venerdì, aprile 01, 2022
La mobilità delle popolazioni rappresenta una delle caratteristiche principali dell’età contemporanea e si conferma una delle maggiori questioni del XXI secolo. Una tendenza che è evidente sia nei flussi globali, sia a livello locale. Abbiamo analizzato il fenomeno con Michele Colucci, dell’Istituto di studi sul Mediterraneo del Consiglio nazionale delle ricerche. 

Almanacco della Scienza - C.N.R. - Secondo l’Organizzazione internazionale delle migrazioni (Oim) nel 2019 gli spostamenti internazionali hanno coinvolto quasi 272 milioni di persone (52%
uomini, 48% donne) pari al 3,5% della popolazione mondiale, percentuale cresciuta progressivamente dal 1970 quando era al 2,3%.

 “L’appartenenza di genere è un elemento fondamentale per analizzare i processi migratori: essere uomini o donne migranti comporta notevoli differenze in tutti gli ambiti della vita sociale e la componente maschile è stato per lungo tempo sovrarappresentata, con una penalizzazione della diffusione di informazioni e notizie riguardanti la presenza non marginale delle donne, non solo come dato statistico ma anche come ruolo sociale, politico ed economico”,

 afferma Michele Colucci dell’Istituto di studi sul Mediterraneo (Ismed) del Consiglio nazionale delle ricerche.


Lo Stato nazionale dove risultano essere presenti più immigrati stranieri sono gli Usa (circa 51 milioni), seguiti a molta distanza dalla Germania (circa 13 milioni). Nel 2019, lo Stato che vanta il maggior numero di cittadini espatriati è l’India (17,5 milioni circa), seguito dal Messico (11,8 milioni circa). L’Italia dal punto di vista quantitativo vive attualmente una fase di equilibrio tra immigrazione ed emigrazione. “Al primo gennaio 2021 gli italiani residenti all’estero erano 5.652.080, mentre gli stranieri residenti in Italia alla stessa data erano 5.171.894. La concomitanza di immigrazione ed emigrazione rappresenta una delle caratteristiche più importanti della congiuntura migratoria italiana degli ultimi anni”, commenta Colucci.

Un modo per comprendere l’impatto socioeconomico della mobilità internazionale è l’analisi delle rimesse, cioè i soldi inviati nei Paesi di origine da coloro che lavorano all’estero. “Nel 2018 gli Stati che hanno maggiormente beneficiato dell’invio di denaro dai propri connazionali residenti all’estero sono stati l’India, con circa 78 miliardi di dollari e la Cina, con 67 miliardi”, spiega il ricercatore del Cnr-Ismed.  

“Si tratta di un movimento di denaro che in alcuni Stati contribuisce al Prodotto interno lordo in una percentuale di incidenza che supera il 20%, come ad esempio per Tonga (38,5%), Haiti (34,3%), Guyana (34,3%), Tagikistan (29,9%), Nepal (29,7%), Kirghizistan (29,6%), Honduras (21,4%), El Salvador (20,8%)”.

Le rimesse significano investimenti in formazione, accesso al credito, espansione dei consumi, riqualificazione professionale, a seconda dei contesti in cui vengono utilizzate. “L’importanza di questi flussi economici rivela l’importanza della mobilità internazionale, che incide sia nella realtà di partenza sia in quella di destinazione e mette in risalto i legami tra territori anche molto diversi e lontani”, continua Colucci.

Un tema emergente è quello delle migrazioni legate ai fattori ambientali, che possono assumere connotazioni sia interne a un Paese sia internazionali. “Alluvioni, desertificazione, aumento delle temperature, dissesto idrogeologico sono alcuni dei fattori di rischio più presenti, che secondo una proiezione nel 2018 della Banca mondiale potrebbero spingere alla fuga entro il 2050 circa 143 milioni di persone in tutto il mondo”, chiarisce il ricercatore Cnr-Ismed. I fattori ambientali sono all’origine di flussi migratori soprattutto in Asia, America Latina e Africa. Recentemente anche nell’Europa meridionale si è iniziato a parlare di possibili tendenze all’abbandono di territori come conseguenza di trasformazioni ambientali, ma la situazione è ancora differente rispetto a quanto avviene altrove.

La distinzione tra Paesi di emigrazione e di immigrazione in numerosi contesti globali è stata ormai superata. 

“Diversi Stati sulle sponde nord, sud ed est del Mediterraneo sono attraversati simultaneamente da emigrazione, immigrazione e migrazioni interne. Un fenomeno che ha recentemente determinato notevoli mobilitazioni attorno ai temi migratori in Paesi quali Italia, Spagna, Portogallo, Grecia, Marocco, Tunisia, Algeria, Egitto, Turchia”, aggiunge Colucci. 

“Si tratta di Stati che tradizionalmente presentano una variegata e composita emigrazione di cittadini residenti fuori dai confini nazionali: un fenomeno di lunga durata, che in alcuni casi ha assunto caratteristiche di massa fin dall’Ottocento, ma che si è ripresentato con grande vigore negli ultimi dieci anni a seguito della crisi economica mondiale. Sono al contempo Stati dove persistono corposi flussi di migrazione interna e dove negli ultimi decenni si è affacciata l’immigrazione straniera, già nell’ultimo quarantennio in Italia e Spagna e solo nell’ultimo quindicennio nei Paesi mediterranei non europei”.

È recentemente emerso con forza il tema dei minori non accompagnati. Si tratta di giovani e giovanissimi, anche bambini, che si mettono in viaggio da soli o che pur partendo con i loro genitori vengono in seguito separati dalle famiglie. 

“Per il 2018 le stime dell’Alto commissariato delle Nazioni unite per i rifugiati (Unhcr) attestano i minori non accompagnati nel mondo a 138.600 unità”, conclude l’esperto “Il fenomeno si è molto sviluppato in seguito ai nuovi conflitti esplosi nel Mediterraneo dopo il 2010, vedendo aumentare i flussi verso l’Europa. Si calcola che nel 2015 sono stati circa 90.000 i minori non accompagnati accolti nei Paesi dell’Unione Europea”.

Fonte: Renato Colucci, Istituto di studi sul Mediterraneo, e-mail: colucci@ismed.cnr.it


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