mercoledì, aprile 29, 2009
Lo dice l'Environment Agency (EA), l'ente ambientale britannico: nel 2030 le biomasse di origine agricola potrebbero produrre più CO2 dei combustibili fossili.
SalvaLeForeste - Secondo lo studio dell'Environment Agency, l'impiego di scarti legnosi produce i livelli più bassi di emissioni, mentre pioppi e salici, assieme alla colza, hanno gli indici più alti. L'agenzia ha quindi richiesto al governo di prevedere un dettagliato rapporto sulle emissioni di gas serra da tutte le imprese del settore.
Le biomasse sono state considerate a basso impatto, dato che il carbonio rilasciato durante la combustione viene nuovamente catturato dalle nuove piante in crescita. Ma non è così. Nel migliore dei casi le biomasse sono in grado di produrre 7kg di CO2 per kilowatt / ora: il 98 per cento in meno rispetto al carbone. Ma lo studio dell'Environment Agency ha dimostrato che questo vantaggio può essere facilmente riassorbito, soprattutto quando le colture a biomassa sono impiantate in praterie. E' quanto avviene in vasti tratti del Sudamerica, dove le piantagioni sostituiscono progressivamente le praterie. Queste piantagioni producono trucioli fin'ora impiegati per la produzione di carta e compensato, ma il loro mercato ha subito una forte impennata in seguito al boom delle biomasse. Inoltre, molti impianti a biomasse inoltre sono scarsamente efficienti, e il limitato vantaggio è velocemente disperso. "Le biomasse sono una risorsa limitata, e dobbiamo assicurarci che non sia buttata via in generatori inefficienti, che ad esempio non ottimizzano l'energia prodotta combinando il riscaldamento con la produzione di energia elettrica" ha spiegato Tony Grayling, dell'Environment Agency.
Proprio in questi giorni il World Rainforest Movement e la Global Forest Coalition hanno presentato una richiesta al Forum Foreste dell'Onu chiedendo che le piantagioni siano escluse da sovvenzioni e finanziamenti, proprio a causa del loro impatto sul clima, sulla biodiversità e sulle popolazioni native.
mercoledì, aprile 29, 2009
dal nostro collaboratore Carlo Mafera
Le accuse mosse dopo la sua morte a Pio XII riguardo all'Olocausto non sono state rivolte a quello che avrebbe potuto fare in più, ma soprattutto ai suoi presunti silenzi. E’ una critica che si dimostra infondata perché già in qualità di nunzio apostolico in Germania, prima che diventasse papa, mons. Pacelli aveva scritto ben quaranta discorsi contro l’emergente ideologia nazista e nel 1935 in una lettera scrisse che i nazisti erano “falsi profeti con l’orgoglio di lucifero”. Nel 1937 fu l’anno dell’enciclica “mit brennender Sorge” che vuol dire “Con Viva Ansietà” nella quale si condannava apertamente il razzismo nazista e per giunta era scritta in lingua tedesca. La stesura di questo documento fu a cura del cardinal Pacelli che la sottopose poi al vaglio di papa Pio XI. Il Papa molto malato appose solo qualche piccola correzione prima di apporvi la sua firma. L’enciclica procurò un effetto completamente nullo rispetto all’obiettivo che si era prefisso.
Il Cardinale Pacelli nel frattempo divenne Papa con il nome di Pio XII. Il nuovo pontefice, con tutti i mezzi possibili, non si risparmiò di condannare le dottrine razziste con le quali si negava l’unità del genere umano. Le parole del Papa erano molto chiare tanto che i giornali tedeschi lo criticavano aspramente utilizzando anche insulti. Erano però parole che servivano da incoraggiamento per tanti cattolici che si sentivano stimolati ad aiutare ed assistere gli ebrei. I documenti ufficiali e gli interventi pubblici furono apprezzati soprattutto dal mondo ebraico che espresse più volte e in più occasioni il proprio ringraziamento per la posizione assunta dal Papa ritenuta “sorgente di conforto notevole per i nostri fratelli”.
