domenica, maggio 17, 2009
Secondo l’esercito, i ribelli non hanno più alcuna via d’uscita. Il presidente aveva promesso di concludere entro stasera i 25 anni di guerra. Le Tigri e le loro famiglie fuggono mescolandosi fra i profughi. Voci su possibili "suicidi di massa". È sempre crisi umanitaria.
Colombo, Sri Lanka (AsiaNews) – L’esercito dello Sri Lanka ha dichiarato che le divisioni 58 e 59 hanno preso oggi il controllo della zona costiera fino ad ora nelle mani delle Tigri tamil, intrappolando i ribelli in una piccola striscia di territorio, senza vie d’uscita.Intanto, negli ultimi due giorni e mezzo almeno 16 mila civili sono riusciti ad uscire dalla zona di guerra e penetrare nella zona controllata dal governo.
Il presidente Rajapaksa, attualmente all’estero, aveva garantito che avrebbe sgominato i ribelli e la guerra - che dura da 25 anni - entro la notte di oggi.
Non si hanno notizie da fonti indipendenti, dato che la zona è vietata ai giornalisti. Voci locali affermano che il capo delle Tigri, Velupillai Prabhakaran, potrebbe essere andato all’estero, per cercare appoggi internazionali alla sua causa, lasciando il comando al suo secondo, Kumaran Pathmanathan.
Fonti governative affermano che molti ribelli tamil e le loro famiglie stanno cercando di mettersi in salvo confondendosi con i profughi. La marina ha scoperto ieri la vera identità di alcuni rifugiati, che sono la moglie, il figlio, la figlia, la cognata e la nipote del leader Susai, soprannominato “la Tigre del mare”. Il ministero della Difesa ha pure annunciato che i ribelli sono pronti a un "suicidio di massa", ma non vi sono conferme indipendenti.
L’esercito ha dichiarato che solo ieri almeno 10 mila civili sono fuggiti dalla guerra. Il Consiglio di sicurezza dell’Onu ha espresso la sua preoccupazione per il destino di tanti civili e per il peggioramento di questa “crisi umanitaria”.
di Melani Manel Perera
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domenica, maggio 17, 2009
Dal mondo istituzionale sono arrivati numerosi messaggi di cordoglio: “Partecipo al vostro dolore per la scomparsa della signora Susanna Agnelli - ha scritto il premier Silvio Berlusconi - alla quale mi legava un cordiale rapporto di simpatia ed amicizia”
Radio Vaticana - Susanna Agnelli è morta ieri sera all'età di 87 anni, al Policlinico Gemelli di Roma, per i postumi di un intervento traumatologico dal quale non si era mai ripresa. “La sua vita, fatta di garbo, stile ma anche di polso - ricorda il quotidiano Avvenire - si è svolta in un certo senso tutta all’interno di quel perimetro valoriale, in cui è stata rigidamente educata e che ha raccontato con maestria nel suo romanzo, diventato un best-seller, 'Vestivamo alla marinara'”.Nata nel 1922, terzogenita di Edoardo, durante la Seconda Guerra mondiale si è arruolata nella Croce Rossa e si è imbarcata sulle navi per portare aiuto ai feriti. Sposata con Urbano Rattazzi, ha avuto sei figli. Militante del Partito repubblicano, come suo fratello Gianni, è stata per lunghi anni sindaco del comune di Monte Argentario. E’ stata inoltre senatrice, sempre nelle liste del Partito repubblicano, deputata europea e sottosegretario agli Esteri. E’ stata anche scelta come ministro degli Esteri nel governo tecnico di Lamberto Dini tra il 1995 e il 1996. Ha promosso, inoltre, diverse iniziative benefiche e ha ricoperto la carica di presidente della Fondazione Telethon italiana. E’ stata lei, nel 1990, a importare dall’America l’idea di una grande maratona televisiva benefica. L’idea era venuta nel 1966 a Jerry Lewis, l’attore comico americano che aveva inventato la prima no-stop televisiva per raccogliere fondi in favore della ricerca sulla distrofia muscolare, riscuotendo un successo senza precedenti. Grazie a Susanna Agnelli, la maratona Telethon è sbarcata anche in Italia, sulle reti