domenica, maggio 03, 2009
Verso l'Eden
Intervista al grande regista greco Costantin Costa - Gravas, sul suo ultimo film dedicato al tema dei migranti, dopo una carriera spesa a raccontare la società con i sui lavori.
PeaceReporter - Nella sua lunga carriera di regista Constantin Costa - Gavras ha vinto i premi più prestigiosi: nel 1970 l'Oscar per il film Z - L'orgia del potere, sulla dittatura dei generali greci, nel 1982 la Palma d'Oro a Cannes per Missing, sui desaparecidos argentini che valse l'Oscar al protagonista Jack Lemmon, nel 1990 l'Orso d'Oro a Berlino per Music Box. Il cineasta, di origini greche, da più di quarant'anni a Parigi, dai tempi in cui vi si trasferì per gli studi di lettere alla Sorbona e gli studi di cinema, dove ora è presidente della Cinémathèque Française, affronta da sempre temi politici e di denuncia sociale. Nelle scorse settimane Costa - Gavras è stato ospite della Cineteca di Bologna per incontrare il pubblico e presentare la sua ultima pellicola Verso l'Eden, reduce, fuori concorso, dal Festival di Berlino. Il film tratta il tema dell'immigrazione con una cifra stilistica un po' insolita rispetto a quella che lo contraddistingue, né atto di accusa né di denuncia, piuttosto una sorta di piccola favola amara contemporanea in cui il protagonista, l'italiano Riccardo Scamarcio, si muove con leggerezza e candore quasi come uno Charlot dei nostri giorni. Ingenuo, idealista, semplice e spesso sorridente, nonostante le peripezie anche drammatiche che è costretto ad affrontare nel lungo viaggio che lo porterà dalle coste greche alla scintillante e magica Parigi, meta dei suoi sogni. Abbiamo incontrato Costa - Gavras a Bologna e gli abbiamo rivolto alcune domande.
Con questo film ha detto di voler rendere l'estraneo meno distante da noi e meno pericoloso. In che modo?
È questa l'idea. Tutti i film e i documentari degli ultimi anni sull'argomento sono in qualche modo a favore degli immigrati, ma drammatici. Lo sono talmente tanto che danno l'impressione che il migrante sia qualcuno che porta il dramma, la tragedia e questo generalmente fa paura. Non si ama la gente che porta il dramma. È chiaro che nel film c'è un dramma permanente, il protagonista è un uomo completamente solo, sfruttato sia sessualmente che lavorativamente da tante persone che incontra, ma allo stesso tempo ho voluto mostrare le persone gentili che accettano lo straniero. È abbastanza naturale che se ci si trova di fronte ad una moltitudine di immigrati a prevalere sia la paura. Per questa ragione ho cercato un attore così, un giovane abbastanza fresco, bello, per fare un omaggio al migrante, personaggio interessantissimo. I migranti italiani, spagnoli e greci ad esempio hanno in qualche modo creato il mondo, sono ovunque. Questa è l'idea che sta dietro al film. Inoltre ogni scena rappresenta una metafora per parlare della nostra società. Questa pellicola è un modo per vedere la nostra società attraverso il migrante. Come ci comportiamo con loro, come li amiamo o non li amiamo. Bisogna ricordare che in passato tutti noi siamo stati migranti, oggi questo si dimentica completamente. Quando parlo con i greci mi dicono che oggi i migranti sono tutti ladri e assassini. A questo replico che non è vero e che lo stesso si diceva di noi. Qualcuno sarà anche un ladro, è normale ce ne siano in una società, in una grande quantità di persone, non per questo lo sono tutti.
Quello dell'immigrazione è un tema di grande attualità anche per l'Italia, ogni giorno sulle nostre coste ci sono sbarchi, morti in mare, dispersi. Come si può far fronte a tutto questo?