Ma nonostante tale eloquenza, i detrattori di Pio XII ritennero che le sue parole erano ambigue e reticenti. Probabilmente i suoi critici, leggendo i testi a sessanta anni di distanza, non hanno avuto una visione storicistica ovvero non si sono calati nella situazione storica del momento. Qualsiasi condanna esplicita, infatti, anche con il ricorso alla scomunica, avrebbe acuito ed esacerbato ancor più la persecuzione nazista, come del resto avvenne realmente ogni volta che veniva manifestata una qualsiasi forma di protesta. A riprova di ciò il 2 giugno 1943, Pio XII ebbe ad affermare: “Ogni parola da noi pronunciata a questo scopo e rivolta alle autorità competenti, e qualsiasi riferimento da noi fatto in pubblico, devono essere seriamente ponderati e pesati, nell’interesse di coloro che soffrono, per non aggravare inconsapevolmente la loro situazione rendendola intollerabile.” Anche Don Sturzo espresse lo stesso parere e dietro a lui, numerosi altri studiosi ebrei e cattolici si allinearono tutti alla saggia e opportuna posizione del Papa. E i fatti diedero ragione a Pio XII perché laddove la condanna fu molto esplicita, come nel caso dell’Olanda occupata dai tedeschi, la persecuzione si esacerbò notevolmente. Ci furono infatti numerose lettere apostoliche da parte dei vescovi olandesi nel 1942 contro il regime nazista e il risultato fu che proprio l’Olanda vide il maggior numero di ebrei deportati nei campi di sterminio (nella percentuale del 79%) cioè più di qualsiasi altro stato europeo. E così altri casi dimostrano la scelta opportuna del Papa.
Anche in Polonia la situazione era gravissima: tremila preti internati, la maggior parte dei quali deceduti e tanti vescovi arrestati ed esiliati. Anche lì un arcivescovo rispose al Papa di non poter pubblicare le sue lettere per timore di nuove persecuzioni. Così alcuni rifugiati berlinesi a Roma ebbero a dichiarare: “Nessuno di noi ha mai desiderato che il Papa parlasse apertamente…...la Gestapo....avrebbe intensificato le sue inquisizioni.”
In conclusione i deportati e i perseguitati chiedevano un aiuto concreto e non prese di posizione clamorose. E fu questo aiuto che Pio XII profuse in modo incommensurabile durante la guerra e furono proprio gli ebrei per primi a riconoscergli il merito tributandogli una gratitudine calorosissima.Per citarne uno molto famoso, Albert Einstein dichiarò: “Soltanto la Chiesa si oppose pienamente alla campagna di Hitler che mirava a sopprimere la verità. Non avevo mai avuto un interrese particolare per la Chiesa, ma ora sento per essa grande amore e ammirazione, perché soltanto la Chiesa ha avuto il coraggio e la perseveranza di difendere la verità intellettuale e la libertà morale. Sono quindi obbligato a confessare che ciò che prima avevo disprezzato ora elogio senza una qualsiasi riserva”. E così anche il rabbino di Roma, Elio Toaff, salvato da un sacerdote durante uno dei tanti rastrellamenti avvenuti a Roma, nel periodo nazista, affermò nel 1964, quando cominciarono a circolare le prime diffamazioni su Pio XII: “La comunità israelitica di Roma, dove è sempre vivissimo il senso di gratitudine per quello che la Santa Sede ha fatto in favore degli ebrei, ci ha autorizzato a riferire.... che…..quanto è stato fatto dal clero……non può essere avvenuto che con la espressa approvazione di Papa Pio XII.”
