venerdì, maggio 15, 2009

Cristo è risorto! Il grido del Papa al Santo Sepolcro

Qui è cambiata la storia, l'amore è più forte della morte

RadioVaticana - Cristo è risorto! E’ il grido lanciato oggi al mondo da Benedetto XVI davanti alla Tomba vuota di Gesù, nella Basilica del Santo Sepolcro. “Qui – ha detto il Papa - la storia dell’umanità fu definitivamente cambiata. Il lungo dominio del peccato e della morte venne distrutto dal trionfo dell’obbedienza e della vita; il legno della croce svela la verità circa il bene e il male; il giudizio di Dio fu pronunciato su questo mondo e la grazia dello Spirito Santo venne riversata sull’umanità intera. Qui Cristo, il nuovo Adamo, ci ha insegnato che mai il male ha l’ultima parola, che l’amore è più forte della morte, che il nostro futuro e quello dell’umanità sta nelle mani di un Dio provvido e fedele. La tomba vuota ci parla di speranza, quella stessa che non ci delude, poiché è dono dello Spirito della vita (cfr Rm 5,5).

Questo è il messaggio che oggi desidero lasciarvi, a conclusione del mio pellegrinaggio nella Terra Santa”. Poi ha aggiunto: “La Chiesa in Terra Santa, che ben spesso ha sperimentato l’oscuro mistero del Golgota, non deve mai cessare di essere un intrepido araldo del luminoso messaggio di speranza che questa tomba vuota proclama. Il Vangelo ci dice che Dio può far nuove tutte le cose, che la storia non necessariamente si ripete, che le memorie possono essere purificate, che gli amari frutti della recriminazione e dell’ostilità possono essere superati, e che un futuro di giustizia, di pace, di prosperità e di collaborazione può sorgere per ogni uomo e donna, per l’intera famiglia umana, ed in maniera speciale per il popolo che vive in questa terra, così cara al cuore del Salvatore”. Ecco il testo integrale del discorso del Papa:


Cari Amici in Cristo,

l’inno di lode che abbiamo appena cantato ci unisce alle schiere angeliche ed alla Chiesa di ogni tempo e luogo – “il glorioso coro degli Apostoli, la nobile compagnia dei Profeti e la candida schiera dei Martiri” – mentre diamo gloria a Dio per l’opera della nostra redenzione, compiuta nella passione, morte e risurrezione di Gesù Cristo. Davanti a questo Santo Sepolcro, dove il Signore “ha vinto l’aculeo della morte e aperto il regno dei cieli ad ogni credente”, vi saluto tutti nella gioia del tempo pasquale. Ringrazio il Patriarca Fouad Twal e il Custode, padre Pierbattista Pizzaballa, per le loro gentili parole di benvenuto. Desidero esprimere alla stessa maniera il mio apprezzamento per l’accoglienza riservatami dai Gerarchi della Chiesa ortodossa greca e della Chiesa armeno-apostolica. Con animo grato prendo atto della presenza di rappresentanti delle altre comunità cristiane della Terra Santa. Saluto il Cardinale John Foley, Gran Maestro dell’Ordine Equestre del Santo Sepolcro di Gerusalemme ed anche i Cavalieri e le Dame dell’Ordine qui presenti, con gratitudine per la loro inesauribile dedizione a sostegno della missione della Chiesa in queste terre rese sante dalla presenza terrena del Signore.

Il Vangelo di san Giovanni ci ha trasmesso un suggestivo racconto della visita di Pietro e del Discepolo amato alla tomba vuota nel mattino di Pasqua. Oggi, a distanza di circa venti secoli, il Successore di Pietro, il Vescovo di Roma, si trova davanti a quella stessa tomba vuota e contempla il mistero della risurrezione. Sulle orme dell’Apostolo, desidero ancora una volta proclamare, davanti agli uomini e alle donne del nostro tempo, la salda fede della Chiesa che Gesù Cristo “fu crocifisso, morì e fu sepolto”, e che “il terzo giorno risuscitò dai morti”. Innalzato alla destra del Padre, egli ci ha mandato il suo Spirito per il perdono dei peccati. All’infuori di Lui, che Dio ha costituito Signore e Cristo, “non vi è sotto il cielo altro nome dato agli uomini, nel quale è stabilito che noi siamo salvati” (At 4,12).

