lunedì, maggio 02, 2016
L'inchiesta sulla Resurrezione di Cristo ambisce all'introspezione umana per trovare la vera fede. L'esperimento animato dai migliori propositi però non coinvolge, correndo il rischio di banalizzare la “Storia” per eccellenza.

di Dario Cataldo

Un condottiero di Roma, un tribuno inquieto, stanco di tanto sangue sparso in nome dell'Ordine romano, assiste alle fasi immediatamente successive alla crocifissione di Gesù. Prima la terra che trema, poi il sepolcro e infine la Resurrezione. Sullo sfondo di una Gerusalemme in fermento per la sparizione del corpo del Cristo, due schieramenti con visioni simili ma opposte: da un lato Roma, dall'altro il Sinedrio, l'antica legge ebraica che pian piano assiste allo sgretolamento delle proprie convinzioni. Al centro, un uomo apparentemente distaccato, dedito ai superiori ma con in mente un unico ideale: la pace. Lungo il percorso la troverà. Ma non nella tanto agognata Capitale; non quella che rappresenta solo una tregua tra una guerra e l'altra.

Troverà qualcosa di più eccelso: la fede. Non nel Dio della guerra, il pagano Marte a cui affidava ogni battaglia. La fede nel Dio dell'amore, del perdono e della fratellanza.

Kevin Reynold, regista del lungometraggio che intreccia storia e politica attingendo a fonti bibliche e romanzate riproduzioni scenografiche, affida la chiave di volta dell'intreccio a Joseph Fiennes, lo scettico militare che più si addentra nell'indagine del ritrovamento del corpo di Cristo e più fa un salto nel buio.

Le certezze cominciano a vacillare al ritmo delle apparizioni del Messia, forse troppe e con effetti scontati. Insieme all'aiutante Tom Felton nei panni di Lucio, il tribuno Clavio prende parte a un Thriller “made in Usa”.

Dalla ricerca messianica nella seconda parte del film si passa a quella introspettiva, personale, spirituale di un efficace Fiennes. Tale ricerca non si esaurisce nemmeno dopo l'Ascensione del figlio di Dio. Piuttosto che seguire Pietro e gli altri cristiani a Gerusalemme – da disertore convertito – decide di percorrere la strada del deserto.

La presenza scenica di Clavio però non basta a far decollare una trama che spesso pecca nella narrazione dei racconti evangelici. Gli apostoli interpellati per la risoluzione delle indagini sembrano quasi hippie, non coloro che divulgarono il Messaggio cristiano nei diversi angoli della Terra. Anche Gesù, interpretato da Cliff Curtis, non convince per coerenza tra i dialoghi e le espressioni del corpo – sembra più un francescano che il figlio di Dio.

In definitiva per il film che racconta i 40 giorni dopo la Resurrezione di Cristo, stenta nel confronto con i precedenti tentativi cinematografici di affrontare la tematica al centro del mistero cristologico. Forse, il calcare troppo la mano sui colpi di scena forzati ha relegato il travaglio interiore di un uomo alla ricerca della verità a ruolo secondario e marginale.


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