giovedì, maggio 07, 2009
49 anni dopo la morte del giovane cronista siciliano è ancora una pagina senza giustizia

Liberainformazione.it - Gli atti processuali parlano di suicidio. La storia di Cosimo Cristina invece è quella di un giornalista attento, scrupoloso e coraggioso, ucciso dalla mafia in una Sicilia immobile e silenziosa. Cronista e corrispondente di numerosi quotidiani come L’Ora, ma anche testate nazionali come Il Giorno di Milano, l’agenzia Ansa, Il Messaggero di Roma e Il Gazzettino di Venezia, Cristina muore il 5 maggio del 1960 a soli 24 anni. Il suo corpo viene trovato dilaniato con il cranio sfondato sui binari ferroviari di Terme Imerese, a pochi kilometri dal capoluogo siciliano.
Dopo i primi anni da corrispondente nel 1959 Cosimo Cristina insieme a Giovanni Cappuzzo fonda un settimanale di approfondimento “Prospettive Siciliane” . Da subito la testata comincia a pubblicare denunce, inchieste, scavando dietro la realtà, indagando su omicidi e fatti di mafia facendo nomi e cognomi “importanti” già all'epoca. Le minacce e intimidazioni arrivate in quegli anni non fermarono mai lo spirito di giustizia e lo slancio politico con cui Cristina si occupò come corrispondente e come direttore di raccontare la Sicilia che aveva sotto gli occhi. Erano anni quelli in cui Cosa nostra stava cambiando volto, dalle campagne si stava dirigendo in città, dai latifondi stava allargando i propri tentacoli verso altri settori dell’economia. Cosimo Cristina aveva colto i segnali di questo cambiamento e aveva intenzione di raccontarli prima che fosse troppo tardi.

Così da subito Prospettive Siciliane raccontò la mafia in anni in cui nessuno osava nemmeno nominarla. Non era ancora stata istituita la prima Commissione parlamentare antimafia del dopoguerra quando il giornalista Cosimo Cristina scriveva di quel sistema di poteri, collusioni, privilegi che governava l’isola e le città sovrastate dalle Madonie. Lo faceva con il piglio dell’intellettuale, lo slancio che hanno i giovani sotto i trent'anni e la professionalità di un giornalista d’esperienza, nonostante la giovane età.

Questo era il giornalista, poi c'era l'uomo. Non passava inosservato Cristina, soprattutto in un piccolo paese di provincia come Termini Imerese - andava in giro con la bicicletta e portava baffi e pizzetto che incorniciava con eleganti camice e papillon a giro collo. Era uno di quei colleghi sfruttati che per poche lire in questi ultmi trent’anni hanno pagato cara la scelta di restare liberi e onesti e non hanno presentato il conto a nessuno. La stessa categoria li ha dimenticati, con imbarazzo, quasi con riservatezza, per anni.

Era un giornalista "senza peli sulla lingua" Cosimo Cristina, uno che quando succedeva un fatto, correva per giungere sul posto, vedere con i propri occhi; vivere per raccontarla. Era un cronista curioso e attento, in poco tempo molte denunce arrivarono al giornale, spesso accompagnate da intimidazioni e minacce. Di lui Cappuzzo, codirettore del mensile ricordava “Aveva un particolare fiuto della notizia-sensazione, della notizia da prima pagina. Si era fatto tutto da sé, con la sua ostinata capacità, con il suo grande intuito, ed aveva un programma ben definito: sapeva quel che voleva. Per primo, bisogna dargliene atto, in un periodo in cui era pericoloso nella nostra provincia muoversi in un certo senso, affondare il bisturi su certi temi tabù, affrontare certi argomenti spinosi, egli ebbe questo coraggio. Il mestiere lo conosceva, con un istinto da sbalordire anche i più preparati giornalisti”.

Scomparso il 3 maggio del 1960 Cosimo Cristina venne ritrovato cadavere due giorni dopo, nonostante amici, carabinieri e famigliari lo avessero cercato senza sosta per 48 ore. Le indagini furono approssimative e subirono depistaggi e rallentamenti. Il suo delitto rimase impunito e archiviato come “suicidio”. Nel 1966 il funzionario di polizia Angelo Mangano cercò di riaprire le indagini, riesumò il cadavere per l’autopsia che però non diede più i risultati utili per tenere aperto il caso. Mangano in provincia di Palermo aveva condotto inchieste che avevano portato all’arresto di Luciano Liggio e fatto mettere in manette fra gli altri Santo Gaeta, considerato il boss di Termini Imerese, Agostino Rubino, consigliere comunale sempre di Termini, Vincenzo Sorce, Orazio Calà Lesina e Giuseppe Panzeca, capomafia di Caccamo.

Il funzionario di polizia era convinto che ad uccidere Cristina fossero state le cosche mafiose termitane, con l’assenso della famiglia di Caccamo, che tenevano sotto controllo la zona. Il movente dell’omicidio sarebbe da ricercare in un articolo che scavava dietro i misteri dell’uccisione del pregiudicato Agostino Tripi, denunciato per un attentato dinamitardo ad una gioielleria poi eliminato dalla mafia perché “parlava troppo”. Cristina aveva fatto un’intervista alla moglie. Quella testimonianza, ultima di tante altre storie del palermitano firmata Co. Cri. come era solito fare, una firma che era la piccola e significativa ricompensa di quel lavoro fatto più per passione che non per profitto. Quell’ultima intervista potrebbe aver segnato la sua condanna a morte.

Ancora oggi, nonostante il caso sia stato chiuso - come dimostra il lavoro d’inchiesta di Luciano Mirone nel suo libro “gli Insabbiati” permangono molti dubbi e interrogativi. Il tempo cancella le prove troppo in fretta ma non la memoria. Cosimo Cristina è stato ricordato il 21 marzo a Napoli nella giornata nazionale in memoria delle vittime delle mafie e - dopo molti anni di silenzi - il 3 maggio scorso dai colleghi giornalisti (Fnsi, Ordine e Unci), nella seconda giornata in memoria dei giornalisti uccisi dalle mafie e dal terrorismo, a Napoli. A lui sono dedicati blog e articoli che ne ricordano l’impegno e il contributo giornalistico.

E di lui rimane a siglare l'impegno di ieri quel Co. Cri.;oggi iniziali di una memoria che è nuovo impegno per un giornalismo locale d'inchiesta "senza peli sulla lingua".


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