domenica, maggio 03, 2009

Verso l'Eden

Intervista al grande regista greco Costantin Costa - Gravas, sul suo ultimo film dedicato al tema dei migranti, dopo una carriera spesa a raccontare la società con i sui lavori.

PeaceReporter - Nella sua lunga carriera di regista Constantin Costa - Gavras ha vinto i premi più prestigiosi: nel 1970 l'Oscar per il film Z - L'orgia del potere, sulla dittatura dei generali greci, nel 1982 la Palma d'Oro a Cannes per Missing, sui desaparecidos argentini che valse l'Oscar al protagonista Jack Lemmon, nel 1990 l'Orso d'Oro a Berlino per Music Box. Il cineasta, di origini greche, da più di quarant'anni a Parigi, dai tempi in cui vi si trasferì per gli studi di lettere alla Sorbona e gli studi di cinema, dove ora è presidente della Cinémathèque Française, affronta da sempre temi politici e di denuncia sociale. Nelle scorse settimane Costa - Gavras è stato ospite della Cineteca di Bologna per incontrare il pubblico e presentare la sua ultima pellicola Verso l'Eden, reduce, fuori concorso, dal Festival di Berlino. Il film tratta il tema dell'immigrazione con una cifra stilistica un po' insolita rispetto a quella che lo contraddistingue, né atto di accusa né di denuncia, piuttosto una sorta di piccola favola amara contemporanea in cui il protagonista, l'italiano Riccardo Scamarcio, si muove con leggerezza e candore quasi come uno Charlot dei nostri giorni. Ingenuo, idealista, semplice e spesso sorridente, nonostante le peripezie anche drammatiche che è costretto ad affrontare nel lungo viaggio che lo porterà dalle coste greche alla scintillante e magica Parigi, meta dei suoi sogni. Abbiamo incontrato Costa - Gavras a Bologna e gli abbiamo rivolto alcune domande.

Con questo film ha detto di voler rendere l'estraneo meno distante da noi e meno pericoloso. In che modo?

È questa l'idea. Tutti i film e i documentari degli ultimi anni sull'argomento sono in qualche modo a favore degli immigrati, ma drammatici. Lo sono talmente tanto che danno l'impressione che il migrante sia qualcuno che porta il dramma, la tragedia e questo generalmente fa paura. Non si ama la gente che porta il dramma. È chiaro che nel film c'è un dramma permanente, il protagonista è un uomo completamente solo, sfruttato sia sessualmente che lavorativamente da tante persone che incontra, ma allo stesso tempo ho voluto mostrare le persone gentili che accettano lo straniero. È abbastanza naturale che se ci si trova di fronte ad una moltitudine di immigrati a prevalere sia la paura. Per questa ragione ho cercato un attore così, un giovane abbastanza fresco, bello, per fare un omaggio al migrante, personaggio interessantissimo. I migranti italiani, spagnoli e greci ad esempio hanno in qualche modo creato il mondo, sono ovunque. Questa è l'idea che sta dietro al film. Inoltre ogni scena rappresenta una metafora per parlare della nostra società. Questa pellicola è un modo per vedere la nostra società attraverso il migrante. Come ci comportiamo con loro, come li amiamo o non li amiamo. Bisogna ricordare che in passato tutti noi siamo stati migranti, oggi questo si dimentica completamente. Quando parlo con i greci mi dicono che oggi i migranti sono tutti ladri e assassini. A questo replico che non è vero e che lo stesso si diceva di noi. Qualcuno sarà anche un ladro, è normale ce ne siano in una società, in una grande quantità di persone, non per questo lo sono tutti.

Quello dell'immigrazione è un tema di grande attualità anche per l'Italia, ogni giorno sulle nostre coste ci sono sbarchi, morti in mare, dispersi. Come si può far fronte a tutto questo?

Un regista non ha una soluzione, è la politica che se ne deve fare carico, ma penso sempre a quello che si dice da molti anni, che bisogna aiutare i paesi di provenienza dei migranti perché abbiano tutto quello di cui hanno bisogno per non dover essere costretti a partire. Si dice da anni, ma nulla si è fatto e si continua a fare. È normale che gli immigrati arrivino, è gente che vuole vivere una vita più dignitosa.

Come può essere utile il cinema per lavorare sulle coscienze?

Il cinema lo fa in una certa misura, ma il modo più interessante di fruire del cinema è intenderlo come uno spettacolo, capace di creare sentimenti ed emozioni, facendo ridere, piangere, odiare. Qualche mese fa, dopo l'elezione di Obama, ho letto sul New York Times che probabilmente il cinema ha aiutato la sua vittoria. Ad un certo momento, dopo aver presentato per anni i neri come lavoratori umili, l'immagine è cambiata completamente mostrandoli come professori, avvocati, superman, questo può aver aiutato.

Molti definiscono la sua una militanza cinematografica. Con questo film ha cambiato stile?

Militanza è una parola che non mi piace tanto, l'idea è fare un omaggio al migrante. Presentarlo come un personaggio di qualità. Il punto è se lo spettatore lo accetta oppure no. Probabilmente alcuni spettatori si aspettavano da me qualcos'altro, un film di denuncia diretta, ma ho pensato che il modo più interessante di parlarne fosse questo, con questo stile.

Dall'uccisione di uno studente da parte della polizia, nel dicembre scorso, la Grecia sta attraversando uno dei periodi più violenti degli ultimi anni. Ci sono continue manifestazioni, scioperi, proteste. Pensa che questo potrebbe essere il suo prossimo soggetto?

Questo è un soggetto permanente, lo abbiamo vissuto in Francia dopo il '68 e di nuovo un paio di anni fa con la rivolta nelle banlieues. Se una parte della società non trova una vita migliore questi avvenimenti ci saranno sempre, è inevitabile, continuerà. Succederà anche in altri paesi visto che la situazione è completamente cambiata soprattutto economicamente.

Come guarda il cineasta Costa - Gavras a quello che sta accadendo in Grecia e come lo racconterebbe al cinema se dovesse fare la regia di un ipotetico film?

Un film è una storia, non è facile trovarne una buona, né tantomeno scriverla. Sono temi difficili, come si deve affrontare la questione della violenza? La si accetta oppure no? È questa la grande difficoltà. È inaccettabile dire "rompiamo tutto, diamo fuoco", bisogna trovare una storia in cui si parli di tutti questi elementi. È necessario porsi delle domande, bisogna farlo o è meglio adottare un'altra strategia? Per il momento non ho la soluzione. Sì, bisogna fare un film su questo, ho detto bisogna farlo, non ho detto che lo farò...
Di questo film dice che è il suo più personale, ma non autobiografico. In che senso?
Nel senso che in parte ho vissuto le avventure che vive Elias, sono arrivato a Parigi, da regolare con un permesso per studiare, un paese di cui non conoscevo la lingua, la gente. Ho lasciato tutto e ho affrontato la gentilezza e l'aggressività, queste sono cose che conosco bene. Elias cerca di creare la sua vita, anch'io ho lavorato mentre ero studente, per guadagnare ho fatto anche lavori umili e all'inizio anch'io ero guardato con diffidenza.
Il regista, molto generoso e disponibile con il pubblico in sala, al termine della proiezione ha risposto alle domande della platea. Della Francia ha detto con ironia "è il paese della rivoluzione, dei diritti umani, oggi anche di Sarkozy, ma c'è sempre speranza". Ha parlato di "un'Europa militarizzata, in Francia non si parla ancora di ronde come in Italia, ma le città sono piene di poliziotti. Quanto alle ronde potrebbero arrivare anche lì, speriamo non accada". A proposito di un episodio del film in cui un mago regala una bacchetta magica al protagonista ha commentato "non ci si può aspettare soluzioni magiche e credere a quelli che promettono magie o cose straordinarie". Parole queste in cui sembra di cogliere un riferimento a ciò che accade a casa nostra con alcuni politici dalle promesse facili.
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domenica, maggio 03, 2009

Famiglie cristiane in fuga dal Punjab per presunta blasfemia

Accuse ad un attivista sociale per aver macchiato il Corano con inchiostro e gomma da masticare. All’origine del caso anche rivalità politiche all’interno della comunità cristiana. Proteste e minacce fanno fuggire dal villaggio anche amici e parenti del presunto colpevole.

Lahore (AsiaNews) - 12 famiglie cristiane sono in fuga dalla provincia del Punjab dopo aver ricevuto accuse di blasfemia da parte di musulmani e minacce anche da parte di altri cristiani. Accade nel villaggio di Chak, distretto di Sahiwal, dove la comunità cristiana conta 6500 persone. Fonti musulmane e locali raccontano che la settimana scorsa uno sconosciuto ha fatto irruzione nella Harrappa Government Community Model Girls, scuola elementare del villaggio. A seguito dell’accaduto alcuni studenti hanno trovato per terra una pagina del Corano macchiata di inchiostro e gomma da masticare e sulla lavagna la scritta: “Io sono don”. Per Zahid Iqbal, parlamentare del Pakistan People’s Party e membro dell’Assemblea nazionale,e per gli ufficiali di polizia locali, la scritta si riferiva ad un cristiano di nome Shani, conosciuto anche come “don”, attivista sociale conosciuto nel villaggio.

Il politico e gli agenti non escludono che la scritta ed il ritrovamento della pagine del Corano siano una macchinazione contro Shani e ipotizzano “si tratti di una cospirazione ai suoi danni”. Fonti locali raccontano infatti che subito dopo l’incidente, un gruppo di famiglie cristiane, già avverse a Shani, lo hanno accusato del fatto per aizzargli contro musulmani e cristiani.

L’inimicizia tra Shani ed alcuni membri della locale comunità cristiana sembra dovuto al fatto che esso sostiene il politico Zahid Iqbal, mentre le altre famiglie parteggiano per un altro, Rai Azizullah.

In seguito all’avvenimento, le moschee della zona hanno iniziato a invocare “il rispetto dell’islam”. Il 30 aprile scorso, Shahbaz Sharif, governatore del Punjab, ha visitato Sahiwal ed un numero considerevole di cristiani e musulmani hanno manifestato chiedendo al leader politico di arrestare Shani. Urlando slogan contro il presunto colpevole, essi hanno poi preso di mira la sua casa minacciando parenti e amici che hanno deciso di abbandonare le loro case per sfuggire alle violenze. L’intervento successivo della polizia ha disperso i manifestanti e riportato la calma nel villaggio. Non si ha notizia di dove siano ora rifugiati parenti e amici di Shani. Fonti locali affermano che sono in custodia presso il locale posto di polizia, ma gli agenti negano.