Ci si chiede allora come è stato possibile che, a partire dagli anni sessanta, Pio XII sia stato oggetto di accuse sempre più gravi. Probabilmente è stato un attacco al papato come istituzione e in particolare un’ aggressione da parte dei cattolici progressisti nei confronti di un modo di gestire la Chiesa prima del concilio vaticano II, ritenuto antiquato e per il quale l’argomento dell’olocausto poteva essere un ottimo strumento per denigrare Pio XII. Ma al di là di questi sterili attacchi, i fatti storici parlano da sé e il bilancio a favore della Chiesa, per quanto riguarda l’aiuto dato agli Ebrei, è palesemente positivo. L’ebreo Pinchas E. Lapide scrisse un libro “Roma e gli Ebrei : l’azione del Vaticano a favore delle vittime (Mondadori 1967). In tale libro egli scrive tra l’altro (senza prima aver risparmiato di critiche la Chiesa stessa) : “La Chiesa cattolica sotto il papato di Pio XII fu lo strumento di salvezza di almeno settecentomila ebrei …… che dovevano morire per mano nazista ……Inoltre tale cifra è in notevole contrasto, con l’ipocrita assistenza a parole e l’imperdonabile mancanza di buona volontà di coloro che erano fuori portata di Hitler e che disponevano di mezzi certo ben più efficaci per salvare gli ebrei quando ciò poteva ancora essere possibile : la Croce Rossa Internazionale e le democrazie occidentali”. L’evidenza più chiara, che le cifre dimostrano, è che solo la Chiesa fu lo scudo più forte in difesa degli Ebrei. Non possiamo dimenticare i gravi peccati di omissione degli Alleati : Inghilterra e Stati Uniti. Per esempio, il famoso libro bianco che limitava rigorosamente l’immigrazione ebraica in Palestina per il quale gli Inglesi respingevano le navi cariche di profughi ebrei. Oppure l’episodio del transatlantico Saint Louis che fu rispedito a casa dagli Stati Uniti rimandando in Germania ben 930 ebrei. Per non parlare del rifiuto di aprire le frontiere dell’Alaska ai profughi ebrei tedeschi. Infine, ricollegandomi al mio precedente articolo, non si può dimenticare l’esecranda collaborazione tecnologica e mercenaria dell’ IBM con i nazisti per il censimento degli Ebrei, facilitandogli il nefando compito del loro sterminio.
Di fronte a questi avvenimenti non si può che concludere con le parole del rabbino G. Dalin : “…la gente di quel tempo, in uguale misura, i nazisti e gli ebrei, compresero che il Papa era l’oppositore più chiaro dell’ideologia nazista”.
mercoledì, aprile 29, 2009
Secondo Amnesty International, i primi 100 giorni della presidenza Obama sono stati caratterizzati da "promesse di cambiamento accompagnate da azioni limitate" nel campo della lotta al terrorismo.
Amnesty International - "I provvedimenti presi entro le prime 48 ore dall'insediamento, e cioè chiudere Guantánamo entro un anno, porre fine alle detenzioni segrete ad opera della Cia e spezzare il clima di segretezza che copriva l'operato dell'amministrazione Bush, sono stati molto positivi" - ha affermato Irene Khan, Segretaria generale di Amnesty International. "Ma questa politica di chiusura e apertura non sarà completa fino a quando non sarà seguita dalla fine di ogni detenzione illegale, dalla consegna alla giustizia di tutte le persone responsabili delle torture e delle altre gravi violazioni dei diritti umani perpetrate durante l'amministrazione Bush e, infine, dalla previsione di rimedi giudiziari effettivi per le vittime".
"Abbiamo assistito a importanti sviluppi positivi in questi primi 100 giorni, ma alcune azioni restano incomplete e altre ancora sono tutte da avviare, per esempio a Bagram, Afghanistan, dove per centinaia di persone ancora detenute non ci sono soluzioni in vista" - ha aggiunto Irene Khan.
In occasione dei primi 100 giorni della presidenza Obama, Amnesty International ha diffuso un rapporto che analizza l'operato delle nuova amministrazione sulle politiche di detenzione nel contesto della guerra al terrore.
Il documento mette in evidenza una serie di sviluppi positivi che hanno avuto luogo già il terzo giorno dopo l'insediamento del presidente Obama, come la promulgazione degli ordini esecutivi sulla chiusura di Guantánamo, la fine del programma della Cia di detenzioni segrete a lungo termine e l'adozione di nuovi standard per gli interrogatori, che dovrebbero escludere le cosiddette tecniche di "interrogatorio avanzato".