Un regista non ha una soluzione, è la politica che se ne deve fare carico, ma penso sempre a quello che si dice da molti anni, che bisogna aiutare i paesi di provenienza dei migranti perché abbiano tutto quello di cui hanno bisogno per non dover essere costretti a partire. Si dice da anni, ma nulla si è fatto e si continua a fare. È normale che gli immigrati arrivino, è gente che vuole vivere una vita più dignitosa.
Come può essere utile il cinema per lavorare sulle coscienze?
Il cinema lo fa in una certa misura, ma il modo più interessante di fruire del cinema è intenderlo come uno spettacolo, capace di creare sentimenti ed emozioni, facendo ridere, piangere, odiare. Qualche mese fa, dopo l'elezione di Obama, ho letto sul New York Times che probabilmente il cinema ha aiutato la sua vittoria. Ad un certo momento, dopo aver presentato per anni i neri come lavoratori umili, l'immagine è cambiata completamente mostrandoli come professori, avvocati, superman, questo può aver aiutato.
Molti definiscono la sua una militanza cinematografica. Con questo film ha cambiato stile?
Militanza è una parola che non mi piace tanto, l'idea è fare un omaggio al migrante. Presentarlo come un personaggio di qualità. Il punto è se lo spettatore lo accetta oppure no. Probabilmente alcuni spettatori si aspettavano da me qualcos'altro, un film di denuncia diretta, ma ho pensato che il modo più interessante di parlarne fosse questo, con questo stile.
Dall'uccisione di uno studente da parte della polizia, nel dicembre scorso, la Grecia sta attraversando uno dei periodi più violenti degli ultimi anni. Ci sono continue manifestazioni, scioperi, proteste. Pensa che questo potrebbe essere il suo prossimo soggetto?
Questo è un soggetto permanente, lo abbiamo vissuto in Francia dopo il '68 e di nuovo un paio di anni fa con la rivolta nelle banlieues. Se una parte della società non trova una vita migliore questi avvenimenti ci saranno sempre, è inevitabile, continuerà. Succederà anche in altri paesi visto che la situazione è completamente cambiata soprattutto economicamente.
Come guarda il cineasta Costa - Gavras a quello che sta accadendo in Grecia e come lo racconterebbe al cinema se dovesse fare la regia di un ipotetico film?
Un film è una storia, non è facile trovarne una buona, né tantomeno scriverla. Sono temi difficili, come si deve affrontare la questione della violenza? La si accetta oppure no? È questa la grande difficoltà. È inaccettabile dire "rompiamo tutto, diamo fuoco", bisogna trovare una storia in cui si parli di tutti questi elementi. È necessario porsi delle domande, bisogna farlo o è meglio adottare un'altra strategia? Per il momento non ho la soluzione. Sì, bisogna fare un film su questo, ho detto bisogna farlo, non ho detto che lo farò...
Di questo film dice che è il suo più personale, ma non autobiografico. In che senso?
Nel senso che in parte ho vissuto le avventure che vive Elias, sono arrivato a Parigi, da regolare con un permesso per studiare, un paese di cui non conoscevo la lingua, la gente. Ho lasciato tutto e ho affrontato la gentilezza e l'aggressività, queste sono cose che conosco bene. Elias cerca di creare la sua vita, anch'io ho lavorato mentre ero studente, per guadagnare ho fatto anche lavori umili e all'inizio anch'io ero guardato con diffidenza.
Il regista, molto generoso e disponibile con il pubblico in sala, al termine della proiezione ha risposto alle domande della platea. Della Francia ha detto con ironia "è il paese della rivoluzione, dei diritti umani, oggi anche di Sarkozy, ma c'è sempre speranza". Ha parlato di "un'Europa militarizzata, in Francia non si parla ancora di ronde come in Italia, ma le città sono piene di poliziotti. Quanto alle ronde potrebbero arrivare anche lì, speriamo non accada". A proposito di un episodio del film in cui un mago regala una bacchetta magica al protagonista ha commentato "non ci si può aspettare soluzioni magiche e credere a quelli che promettono magie o cose straordinarie". Parole queste in cui sembra di cogliere un riferimento a ciò che accade a casa nostra con alcuni politici dalle promesse facili.