della Rai. Dal mondo istituzionale sono arrivati numerosi messaggi di cordoglio: “Partecipo al vostro dolore per la scomparsa della signora Susanna Agnelli - ha scritto il premier Silvio Berlusconi - alla quale mi legava un cordiale rapporto di simpatia ed amicizia”. Per il presidente del Senato, Renato Schifani, “l’Italia perde una donna dalle straordinarie qualità, che ha posto con profonda dedizione la sua intelligenza e le sue conoscenze al servizio del Paese. Una protagonista della cultura e della politica”. Il presidente della Camera, Gianfranco Fini, ha sottolineato infine che Susanna Agnelli, con intelligenza e discrezione, “ha rappresentato un lodevole esempio di impegno e di passione civile, ricoprendo con grande senso dello Stato importanti incarichi istituzionali e onorando la Repubblica con la propria esperienza e il proprio patrimonio di idee”. I funerali si svolgeranno lunedì prossimo alle 12, nel Convento dei Frati passionisti a Monte Argentario, in provincia di Grosseto. (A.L.)
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domenica, maggio 17, 2009
Si è parlato di scienza e teologia, storia dell'universo, Gesù e conversione ecologica, di Eucarestia ed ecologia, di Redenzione finale di tutto il creato.
Radio Vaticana - “Creazione nel cuore della missione”: questo il tema attorno al quale si sono ritrovati, ad Assisi, da martedì scorso ad oggi, circa 240 missionari di 82 Istituti e Congregazioni religiose internazionali. Un dibattito sull’integrità del Creato, promosso dal Sedos (Servizio di documentazione e studi sulla missione) e dalla Commissione Giustizia, Pace e Integrità del Creato dell’Unione dei Superiori generali di religiosi e religiose. Si è parlato di scienza e teologia, storia dell'universo, Gesù e conversione ecologica, di Eucarestia ed ecologia, di Redenzione finale di tutto il creato. Sono stati presentati progetti e pratiche ambientali. Preoccupazioni sono state espresse per “la tutela dell’ambiente” - come nuova frontiera di "missione" per gli Istituti - secondo quanto riferto dall’agenzia Misna. E’ intervenuto, tra gli altri oratori internazionali, il missionario irlandese della società di San Colombano, Séan McDonagh, che ha presentato una relazione sulla “storia dell’universo” (una sintesi dell’evoluzione dell’universo dal Big Bang, 14.7 miliardi di anni fa, fino ai nostri giorni). McDonagh ha presentato, inoltre, un quadro sulla drammatica rapidità con la quale la società moderna sta consumando e distruggendo risorse formatesi sul pianeta nel corso di milioni di anni. Secondo il religioso, si avrebbero a disposizione solo una quindicina di anni per impostare un nuovo stile di vita che potrebbe prevenire cambiamenti distruttivi che non potranno mai più essere corretti. (A.V.)
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domenica, maggio 17, 2009
Un momento particolare dopo la partenza del Papa dalla Terra Santa
Radio Vaticana - 7500 giovani riuniti sul Monte delle Beatitudini in Galilea, per un incontro di preghiera e di festa subito dopo il viaggio del Papa in Terra Santa. E’ avvenuto ieri pomeriggio e protagonisti sono stati giovani provenienti dalle comunità del movimento neocatecumenale di tutta Europa. Fausta Speranza ha intervistato don Rino Rossi che da tanti anni vive in Galilea e che ha vissuto questo particolare pomeriggio (ascolta):
R. – Io ho visto che questa Terra, per i giovani, è stata come una calamita che li ha attirati. Io ho anche detto, ad alcuni di loro, quando sono venuti qua: “Voi siete figli di questa Terra, figli di questa montagna”. Si vedeva la gioia, l’allegria che manifestavano nei canti, nella loro partecipazione. Erano anche impressionanti i momenti di silenzio perché non è facile contenere otto mila giovani provenienti da tutta l’Europa: tedeschi, scandinavi, russi, polacchi, italiani.