Venerdì 1 maggio, tuttavia, la scena si è ripetuta con l’arrivo a Sahiwal di un drappello di abitanti dei villaggi vicini anch’essi intenzionati a bruciare la casa di Shani. A fermare il secondo attacco sono state alcune personalità influenti del villaggio intervenute per placare gli animi.

In un incontro tra polizia e rappresentanti delle locali comunità musulmana e cristiana, Zahid e gli agenti hanno assicurato indagini per individuare il responsabile dell’accaduto ed evitare nuove agitazioni. Allah Ditta, ufficiale dei polizia di Harrapa, ha affermato che, grazie all’intervento di alcuni notabili musulmani, è stato possibile anche placare le accuse di blasfemia. Essi hanno infatti affermato che le pagine del Corano rinvenute nella scuola potevano essere state macchiate accidentalmente durante l’irruzione da parte di un ladro che aveva agito nel buio.
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domenica, maggio 03, 2009

Iran: sdegno nel mondo per l'esecuzione della pittrice Darabi

Ha suscitato sdegno in tutto il mondo l’impiccagione della ventitreenne pittrice, Delàra Daràbi, condannata a morte per un omicidio presumibilmente commesso a 17 anni.

RadioVaticana - I giudici iraniani nonostante i gravi dubbi sulla sua reale colpevolezza hanno ordinato che venisse uccisa senza alcuna tutela legale. Secondo quanto riferito dall’avvocato, la donna poco prima di essere uccisa ha chiamato al telefono la sua famiglia chiedendo aiuto. ''Queste violazioni dei diritti umani erodono il terreno di fiducia reciproca e di comprensione fra l'Iran e l'Ue'' ha fatto sapere la presidenza ceca di turno dell'Unione europea". Stefano Leszczynski ha intervistato Antonio Stango, presidente del Comitato italiano Helsinki, Organizzazione non-governativa per i diritti umani

Chiara la posizione sul caso e sulla pena di morte,espressa dalla Comunità di Sant'Egidio. Sentiamo al microfono di Marco Guerra Mario Marazziti, portavoce della Comunità
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sabato, maggio 02, 2009

Cambiamenti climatici nella storia

Si parla spesso di clima e di cambiamento climatico

Ecoage.it - La gravità del fenomeno non è nel fatto stesso del mutare climatico, bensì nella rapidità in cui avvengono tali variazioni in archi di tempo geologicamente infinitesimali. La stessa Terra muta morfologicamente di continuo. I singoli terremoti sono i segni più evidenti della vitalità del pianeta. Si tratta tuttavia di piccoli spostamenti millimetrici nel corso di secoli. Basti pensare alla Terra nel Paleozoico, circa 600 milioni di anni fa. Guardandola dall'alto ci sarebbe apparso un unico continente, chiamato Pangea, circondato dal mare. La stessa evoluzione animale della vita ha seguito il continuo mutare climatico del pianeta. Nel Mesozoico, 230 milioni di anni fa, l'Italia ci sarebbe apparsa come un arcipelago di isolette. L'India l'avremmo vista come una grande isola staccata dal continente asiatico, mentre l'Australia era probabilmente un corpo unico con il Polo Sud. Il clima rigido e quello umido o tropicale si sono alternati continuamente, dando luogo alla selezione delle specie e contribuendo all'evoluzione stessa. Focalizzando l'attenzione in epoche più vicine all'uomo, l'era quaternaria (o neozoica) ha visto almeno quattro grandi glaciazioni a partire da 600mila anni fa. L'ultima glaciazione si è conclusa 22mila fa. Questo fenomeno ha diverse cause naturali: la diversa inclinazione terrestre, l'eccentricità dell'orbita ed i cicli di obliquità. Questi cicli periodici della Terra possono determinare mutamenti climatici di ogni tipo a causa della diversa distanza della Terra dal Sole. Ciò nonostante, si parla di cambiamenti climatici che avvengono in decine di migliaia di anni. Talvolta centinaia di migliaia di anni. Occorre pertanto distinguere questi fenomeni dal cosiddetto effetto serra (o global warming). Il surriscaldamento climatico della Terra negli ultimi cento anni è probabilmente causa di un quarto fattore, finora assente nella storia della Terra, l'attività industriale dell'uomo. L'utilizzo di fonti energetiche fossili rilascia nell'atmosfera quantità di carbonio che contribuiscono ad accelerare la variabilità climatica del globo. Sul tema si è molto discusso a partire dagli anni '90 (vedi. Protocollo di Kyoto). Spesso l'argomento ha assunto connotazioni politiche, in quanto l'eventuale intervento riparatore dell'uomo comporterebbe notevoli danni ed handicap all'attuale economia industriale.

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sabato, maggio 02, 2009

L’impegno della Caritas per i terremotati dell'Abruzzo

Grande impegno della Caritas per l'assistenza della popolazione colpita dal terremoto

Radio Vaticana - Prosegue l’impegno di Caritas italiana nelle zone terremotate, un “cammino di prossimità, comunione e corresponsabilità” lo ha definito mons. Giuseppe Merisi, responsabile dell’organismo pastorale della Cei, aprendo i lavori della presidenza lo scorso 29 aprile. Un percorso – ha sottolineato – “subito tradotto nell’attivazione di un centro nazionale di coordinamento Caritas aperto all’Aquila, in aiuti immediati, e nello stare accanto quotidianamente alla gente”. Un lavoro generoso che non manca di portare frutto e che ora - aggiunge - "sta gradualmente suscitando gemellaggi, progetti di ricostruzione e di valorizzazione della solidarietà proveniente dal mondo intero”. “È proprio adesso, passata la fase di prima emergenza, che occorre assicurare una presenza costante e continua tra le popolazioni colpite dal terremoto” ribadisce al Sir don Roberto Davanzo, direttore della Caritas ambrosiana che assieme alle altre Caritas lombarde ha scelto di “adottare” la città di Paganica (7 mila abitanti e il centro storico distrutto) per poter mettere a punto un piano di azione nel lungo periodo. “Il prossimo passo che faremo – spiega don Davanzo – sarà individuare due o tre persone che possano rimanere stabilmente in Abruzzo per almeno due anni a fare da cerniera tra le Caritas del territorio e i volontari che invieremo volta per volta dalla diocesi di Milano”. Allo scopo la Caritas ambrosiana predisporrà a breve un “censimento” delle persone disponibili a partire per le aree terremotate. Fra i temi all’attenzione della presidenza di Caritas italiana anche l’impegno nella pastorale in Italia e in Europa. (C.D.L.)

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sabato, maggio 02, 2009

Virus H1N1. Primo caso in Italia

Un uomo giunto dal Messico: già guarito

Nuova influenza: si espande il contagio del morbo che nel frattempo ha raggiunto l’Asia; al momento solo l’Africa sarebbe stata risparmiata dal virus A-H1N1. Ma un incoraggiamento giunge dagli Stati Uniti. Ce ne parla Claudia Di Lorenzi (ascolta):

Radio Vaticana
- La Nuova influenza “non sembra avere l’aggressività letale” che fece della febbre spagnola nel 1918 la peggiore pandemia influenzale che si ricordi: di fronte alla minaccia di una nuova epidemia globale, dati incoraggianti vengono dal centro di Atlanta per il Controllo delle Epidemie, che invita a non cedere al panico nonostante il virus abbia ormai contagiato persone in tutti i continenti, esclusa l'Africa. Le ultime stime diffuse dall’Organizzazione mondiale della sanità parlano di 615 casi accertati in 15 Paesi, di cui 16 mortali. Un bilancio in continua crescita alimentato nelle ultime ore dai dati provenienti dall’Asia: 2 i casi accertati, uno ad Hong Kong, nella Repubblica Popolare Cinese, dove le autorità assicurano che “non ci sono indizi di una diffusione di massa dell’influenza”, e l’altro in Corea del Sud, mentre altri due sono i casi sospetti in India, dove un giovane indiano e un cittadino britannico sono ricoverati a New Delhi perchè presentano i sintomi del virus. Ancora secondo l’Oms, in Europa le persone contagiate sarebbero oltre 30 e ieri in Italia 7 casi sospetti hanno dato esito negativo, mentre sarà presto dimesso l’uomo ricoverato a Massa Carrara per aver contratto una forma lieve della malattia. E’ il primo caso accertato nel Paese: l’uomo era giunto in Italia nei giorni scorsi da Città del Messico. Proprio il Messico resta il Paese più colpito: l'ultimo bilancio diffuso dal ministero della Sanità registra 16 morti e 397 casi accertati, con un tasso di mortalità pari all’1,2 per cento, ed individua nelle donne i soggetti più colpiti. Nel Paese La Commissione Episcopale di Pastorale Sociale in un comunicato ha ricordato che “è urgente rafforzare le misure di prevenzione e protezione di tutta la popolazione, per una responsabilità personale e collettiva”, mentre il Cardinale Juan Sandoval Íñiguez, arcivescovo di Guadalajara, ha invitato tutti i parrocchiani, sacerdoti e laici, alla calma e alla collaborazione, ed ha esortato alla speranza perché – ha detto - “le nostre vite sono nelle mani di Dio”. Da parte loro, le Diocesi del Paese si attivano per collaborare con le Autorità e frenare la diffusione della malattia. Un vaccino – riferisce l’Oms - potrebbe essere disponibile già entro i prossimi 4 mesi.
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sabato, maggio 02, 2009

Delara, l'ultimo sms ai genitori: «Mi impiccano, aiutatemi»

La ragazza pittrice, giustiziata venerdì, ha scritto al padre e alla madre prima dell'esecuzione. Il padre è ora ricoverato in stato di choc.

Teheran - Un'ultima disperata richiesta di aiuto alle persone più care. «Mi impiccano fra pochi secondi, aiutatemi!»: così, alle 06.00 di venerdì mattina Delara Darabi, la 23enne pittrice iraniana condannata a morte per un omicidio commesso a 17 anni, ha informato per telefono i genitori che la stavano portando sul patibolo. Poco dopo, è stata giustiziata. Ora, come ha raccontato il suo avvocato, Abdolsamad Khorramshahi, il padre della ragazza è ricoverato in ospedale in stato di choc.