... (continua)
PeaceReporter - Nella sua lunga carriera di regista Constantin Costa - Gavras ha vinto i premi più prestigiosi: nel 1970 l'Oscar per il film Z - L'orgia del potere, sulla dittatura dei generali greci, nel 1982 la Palma d'Oro a Cannes per Missing, sui desaparecidos argentini che valse l'Oscar al protagonista Jack Lemmon, nel 1990 l'Orso d'Oro a Berlino per Music Box. Il cineasta, di origini greche, da più di quarant'anni a Parigi, dai tempi in cui vi si trasferì per gli studi di lettere alla Sorbona e gli studi di cinema, dove ora è presidente della Cinémathèque Française, affronta da sempre temi politici e di denuncia sociale. Nelle scorse settimane Costa - Gavras è stato ospite della Cineteca di Bologna per incontrare il pubblico e presentare la sua ultima pellicola Verso l'Eden, reduce, fuori concorso, dal Festival di Berlino. Il film tratta il tema dell'immigrazione con una cifra stilistica un po' insolita rispetto a quella che lo contraddistingue, né atto di accusa né di denuncia, piuttosto una sorta di piccola favola amara contemporanea in cui il protagonista, l'italiano Riccardo Scamarcio, si muove con leggerezza e candore quasi come uno Charlot dei nostri giorni. Ingenuo, idealista, semplice e spesso sorridente, nonostante le peripezie anche drammatiche che è costretto ad affrontare nel lungo viaggio che lo porterà dalle coste greche alla scintillante e magica Parigi, meta dei suoi sogni. Abbiamo incontrato Costa - Gavras a Bologna e gli abbiamo rivolto alcune domande.Con questo film ha detto di voler rendere l'estraneo meno distante da noi e meno pericoloso. In che modo?
È questa l'idea. Tutti i film e i documentari degli ultimi anni sull'argomento sono in qualche modo a favore degli immigrati, ma drammatici. Lo sono talmente tanto che danno l'impressione che il migrante sia qualcuno che porta il dramma, la tragedia e questo generalmente fa paura. Non si ama la gente che porta il dramma. È chiaro che nel film c'è un dramma permanente, il protagonista è un uomo completamente solo, sfruttato sia sessualmente che lavorativamente da tante persone che incontra, ma allo stesso tempo ho voluto mostrare le persone gentili che accettano lo straniero. È abbastanza naturale che se ci si trova di fronte ad una moltitudine di immigrati a prevalere sia la paura. Per questa ragione ho cercato un attore così, un giovane abbastanza fresco, bello, per fare un omaggio al migrante, personaggio interessantissimo. I migranti italiani, spagnoli e greci ad esempio hanno in qualche modo creato il mondo, sono ovunque. Questa è l'idea che sta dietro al film. Inoltre ogni scena rappresenta una metafora per parlare della nostra società. Questa pellicola è un modo per vedere la nostra società attraverso il migrante. Come ci comportiamo con loro, come li amiamo o non li amiamo. Bisogna ricordare che in passato tutti noi siamo stati migranti, oggi questo si dimentica completamente. Quando parlo con i greci mi dicono che oggi i migranti sono tutti ladri e assassini. A questo replico che non è vero e che lo stesso si diceva di noi. Qualcuno sarà anche un ladro, è normale ce ne siano in una società, in una grande quantità di persone, non per questo lo sono tutti.
Quello dell'immigrazione è un tema di grande attualità anche per l'Italia, ogni giorno sulle nostre coste ci sono sbarchi, morti in mare, dispersi. Come si può far fronte a tutto questo?
Un regista non ha una soluzione, è la politica che se ne deve fare carico, ma penso sempre a quello che si dice da molti anni, che bisogna aiutare i paesi di provenienza dei migranti perché abbiano tutto quello di cui hanno bisogno per non dover essere costretti a partire. Si dice da anni, ma nulla si è fatto e si continua a fare. È normale che gli immigrati arrivino, è gente che vuole vivere una vita più dignitosa.