D. – Spesso si parla dei giovani come di persone in formazione soggette a tutta la superficialità che questa società porta con sé come modelli, come istanze. Non è così, invece, quando si incontrano molti di loro: si sente una voglia di vita vissuta in tutta la sua pienezza ed in tutto il suo significato…
R. – Qui tocchiamo un punto molto serio; tanti giovani, oggi, sono vittime in parte dell’ambiente del mondo di oggi che è tutto centrato sull’edonismo, sull’avere. Sembra che se non si hanno certe cose non si può vivere. Sembra che la vita sia questo, tutta basa sul piacere e sul vivere comodamente. Io vedo che questi giovani cominciano, grazie alla Chiesa, ad avere un nuovo orizzonte, cioè hanno la speranza, hanno il futuro aperto e qual è questo futuro? Quello del vangelo, che Kiko, il fondatore del movimento neocatecumenale ha annunciato loro ieri. Ha fatto una catechesi sulla destinazione che ha l’uomo che non è solamente vivere qui alcuni giorni ma è una destinazione eterna. Siamo figli di Dio è questo l’annuncio, il kerigma che la Chiesa veramente sempre ha dato e ci dà anche oggi.
D. – Quella del movimento neocatecumenale, è un’esperienza particolare di iniziazione cristiana però tutti i ragazzi in tutte le parrocchie vivono un cammino spirituale, di avvicinamento a Cristo e forse per tutti sarebbe molto bello ritrovarsi in Terra Santa. Alcune parrocchie organizzano ma molte altre no, forse anche per paura di tutta una organizzazione logistica. Invece, è più facile di quanto si pensi, venire in Terra Santa e pregare sulla Terra di Cristo…
R. – E’ vero che in molti hanno paura perché la Terra Santa si presenta anche come un ambiente di guerra. E’ vero che esiste una conflittualità che tutti conosciamo e di cui ha parlato anche il Papa, però, per i pellegrinaggi non c’è problema e infatti sono ripresi numerosi. Devo dire che noi siamo riusciti ad organizzare in brevissimo tempo, l’arrivo di tutte queste migliaia di giovani. Ci si può muovere tranquillamente in Terra Santa, non ci sono problemi.
D. – Dunque, il racconto di questa iniziativa si fa invito per tantissimi giovani?
R. – Senz’altro. Venire o tornare in questa Terra è sempre un aiuto enorme. Tutto è partito da qui, Gesù Cristo è nato in questa Terra, figlio del popolo ebraico ha vissuto, ha predicato, ha fondato la sua Chiesa, che ha patito, sofferto. E’ risorto ed è sceso al cielo. Ecco, tutto è partito da qui.
