sabato, giugno 11, 2011
Le fiabe di Silvio Foini in esclusiva per La Perfetta Letizia

C’era una volta, tanto tempo fa, in un paesino molto vicino a qui, una grande casa dove viveva un uomo molto ricco con sua moglie, una donna dagli occhi scuri e due porri sul naso. La si sarebbe potuta definire una strega malvagia se non fosse stato per il suo amore verso gli animali abbandonati e sofferenti. Nelle rare volte in cui usciva dalla grande casa che guardava sul fiume si preoccupava infatti di osservare in giro e agli angoli delle vie se vi fosse mai qualche piccolo animale bisognoso di aiuto. Aveva già quattro cani nel giardino, due erano quasi ciechi, un altro era stato travolto da una carrozza e aveva perduto una zampina, mentre il quarto si trascinava a stento verso la ciotola che lei poneva accanto alle cucce con del buon cibo avanzato dalla sua tavola e da quelle della servitù.
Poi vi erano una cornacchia che non poteva più volare e che lei aveva raccolto ferita da un colpo di spingarda sparatole da un cattivissimo contadino per scacciarla dal campo del granturco di sua proprietà. Due gatti soriani senza casa nè padrone che una mattina l’avevano seguita per tutta la strada quando era uscita dal negozio di Mazzucco il macellaio. Lei li aveva fatti entrare nella cucina dove la domestica Gertrude era solita preparare i cibi da portare in tavola ai padroni e gli aveva fatto ritagliare dal gran pezzo d’arrosto appena comperato, una succulenta fettina ciascuno.
I due mici decisero che quella sarebbe stata la loro casa e la donna con due porri sul naso la loro padrona. Loro si sarebbero sdebitati ripulendo le cantine dai roditori.
Anche in quella fredda mattina d’inverno, si era sotto le feste di Natale, la signora Fosca era uscita con una capace sporta per andare in paese ad acquistare le provviste per il pranzo e le forme del pane. Sulla strada del ritorno aveva cominciato a cadere la neve e le larghe falde stavano imbiancando la stradicciola che conduceva alla grande casa in riva al fiume.
Era quasi arrivata alla curva del grande platano che portava all’ingresso della casa quando, rannicchiata sotto uno scheletrico cespuglio, misero riparo dalla neve, vide, tremante di freddo, una cagnetta di una razza mai veduta in quelle parti, dal ventre gonfio, che guaiva lamentosamente. Fosca depose la sporta a terra e le si avvicinò tendendole la zampa per accarezzarla e confortarla. L’animale leccò la mano e si lasciò accarezzare guardando la donna con occhi supplicanti.
Fosca comprese che la cagnolina stava per dare alla luce i suoi piccoli, si rialzò, riprese la pesante sporta e disse rivolta all’animale “Aspettami qui e non muoverti. Torno a prenderti fra due minuti. Stai lì. Hai capito?”
La cagnolina guaì.
Fosca rientrò di corsa e si precipitò alle cucine dando una voce a Gertrude. “Muoviti e vieni con me subito. Prendi una coperta. C’è una cagnolina che sta per avere i cuccioli. Bisogna portarla subito qui al caldo!”. La cuoca non se lo fece ripetere e presto il povero animale, avvolto amorevolmente nella coperta, si trovò al riparo nel sottoscala della casa padronale dove aleggiava un gradevole tepore.