NIENTE PERDONO - A mettere personalmente la corda intorno al collo di Delara, scrive il quotidiano Etemad, è stato un figlio della donna per la cui uccisione la pittrice è stata condannata, nonostante avesse accettato le condizioni poste dalla famiglia della vittima per concedere il perdono che le avrebbe salvato la vita: dichiararsi colpevole e cambiare avvocato. L'esecuzione è avvenuta a sorpresa venerdì nel carcere di Rasht, nel nord dell'Iran, anche se il capo dell'apparato giudiziario, ayatollah Mahmud Hashemi Shahrudi, aveva annunciato il 19 aprile scorso un rinvio di due mesi dell'impiccagione. La ragazza è stata messa a morte senza che nemmeno il suo avvocato venisse informato, come invece vorrebbe la legge.
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sabato, maggio 02, 2009

In uscita "Fede, ragione, verità e amore" di Papa Benedetto XVI

Joseph Ratzinger non è solo un teologo raffinato ma un intellettuale moderno che ama confrontarsi sulle grandi questioni etiche e culturali del nostro tempo anche con coloro che hanno posizioni molto lontane dalla Chiesa

PapaBoys - Sono molto numerosi, e di varia natura, i libri e gli interventi nei quali Joseph Ratzinger ha espresso con la consueta lucidità, prima da teologo, quindi da cardinale e poi da pontefice, il suo pensiero sui temi più delicati e controversi del nostro tempo così come sulle questioni dottrinarie e teologiche. Questa antologia, la prima in Italia, curata da don Umberto Casale, riunisce in un singolo volume molti dei suoi scritti più significativi, presentati e inquadrati con encomiabile chiarezza. L’opera è articolata in due parti. La prima ospita cinque sezioni dedicate ai principali soggetti della vasta produzione ratzingeriana: la teologia fondamentale, la teologia dogmatica (cristologia e pneumatologia, ecclesiologia, escatologia), la liturgia, la teologia morale, l’ecumenismo e il dialogo interreligioso. La seconda parte presenta invece una scelta dei testi composti dopo l’elezione al soglio pontificio e nel corso del suo magistero papale.

Come scrive Umberto Casale nell’introduzione, «Ratzinger ha proposto un illuminismo sinonimo di intelligenza e di ricerca della verità, espressione dell’uomo che, grazie alla conoscenza della verità di cui è capace, acquisisce sia la propria dignità “trascendente”, sia il proprio potere critico e demistificatore, entrambi sinonimi di libertà» Rivolta non solo ai cattolici ma a un pubblico laico colto, quest’opera permette di apprezzare la ricchezza e la coerenza di una ricerca che copre l’intero arco di una vita e che interroga profondamente la cultura contemporanea.
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sabato, maggio 02, 2009

Il Papa in Terra Santa: editoriale di padre Lombardi

Fervono gli ultimi preparativi per l’ormai prossimo pellegrinaggio del Papa in Terra Santa, per il quale il Pontefice ha chiesto preghiere e che si svolgerà dall’8 al 15 maggio

RadioVaticana - Benedetto XVI inizierà il viaggio dalla Giordania, visiterà l’antica Basilica del Memoriale di Mosè sul Monte Nebo, poi sarà a Gerusalemme, Betlemme e Nazaret. Tra le tappe principali della visita, oltre ai luoghi santi cristiani, lo Yad Vashem, la Cupola della Roccia sulla Spianata delle Moschee, il Muro Occidentale e un campo di rifugiati palestinesi. Ma ascoltiamo l’editoriale di padre Federico Lombardi.

Il giorno della partenza di Benedetto XVI per la Terra Santa è ormai imminente. Il viaggio più atteso e forse più impegnativo finora del suo pontificato. Viaggio di fede anzitutto, viaggio che più di ogni altro è veramente pellegrinaggio: ai luoghi più santi della storia della salvezza e soprattutto della incarnazione, passione, morte e risurrezione di Gesù Cristo, Figlio di Dio.


Desiderio spirituale di ogni cristiano, è diventato spontanea priorità per i pontefici da quando i loro viaggi internazionali sono diventati una possibilità concreta. Non per nulla proprio il pellegrinaggio in Terra Santa di Paolo VI è stato il primo in assoluto di tali viaggi. Momento veramente storico e di grazia per la Chiesa cattolica che celebrava il Concilio, per il cammino ecumenico con l’incontro con il Patriarca Atenagora, per l’invocazione della pace fra i popoli della regione e del mondo. Giovanni Paolo II dovette attendere a lungo prima di poter compiere il desiderio di questo pellegrinaggio, ma poi ebbe la gioia di compierlo serenamente, nel cuore del grande Giubileo, vero culmine del suo grande pontificato, con momenti di preghiera di intensità sublime e con gesti memorabili di amicizia e vicinanza ai popoli ebreo e palestinese e alle loro sofferenze passate e contemporanee.


Ora è la volta di Papa Benedetto. Sappiamo quanto la situazione politica nell’area sia incerta, quanto le prospettive di pacificazione siano fragili. Ma il Papa si mette in cammino ugualmente, con un coraggio ammirabile che si fonda nella fede, per parlare di riconciliazione e di pace. Tutti lo dobbiamo accompagnare non solo con una preghiera ordinaria, ma con quella mobilitazione spirituale che Giovanni Paolo II chiamava la “grande preghiera”. Perche la Chiesa si rinnovi alle sue sorgenti, l’unione fra i cristiani si avvicini, l’odio lasci finalmente il passo alla riconciliazione.
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sabato, maggio 02, 2009

Visitando la cultura inglese

dal nostro collaboratore padre Renato Zilio

Appena entrati nel centralissimo quartiere, un elegante cartello nero dai caratteri ricercati vi accoglie cortesemente:“Benvenuti a Westminster!” Subito dopo qualche passo, nello spirito pragmatico degli inglesi noncuranti della bella figura, il vostro sguardo ne incrocerà un altro. Altrettanto elegante, ma più inquietante.“Attenzione, zona di ladri!” Eh sì... il turista, nel cuore di Londra, va informato di tutto, please! Anche se qui un proverbio ricorda: “I ladri più scaltri usano le mani degli altri.” Ed è l’ora di visitare gratuitamente la splendida cattedrale di Westminster, al momento dei vespri o del service, come qui si dice, senza tanti giri di parole. E così, entrando, penserete subito con qualche flash di... rubare anche voi qualche bello scorcio all’interno, ma peccato! Incanalati da uno stretto servizio d’ordine lungo la navata, sarà impossibile accostare i tanti tesori e le tombe illustri che arredano ogni angolo. Non resta che sedersi attorno al coro, pazienti...

È il Choir of King’s School di Canterbury che appare questa sera in silenzio e va ad occupare gli stalli dei monaci: una schiera di ragazzi in veste rossa, cappa nera, aria seriosa. Tutto è rituale, preciso, solenne. Il sacro si coltiva anche con questo: il senso della precisione, l’amore per il gesto attento, il clima della dignità. Si avverte, così, di essere di fronte a una Presenza, davanti agli occhi di Dio. Mentre le nostre teste roteano attorno per vedere le meraviglie delle volte, la grandiosità della navata, il decoro degli antichi stucchi...

Un canto preciso, dolcissimo si eleva da voci giovanissime, avanzando poi deciso sul tappeto musicale steso dall’organo - una magnifica struttura sospesa a mezz’aria - in un’architettura antica, gotico-medievale. Voci e contesto: un contrasto che ti commuove. Modernità e tradizione, gomito a gomito, infatti, è un’altra costante di questa cultura. L’officiante anglicano, poi, va all’ambone della Parola accompagnato da un alabardiere e dal suo passo cadenzato. Tutto sa di un’etichetta appresa da secoli alla corte, facendo così intuire la presenza di un invisibile Re... Forse, per questo da noi la liturgia è ben diversa, più popolare, nostrana, immersa di parole e di canto. Neanche ci si concede, a volte, quei pochi istanti di vero silenzio assoluto - istanti di eternità - che assaporavo in certe chiese tedesche dopo la comunione. Non sentivi una mosca volare... e così di fronte a una chiesa colma di credenti si spalancavano le porte del mistero.

Nell’uscire da Westminster abbey mostriamo una piccola curiosità riguardo al verdissimo chiostro che si intravede da un lato della navata... oh, sorry!, ci fanno senz’altro entrare, per farci poi uscire per un’altra porta. Appena fuori,“Credi che da noi se un turista volesse rompere le regole, lancio al mio accompagnatore, lo si accontenterebbe così?!” Al pari di Dante, il mio accompagnatore non degna risposta. Sì, qui è un altro mondo: tutto viene risolto pragmaticamente. Si tratta di un’attenzione al concreto, alla vita pratica, al funzionamento delle cose o delle istituzioni. Mettendoci sempre quella dose di distanza, cioè quel pizzico di ritualità che ricorda il senso della realtà, il valore del simbolo.

Come quando si visitano qui vicino le Camere del Parlamento, al termine di un lungo percorso per sale e corridoi. Allineati davanti agli stessi lunghi divani dei parlamentari (non ci sono pompose poltrone individuali!) si ascoltano le tante informazioni. Ma la prima è quella di non sedersi assolutamente. Resistere in piedi! Ogni sera, però, puoi vedere alla TV questi stessi divani, dove ben stretti i parlamentari dibattono come fossero... su una panchina di fronte al mare o sulla tolda di una nave. Il senso dell’uomo di mare è rimasto negli spiriti: far corpo insieme, allora, è essenziale.

Ed è un gioco di squadra che ci richiama la prima democrazia dell’Europa moderna. Me lo ricordava ancora l’altro giorno Antonietta, giovane architetto, che lavora qui da sei anni. Si trova in un team con un architetto inglese, uno pachistano, un indiano e un coreano. Favoloso! mi assicura. “Saper lavorare insieme ognuno con i propri differenti talenti per progetti mondiali, precisa lei, è esperienza straordinaria, impensabile in Italia.” Corro con il pensiero a una bella trasmissione sulla BBC: Last Choir Standing, una gara appassionante di corali. Di ogni tipo, musica e stile dallo spiritual, al pop... alla banda vocale dei policeman. Una vera passione qui per 5 milioni di spettatori! E non per nulla questa è la terra dove sono nati i mitici Beatles. Da noi, invece, si adora una voce singola, un’ugola d’oro, un idolo. L’individualismo, è vero, è un altro mondo e porta i suoi frutti, anche straordinari. Purtroppo, non insegna a lavorare insieme ad altri. O ad appassionarsi al bene comune. Ed è un vero peccato!
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sabato, maggio 02, 2009

Il dialogo interreligioso

dal nostro collaboratore Carlo Mafera

Specialista in Teologia della Grazia, docente ordinaria di Teologia Dogmatica presso la Facoltà di Teologia della Università Pontificia Gregoriana, la professoressa Ilaria Morali ha tenuto una lezione-conferenza presso l’Università della Santa Croce venerdì 3 aprile nell’ambito del terzo corso di specializzazione su temi di attualità giornalistica, spiegando gli insegnamenti emersi dal Concilio Vaticano II sul dialogo con le altre religioni e facendo delle distinzioni fra quelli che sono i documenti dottrinali e i testi pastorali. La Morali ha sottolineato che un ruolo importante nel tema del dialogo interreligioso lo ha svolto la dichiarazione Dominus Iesus, pubblicata dalla Congregazione per la Dottrina della Fede nel 2000 per affermare “l’unicità e l’universalità salvifica di Gesù Cristo e della Chiesa”.