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domenica, maggio 17, 2009
Il nostro redattore Carlo Mafera ci parla del libro di Alessandra Borghese
Un altro libro su Lourdes, non ce ne sono già troppi in giro, direbbe chiunque. Eppure questo di Alessandra Borghese, che ho incontrato il 20 marzo nell’ambito dell’iniziativa promossa dalla Libreria Editrice Vaticana “I venerdì di Propaganda”, è veramente straordinario. Si legge tutto d’un fiato per la sua semplicità e soprattutto perché ti cala nella mistica atmosfera di Lourdes. Il lettore infatti viene trasportato quasi magicamente in quei luoghi facendogli assaporare tutti i piccoli e grandi avvenimenti che succedono quotidianamente a Lourdes. E’ veramente un dono, un carisma si dice in linguaggio teologico, quello di Alessandra Borghese : trasmettere la fede con il linguaggio scritto. La sua paura, paventata anche durante la presentazione del libro di essere o diventare un’esibizionista della fede, è solo un’idea che qualche amica le ha suggerito a sproposito. Il grande Papa Giovanni Paolo II diceva sempre anche al suo predestinato successore “Non abbiate paura”. E così mi permetto anch’io di incoraggiare Alessandra Borghese di non aver paura. Il suo è un dono prezioso che non va nascosto, anzi. Il Vangelo afferma infatti che i talenti non vanno sotterrati e la fiaccola deve essere messa in alto perché faccia luce a tutti. In questo piccolo libro, edito da Mondadori nella collana “Best Sellers” ricavato dall’edizione precedente, è stato aggiunto un capitolo dove l’autrice parla con entusiasmo di Papa Benedetto XVI che conosceva già da quando Egli era ancora cardinale e mette in evidenza il suo pensiero quando cita un discorso fatto nel suo viaggio in Francia dove lei svolgeva il ruolo di giornalista accompagnatrice. Nelle ultime pagine riporta il fulcro del pensiero del Pontefice : “All’origine di tutte le cose non deve esserci l’irrazionalità ma la Ragione creativa, non il cieco caso, ma la libertà.” E ancora. “Se Egli non si mostra, noi comunque non giungiamo fino a Lui”. Ecco perché il cristianesimo, dice Alessandra Borghese, consiste innanzi tutto in un fatto : l’incontro con Gesù Cristo. Ma quello che più mi ha colpito in questo libro non è stato tanto il racconto, nel primo capitolo, della grazia ricevuta da un suo amico sacerdote accompagnato dall’autrice a Lourdes per immergersi nelle piscine dopo il suo risveglio dal coma in seguito ad un incidente automobilistico. E’ stata piuttosto la sua intuizione di andare a trovare proprio Bernadette a Nevers dove è sepolta. Alessandra Borghese l’ha vista completamente intatta. Il suo corpo era integro e sano come se lei dormisse, segno inequivocabile della sua santità. Ma lei ha affermato anche durante la presentazione, nella quale è stata splendidamente coadiuvata da Neria De Giovanni e alla presenza del Cardinale Archivista Raffaele Farina, che la santità di Bernadette non è dipesa solo dall’incontro con l’Immacolata Concezione, ma soprattutto dalla sua volontà di annientamento e nascondimento che ha praticato durante tutta la sua vita ritirandosi nel convento di Nevers dal 1858 fino al giorno della sua morte avvenuta per una crisi d’asma della cui malattia soffriva da tanti anni. Alessandra Borghese ha voluto così sottolineare il vero nucleo della fede che non è solo devozione e dolce misticismo (che pur ci vogliono durante i pellegrinaggi) ma è soprattutto la croce che ci fa centrare il nostro sguardo sul Cristo sofferente. Senza questo passaggio non si possono raggiungere le vette della fede. In effetti l’autrice ricorda che durante una delle Sue apparizioni, la Madonna aveva promesso a Bernadette la gioia e la felicità ma non in questa terra. E così è stato. Durante la serata ho avuto il piacere di poter incontrare lo sguardo dell’autrice. Uno sguardo sereno e gioioso, espressione dell’incontro con Gesù di cui si diceva e ho avuto il piacere del suo autografo nella mia copia. Ma, più di ogni altra cosa, ho avuto la percezione impalpabile di una Presenza, quella di Maria. Sono ritornato indietro nel tempo di circa un anno quando il mio professore di teologia della scuola “Ecclesia Mater”, il grande don Gaetano D’agata , ci diceva a noi alunni : “Lourdes Lourdes … ma non dimenticate che la Madonna è qui tra noi, in mezzo a noi.” E ricordava Don Bosco che prima di morire avvertiva la Presenza di Maria proprio accanto a sé. Questo concetto mi rimase talmente impresso che da allora ho avuto come in dono tante occasioni per sperimentarlo. Non ultima questa quando il coordinatore del sito Flip (Free Lance International Press ), il dott. Virgilio Violo, mi ha segnalato questa serata nella quale ho potuto sentire impercettibilmente la dolce presenza di Maria e poi durante la lettura del libro. In particolare, in alcuni suoi passaggi come quello a pag. 69 dove il portiere dell’albergo Moderno(Io ti rendo lode, o Padre, perché hai rivelato queste cose ai piccoli”(Lc 10,21) , un certo René diceva di Bernadette “Lei ha sempre avuto la Grazia perché, seppure ignorante, ha insistito tanto per fare la comunione. Aveva intuito l’importanza di ricevere quel sacramento, pur senza conoscerlo. E’ quell’intuito tutto speciale riservato ai puri di cuore e agli umili” . E Alessandra conclude “Ho l’impressione che abbia capito l’essenziale” (come diceva il Piccolo Principe di Saint- Exupery “l’essenziale è invisibile agli occhi”). Non nel miracolismo si trova l’esperienza del divino ma nella quotidianità, anche quella di ricevere l’eucarestia nella propria parrocchia che spesso è vuota, forse anche per raggiungere mete mistiche scordandosi delle persone che ci sono accanto e che sono la nostra ostia quotidiana. Grazie Alessandra.