Fosca si cambiò le scarpe bagnate e la gonna nera altrettanto inzuppata e si recò dal marito. Lui era seduto accanto al camino e stava leggendo un libro.
“Gualtiero lo sai che abbiamo appena portato a casa una povera cagnetta che sta per diventare mamma?”
Lui sollevò appena gli occhi dalle pagine del libro e disse con voce irata “Ancora un’altra bestiaccia in casa? E che per di più deve avere cuccioli? Fra un po’ usciremo noi da qui per far posto a loro. Non voglio altri animali. Sono stato chiaro?” Lei abbassò lo sguardo. “Ma dopodomani sarà Natale!”
“E con questo? - Ribatté l’uomo sbuffando. – Ho detto che devi metterla alla porta o la prenderò a calci!”
Fosca uscì sbattendo la porta con la tristezza più profonda nel cuore. “Gualtiero una volta non era così cattivo – pensò delusa – Che gli sarà capitato? Comunque la cagnolina avrà i suoi cuccioli come dovrà, mi costasse una grande litigata con quel becero che è diventato il mio signor marito!” Promise a se stessa mentre scendeva nel sottoscala dove la trovatella stava mettendo al mondo sette magnifici cagnolini.
Fosca e Gertrude rimasero ad osservare il miracolo della vita che si ripeteva. Domani sarebbe stato Natale! Non era forse un caso? Anche Gesù era nato al freddo e in una stalla respinto da tutti gli alberghi. Carezzarono a lungo la neo-mamma che rispondeva leccando grata quelle mani poi esausta, con i suoi piccoli cani attaccati al seno per suggere il late si addormentò sfinita. Le due donne risalirono alla cucina e assieme si accinsero alla preparazione del pranzo di Natale. Domani avrebbero avuto ospiti e si doveva ben figurare. A un certo punto Gertrude osservò stupita la sua padrona. “Scusi signora Fosca ma devo dirle una cosa… però non so se mi posso permettere… Sa…”
Fosca la incitò a parlare. “Cosa sarà mai? Parla senza timore. Ti ho mai vietato di dire quello che pensi. Su avanti, dimmi dunque.”
Gertrude si portò l’indice alla punta del naso ammiccando con gli occhi. “Non c’è più!”
“Cosa non c’è più? Non capisco. Spiegati meglio.”
La cuoca sorrise. “ Non ha più uno di quei due porri! Ecco cosa c’è!”
Fosca si toccò la punta del naso: Gertrude aveva detto la verità. Il porro più grosso, quello su cui crescevano due ispidi pelacci neri non c’era davvero più. Era sparito. Corse allo specchio e si guardò. Si stupì anche dei suoi occhi. Erano stranamente sereni e non velati torvamente come prima. Addirittura dolci e grandi. “Che miracolo è mai questo?” Pensò mentre due lacrime scendevano a rigare le guance inspiegabilmente senza le due rughe profonde che le attraversavano. Si sentì felice. Era Natale e si sa che i regali, a volte, possono scendere anche dal cielo!
Il marito non si accorse o finse di non farlo del cambiamento della moglie. Le gettò un rapida occhiata mentre addentava una coscia di tacchino al forno e pensò che lei avesse trovato una di quelle diavolerie che vendeva il farmacista in paese adatte a nascondere l’avanzare della vecchiaia. Fosca aveva allora solo trentasei anni. Lui cinquantasette.
Fosca e Gertrude riuscirono a tenere nascosto dal perfido Gualtiero il segreto dei cuccioli nati a Natale solo fino al capodanno quando lui scese nelle cantine per prendere le bottiglie di spumante da offrire ai maggiorenti del paese invitati alla veglia di mezzanotte nella grande casa.