Ma ancor prima ha fatto una sorta di excursus storico percorrendo tutte le tappe che la Chiesa ha compiuto in questo settore. La prima di tutte è stata l’enciclica Ecclesiam Suam di Paolo VI il 6 agosto 1964 e distribuita ai Padri che partecipavano al Concilio Vaticano II il successivo 15 settembre. L’istituzione del Segretariato per i non cristiani avvenuta nel maggio 1964 (ora noto come Pontificio Consiglio per il Dialogo Interreligioso), e la promulgazione della Costituzione Dogmatica sulla Chiesa, Lumen Gentium (21 novembre 1964) sono poi il secondo passo. Poi abbiamo la Dichiarazione Nostra Aetate (28 ottobre 1965) e il Decreto Ad Gentes (7 dicembre 1965).Da notare che la Lumen Gentium è il primo documento magisteriale a presentare un intero numero dedicato ai non cristiani (n.16). Per capire la nozione magisteriale di dialogo in Paolo VI bisogna sottolineare i tre punti importanti e sostanziali. Il fedele deve soprattutto essere consapevole dell’elevazione ricevuta nel battesimo. Dimenticare tale dignità acquisita per grazia significa perdere di vista la propria identità. In secondo luogo il paradigma di ogni dialogo che la Chiesa intrattiene col mondo, quindi anche quello inter-religioso, è il «colloquium salutis» cioè il dialogo circa la salvezza eterna, instaurato da Dio in Cristo con l’umanità intera. La Chiesa deve ispirarsi a questo modello nell’accostarsi al mondo. E infine,questo interesse si traduce in una preoccupazione apostolica, in un’azione missionaria: dialogo è appunto il nome che Paolo VI attribuisce all’interiore impulso di carità, che tende a farsi esteriore dono di carità. La riflessione conciliare di LG 16 gravita attorno all’affermazione che i non cristiani possono conseguire la salvezza eterna e che tale salvezza si attua mediante la grazia che opera nelle persone. In questo numero vi è un’attenta descrizione dell’azione di Dio nell’intimo della coscienza degli uomini che non conoscono il Vangelo.
Circa poi un giudizio sul ruolo delle religioni, il Concilio parla di ‘preparazioni evangeliche’ in rapporto ad un ‘qualcosa di buono e di vero’ che si può trovare nelle persone, e non di rado nelle iniziative religiose. In nessuna sua pagina si parla esplicitamente di religioni come vie di salvezza. Dal punto di vista storico-teologico, il termine patristico di ‘preparazioni evangeliche’ utilizzato dal Concilio in LG è mutuato da quel filone della teologia del Novecento che definiva le religioni appunto come preparazioni al Vangelo, contrapponendosi alla tesi delle religioni come vie di salvezza. La Morali ha affermato che, nella visione del Concilio Vaticano II, il dialogo inter-religioso ha un ruolo eminentemente pastorale e pratico, ciò vale anche per i documenti emessi dal Pontificio Consiglio. Il dialogo è una mozione che viene dalla coscienza del cristiano e nasce dal desiderio di comunicare il dono inaspettatamente ricevuto in Cristo: il dono di esser stati costituiti figli di Dio.
Una condizione che costituisce un presupposto delle forme di dialogo, ha ribadito la prof.ssa Morali, è quella indicata da Paolo VI: la coscienza della propria identità. Se come cattolici dimenticassimo la coscienza della nostra identità, incorreremmo nello stesso errore di quel fedele che volendo dialogare con un musulmano è disposto a relativizzare il proprio credo.
Si dialoga perché nessuno può avere la pretesa di conoscere la verità. In ambito cristiano, il rischio concreto e tangibile in molte pubblicazioni e discorsi, è di relativizzare il valore unico della verità della salvezza in Gesù Cristo. Non è questo l’insegnamento del Magistero. Infatti la professoressa Morali ha dichiarato “in molti ambienti cattolici in occidente l’imporsi storico e sociologico del cristianesimo ha portato qualche teologo a dichiarare a rinunciare all’assioma dell’unicità del Cristo unico mediatore. Il dialogo talvolta – ha continuato la professoressa Morali –serve per scoprire che cosa ha rivelato Cristo alle altre religioni.” Poi vi è anche una teologia pluralista che presume che vi siano una pluralità di rivelazioni tra le quali c’è anche quella di Cristo. Una teologia quest’ultima non condivisibile secondo la relatrice.
Un altro tema importante e che, allo stato attuale, non esiste un dialogo Cristianesimo - religioni non cristiane. Non ne esiste la possibilità per il fatto stesso che né l’Induismo, né il Buddismo, né l’Islam costituiscono ciascuno un’unità presieduta da un’autorità di riferimento. In pratica, ha detto la Morali “la mia sensazione è quella di parlare con singole persone e non con l’intera istituzione e ciò cela una grande ambiguità”.
Esiste quindi l’opportunità di confrontarsi con singoli membri appartenenti all’una o all’altra tradizione facenti capo ad una determinata religione rendendo così difficile un autentico dialogo interreligioso. Detto questo, un confronto tra cristiani e membri di altre religioni può avvenire su due piani: temi sociali, politici, ad esempio quando ci si interroga sul ruolo che le religioni giocano in un processo di pace e di umanizzazione del mondo; e i temi strettamente religiosi circa il contenuto della salvezza secondo le rispettive dottrine religiose. E’ sotto questo profilo che la Dominus Jesus introduce l’idea che se, i partner del dialogo detengono tutti la stessa dignità, non si può dire lo stesso dal punto di vista dottrinario. Tra messaggio cristiano e messaggio non cristiano esiste, se siamo cattolici, una necessaria differenza.
La professoressa Morali ha messo poi in evidenza la tentazione moderna di trasformare la religione o il concetto di religione in una “realtà culturale proteiforme” dando rilievo alla “tirannia delle scienze umane” oppure, per altro verso di concepire la religione “entro i confini della semplice ragione spogliandola da qualsiasi trascendenza”, insomma una concezione kantiana. La teologa della Gregoriana ha poi sottolineato l’importanza storica della caduta di Costantinopoli come data spartiacque. Da quel momento c’è stata “l’affermarsi del cosiddetto “concordismo” per il quale successe una convivenza religiosa imposta da esigenze di convivenza civile. Si arrivò persino ad una espressione “teologica” nel 1600 di questo tipo “la gente cambia da una religione all’altra senza preoccuparsi dell’identità religiosa”. Riguardo al concordismo la Morali ha ricordato che c’è stata una sua volgarizzazione presso l’uomo comune per cui “l’importante non è come chiamiamo Dio, se Allah o Gesù Cristo o Buddha, ma che crediamo nello stesso Dio”; “ciò che è importante è che siamo figli dello stesso Dio, indipendentemente dal nome che gli diamo: tu Buddha, io Gesù Cristo”. La genesi storica fu appunto la già menzionata “caduta di Costantinopoli” come adesso per noi è stata la caduta delle Twin Towers e quindi lo choc.
Da tutto questo “concordismo” si sviluppano concetti quali “un nuovo inizio del mondo”, una modernità meticcia e una religione come “soggetto al futuro, sottomessa alle leggi della mondializzazione e quindi una riformulazione radicale del messaggio cristiano. Bisognerebbe invece riportare la concezione della religione cristiana nella sua matrice agostiniana per non farle perdere la sua identità e in particolare la professoressa Ilaria Morali ha citato il grande vescovo di Ippona in due esemplificative frasi “La religione, dunque ci leghi a Dio unico e onnipotente, dal momento che tra la nostra mente, con la quale lo riconosciamo come Padre, e la verità, cioè la luce interiore mediante la quale compiamo quest’atto, non vi è interposta nessuna creatura. Veneriamo perciò in Lui e con Lui anche la stessa Verità” (sant’Agostino, De vera religione 55,111) e poi ancora sempre del grande Agostino un’altra frase “La vera religione al contrario non fu istituita da una qualche città terrena ma fu essa ad istituire la città celeste. La vivifica e istruisce il vero Dio che dà la vita eterna ai suoi adoratori” (S. Agostino, De civitate Dei VI 4,1).
E arriviamo alle conclusioni di Ilaria Morali: attualmente la situazione del dialogo interreligioso sono queste: “Vi è un’idea vaga ed erronea di ciò che si intende per “interreligioso”; c’è un muro mediatico come filtro che separa il fatto realmente avvenuto dal “fatto raccontato” e dalla sua recezione parziale per cui si perde il senso autentico di parole e gesti. E in secondo luogo vi è una lettura del fatto a partire da una visione del religioso e dell’interreligioso che non ha più elementi comuni con la fede cristiana”. Per cui le parole e le azioni della Chiesa restano sovente al di là di questo muro senza raggiungere il mondo. E allora è importante “la necessità di far passare indenne il significato genuino delle parole e dei gesti della Chiesa…” e ancora “è una priorità per gli organi della stampa e comunicazione della Chiesa … è una priorità anche per gli esperti vaticanisti extra moenia Ecclesiae ...il compito di dare notizia di ciò che avviene intra moenia. Pertanto è necessario “un ritorno ad una sana deontologia professionale e cioè “conoscere la specificità dei presupposto che ispirano parole ed atti della Chiesa in materia di interreligioso evitando commistioni ad esempio tra sociologico/politico e dottrinale”. Infine aver “rispetto delle motivazioni profonde di parole ed atti che rinviano all’indole soprannaturale del messaggio cristiano, che non ha analogie nella storia religiosa dell’umanità”.




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venerdì, maggio 01, 2009

Guai se la forma divora la sostanza

Pino Maniaci e l'ordine dei giornalisti

LiberaInformazione - Come si fa a negare che Pino Maniaci sia un giornalista? Non si può. Di fronte al processo d’ufficio che il tribunale di Palermo gli ha intentato con l’accusa di esercizio abusivo della professione si deve semplicemente tributargli solidarietà e, doverosamente, iscriverlo d’ufficio all’Ordine dei Giornalisti, e magari dargli un altro premio per il coraggio con cui fa questo mestiere su una frontiera tanto esposta. Invece si obietta che l’Ordine dei Giornalisti è frenato da insuperabili impedimenti formali e addirittura si ipotizza che lo stesso Ordine si possa costituire parte civile presentandosi al processo come parte lesa. La costituzione in giudizio sarebbe un fatto abnorme e spero che non si arrivi a tanto, perché sarebbe difficile respingere le accuse di chi già parla di oltranzismo corporativo. La costituzione in giudizio getterebbe discredito sull’organo di autogoverno della categoria.