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domenica, maggio 17, 2009
Sabbia rossa con 17mila pietre bianche. È così che è stata ricoperta la scalinata del prestigioso palazzo dell'Assemblea legislativa di Rio de Janeiro. Uno spettacolo emozionante, una provocazione, l'ennesima, pensata dal Movimento Rio di Pace per ricordare le migliaia di vittime della violenza in Brasile: 17mila solo negli ultimi 28 mesi.
PeaceReporter - No al silenzio. Donne, bambini, giovani, e tanti poliziotti, per ricordare i quali sono state sistemate, sopra alcune pietre, alcune uniformi. Per completare il quadro, i manifestanti hanno indossato maschere bianche e esposto cartelli con i nomi delle vittime più giovani. Un atto dimostrativo per dire basta agli scontri a fuoco, all'uso delle armi, al narcotraffico, alla delinquenza, che sta schiacciando la bella Rio, ma anche moltre altre zone del paese. È accaduto lunedì e si è trattato di una delle tante manifestazioni ad effetto inventate da questo gruppo di cittadini e cittadine che dal gennaio 2007, quando ci fu una vera e propria escalation di morti ammazzati, si sono uniti per denunciare, sensibilizzare, gridare il proprio no alla violenza, aprendo le braccia alla pace. È così che è iniziata anche una campagna di raccolta firme tra i deputati dello Stato per chiedere maggior trasparenza nella lotta contro il crimine organizzato dei narcos e degli squadroni paramilitari che operano nelle favelas.
Un po' di numeri. Negli ultimi due anni si sono registrati 11.850 omicidi e 58 poliziotti uccisi. A questi si aggiungono 9.728 desaparecidos. Ed è su questi che la Ong insiste: si tratta realmente di gente scomparsa, o molti di loro sono già morti e sepolti, e restano vittime occulte della violenza? Impressionante è anche il dato che riguarda i poliziotti ammazzati a Rio negli ultimi dieci anni: 1458, e solo 311 erano in servizio quando sono stati uccisi. Una cifra che scoperchia i loschi intrecci tra forze dell'ordine e bande paramilitari, che si contendono il controllo delle favelas con le cosche dedite al narcotraffico. Tanti, una volta dismessa la divisa statale, imbracciano il fucile per farsi giustizia da soli, spesso assumendo atteggiamenti che si equiparano a quella degli uomini contro cui combattono. Numerosi anche i casi di alleanza tra questi gruppi di paras con le bande che dovrebbero combattere, un modo per gestire i grassi proventi del traffico di armi e droga.