Gualtiero risalito nel salone dove stavano gli ospiti smise il finto sorriso che aveva sul volto e lanciò un’occhiataccia alla moglie facendo un gesto che voleva dire minacciosamente: “Dopo faremo i conti!”
La cagnolina nel sottoscale guaì spaventata al rumore dei botti di capodanno e strinse a se amorevolmente con le zampine i suoi sette piccoli. I botti la spaventavano sempre e lei cercava ogni volta rifugi nascosti in cui rifugiarsi. Questa volte invece no. Aveva da proteggere la cucciolata.
Il mattino seguente, senza dire nulla alla moglie, Gualtiero scese insieme al fattore, marito di Gertrude, nel sottoscala e ordinò: “Prendi tutte quelle bestiacce, infilale nel sacco e gettale nel fiume. Non voglio uno zoo in casa. Fai le cose per bene Giuseppe.”
“Come comanda signor conte. Lasci fare.”
L’uomo senza por tempo in mezzo, senza alcuna pietà infilò i cuccioli in un sacco di juta e lo legò per bene con un grosso spago. Passò una corda al collo della povera cagnolina e la trascinò dietro di se nella neve sino alla sponda del fiume.
Lei vide e intuì ciò che stava per accadere e dai suoi occhi di cane scesero le lacrime. Abbaiò forte quando lui lanciò il sacco nell’acqua torbida e gelida e sentì il suo piccolo cuore spezzarsi. Quanto erano malvagi gli uomini!
Non sentì alcun dolore quando il fattore le fracassò il cranio con una bastonata e la scaraventò nell’acqua.
“ Vai a raggiungere i tuoi piccoli bastardi!”
Fosca aveva assistito dalla finestra a quell’atrocità.
Maledisse la cattiveria del marito e rivolse una fervente preghiera a Gesù.
“Caro figlio di Dio, anche se sono solo delle bestioline abbi pietà di loro che non hanno fatto nulla di male. Sono pure tue creature e so che Tu le ami come ami ogni cosa del creato. Abbi pietà anche di mio marito che non sa quello che fa. Togli questo dolore dal mio cuore, Ti prego Gesù. Confido in Te. Fai che almeno uno di quei cagnolini si possa salvare. Tu puoi tutto. Grazie.”
Si asciugò il pianto disperato che scendeva dai suoi occhi e scese giù nel salone dove suo marito, pipa in bocca stava guardando fuori la neve cadere.
Lei gli si avvicinò e gli disse con un fil di voce: “Speri che la neve nasconda quel che hai fatto e che ti tolga i peccati dal cuore con il suo candore? Ciò che hai fatto a quelle creature griderà vendetta davanti a Dio per sempre. Ho pietà di te e non ti amerò mai più!”
Lui la guardò minaccioso pronto a sferrarle un ceffone sul viso per aver osato parlargli in quel modo ma la sua mano si fermò a mezz’aria. Il volto di Fosca era diventato, per incanto, bellissimo e radioso. La pelle vellutata come una pesca, quegli odiosi porri erano spariti per incanto: un viso talmente amabile gli sorrideva apertamente, senza alcun timore. La mano pronta a colpire scese lentamente lungo il fianco e l’uomo, confuso uscì da quella stanza. Comprese che qualcosa di misterioso e grande era avvenuto sotto quel tetto della sua grande casa in riva al fiume. Avesse potuto si sarebbe tuffato in quelle gelide acque per recuperare quel sacco….