Mi auguro che si rifletta prima di compiere questo passo e si proceda con saggezza, evitando di cadere nella trappola di chi vorrebbe ridurre il caso Maniaci a un casus belli per regolare altre partite di natura imprecisata fra persone, fra componenti giornalistiche, fra Roma e Palermo. Ci vuole molto cinismo per ragionare così: in questa partita “tutti” i giornalisti e i loro organismi rappresentativi rischiano di perdere credibilità. Vorrei perciò proporre una via d’uscita.

La tessera. Conosco le obiezioni di forma e di sostanza rispetto alla soluzione che ho formulato, ma siamo noi che fissiamo le procedure più adatte per raggiungere risultati sostanziali. E' da azzeccagarbugli far prevalere la forma sulla sostanza e sul merito delle cose. In Sicilia, purtroppo, accade spesso ed è un grosso problema anche per la lotta alla mafia. So di citare fatti noti ricordando che accadde, ad esempio, quando si voleva promuovere capo dei giudici istruttori Giovanni Falcone, che lo aveva meritato inequivocabilmente sul campo. Era il 1988. Invece, nel rispetto delle forme, fu promosso un giudice di cui non ricordo il nome, che non aveva le sue capacità ma aveva più anni di anzianità. Quella scelta creò un solco nel mondo dei giudici e dopo 21 anni getta ancora un’ombra di discredito sul CSM e su chi fece pendere la bilancia da quel lato.

Adesso alcuni esponenti dell’Ordine dicono che Maniaci deve pagare pegno per non aver seguito la trafila; altri dicono non possumus perché non ha presentato la domanda. La prima obiezione, non merita commento. La seconda ha un fondamento, ma non può essere insuperabile in un Paese in cui non è necessario presentare domanda neppure per ottenere la grazia dal presidente della Repubblica. La questione va al di là del caso Maniaci e credo che, con la saggezza che ho invocato, debbano farsene carico in modo solidale l’Ordine Nazionale dei Giornalisti e gli Ordini regionali , a cominciare da quello della Sicilia. Come per i militari è previsto che divengano ufficiali sul campo senza aver frequentato l’accademia e senza aver presentato alcuna domanda, si stabilisca una volte per tutte che oltre ai canali codificati di accesso alla professione ce n’è uno ad honorem, magari vincolandone l’esercizio a un consenso condiviso pluriregionale.

A proposito: perché non abbiamo ancora iscritto d’ufficio Roberto Saviano all’Ordine dei Giornalisti? Sul caso Maniaci non possiamo trincerarci dietro l’iniziativa della magistratura che ha aperto un procedimento d’ufficio per esercizio abusivo della professione con una iniziativa che, con il dovuto rispetto, fa vacillare la fede nell’obbligatorietà dell’azione penale. Spero che in udienza i giudici tengano nel dovuto conto lo spirito della legge e il valore sociale del comportamento di Pino. Purtroppo è già accaduto in Sicilia che le leggi sulla stampa siano valse a colpire proprio chi si impegnava a fare circolare notizie che non trovavano spazio e visibilità su altri media: è accaduto l’anno scorso con la condanna della corte d’appello di Catania contro Carlo Ruta per il reato di stampa clandestina per aver pubblicato una serie di documenti sul suo blog. Una sentenza che ha fatto scalpore e ha destato allarme in vari paesi europei e che avrebbe meritato più attenzione in Sicilia. Ruta è un giornalista irregolare come Pino Maniaci, ma è uno che tira fuori le notizie.

Non possiamo accettare che i Ruta e i Maniaci e tutti gli altri grilli parlanti siano ridotti al silenzio perché non hanno seguito la trafila per iscriversi all’Ordine.
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venerdì, maggio 01, 2009

Bologna, nasce la centrale solare solidale

Sarà il primo impianto solare per l’Università di Bologna quello che verrà installato sui tetti della facoltà di Agraria: consentirà di far risparmiare circa 180.000 kWh all’anno di energia elettrica

WWF - Sarà il primo impianto solare per l’Università di Bologna quello installato sui tetti della facoltà di Agraria: la nuova centrale solare della potenza di 150kWp consentirà di far risparmiare 180.000 kWh all’anno di energia elettrica evitando l’emissione di 110 tonnellate di anidride carbonica. Inoltre, il risparmio verrà reinvestito in ricerca: i circa 40.000 euro in meno nella bolletta dell’Ateneo consentiranno, infatti, di finanziare due assegni di ricerca annuali dimostrando come una fonte di energia rinnovabile gratis e democraticamente distribuita possa illuminare la ricerca scientifica.

Con la realizzazione di questo impianto l’Ateneo di Bologna vuole dare un primo contributo alla produzione di energia ecocompatibile e impegnarsi nella lotta ai cambiamenti climatici e l’uso consapevole delle risorse. L’impianto sarà inoltre capofila di una rete virtuale di impianti fotovoltaici per la solidarietà tra i popoli ovvero di impianti in cui ognuno avrà la possibilità di ‘adottare’ un quadretto di silicio attraverso una piccola donazione economica (maggiori informazioni nel sito: www.luceevitaenergia.it). In questo modo l’impianto diventerà una grande tavola che accoglierà tutti coloro che vogliono partecipare al progetto di solidarietà: il ricavato della vendita dell’energia sarà destinato a sostenere progetti di pianificazione energetica in quei Paesi da cui oggi stiamo sottraendo le fonti energetiche impedendo ed ostacolandone la crescita e la possibilità di garantirsi un futuro migliore. L’energia per la prima volta può diventare solidarietà diretta, utilizzando il Sole come fonte di energia democraticamente distribuita, nel tentativo di alleviare quella trappola energetica che lega il fornitore al consumatore.

E’ questo lo spirito del progetto FREE (Fotovoltaico per la Ricerca Eco ed Equo solidale) promosso 3 anni fa dall’associazione Luce&Vitaenergia in cui l’idea, nata dal Prof. Leonardo Setti del Dipartimento di Chimica Industriale e dei Materiali dell’Università di Bologna, è quella di permettere a tutti, attraverso un piccolo sforzo economico, di contribuire sia a cambiare il perverso sistema che lega i Paesi produttori a quelli consumatori sia a proteggere l’ambiente minacciato dal riscaldamento globale. "Stiamo cercando di mettere in atto – ha dichiarato il Preside della Facoltà di Agraria, prof. Andrea Segrè - una politica energetica che porti al contenimento dei costi energetici ma che ha, al contempo, anche rilevanti aspetti etici. Il mio obiettivo è che la nostra Università diventi sostenibile dal punto di vista ambientale, sfruttando le competenze che abbiamo al nostro interno, utilizzando gli incentivi dello Stato e accedendo alle opportunità offerte dalle nuove regole del mercato dell'energia. Abbiamo messo la questione energetica e la diminuzione dell'impatto ambientale al centro del nostro programma di lavoro". L’idea progettuale è stata valutata positivamente dal WWF Italia che ha deciso di concedere il patrocinio proprio per dimostrare come l'energia possa essere parte delle iniziative di solidarietà, sulle quali l’Associazione opera con propri progetti in diversi Paesi, compresi tutti gli aspetti educativi e di sensibilizzazione.

Il progetto prevede inoltre una giornata simbolica per l’accensione annuale degli impianti del network e durante la quale realizzare incontri, convegni, meeting, in tutte le strutture ospitanti gli impianti in cui l’energia, l’ambiente e l’etica possano trovare un luogo comune di ascolto.
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venerdì, maggio 01, 2009

L’Onu punta a ridurre la povertà malgrado la crisi

Le parole del nuovo amministratore del Programma di sviluppo dell'ONU Helen Clark

Radio Vaticana - Il nuovo amministratore del Programma di sviluppo delle Nazioni Unite (Undp), Helen Clark, ha dichiarato che l’agenzia dell'Onu si impegnerà a ridurre la povertà malgrado le diverse crisi che il mondo sta fronteggiando. “Un nuovo patto per l’economia mondiale e per l’ambiente - ha detto il nuovo amministratore dell’Undp, durante la cerimonia di benvenuto a New York - dovrebbe anche essere in grado di affrontare la povertà, compresa quella energetica, e di indicare un percorso di sviluppo caratterizzato da un basso utilizzo di carbonio”. “Dalla crisi - ha aggiunto - nascono opportunità di guardare in modo nuovo a strategie di intervento e di innovazione”. Tra le altre priorità, Helen Clark ha menzionato il raggiungimento degli Obiettivi di Sviluppo del Millennio, traguardi indispensabili per ridurre il malessere economico, sociale e sanitario su scala mondiale entro il 2015. Il nuovo amministratore dell’Undp ha anche promesso il suo totale impegno per lavorare in modo costruttivo con i colleghi delle altre agenzie Onu e per costruire le migliori relazioni con la più ampia gamma possibile di tutti coloro che siano coinvolti in materia di sviluppo. (A.L.)

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venerdì, maggio 01, 2009

Italia: primo maggio, sindacati a L'Aquila fra i terremotati

Oggi primo maggio, si celebra a livello internazionale la Festa dei lavoratori

Radio Vaticana - In Italia i sindacati si sono riuniti a L’Aquila in segno di solidarietà con i terremotati abruzzesi. Celebrazioni nel segno della violenza invece in Germania e in Turchia. Nelle prime ore della mattinata a Berlino, nel quartiere orientale di Friedrichshain, circa 200 dimostranti hanno lanciato pietre e bottiglie contro la polizia. Il bilancio è di 29 agenti feriti e di 12 persone fermate. Tensioni tra forze dell’ordine e manifestanti anche ad Amburgo, dove sono 3 i poliziotti feriti.
La crisi economica e il fitto programma di manifestazioni fa crescere i timori di una giornata particolarmente tesa. Non meno turbolenta la situazione ad Istanbul: qui la polizia ha eseguito diverse cariche per disperdere i manifestanti che cercavano di dirigersi verso una piazza non concessa al corteo sindacale. In Turchia, in occasione del primo maggio scontri e guerriglia urbana ormai avvengono regolarmente da almeno tre anni.