Chi sono. "Ogni individuo ha il diritto alla vita, alla libertà e alla sicurezza personale". Con l'articolo 3 della dichiarazione universale dei diritti umani, il Movimento Rio di Pace apre il suo sito internet, dove si trovano documenti, video, registrazioni audio improntanti a diffondere la cultura di pace e rispetto dell'altro."Siamo un gruppo di persone di ogni esrtazione sociale, senza vincoli politici o istituzionali e la nostra maggiore preoccupazione è la sicurezza pubblica - spiegano - La violenza nel nostro paese è una costante. Attualmente è il problema sociale più grave del Brasile. Negli ultimi dieci anni 500mila brasiliani sono rimasti vittime di omicidi. Per questo non possiamo restare a guardare".
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domenica, maggio 17, 2009
Reportage dei combattimenti tra esercito e talebani, dove a morire sono soprattutto i civili
PeaceReporter - Le forze di sicurezza pachistane affermano di aver ucciso finora 700 militanti talebani nell'offensiva contro le milizie guidate da Maulana Fazullah nelle montagne di Swat e dicono che i talebani sono in fuga dalle aree sotto attacco militare. Chi scrive ha trascorso una settimana nella zona di guerra, dove ha visto le infrastrutture talebane ancora intatte e ha scoperto che i morti e i feriti a causa dell'attacco sono gli abitanti poveri della zona. Il governo ha ordinato alla popolazione di evacuare i villaggi ma non ha fornito alle persone in fuga alcun mezzo di trasporto. Dopo l'evacuazione dell'area, i villaggi sono stati bombardati mentre i Talebani non sono stati presi di mira.
A causa dei lunghi coprifuoco nelle zone interessate, la gente gente è stata costretta a usare, invece dell'autostrada principale Peshawar-Swat, una difficile via che passa attraverso Agra nel Malakand per raggiungere il distretto di Mardan. I fornitori di trasporti hanno alzato le proprie tariffe, e portare una famiglia da Chakdara nel basso Dir fino a Peshawar costa intorno ai 20 mila rupie (180 euro). I più poveri, che non possono permettersi di pagare questo prezzo, hanno deciso di rimanere nelle loro case, ma a casa del coprifuoco stanno affrontando una seria carenza di cibo e di altri beni di uso quotidiano.
Parlando con i residenti dell'area è facile capire il loro odio sia nei confronti dei talebani che delle forze di sicurezza. E' una percezione comune nell'area quella che i talebani siano un prodotto dei servizi. I residenti pensano che sia una strategia della quale i civili devono pagare le conseguenze. Faith Mehmood, di Timargara, dice che "non è una novità: ancora una volta il governo sta usando i talebani per i propri interessi, per ricevere fondi dagli Usa". Awal Shah, un residente di Maidan Dir, dice: "Non ci è chiara la strategia che sta dietro a questa operazione, ma una cosa è certa: il governo cerca dollari a nostre spese".
Jaafar Khan e la sua famiglia hanno abbandonato il villaggio di Shamozai, nello Swat, per raggiungere un luogo più sicuro. Ora si trova con gli altri sei membri della sua famiglia a Chakdara e sta cercando un veicolo per portare la famiglia fuori dalla pericolosa zona di Malakand. "Non so dove andrò, ma almeno sto lasciando la regione di Malakand. La nostra zona non è sicura, in ogni momento puoi trovarti sotto un bombardamento o un lancio di granate. Il governo e i talebani sono entrambi responsabili per la nostra sofferenza".
Namoos Khan, della zona di Asban, non è pronto a lasciare il suo villaggio, e dice: "Non mi arrenderò mai e non farò la vita del girovago in una tenda. Piuttosto preferisco morire nel mio villaggio. Perché dovrei lasciare il mio villaggio, che cosa ho fatto di male? Se il governo vuole uccidermi, allora che lo faccia, ma io non lascerò la mia casa".
Gli abitanti di queste zone, in maggior parte contrari ai talebani, criticano duramente anche il governo che invece di mandare truppe sul campo per combattere i miliziani, bombarda i villaggi con elicotteri e aerei.
Rashid Khan, di Naway Kalay, dice: "Se l'esercito combattesse i talebani sul terreno, noi locali lo supporteremmo, ma il bombardamento di aree residenziali ha creato odio per il governo".