Amnesty International ha anche notato una serie di messaggi contrastanti, specificamente quando il presidente Obama e la sua amministrazione:
* hanno reso pubblici quattro memorandum in cui si autorizzava la Cia a usare tecniche di interrogatorio costituenti tortura e altri maltrattamenti nei confronti di prigionieri detenuti in centri segreti diretti dalla stessa agenzia. Il presidente Obama ha condannato l'uso della tortura ma ha affermato che coloro che avevano perpetrato quei crimini non sarebbero stati portati di fronte alla giustizia nei casi in cui avevano seguito le direttive legali del dipartimento della Giustizia. Il presidente ha posto l'accento sul fatto che egli preferisce guardare avanti e non al passato e ha aggiunto che spetta al Procuratore generale decidere se avviare o meno le indagini "su coloro che hanno formulato quelle decisioni legali", sottolineando che egli non intendeva "anticipare un giudizio" su questo aspetto;
* hanno emanato un ordine esecutivo sulla chiusura del centro di detenzione di Guantánamo senza prendere l'impegno di processare i detenuti in un tribunale civile o rilasciarli, lasciando così nell'incertezza sul proprio futuro 240 detenuti;
* hanno promesso che i casi dei detenuti di Guantánamo sarebbero stati rivisti "uno dopo l'altro e il più velocemente possibile" per determinare chi avrebbe potuto essere trasferito o rilasciato. Tuttavia, dopo anni di prigionia seguiti da mesi sotto l'attuale amministrazione, a partire da gennaio nessun detenuto è stato processato e solo uno è stato rilasciato. Inoltre, molti rimangono in detenzione a tempo indeterminato, sebbene siano trascorsi mesi da quando i giudici federali americani ne hanno ordinato il rilascio immediato;
* hanno ordinato alla Cia di chiudere le strutture di detenzione segreta e hanno proibito all'agenzia di utilizzarle in futuro, ma hanno lasciato aperta la possibilità che la Cia possa rapire e trattenere persone in strutture definite "a breve termine e transitorie";
* hanno emanato un ordine esecutivo che vieta l'uso della tortura e degli altri maltrattamenti ma al contempo hanno fatto proprio, senza riserve, il Manuale operativo delle forze armate, che può autorizzare la privazione prolungata del sonno e l'isolamento, così come la manipolazione delle paure dei detenuti in forma tale da violare la proibizione internazionale della tortura e degli altri maltrattamenti;
* hanno annunciato che avrebbero preso le distanze dal clima di segretezza dell'amministrazione Bush, ma hanno invocato il segreto di stato, bloccando di fatto l'accesso a un rimedio legale per le violazioni dei diritti umani, e rifiutato di fornire informazioni pubbliche sui 500 uomini che si ritiene siano detenuti nella base militare Usa di Bagram, Afghanistan;
* hanno apparentemente cessato di usare le espressioni "guerra al terrore" o "combattente nemico", ma continuano a basarsi sulle leggi di guerra piuttosto che considerare la giustizia penale ordinaria e i diritti umani come l'architrave delle misure contro il terrorismo.
Il rapporto di Amnesty International mette in luce l'assenza di passi avanti in tema di diritti umani quando il presidente Obama e la sua amministrazione:
* hanno stabilito che gli agenti della Cia che avevano seguito le direttive legali del dipartimento della Giustizia nel compiere il loro dovere non saranno perseguibili, a quanto pare anche se hanno commesso torture (per esempio ricorrendo alla pratica del "waterboarding"). Questo equivale a garantire l'impunità ai responsabili di atti di tortura e contravviene al diritto internazionale;
* hanno espresso opposizione a ogni tentativo di esercitare il diritto a una revisione giudiziaria, nei tribunali americani, da parte dei cittadini stranieri detenuti nella base aerea di Bagram, Afghanistan;
* non hanno adottato misure concrete per favorire l'accertamento delle responsabilità per le massicce violazioni dei diritti umani commesse nel contesto della "guerra al terrore". Verso la fine dei 100 giorni, comunque, il presidente Obama ha prospettato un certo supporto in favore di un percorso "bipartisan" per esaminare le politiche e le pratiche del passato. Amnesty International chiede dal 2004 una commissione d'inchiesta indipendente su tutti gli aspetti delle pratiche di detenzione e di interrogatorio che l'amministrazione Bush ha usato in nome della "guerra al terrore".
"La domanda che stiamo ponendo è se la promessa di cambiamento del presidente Obama e i passi iniziali presi dalla sua amministrazione preludano o meno a un fondamentale, sostanziale e duraturo cambiamento verso il rispetto dei diritti umani nella lotta contro il terrorismo. Amnesty International continuerà a svolgere campagne in tale direzione, nei giorni, nei mesi e negli anni a venire" - ha concluso Irene Khan.
mercoledì, aprile 29, 2009
Alvaro Uribe riceve in Spagna il premio "Libertà" per il suo impegno contro il sequestro. Ma le Ong in difesa dei diritti umani protestano.