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venerdì, maggio 01, 2009

Gli auguri del Papa al raduno del Rinnovamento dello Spirito

Seconda giornata a Rimini della Convocazione del Rinnovamento nello Spirito Santo

Radio Vaticana - Ieri, ai circa 20 mila partecipanti, è giunto il saluto di Benedetto XVI, che ha auspicato sul Movimento ecclesiale un'abbondante "effusione dei doni del Paraclito". All’incontro è anche intervenuto il cardinale Angelo Bagnasco, presidente della Conferenza episcopale italiana. La cronaca da Rimini di Luciano Castro (ascolta):

La grande gioia che caratterizza la preghiera comunitaria del Rinnovamento nello Spirito è esplosa ieri alla lettura del saluto di Papa Benedetto XVI: in un messaggio, a firma del cardinale segretario di Stato Tarcisio Bertone, il Santo Padre ha auspicato che “questa importante assise susciti una rinnovata adesione a Cristo Crocifisso e Risorto, una profonda comunione fraterna e una gioiosa testimonianza evangelica”. Il Papa ha anche rivolto ai numerosi partecipanti alla Convocazione un “beneaugurante pensiero” ed ha invocato una “copiosa effusione dei doni del Paraclito”. Ieri la Convocazione del Rinnovamento si è aperta con l’intervento dell’arcivescovo di Genova, cardinale Angelo Bagnasco, presidente della Conferenza Episcopale Italiana. “Abbiate il coraggio di dire il bene, in momenti che mettono in evidenza i limiti e le oscurità”, ha detto il porporato al Rinnovamento, “continuate ad essere fermento e luce nel costruire la storia e la società”. Stamani, la seconda giornata della Convocazione riminese è dedicata interamente al tema della misericordia di Dio, della penitenza, della riconciliazione, della guarigione.

Il salesiano don Sabino Palumbieri ha guidato un’ampia meditazione, invitando a quella che ha chiamato la “cultura della tenerezza”: “Esperti nella misericordia ricevuta dal Risorto col suo Spirito di pace - ha detto - siamo spinti dallo stesso Spirito a farci esperti nella misericordia donata, che diventi tessuto sociale, cultura”. Migliaia di persone si sono avvicinate in queste ore al Sacramento della Riconciliazione, amministrato dai 500 sacerdoti presenti nei padiglioni della Fiera di Rimini. Molto toccante anche il momento del “Roveto Ardente”, un’esperienza di lode e di adorazione eucaristica. Oggi pomeriggio, è prevista una preghiera per i malati e i sofferenti, guidata da Ironi Spuldaro, del Comitato nazionale del Rinnovamento Carismatico Cattolico del Brasile. Stasera la giornata si concluderà con la concelebrazione eucaristica presieduta dal cardinale Claudio Hummes, prefetto della Congregazione per il Clero.

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venerdì, maggio 01, 2009

Dall'ONU un appello per fermare le violenze sui minori

Agenzia Misna - Gruppi e governi di 14 paesi violano ogni giorno le leggi internazionali che vietano il reclutamento di minori: lo ha ricordato ieri il segretario generale dell’Onu, Ban Ki-moon, in occasione di un dibattito su minori e conflitti tenuto al Consiglio di sicurezza. Tra i paesi dove più di altri sono forti le preoccupazioni, Repubblica democratica del Congo, Sri Lanka e Colombia sono considerati quelli a maggior rischio per i minori. “Milioni di bambini in tutto il mondo continuano ad essere direttamente colpiti dalle conseguenze delle guerre” ha detto Ann Veneman, direttrice esecutiva dell’Unicef, il Fondo delle Nazioni Unite per l’infanzia. Citando il rapporto del segretario generale dell’Onu, la direttrice dell’Unicef ha sottolineato come, pur registrando passi avanti, in 20 paesi guerre e violenze continuano ad avere un impatto sulla vita delle categorie sociali meno protette, con i bambini in testa. “In caso di conflitto – ha detto Ban Ki-moon – queste giovani vittime perdono innanzitutto il loro diritto a un’infanzia. I combattimenti distruggono molto più che infrastrutture: distruggono i preziosi principi della Convenzione sui diritti dell’infanzia. Nel momento in cui le bombe devastano scuole, ospedali e famiglie, i bambini perdono il diritto all’educazione, alla sanità e all’amore”. Sufficienti motivi, secondo Ban Ki-moon, perché siano presi provvedimenti da parte dei paesi membri dell’Onu e da parte del Consiglio di sicurezza per colpire che tali atti restino impuniti e per fermare ulteriori violenze.

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venerdì, maggio 01, 2009

Africa: nel Benin il primo "cotone della buona salute"

Agenzia Misna - “Il cotone della buona salute”: è così che le donne del villaggio di Batia, nella regione cotoniera dell’ovest del Benin, chiamano il cotone biologico, coltivato solo dallo scorso anno su due ettari e mezzo di terreni agricoli gestiti da 12 contadini. E' una piccola ‘rivoluzione verde’ che ha consentito non solo il coinvolgimento delle donne nella produzione ma soprattutto di ridurre l’inquinamento causato dallaproduzione e le conseguenze sulla salute delle popolazione e sulle altre risorse naturali e agricole. Le piantagioni di cotone tradizionale (importante voce d'esportazione) sono predominanti nelle regioni occidentali del paese ma hanno pesanti effetti sull’ambiente a causa della quantità di pesticidi utilizzati. Per di più, in tempi di crisi socio-economica planetaria e di crollo del prezzo del cotone sui mercati mondiali, gli agricoltori locali sono costretti ad indebitarsi per comprare costosi prodotti specifici destinati a proteggere le loro coltivazioni. Questo piccolo primo tentativo di introdurre il biologico è stato possibile grazie al contributo di due organizzazioni non governative svizzera (Helvétas) e tedesca (Gtz) che, dopo anni di ricerche e sostegno tecnico, hanno convinto gli agricoltori ad accettare la sfida. Senza il ricorso ai pesticidi, il rischio principale era la distruzione del cotone da parte di insetti che di solito divorano le colture; un concime biologico – che si è dimostrato molto efficace - è stato appositamente ideato a base di latte di una pianta locale, prodotto dai contadini e dunque poco costoso.
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venerdì, maggio 01, 2009

Non prendete a calci la memoria

Primo anniversario per la morte di Nicola Tommasoli, ucciso a Verona l’1 maggio 2008. Un corteo cittadino terrà viva la memoria

PeaceReporter - La notte del primo maggio 2008 in pieno centro a Verona, veniva ucciso Nicola Tommasoli, 29 anni, ammazzato dai calci di 5 neonazisti. Un corteo, nel giorno della festa dei Lavoratori, vuole denunciare il clima di intolleranza e razzismo a un anno dalla morte del giovane, ucciso da una gioventù il cui hobby è quello di picchiare, in particolare coloro che sono diversi per idee, fisionomia, stile, aspetto.

Gli aggressori restano in carcere. Già nei primi giorni le indagini si erano indirizzate su cinque giovanissimi simpatizzanti dell'estrema destra veronese, tra i 19 e i 20 anni. Il pretesto dell'aggressione sarebbe stato il rifiuto di una sigaretta da parte di Tommasoli al gruppo di giovani.
Tre dei cinque arrestati sono tuttora detenuti nel carcere di Montorio. Martedì scorso sono stati negati loro gli arresti domiciliari, poiché la Corte d'Assise ha ritenuto possibili il pericolo di fuga e la reiterazione di reato. Due di loro, dopo l'omicidio, erano fuggiti a Londra. I legali e le loro famiglie li avevano convinti in un secondo tempo a rientrare in Italia. I super periti, nominati dalla Corte per stabilire le cause della morte del giovane Tommasoli, hanno parlato di "valutazioni più precise che oggi non possono essere anticipate".
La Corte sta inoltre considerando i precedenti di polizia per attività violenta, nonchè la pendenza di un procedimento per reato associativo - relativo ad aggressioni di gruppo, avvenute in centro città nel 2007 - sulle teste di due degli imputati. "L'istruttoria dibattimentale non ha modificato la situazione preesistente" ha motivato ancora la Corte, aggiungendo che permarrebbero gravi indizi di colpevolezza sulla morte del giovane.

La porta dei Leoni un anno dopo. Il fattaccio avvenne vicino agli scavi romani di Porta dei Leoni, una zona battuta dai tanti turisti in visita al centro storico della città. Molti veronesi, scossi dall'avvenimento, vennero a piangerlo in quel punto, attacando striscioni, disegni, poesie in memoria di una tale struggente tragedia. E' passato un anno, quanta gente ancora ricorda? Gli striscioni, i disegni, le poesie, i fiori e le candele non sono più lì, sono stati tolti il giorno prima dell'inaugurazione del Vinitaly ai primi di aprile e alle porte della stagione turistica primaveril-estiva. Non sono durati un intero anno. La lapide commemorativa del comune, posta in fronte alla Porta dei Leoni, è stata rimossa per lavori in corso. Nessun segno resta: non è forse il caso di gridare alla memoria di un simile evento?

Nuovi pestaggi e teste rasate. Almeno un' altra vicenda simile è avvenuta nel centro storico, lo scorso 6 gennaio, quando un gruppo di giovani "teste rasate", ha malmenato una ventisettenne e un amico, entrambi ricoverati in ospedale. Gli aggressori, tifosi della curva, hanno aggredito la ragazza infastidita dai loro cori e insulti, fuori da un bar, colpendola con un posacenere e procurandole gravi lesioni al volto. La vicenda è simile a quella di Tommasoli e non è che l'ennesimo caso di pestaggi in città denunciato alla Digos in questi anni. L'avvocato della ragazza ferita ha affermato che gli accusati "erano determinati a scatenare la violenza". L'atteggiamento della giunta comunale non condanna e tende a minimizzare questo genere di espisodi, considerandoli come casi isolati. La matrice ideologica delle aggressioni sembra però essere sempre la stessa e nasce il sospetto che un certo tipo di estremismo venga tollerato consapevolmente, in parte anche dai cittadini.
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venerdì, maggio 01, 2009

'Che le Farc entrino in politica'

Lula lo ha dichiarato poco prima di incontrare la senatrice colombiana Cordoba, in Brasile per concretizzare un appoggio nelle trattative di pace

PeaceReporter - Mentre Alvaro Uribe è in Europa per incontri ufficiali con il governo spagnolo e quello italiano, accolto da movimenti di protesta e cene di gala, in Colombia continuano i botta e risposta tra le Forze armate rivoluzionarie colombiane e gli attori delle trattative di liberazione degli ostaggi. Mentre le Farc dimostrano segnali di apertura nei confronti delle imposizioni uribiste, che appaiono sempre più insormontabili aut aut, dal Brasile interviene Luiz Inacio Lula da Silva con un'affermazione che è appare una provocazione, ma che forse non lo è. "Che le Farc entrino in politica", l'America Latina di oggi è aperta a tutti i cambiamenti, anche i più impensabili.