L'operazione dell'esercito prosegue. Entrambe le parti sembrano determinate a sconfiggere il nemico, mentre la gente comune si preoccupa del suo futuro. Se a motivare i talebani c'è la ricompensa del paradiso nell'aldilà, mentre a incentivare il governo sono gli aiuti finanziari stranieri, i poveri civili di Swat devono sopportare il peso di questa guerra, senza alcuna ricompensa.
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domenica, maggio 17, 2009
Così Benedetto XVI ai giornalisti sul volo di ritorno dalla Terra Santa
RadioVaticana - Durante il volo di ritorno di ieri pomeriggio dal viaggio apostolico in Terra Santa, Benedetto XVI si è intrattenuto con i giornalisti per ringraziarli del lavoro svolto, soffermandosi sulle impressioni suscitate in lui dal pellegrinaggio nei luoghi di Gesù. Il Santo Padre ha sottolineato, in particolare, la necessità di alimentare il comune desiderio di pace: non dobbiamo nascondere le difficoltà - ha detto - ma incoraggiare di più alla riconciliazione. Il servizio di Amedeo Lomonaco.
Il Papa ricorda ai giornalisti alcune indelebili immagini del suo pellegrinaggio in Terra Santa: tra queste, “la commovente discesa nel punto più profondo della terra, al Giordano, simbolo della discesa di Cristo nei punti più profondi dell’esistenza umana”. Altri momenti rievocati dal Papa sono le visite al Santo Sepolcro e al Cenacolo, “dove il Signore ci ha donato l’Eucaristia, dove c’è stata la Pentecoste”. A queste immagini il Santo Padre accosta il significato del suo viaggio apostolico in Terra Santa:
“Sono venuto come pellegrino di pace. Il pellegrinaggio è un elemento essenziale di molte religioni. Lo è anche dell’islam, della religione ebraica, del cristianesimo. È anche l’immagine della nostra esistenza, che è un camminare in avanti, verso Dio e così verso la comunione dell’umanità. Sono venuto come pellegrino e spero che molti seguano queste tracce e così incoraggino l’unità dei popoli di questa Terra Santa e diventino a loro volta messaggeri di pace”.
Benedetto XVI ha quindi affermato che sono tre “le impressioni fondamentali” suscitate dal pellegrinaggio in Terra Santa:
“La prima è che ho trovato dappertutto, in tutti gli ambienti, musulmani, cristiani, ebrei, una decisa disponibilità al dialogo interreligioso, all’incontro, alla collaborazione tra le religioni. Ed è importante che tutti vedano questo, non solo come un’azione - diciamo – ispirata a motivi politici nella situazione data, ma come frutto dello stesso nucleo della fede, perché credere in un unico Dio che ha creato tutti noi, Padre di tutti noi, credere in questo Dio che ha creato l’umanità come una famiglia, credere che Dio è amore e vuole che l’amore sia la forza dominante nel mondo, implica questo incontro, questa necessità dell’incontro, del dialogo, della collaborazione come esigenza della fede stessa”.
Il Papa ha poi detto di aver trovato “un clima ecumenico molto incoraggiante”:
“Abbiamo avuto tanti incontri con il mondo ortodosso con grande cordialità; ho potuto anche parlare con un rappresentante della Chiesa anglicana e due rappresentanti luterani, e si vede che proprio questo clima della Terra Santa incoraggia anche l’ecumenismo”.
La terza impressione suscitata dal viaggio è quella della constatazione di “grandissime difficoltà” accanto ad “un profondo desiderio di pace da parte di tutti”:
“Le difficoltà sono più visibili e non dobbiamo nasconderle: ci sono, devono essere chiarite. Ma non è così visibile il desiderio comune della pace, della fraternità, e mi sembra dobbiamo parlare anche di questo, incoraggiare tutti in questa volontà per trovare le soluzioni certamente non facili a queste difficoltà”.
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