Come può essere utile il cinema per lavorare sulle coscienze?
Il cinema lo fa in una certa misura, ma il modo più interessante di fruire del cinema è intenderlo come uno spettacolo, capace di creare sentimenti ed emozioni, facendo ridere, piangere, odiare. Qualche mese fa, dopo l'elezione di Obama, ho letto sul New York Times che probabilmente il cinema ha aiutato la sua vittoria. Ad un certo momento, dopo aver presentato per anni i neri come lavoratori umili, l'immagine è cambiata completamente mostrandoli come professori, avvocati, superman, questo può aver aiutato.
Molti definiscono la sua una militanza cinematografica. Con questo film ha cambiato stile?
Militanza è una parola che non mi piace tanto, l'idea è fare un omaggio al migrante. Presentarlo come un personaggio di qualità. Il punto è se lo spettatore lo accetta oppure no. Probabilmente alcuni spettatori si aspettavano da me qualcos'altro, un film di denuncia diretta, ma ho pensato che il modo più interessante di parlarne fosse questo, con questo stile.
Dall'uccisione di uno studente da parte della polizia, nel dicembre scorso, la Grecia sta attraversando uno dei periodi più violenti degli ultimi anni. Ci sono continue manifestazioni, scioperi, proteste. Pensa che questo potrebbe essere il suo prossimo soggetto?
Questo è un soggetto permanente, lo abbiamo vissuto in Francia dopo il '68 e di nuovo un paio di anni fa con la rivolta nelle banlieues. Se una parte della società non trova una vita migliore questi avvenimenti ci saranno sempre, è inevitabile, continuerà. Succederà anche in altri paesi visto che la situazione è completamente cambiata soprattutto economicamente.
Come guarda il cineasta Costa - Gavras a quello che sta accadendo in Grecia e come lo racconterebbe al cinema se dovesse fare la regia di un ipotetico film?
Un film è una storia, non è facile trovarne una buona, né tantomeno scriverla. Sono temi difficili, come si deve affrontare la questione della violenza? La si accetta oppure no? È questa la grande difficoltà. È inaccettabile dire "rompiamo tutto, diamo fuoco", bisogna trovare una storia in cui si parli di tutti questi elementi. È necessario porsi delle domande, bisogna farlo o è meglio adottare un'altra strategia? Per il momento non ho la soluzione. Sì, bisogna fare un film su questo, ho detto bisogna farlo, non ho detto che lo farò...
Di questo film dice che è il suo più personale, ma non autobiografico. In che senso?
Nel senso che in parte ho vissuto le avventure che vive Elias, sono arrivato a Parigi, da regolare con un permesso per studiare, un paese di cui non conoscevo la lingua, la gente. Ho lasciato tutto e ho affrontato la gentilezza e l'aggressività, queste sono cose che conosco bene. Elias cerca di creare la sua vita, anch'io ho lavorato mentre ero studente, per guadagnare ho fatto anche lavori umili e all'inizio anch'io ero guardato con diffidenza.
Il regista, molto generoso e disponibile con il pubblico in sala, al termine della proiezione ha risposto alle domande della platea. Della Francia ha detto con ironia "è il paese della rivoluzione, dei diritti umani, oggi anche di Sarkozy, ma c'è sempre speranza". Ha parlato di "un'Europa militarizzata, in Francia non si parla ancora di ronde come in Italia, ma le città sono piene di poliziotti. Quanto alle ronde potrebbero arrivare anche lì, speriamo non accada". A proposito di un episodio del film in cui un mago regala una bacchetta magica al protagonista ha commentato "non ci si può aspettare soluzioni magiche e credere a quelli che promettono magie o cose straordinarie". Parole queste in cui sembra di cogliere un riferimento a ciò che accade a casa nostra con alcuni politici dalle promesse facili.
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