del nostro collaboratore Padre Renato Zilio
Dalla cattedrale di Westminster si era partiti dopo la solenne “messa per i lavoratori migranti” in onore di s.Giuseppe lavoratore. Provvidenziale patrono di un lavoro silenzioso, discreto, invisibile di migliaia di stranieri. Magica ne era stata l’accoglienza. Sulle gradinate dell’austera cattedrale, al mattino, un coro di bambini di tutte le razze dell’età apparente di sei anni cantava assorto, accompagnato da una musica registrata. Immagine bella e tenera del popolo di domani. Un maestoso cero pasquale splendeva più che mai al centro dell’assemblea eucaristica: segno da sempre della presenza viva del Signore in mezzo ai discepoli. Ma questa volta era anche segno forte di comunione di un’umanità dispersa - la diaspora dei migranti - riunita in nome Suo.
Le nazionalità non si contavano. Incantava in prima fila il gruppo degli indiani sotto eleganti ombrelli di seta lavorati in argento dai pendagli d’oro, dietro di loro nazionalità di ogni angolo della terra… e ultimi i portoghesi in costume tradizionale rosso-nero, che comparivano proprio all’offertorio, cantando da soli alla grande e portando un delizioso porto con pane alle olive in abbondanza! Il successo più grande, tuttavia, fu riservato non ai tre vescovi che celebravano (erano tre diocesi riunite), ma al piccolo parroco inglese della cattedrale, quando alla fine invitava tutto il popolo di Dio a scendere in piazza. “La giustizia è sempre stata la passione della Chiesa!” ricordava tra gli applausi. La messa non era finita! E fu sufficiente per vedere comparire bandiere di ogni nazione e cartelli arancione ad ogni lato. Era l’ora di mettersi in moto con tantissimi altri che aspettavano già fuori, terminato il loro culto anglicano o altri culti religiosi. Un’orchestrina jazz subito fuori la cattedrale lanciò i primi passi di danza…
Per strada il giovane padre Jake piroettava in aria davanti alla sua comunità filippina ripetendo a salve “Mabuhay! viva le Filippine!” Un inglese in camice, stola e megafono a tracolla dava ordini alternando canti mariani. Il popolo etiopico eseguiva le sue antiche canzoni. Africani dagli splendidi costumi avanzavano a suon di tam-tam, mentre vecchie sisters con i cartelli arancione e il nome della congregazione seguivano ben a ritmo. Gruppi giovanili delle scuole cattoliche avanzavano con l’abituale serietà e naturalmente i vescovi seguivano a passo... “Ma anche in America i vescovi vanno in piazza per la giustizia e gli emigranti!” mi commentava secco qualcuno al mio interrogativo. E finalmente eccoci a Trafalgar square, dove tra parole, canti e ritmi scorrevano due ore indimenticabili… come indimenticabile fu per un popolo dai mille colori cantare all’unisono l’inno nazionale stampato sui maxi-schermi God save the Queen!
Mi immaginavo, segretamente, quando tutti gli stranieri da noi un giorno si metteranno anch’essi a cantare “Fratelli d’Italia”… Strangers into citizens, da stranieri a cittadini! In fondo, tutti avevano preso sul serio l’invio finale della messa. Se non loro, infatti, chi mai ricorderebbe alla società di oggi la sete di dignità del popolo dei migranti?!
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