Chiama e rispondi. Le Farc ieri hanno fatto recapitare un messaggio a Colombianas y colombianos por la Paz, dove, oltre a ribadire la necessità che questo gruppo capeggiato dalla senatrice dell'opposizione Piedad Cordoba sia coinvolto nelle trattative di liberazione di Pablo Moncayo )poliziotto catturato 11 anni fa), ha assicurato che non si opporrà alla partecipazione di Croce Rossa e Chiesa cattolica. Le due istituzioni erano state indicate giorni fa dal presidente Alvaro Uribe come le uniche a poter intervenire nella trattativa.
"Non abbiamo obiezioni sulla presenza del Comitato internazionale della Croce rossa e della Chiesa cattolica, solo che la consideriamo insufficiente", spiegano le Farc nella lettera indirizzata alla senatrice che sta dedicando tutta se stessa alla questione, aggiungendo che manterranno l'impegno di liberare Moncayo e di restituire le spoglie del maggiore Julián Guevara, oltre a consegnare le prove di sopravvivenza degli altri 21 ostaggi. Il tutto a una condizione però: che gli accordi e i protocolli di sicurezza delle unità militari che parteciperanno dovranno essere resi pubblici prima, per evitare, così, che non vengano poi rispettate dallo stesso governo.

La provocazione di Lula. Intanto, la senatrice è volata in Brasile per concretizzare l'idea di creare un'area neutrale brasiliana in cui il governo colombiano potrebbe trattare con le Farc per arrivare alla pace. Già in passato il presidente Luiz Inacio Lula da Silva ha dato prezioso appoggio alle trattative di liberazione dei prigionieri in mano alla guerriglia. E, in preparazione all'incontro con la senatrice, il presidente brasiliano ha dichiarato: "Se le Farc vogliono arrivare al potere, sarebbe molto più facile se si trasformassero in un partito politico e vincessero le elezioni. Se questo continente ha permesso che un indio e un operaio metallurgico - il riferimento è al boliviano Evo Morales e a se stesso - diventassero presidenti, perché questo non può accadere per un componente delle Farc?". Una dichiarazione che potrebbe sembrare solo una provocazione, ma che detta da un uomo con il passato di Lula suona più un invito serio e costruttivo quanto coraggioso, visto soprattuto com'è finito l'ultimo tentativo concreto di entrare in politica fatto dalla guerriglia. Negli anni Ottanta, nacque la Union Patriotica (1984), un movimento d'opposizione che appunto doveva permettere alle Farc di rientrare nella vita legale del paese. Risultato: tutti i politici vicini al movimento rivoluzionario sono stati ammazzati. A centinaia. Un vero e proprio sterminio sistematico durato venti anni e i cui mandanti ed esecutori sono tutti a piede libero. Dietro a ogni morto, sembra infatti esserci lo zampino delle bande paramilitari al servizio del potere costituito. Tutti gli omicidi hanno mandanti eccellenti, per questo una verità ufficiale ancora non c'è e per questo è stata creata l'Associazione dei familiari delle vittime del terrorismo di Stato, che indaga per ricostruire caso per caso, in modo da portare alla sbarra esecutori e mandanti. I fini principali sono verità e giustizia, ma prima di tutto si vuole arrivare a veder riconosciuto quello che fu: un genocidio sistematico per ragioni politiche.
Adesso non resta che attendere la risposta delle Farc alla dichiarazione di Lula. Intanto, occhi puntati sull'intervento brasiliano nei casi Moncayo e Guevara, i più imminenti.

Effetto Obama. Dal Brasile, Piedad Cordoba ha anche affermato che ultimamente le Farc vanno auspicando un coinvolgimento degli Stati Uniti nelle più ampie trattative di pace con il governo, da tempo auspicate e sempre franate. Un cambiamento di atteggiamento epocale questo della guerriglia, dovuto all'arrivo di Barack Obama alla Casa Bianca.
"Gli inviteremo a partecipare alla liberazione del soldato Moncayo, al processo di scambio di prigionieri e a tutto ciò che avverrà dopo", ha dichiarato Cordoba.
Tornando al caso Moncayo, ha precisato che sarebbe imminente la comunicazione delle coordinate per prelevare il giovane poliziotto, dimostrando di non dar peso a quanto ribadito fermamente da Uribe su chi dovrà portare avanti le trattative. La stessa partecipazione del Brasile (che è già avvenuta a febbraio, quando le Farc liberarono due politici e quattro militari fidandosi dell'appoggio logistico brasiliano) è sottomessa all'approvazione da parte di Bogotà, che dovrà autorizzare o meno l'operazione e garantire che non ci saranno operazioni militari nell'area dove i guerriglieri decideranno di rilasciare Moncayo. Tutto è in sospeso dunque, appeso al buonsenso di un capo di Stato in tutt'altre faccende affaccendato.
... (continua)
venerdì, maggio 01, 2009

La presenza della Santa Sede negli scenari internazionali

Lezione–conferenza dell’arcivescovo Justo Mullor presso l’Università della Santa Croce

del nostro collaboratore Carlo Mafera - seconda parte

“Cosa cercano gli Stati - quelli laici o confessionali, democratici oppure condizionati da diverse ideologia di sinistra o di destra – nei loro rapporti con la Santa Sede?” – si è ancora chiesto Mons. Mullor. Sarebbe interessante per un audace e prestigioso giornalista domandarlo ai partecipanti alle riunione annue del Romano Pontefice con gli Ambasciatori presso la Santa Sede. Personalmente, vi posso offrire una testimonianza. Nei miei incontri con Capi di Stato o di Governo, con Ministri di Affari esteri e con Ambasciatori, è affiorata tale domanda, alle volte in modo esplicito e spesso in modo meno esplicito. Le loro risposte mi hanno aiutato non poco nello svolgimento della mia missione diplomatica e, al tempo stesso, pastorale. Vi è un'eloquente gamma di risposte. Elencherò le più significative, anche se - per ovvi motivi - mantengo sulle medesime una prudente riserva professionale: molti dei miei interlocutori sono tuttora tra noi.” Ed ecco le varie testimonianze….

“Il primo Presidente di una Repubblica baltica, considerata per oltre mezzo secolo repubblica sovietica, e prima occupata dalle truppe di Hitler, mi disse: Il ristabilimento dei rapporti diplomatici con la Santa Sede costituisce per noi una garanzia di libertà. Prima si era dichiarato agnostico. Malgrado tutti i limiti degli uomini che possono rappresentare - aggiunse testualmente - in ultima analisi, tutti loro portano un'ondata di "aria evangelica", e il Vangelo - anche per me, agnostico - rappresenta la massima rivoluzione della storia umana. Altre religioni insistono sulle idee, la tradizione o sulla forza; il cattolicesimo guarda all'uomo, al suo sviluppo e alle sue potenzialità di bene. La ricchezza dei santi, anche se si contano soltanto per alcune migliaia, è un invito alla perfezione anche umana. Da sempre, il cristianesimo non si è presentato come una religione intimista; il cristianesimo è anche sociale. Un’altra testimonianza: un presidente latinoamericano, anche lui dichiaratamente agnostico, mi confidò: la diplomazia della Santa Sede è una diplomazia antropologica e rappresenta un ideale anche umano: quello della fraternità universale. Mi sono sentito arricchito nei miei incontri con il Papa - che era Giovanni Paolo II - e con i suoi rappresentanti. Soltanto la Chiesa cattolica ha avuto il coraggio di indire un avvenimento di così grande portata, anche sociale e politico, come il Concilio Vaticano II. E ancora un’altra confidenza… Uno dei più prestigiosi Presidenti africani - che era stato membro di diversi governi presieduti dal Generale De Gaulle — mi fece questa sorprendente affermazione: “Privi eventualmente di rapporti diplomatici con la Sante Sede, i paesi del primo e del secondo mondo (eravamo ai tempi della "guerra fredda), possono essere guerci; senza l'aiuto della diplomazia pontificia, i paesi del terzo mondo possono diventare ciechi... Poi, mi spiegò — forse esagerando intenzionalmente - che soltanto nei contatti con la Santa Sede i paesi in via di sviluppo si sentivano pienamente membri della comunità internazionale; quasi tutti i grandi paesi li consideravano come riserva di materie prime...”

Da un Ministro europeo degli Affari Esteri ascoltai questa riflessione: Le altre diplomazie sono, fondamentalmente, ''diplomazie d'interessi nazionali o regionali", che possono essere simili oppure contrarie ai nostri interessi nazionali commerciali, finanziari, culturali o militari. Anche esse sono una parte nella ricerca di un dialogo o di una convergenza. La vostra è anche una diplomazia d'interessi, ma di interessi spirituali ed umani. I passaggi dei Papi alle Nazioni Unite restano sempre dei punti fermi nella loro storia. Paolo VI e Giovanni Paolo II (Benedetto XVI era allora il Cardinale Ratzinger) vi hanno pronunciato parole indimenticabili: sono apparsi come “maestri di umanità" anche per i non cristiani.

Tra i colleghi Ambasciatori dei cinque continenti, ne menzionerò appena tre – ha proseguito l’arcivescovo Mullor - “Quella di un asiatico, di formazione scintoista, che mi confidò: la vostra diplomazia è atipica: non dipende tanto come altre diplomazie dalle idee esposte nel Principe di Nicolò Machiavelli. Anche quando i vostri diplomatici cercano di essere machiavellici in certe occasioni per ragioni di prudenza o di metodo, la vostra prima sorgente ideologica e pratica resta sempre il Vangelo e il Vangelo non è facilmente manipolabile. Oltre al bene della Chiesa cattolica, pensate anche al bene di ogni credente e di ogni uomo.

Quella di un russo, incontrato in due paesi diversi, uno europeo e l'altro latinoamericano, con il quale diventai pure amico. Essendo egli stato membro della diplomazia sovietica prima di quella della Russia democratica, un giorno mi disse apertamente: Ora, che anche in Russia siamo diventati democratici e che non siamo ideologicamente manipolati, constato quanto era primitiva la domanda di Stalin “quante divisioni possiede il Vaticano?” L'ex-seminarista ortodosso aveva dimenticato che le idee - e quelle evangeliche in particolare - sono più potenti che tutti gli armamenti insieme... Mai dimenticherò il compiaciuto sorriso di sua moglie, donna di grande formazione intellettuale e profonda credente ortodossa, nell'ascoltare questo pensiero di suo marito.

E ancora Mullor ha ricordato un’altra confidenza…. “quella di un amico ebreo, membro di una diplomazia occidentale, che considero particolarmente significativa. La vostra - mi disse con un sorriso intelligente e complice — è in fondo la diplomazia dei Dieci Comandamenti... Io dovetti aggiungere: Dei Dieci Comandamenti, di tutti i Profeti d'Israele e dei Quattro Vangeli!”