***********



Le preghiere di Fosca arrivarono al cuore di Gesù.
Il sacco sul fondo del fiume si aprì come se una mano miracolosa ne avesse slegato la bocca dando modo ad un piccolissimo cane di uscirne e riguadagnare la superficie. Una lieve onda lo depositò sulla riva innevata ma il piccolo cane non ebbe affatto freddo. Con le zampine che lo reggevano a malapena, affondando nella neve raggiunse un vicino abete e trovò riparo sotto le sue pietose fronde.
L’albero parlò al cucciolo spaurito e spaventato. “Sù sù cagnolino, Qualcuno non vuole che tu muoia ma desidera che tu stia al riparo sotto le mie fronde sino a domani mattina quando spunterà il sole che ti riscalderà. Entra fra le mie radici e io ti scalderò. La terra è tiepida.”
Il piccolo cane obbedì e si rifugiò fra le veccie radici dell’abete quindi si addormentò. Il mattino seguente si risvegliò al bacio del sole sotto un bel cielo azzurro. Uscì dal tepore delle radici e con grande meraviglia vide una strana cosa. Una vecchia vestita di stracci che volava a cavallo di una scopa scese verso di lui e lo prese fra le vecchie mani.
“Povero piccolo! – Esclamò stringendolo al seno – Non devi morire come voleva quel malvagio, tu devi vivere. Il Signore mi ha ordinato di prendermi cura di te ed io lo farò volentieri. Hai paura di volare piccolino?”
Disse la buona vecchina mettendolo in un grosso sacco pieno di giocattoli che portava sulle ossute spalle.
Lui non intese il significato di quella domanda ma non ebbe affatto paura. Si strinse a un orso di pezza e si sentì portare in alto. Ma non ebbe paura.
Poco dopo la vecchina lo depositò con gentilezza all’entrata di una piccola chiesetta, gli diede un bacio sulla testolina. “Fai il bravo cane. Mi raccomando. Ciao.”
Poi se ne tornò in volo. Molti bambini la stavano aspettando e lei, la Befana, non poteva deluderli.
Poco dopo l’anziano curato della piccola chiesetta, aprendo la porta sul sagrato per la Santa Messa che avrebbe ricordato l’Epifania del Signore, per poco non calpestò un piccolo fagottino bianco e grigio dagli occhietti azzurri che lo guardava tremando. “E tu cosa ci fai davanti alla casa del Signore?” Domandò stupito. Poi si ricordò subito che la sera prima aveva domandato a Gesù di poter godere della compagnia di un cane dato che il suo Lillo, era morto a novembre di quell’anno per vecchiaia. “Ma certo! - Esclamò battendosi il palmo della mano sulla fronte.- Sto diventando davvero vecchio! Ho chiesto un cane a Gesù… e Lui ha esaudito la mia preghiera! Vieni Lillo che ti darò una bella tazza di latte caldo… sei così piccolo!”
E Lillo crebbe all’ombra della croce e divenne un magnifico cagnone fedele dell’anziano parroco che seguiva dappertutto ove questi andasse. Non era raro per i fedeli vederlo accucciato ai lati dell’altare quando don Aliprando diceva Messa.
Un giorno di qualche anno dopo, Lillo se ne stava accucciato davanti all’altare e guardava fissamente il Crocifisso a grandezza naturale posto sopra l’altare.
“ Ma tu, non sei stanco di rimanere sempre lì attaccato a quei legni? Non potresti scendere qualche volta e giocare con me? Hai un bel viso e gli occhi buoni anche se li tieni sempre chiusi. Io ho visto che l’altro giorno li hai aperti e mi hai anche guardato! Fai finta di essere morto?”
Gesù sorrise. “Io non sono sempre qui attaccato come dici tu. Chi credi abbia aperto quel sacco in fondo al fiume? Chi credi abbia parlato con l’abete e gli abbia comandato di proteggerti dal freddo di dicembre? Chi credi abbia mandato quella buona vecchina a prenderti per portarti dal mio buon Aliprando che mi aveva chiesto un cane? Sono stato io Lillo. Tu sei il mio cane.”
“Tu chi sei allora”
“Mi chiamo Gesù e sono venuto per far si che gli uomini diventino buoni e si amino tra di loro e non facciano mai del male… come quello che hanno fatto a te Lillo e come vedi anche a me. Però noi due li abbiamo perdonati, vero? Capito?”
“Si Gesù, mi pare di si anche se poi me lo spiegherai un’altra volta. Io sono solo un cane e…”
Gesù sorrise, scese dalla croce e giocò con Lillo poi se tornò lassù, sull’altare a guardare la buona gente che veniva per la Sua Epifania. Lillo durante la Messa abbaiò quando Lui gli strizzò l’occhio quindi si mise a correre sul prato antistante il sagrato della chiesetta a giocare con Gesù.
Il suo cuore di cane sapeva che ora aveva un Grande amico che gli avrebbe voluto bene per sempre.
“Io adesso sono Lillo, il cane di Gesù!” Pensò rincorrendo un bel gatto soriano per giocare anche con lui.

È presente 1 commento

Anonimo ha detto...

Grazie

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