Trovandoci in questo santo luogo e considerando quel meraviglioso evento, come potremmo non sentirci “trafiggere il cuore” (cfr At 2,37), alla maniera di coloro che per primi udirono la predicazione di Pietro nel giorno di Pentecoste? Qui Cristo morì e risuscitò, per non morire mai più. Qui la storia dell’umanità fu definitivamente cambiata. Il lungo dominio del peccato e della morte venne distrutto dal trionfo dell’obbedienza e della vita; il legno della croce svela la verità circa il bene e il male; il giudizio di Dio fu pronunciato su questo mondo e la grazia dello Spirito Santo venne riversata sull’umanità intera. Qui Cristo, il nuovo Adamo, ci ha insegnato che mai il male ha l’ultima parola, che l’amore è più forte della morte, che il nostro futuro e quello dell’umanità sta nelle mani di un Dio provvido e fedele.

La tomba vuota ci parla di speranza, quella stessa che non ci delude, poiché è dono dello Spirito della vita (cfr Rm 5,5). Questo è il messaggio che oggi desidero lasciarvi, a conclusione del mio pellegrinaggio nella Terra Santa. Possa la speranza levarsi sempre di nuovo, per la grazia di Dio, nel cuore di ogni persona che vive in queste terre! Possa radicarsi nei vostri cuori, rimanere nelle vostre famiglie e comunità ed ispirare in ciascuno di voi una testimonianza sempre più fedele al Principe della Pace. La Chiesa in Terra Santa, che ben spesso ha sperimentato l’oscuro mistero del Golgota, non deve mai cessare di essere un intrepido araldo del luminoso messaggio di speranza che questa tomba vuota proclama. Il Vangelo ci dice che Dio può far nuove tutte le cose, che la storia non necessariamente si ripete, che le memorie possono essere purificate, che gli amari frutti della recriminazione e dell’ostilità possono essere superati, e che un futuro di giustizia, di pace, di prosperità e di collaborazione può sorgere per ogni uomo e donna, per l’intera famiglia umana, ed in maniera speciale per il popolo che vive in questa terra, così cara al cuore del Salvatore.

Quest’antica chiesa dell’Anastasis reca una sua muta testimonianza sia al peso del nostro passato, con tutte le sue mancanze, incomprensioni e conflitti, sia alla promessa gloriosa che continua ad irradiare dalla tomba vuota di Cristo. Questo luogo santo, dove la potenza di Dio si rivelò nella debolezza, e le sofferenze umane furono trasfigurate dalla gloria divina, ci invita a guardare ancora una volta con gli occhi della fede al volto del Signore crocifisso e risorto. Nel contemplare la sua carne glorificata, completamente trasfigurata dallo Spirito, giungiamo a comprendere più pienamente che anche adesso, mediante il Battesimo, portiamo “sempre e dovunque nel nostro corpo la morte di Gesù, perché anche la vita di Gesù si manifesti nella nostra carne mortale” (2 Cor 4,10-11). Anche ora la grazia della risurrezione è all’opera in noi! Possa la contemplazione di questo mistero spronare i nostri sforzi, sia come individui che come membri della comunità ecclesiale, a crescere nella vita dello Spirito mediante la conversione, la penitenza e la preghiera. Possa inoltre aiutarci a superare, con la potenza di quello stesso Spirito, ogni conflitto e tensione nati dalla carne e rimuovere ogni ostacolo, sia dentro che fuori, che si frappone alla nostra comune testimonianza a Cristo ed al potere del suo amore che riconcilia.

Con tali parole di incoraggiamento, cari amici, concludo il mio pellegrinaggio ai luoghi santi della nostra redenzione e rinascita in Cristo. Prego che la Chiesa in Terra Santa tragga sempre maggiore forza dalla contemplazione della tomba vuota del Redentore. In quella tomba essa è chiamata a seppellire tutte le sue ansie e paure, per risorgere nuovamente ogni giorno e continuare il suo viaggio per le vie di Gerusalemme, della Galilea ed oltre, proclamando il trionfo del perdono di Cristo e la promessa di una vita nuova. Come cristiani, sappiamo che la pace alla quale anela questa terra lacerata da conflitti ha un nome: Gesù Cristo. “Egli è la nostra pace”, che ci ha riconciliati con Dio in un solo corpo mediante la Croce, ponendo fine all’inimicizia (cfr Ef 2,14). Nelle sue mani, pertanto, affidiamo tutta la nostra speranza per il futuro, proprio come nell’ora delle tenebre egli affidò il suo spirito nelle mani del Padre.

