamin Zawacki, ricercatore di Amnesty International su Myanmar.

Sette dei 21 detenuti, come ormai pare la regola per i prigionieri politici, si trovano in carceri lontane dai luoghi di residenza e in alcuni casi i loro familiari devono intraprendere un viaggio di nove giorni per visitarli. A causa della povertà diffusa e della carenza di cure mediche nelle carceri, i prigionieri politici spesso fanno affidamento esclusivo sulle famiglie per ricevere medicine essenziali, cibo e vestiti.

Tra i 21 detenuti figura il noto attore Zarganar, condannato a 35 anni per aver guidato un movimento privato di donatori. È stato arrestato il 4 giugno 2008 per aver concesso interviste alla stampa estera in cui criticava la gestione dell'emergenza da parte del governo. Zarganar aveva aderito già nel 1988 all'opposizione contro il regime militare ed era stato arrestato per aver chiesto riforme democratiche. È in cattive condizioni di salute e non gli vengono fornite cure mediche adeguate.

Nay Win e sua figlia Phyo Phyo Aung, Aung Kyaw San, Lin Htet Naing (conosciuto anche come Aung Thant Zin Oo), Phone Pyeit Kywe e Shein Yazar Tun sono stati condannati a pene varianti da due a quattro anni di carcere per aver aiutato a seppellire le vittime del ciclone nella città di Bogale, nella zona del Delta dell'Irrawaddy, completamente devastata.

I 21 detenuti fanno parte di un totale di oltre 2100 prigionieri politici.
... (continua)


___________________________________________________________________________________________
Testata giornalistica iscritta al n. 5/11 del Registro della Stampa del Tribunale di Pisa
Proprietario ed Editore: Fabio Gioffrè
Sede della Direzione: via Socci 15, Pisa