PeaceReporter - "Per i suoi sforzi in favore della libertà in Colombia e per la sua aperta opposizione alle situazioni terroristiche che la disprezzano, privando del diritto alla medesima tutte quelle persone sequestrate da gruppi cosiddetti terroristi, tutti coloro che stanno tenendo prigionieri da anni privandoli della loro libertà e di vivere con i loro cari". Questa la motivazione del premio 'Libertad Cortes de Cádiz' che verrà consegnato oggi nella città spagnola. Ma a riceverlo non sarà, come sembrerebbe logico, un rappresentante di una delle tante Ong che difendono i diritti umani nel pericoloso paese andino a rischio della vita. No. A essere premiato è il presidente della Repubblica di quel paese, Alvaro Uribe, colui che da anni è al centro dello scandalo della parapolitica, perché sospettato di avere legami con i gruppi paramilitari responsabili oltre che di sequestri, anche di veri e propri genocidi. È degli ultimi giorni la dichiarazione del capo paracos estradato negli Usa, Don Berna, sui finanziamenti che il suo gruppo avrebbe dato alla campagna elettorale del presidente "esempio di libertà".
manifestazione contro il sequestroLe proteste. Un premio che ha suscitato la protesta dei collettivi pacifisti e dei sindacati, che non si stancano di denunciare che la Colombia è uno dei paesi dove si registra un numero di sindacalisti morti ammazzati tra i più alti del mondo, dove gli omicidi e le sparizioni sono all'ordine del giorno, e dove l'impunità regna sovrana. Amnesty International, a questo proposito, ha dichiarato ieri: "Uribe non può continuare eludendo l'argomento", la situazione dei diritti umani e umanitaria in Colombia continua a essere molto grave, il paese è nel bel mezzo di un conflitto armato e i gruppi paramilitari continuano a operare nonostante il processo di smobilitazione promosso dal presidente. E quindi la richiesta al primo ministro spagnolo, José Luis Rodríguez Zapatero, che incontrerà Uribe per rafforzare i legami commerciali tra i due paesi (la Spagna è il secondo paese straniero che più investe nel paese andino): "Zapatero, non appoggi iniziative che aiutino a perpetrare le violazioni dei diritti umani in Colombia".
In Italia. Dopo Zapatero, Uribe sarà ricevuto dal re Juan Carlos, dal presidente del Parlamento, José Bono, e dai rappresentanti delle imprese spagnole più importanti. La sua visita continuerà in Italia, dove incontrerà Silvio Berlusconi e il Papa.
mercoledì, aprile 29, 2009
Dal blocco dei voli da e per il Messico agli scanner termici negli aeroporti e alle limitazioni per i visti ai messicani. L’esperienza della Sars e dell’aviaria si rivelatile per la Cina e i Paesi del sudest asiatico. In perdita i titoli legai al turismo e ai viaggi, guadagnano i farmaceutici.
Hong Kong (AsiaNews/Agenzie) - “Se c’è qualcosa di buono che è venuto dalle epidemie della Sars e dell’aviaria è che ora la Cina è preparata più del resto del mondo” ad affrontare l’influenza suina. “Ciò che è importante è la trasparenza e l’apertura non solo verso l’Oms, ma anche verso la gente”. E’ il commento di Hans Troedsson, rappresentante dell’Organizzazione mondiale della sanità in Cina - ma le sue considerazioni valgono per gran parte del sudest asiatico - che rappresenta l’atteggiamento col quale gran parte del Continente si prepara ad affrontare il pericolo rappresentato da questa epidemia mondiale. Il bilancio resta fermo a 159 morti, tutti in Messico, anche se la stessa Oms ne “riconosce” solo sette. I malati sono 2.498 “sospetti” e 18 “confermati” in Messico, 70 in Australia, 65 negli Usa, 42 in Colombia, 24 in Cile, 14 in Nuova Zelanda, 13 in Canada, sei in Corea del Sud, quattro a Hong Kong, due in Scozia, due in Spagna, due in Israele, uno in Costarica e uno in Germania.
Un po’ ovunque si stanno predisponendo o già attuando misure di prevenzione. A Hong Kong e in molti altri aeroporti asiatici sono in funzione gli scanner termici, che permettono di individuare passeggeri che fossero colpiti dalla febbre. Il Giappone ha annunciato un passo successivo, imponendo restrizioni ai visti per i messicani, oltre ad invitare i propri cittadini e evitare di recarsi in quel Paese e a esortarli, ove vi si trovassero, a rientrare in patria. Jiji Press riporta anche che il governo ha riservato 500 camere nelle vicinanze del Tokyo's Narita International Airport, per la quarantena di viaggiatori che fossero infetti.