Permettetemi di concludere con una speciale parola di incoraggiamento ai miei fratelli Vescovi e sacerdoti, come pure ai religiosi e alle religiose che servono l’amata Chiesa in Terra Santa. Qui, davanti alla tomba vuota, al cuore stesso della Chiesa, vi invito a rinnovare l’entusiasmo della vostra consacrazione a Cristo ed il vostro impegno nell’amorevole servizio al suo mistico Corpo. Immenso è il vostro privilegio di dare testimonianza a Cristo in questa terra che Egli ha santificato mediante la sua presenza terrena e il suo ministero. Con pastorale carità rendete capaci i vostri fratelli e sorelle e tutti gli abitanti di questa terra di percepire la presenza che guarisce e l’amore che riconcilia del Risorto. Gesù chiede a ciascuno di noi di essere testimone di unità e di pace per tutti coloro che vivono in questa Città della Pace. Come nuovo Adamo, Cristo è la sorgente dell’unità alla quale l’intera famiglia umana è chiamata, quella stessa unità della quale la Chiesa è segno e sacramento. Come Agnello di Dio, egli è la fonte della riconciliazione, che è al contempo dono di Dio e sacro dovere affidato a noi. Quale Principe della Pace, Egli è la sorgente di quella pace che supera ogni comprensione, la pace della nuova Gerusalemme. Possa Egli sostenervi nelle vostre prove, confortarvi nelle vostre afflizioni, e confermarvi nei vostri sforzi di annunciare e di estendere il suo Regno. A voi tutti e a quanti vanno le vostre premure pastorali imparto cordialmente la mia Benedizione Apostolica, quale pegno della gioia e della pace di Pasqua.
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giovedì, maggio 14, 2009

Myanmar: torna in carcere Aung San Suu Kyi

La notizia dell’arresto di Aung San Suu Kyi ha sollevato un coro di proteste unanime negli ambienti internazionali degli attivisti per i diritti umani

Radio Vaticana - La leader dell'opposizione birmana e premio Nobel per la pace, Aung San Suu Kyi, è stata nuovamente rinchiusa oggi in carcere dal regime militare di Rangoon a seguito di una visita non autorizzata ricevuta la settimana scorsa da un cittadino americano, che aveva raggiunto a nuoto la casa in cui è agli arresti domiciliari da due decenni. La notizia dell’arresto di Aung San Suu Kyi ha sollevato un coro di proteste unanime negli ambienti internazionali degli attivisti per i diritti umani. Stefano Leszczynski ha intervistato Riccardo Noury, portavoce di Amnesty International Italia:

R. – Come sempre, ogni anno, alla vigilia della scadenza degli arresti domiciliari - la data di quest’anno è il 27 maggio - il governo birmano trova qualche pretesto per continuare a privarla della libertà personale. Più in generale, è un nuovo segnale che arriva dell’impunità di questo regime che fa parte di un organismo regionale come l’Asean - che in questi anni è stato decisamente silente - e che gode quindi, se non di una protezione esplicita, almeno di una connivenza forte che impedisce iniziative decise da parte della comunità internazionale.


D. - Aung San Suu Kyi è ormai agli arresti e comunque in una situazione di privazione della libertà, da tantissimo tempo. Com’è iniziata la sua vicenda?


R. - Aung San Suu Kyi è stata la leader di quella che ha rappresentato da sempre la forma più seria, organizzata, di opposizione politica, ad un regime che ormai è in vita da mezzo secolo, la Lega Nazionale per la Democrazia. Questo organismo vinse le elezioni 20 anni fa, nel 1989. Aung San Suu Kyi da allora, insieme a tutta la leadership, la dirigenza politica della Lega Nazionale per la Democrazia, venne posta in stato di arresto. Ha trascorso 13 anni in carcere ed i successivi sei agli arresti domiciliari. Tutta la dirigenza politica di questo partito è o agli arresti o in esilio, quindi non c’è più una forma organizzata di opposizione.


D. – Nonostante tutto, nonostante questa situazione, la figura di questa donna, a livello internazionale, è rimasta sempre dominante…


R. – Sì, questo è un risultato positivo, insomma. Come sempre, dare un nome, un volto ed una storia alle vittime delle violazioni dei diritti umani, è importante e serve a non farle dimenticare. In queste ore però, devo dire che tutto quanto risulta abbastanza, se non inutile, poco importante perché nonostante la notorietà, nonostante il prestigio internazionale, nonostante sia un Nobel per la pace, Aung San Suu Kyi rischia di trascorrere molto altro tempo privata della libertà personale, aggiungo anche in condizioni di salute che appaiono niente affatto buone.


D. - Aung San Suu Kyi ha mai voluto abbandonare il proprio Paese. Quante persone, come lei, ci sono nel mondo nelle stesse condizioni?