“Gli apprezzamenti che precedono - e tanti altri che potrebbero essere aggiunti - mostrano che la nostra diplomazia, oltre che etica, anzi ispirata alla morale ebreo-cristiana, è anche antropologica - ha più volte affermato l’emerito presidente della Pontificia Accademia - Se mi permettete, dirò pure che la nostra diplomazia funge da coscienza internazionale. Specie nel fornire in anni recenti un complemento formativo e informativo ai futuri diplomatici della Santa Sede - che ho preferito chiamare semplicemente futuri servitori petrini - molte volte mi sono domandato se la nostra diplomazia non è un mistero: una "realtà mondana ed ecclesiale" - nel senso di utile al mondo ed anche la missione della Chiesa - permessa dalla Provvidenza in vista dei tempi globali e complessi che stiamo ora vivendo.”

Altrimenti, non è agevole spiegare la complessità dei fenomeni storici, alle volte contraddittori, che hanno condotto alla nascita della diplomazia e, in particolare, della diplomazia pontificia. Durante il Concilio Vaticano II, da diverse parti, si levarono voci interrogandosi sull'utilità della nostra diplomazia e sulla possibilità di sostituirla o di riformarla. Sulla necessità di riformarla, molti sono stati d'accordo a cominciare da Paolo VI e da Giovanni Paolo II, che hanno dato impulsi importanti in tal senso: la pubblicazione del Motu proprio Sollecitudo Omnium Ecclesiarum (24.1.1969) e il Nuovo Codice di Diritto Canonico del 1983 (canoni 362-367). Nessuno ha osato pensare a sostituirla. Non si tratta di un diritto della Chiesa cattolica; si tratta di un diritto personale del Successore di San Pietro, che presiede nella carità la Chiesa cattolica. Come sopra riferito il Vangelo e la storia lo confermano. A dimostrare l’idea del fondamento evangelico del mistero petrino come forza dalla quale scaturisce la diplomazia pontificia, l’arcivescovo Justo Mullor ha dato un’ulteriore testimonianza dicendo… “Mai dimenticherò l'inizio della mia esperienza a Ginevra, come Osservatore Permanente della Santa Sede. Dovendo prendere la parola in quella seduta, ero alquanto sorpreso dell'ambiente che regnava nella sala in cui si svolgeva la sessione dei Diritti dell'Uomo: praticamente pochi seguivano gli interventi dei successivi oratori, molti di loro Ministri degli Affari Esteri o Ambasciatori di paesi ben noti. Si faceva silenzio soltanto quando presero la parola i rappresentanti degli Stati Uniti e della Russia. Eravamo all'epoca della guerra fredda. Pensavo che anche io avrei avuto pochi ascoltatori: la mia persona era praticamente sconosciuta... ed ero appena un Osservatore, e non un membro delle Nazioni Unite. La mia sorpresa fu grande nel constatare che anche quando io parlai si fece silenzio. In ultima analisi, non parlava il sottoscritto: parlava l’inviato del Papa... L'esperienza mi aiutò a capire meglio la mia missione e a cercare di migliorarla.”

Per quanto riguarda il rapporto con i mass-media, l’arcivescovo ha affermato - “Molti di voi, che ben sapete quanto di positivo e di negativo i mass-media veicolano sulla Chiesa e sulla sua azione nel mondo, forse avete constatato eventualmente questa realtà. Benché i mass-media esagerino alle volte nel riferire sul Papa e sui Vescovi, sulla Curia Romana, le Chiese particolari e gli Ordini religiosi, esiste una realtà profonda ampiamente consolidata da una storia di oltre venti secoli – ha concluso l’arcivescovo Justo Mullor. “La realtà della Chiesa, la sua complessa storia e l'informazione odierna sulla medesima non esprimono mai la visione che abbiamo di essa. Al di sopra di tutti i suoi elementi visibili e constatabili, come mostrano la lettera e lo spirito della Costituzione dogmatica Lumen Gentium, la Chiesa supera la Chiesa. Sulla strada di Damasco, la voce ascoltata da Saulo e dai suoi compagni veicolava questa sconvolgente domanda: Saulo, Saulo perché mi perseguiti? E alla domanda di Saulo, rispose in questi termini: lo sono Gesù, che tu perseguiti! Il grande mistero della Chiesa è tutto qui: noi cristiani possiamo essere buoni o cattivi, cadere e restare a terra mentre cerchiamo di seguire Cristo oppure alzarci sollecitamente o con indolenza. Cristo ha voluto legare alla fedeltà o all'abulia dei cristiani la crescita della sua parola e del suo esempio. Anche le istituzioni ecclesiali e gli uomini chiamati ad esserne sostegno possono sbagliare e perfino tradire: chiarire questa misteriosa realtà era lo scopo di Giovanni Paolo II quando chiese coraggiosamente perdono per i peccati degli uomini di Chiesa. Ma a questa Chiesa, fatta da uomini e donne peccatori ma con personale capacità di cambiare vita, come fece Saulo arrivando a Damasco, è affidata la missione di diffondere la Parola e la vita di Cristo in tutto il mondo. La diplomazia pontificia è uno degli strumenti ecclesiali che servono a mostrare il mistero di Cristo nel mondo internazionale anche laddove il mistero di Cristo è poco conosciuto. Proprio perché la Chiesa visibile supera sempre la Chiesa profonda descritta dalla Lumen gentium, nel concludere questa lezione vi invito a tenere presente questa realtà quando informate i destinatari dei vostri giornali e delle vostre emittenti di radio o televisione sugli avvenimenti ecclesiali. Mai mi sono scandalizzato di leggere o di ascoltare commenti sui difetti, errori o peccati degli uomini di Chiesa, che siamo tutti i battezzati e non soltanto i sacerdoti di diverso rango. Se corretta e oggettiva, come è spesso il caso, la vostra azione informativa può incoraggiare al pentimento e alla conversione. Tutti - anche voi nel vostro lavoro professionale — potete essere canali della grazia de Dio.”

“Mi rattristo invece quando costato che tali difetti, errori o peccati sono attribuiti alla Chiesa stessa o quando la Chiesa viene direttamente attaccata, non per ignoranza, sempre perdonabile, ma in modo cosciente e diretto. Lungo la bimillenaria storia della Chiesa, la figuradel Saulo persecutore è alle volte riapparsa con differenti sfumature.

Non tutti si sono tuttavia convertiti. Anche questo è parte del mistero della Chiesa. La conquista del bene e la vittoria sul male passa sempre dalle nostre coscienze personali. In campo internazionale, sul quale ho avuto il piacere di aiutarvi a riflettere alcuni istanti, avviene anche lo stesso: la diplomazia pontificia funge spesso da coscienza chiarificatrice. La maggioranza degli uomini di buona volontà ascoltano la voce di questa coscienza. Altri - per fortuna meno numerosi - preferiscono coltivare dubbi o silenzi più o meno pesanti. Alcuni - una minoranza - coltivano persecuzioni transitorie che offrono alla Chiesa la possibilità di esprimere la propria fedeltà al suo Dio e Signore. Anche nel Vecchio Testamento non sempre i profeti furono da tutti capiti. Ma, malgrado tutto, il messaggio è sempre riuscito ad essere trasmesso. La parola di Cristo è chiara e portatrice di speranza: La Verità vi renderà liberi. In fondo, questo è il messaggio che cerca di portare al mondo la nostra diplomazia.” Alla fine i presenti hanno sottolineato con un lungo applauso l’intervento del presidente emerito della Pontificia Accademia Justo Mullor, ringraziandolo per la interessantissima lezione.
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venerdì, maggio 01, 2009

“Unità nella diversità”

In un incontro ieri a Dhaka, decine di imam islamici e di pastori e vescovi hanno riaffermato il dialogo come unica modalità per vivere insieme. Gli interventi dei partecipanti, in un Paese teatro di molti attentati estremisti.

Dhaka (AsiaNews) – Si è svolto ieri presso l’Università di Dhaka, organizzato dal Dipartimento universitario delle Religioni del mondo, l’incontro ecumenico su “Dialogo tra imam e pastori: unità nella diversità”, con la partecipazione di circa 30 pastori cristiani e altrettanti imam islamici, oltre a esperti di entrambe le fedi. Sono intervenuti, tra gli altri, il Nunzio vaticano mons. Joseph Morino, l’arcivescovo di Dhaka mons. Paulinus Costa, il vescovo Linus Normal Gomes e l’ambasciatrice italiana Itala Occhi.

Gli interventi hanno sottolineato l’importanza del dialogo e hanno condannato qualsiasi chiusura unilaterale, come l’estremismo islamico militante. Kazi Nurul Islam, fondatore del Dipartimento organizzatore, ha insistito sull’importanza del dialogo interreligioso per raggiungere la pace. Ha sottolineato che molti cristiani ignorano che Maria è considerata dal Corano la più grande donna al mondo e che Cristo è molto considerato nel Corano.

La professoressa Eva Sadia Sad ha concordato che il dialogo tra i diversi fedeli può risolvere anche le situazioni di violenza diffusa.

Maulana Khalilur Rhaman, imam della moschea centrale dell’Università, ha sottolineato che “secondo il Santo Corano i cristiani sono i migliori amici degli islamici” e spesso le loro posizioni sono molto vicine.

Mons. Costa ha concordato che “noi siamo chiamati ad essere uno strumento di pace”. Papa Benedetto XVI, ricevendo i vescovi bengalesi per la loro visita ad Limina, li ha sollecitati a “preservare con paziente dedizione” al dialogo interreligioso, che è “parte essenziale della missione della Chiesa”.

Anche l’ambasciatrice Occhi ha detto che il dialogo è un processo che “favorisce l’armonia interculturale del Paese” e ha osservato che i leader religiosi possono promuoverlo tra i loro fedeli, per costruire una società più giusta, dignitosa e in pace.

Mons. Marino ha detto ad AsiaNews che “il dialogo di oggi è un nuovo inizio verso la giustizia e la pace e il bene comune, può essere un modello per le Nazioni”.

Padre Francesco Rapacioli, superiore regionale del Pime, ha sottolineato che “se non c’è pace tra musulmani e cristiani, non può esserci pace nel mondo”, anche perché insieme essi sono il 55% dell’umanità.

Da qualche tempo il Bangladesh assiste a un aumento della militanza islamica estremista, con attentati esplosivi in 63 dei 64 suoi distretti, anche contro la Chiesa cattolica. Il Natale e la Pasqua sono stati celebrati sotto la protezione della polizia, per timore di attentati.
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