Divieti o forti limitazioni ai voli da e per il Messico sono stati imposti anche da Argentina e Cuba, Stati Uniti ed Europa per ora si limitano a sconsigliarli.
In India e Thailandia si sta cercando di rintracciare coloro che di recente sono rientrati da Messico e Stati Uniti per sottoporli a controlli medici.
L’Arabia Saudita annuncia di avere allo studio l’istallazione degli scanner termici per monitorare tutti coloro che via cielo, mare o terra arrivano da zone ove è sospettata la presenza del virus. Comitati per decidere le misure preventive sono annunciati anche dagli Emirati arabi uniti e dallo Yemen.
In Israele, accanto ai due casi accertati e ai due sospette c’è un’altra persona sotto controllo. In nottata c’è stata una riunione di emergenza del governo. Domani dovrebbe esserci un incontro tra responsabili della salute israeliani, egiziani e palestinesi per concordare misure da prendere.
Quasi tutte le borse mondiali registrano un calo per i titoli legai al turismo e ai viaggi e un incremento per quelli farmaceutici.
mercoledì, aprile 29, 2009
Sit-in ecumenico a New Delhi: centinaia di religiosi protestano contro le violenze ai danni della popolazione tamil. Sotto accusa anche il governo di New Delhi che “sta fornendo personale e assistenza tecnica all’esercito dello Sri Lanka e nel frattempo fa appelli per la fine della guerra”.
New Delhi (AsiaNews) - Un sit-in ecumenico per protestare contro il genocidio in Sri Lanka. Dalle 9 di questa mattina, nel parco di Jantar Mantar a New Delhi, centinaia di indiani manifestano contro la guerra nello Sri Lanka e chiedono al governo Indiano e all’Onu di impegnarsi per l’immediata sospensione del conflitto. All’iniziativa, promossa dall’Ecumenical Clergy Forum for Human Rights (ECFoHR), prendono parte circa 500 religiosi tra sacerdoti, suore, pastori protestanti, seminaristi. Tra questi anche mons. Vincent M. Concessao, arcivescovo della capitale indiana, che ha aperto la manifestazione condannando la carneficina in atto nello Sri Lanka e manifestando la solidarietà dei cristiani indiani verso le vittime della guerra.
P. Benedict Barnabas, tra gli organizzatori del sit-in, interpellato da AsiaNews accusa New Delhi di ipocrisia: “Il governo indiano sta fornendo personale e assistenza tecnica all’esercito dello Sri Lanka e nel frattempo fa appelli per la fine della guerra”. Il sacerdote cattolico accusa anche “i leader politici del Tamil Nadu che stanno mettendo in scena una commedia per assicurarsi voti e la vittoria del loro partito alle elezioni generali”.
L’Ecfohr, promotore di diverse iniziative in tutta l’India nell’ultimo mese, chiede che “sia concesso alle ong di soccorrere i civili nella regione dell’Eelam [la zona a maggioranza tamil, ndr] e in particolare nella zona di sicurezza”. Tra le sigle che aderiscono all’iniziativa figurano le principali istituzioni delle diverse confessioni cristiane del Paese: il Consiglio nazionale delle Chiese dell’India, la Conferenza episcopale cattolica, l’Associazione della Chiese evangeliche e la Church of North India, che raccoglie varie denominazioni protestanti.
Per p. Barnabas, nonostante le assicurazioni del governo di Colombo, le operazioni di guerra proseguono in una “grave e reiterata violazione dei diritti umani”. “È stato detto in lungo e in largo che la guerra è finita. Le notizie che giungono dal campo dicono che solo i bombardamenti sono sospesi - afferma il sacerdote - mentre le atrocità conto i tamil continuano”.
Il sacerdote afferma che “non ci può essere altra soluzione alla guerra che quella politica” perché la popolazione tamil dello Sri Lanka “da decenni è umiliata, discriminata e trattata alla stregua di cittadini di seconda classe”. Le autorità di Colombo sono colpevoli di “manipolare e stravolgere la storia dei tamil che sono abitanti indigeni dello Sri Lanka”. Davanti a questa “falsificazione della realtà”, padre Barnabas chiede alla comunità internazionale di passare dai proclami ai fatti “per trovare una soluzione che garantisca alla minoranza tamil dello Sri Lanka la libertà”.