R. – Il suo è un caso di grande coraggio. La scelta è sempre difficile tra chi decide di condurre una battaglia di opposizione, di rispetto dei diritti umani dall’esilio, e chi cerca di farlo, nel suo Paese, correndo gravi rischi personali. In questi giorni, un’altra figura femminile importante, è Yoani Sànchez, la blogger di Cuba che ha deciso di rimanere nel suo Paese a fare una battaglia per i diritti umani. La sta facendo in condizioni di semi libertà perché poi le autorità dell’Avana la minacciano, la intimidiscono e le restringono la libertà di movimento, ecc. Aung San Suu Kyi è certamente in una situazione grave, gravissima, e credo che vada a suo merito la decisione di aver cercato di continuare la propria battaglia per i diritti umani, lì.

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giovedì, maggio 14, 2009

Brasile: dittatura, il Presidente Lula riapre gli archivi militari

Secondo il capo della segreteria nazionale per i diritti umani Paulo Vannucchi, “si tratta di un nuovo passo per consolidare la democrazia

Agenzia Misna - “Sono convinto che si renderà un servizio alla democrazia se si riuscirà a svelare alcuni misteri della storia brasiliana; è importante che questa iniziativa non si vista come un atto di revanscismo”: così il presidente Luiz Ignácio Lula da Silva ha annunciato un progetto di legge per facilitare l'apertura di tutti gli archivi segreti dell’ultima dittatura militare (1964-‘85) che “farà voltare pagina alla storia del Brasile”; una storia, ha evidenziato, “che va raccontata così com’è stata”. Secondo il capo della segreteria nazionale per i diritti umani Paulo Vannucchi, “si tratta di un nuovo passo per consolidare la democrazia, un atto di riconciliazione dello stato con la società”. La proposta di Lula è stata presentata a Brasilia in concomitanza con il lancio di un nuovo portale Internet, ‘Memorie rivelate’, una banca dati con documenti declassificati della dittatura a cui i brasiliani potranno avere libero accesso. La parola d’ordine è “basta con la cultura del segreto di stato” ha detto il capo di gabinetto Dilma Rousseff, ex-guerrigliera torturata dal regime e candidata alla successione di Lula nel 2010. In Brasile i crimini commessi dai membri dei regimi militari non sono stati mai perseguiti grazie a una legge di amnistia del 1979, di cui hanno beneficiato gli ex-gerarchi.
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giovedì, maggio 14, 2009

Costa d'Avorio: i rifiuti tossici delle multinazionali

I documenti raccolti dalla ‘Bbc’ mostrano in dettaglio e per la prima volta la natura potenzialmente letale dei rifiuti tossici scaricati nel più povero dei paesi dell’Africa occidentale

Agenzia Misna - “Il più grande scandalo di smaltimento illegale di rifiuti tossici del XXI secolo, proprio il tipo di vandalismo ambientale che i trattati internazionali dovrebbero prevenire”: così comincia un servizio pubblicato dall’inglese ‘Bbc’ – dal titolo ‘Sporchi trucchi e rifiuti tossici in Costa d’Avorio - sul caso ‘Probo Koala’, la nave cargo che nel 2006 scaricò illegalmente nel porto di Abidjan 528 tonnellate di scorie pericolose. I documenti raccolti dalla ‘Bbc’ mostrano in dettaglio e per la prima volta la natura potenzialmente letale dei rifiuti tossici scaricati nel più povero dei paesi dell’Africa occidentale e per la quale la multinazionale Trafigura – con basi in Olanda e Inghilterra - è sotto processo all’Alta corte di Londra.
In base ai risultati dell’inchiesta della Bbc, i rifiuti scaricati illegalmente ad Abidjan includevano: tonnellate di fenolo che al contatto può causare la morte; tonnellate di idrogeno solfito, letale se inalato ad alte concentrazioni; vaste quantità di soda caustica e di mercaptani, i composti organici più maleodoranti in assoluto. “Trafigura – scrive la Bbc – ha sempre negato la presenza di rifiuti chimici pericolosi, eppure abbiamo potuto vedere un’analisi fatta dalle autorità olandesi che dimostra il contrario”. Proprio ad Amsterdam, i rifiuti della nave ‘Probo Koala’ prodotti da Trafigura avrebbero potuto essere smaltiti in sicurezza: “La società Trafigura ha invece optato per la più economica soluzione di Abidjan” scrive ancora la Bbc. Così, nella notte tra il 19 e 20 agosto 2006, il carico letale della ‘Probo Koala’ venne scaricato ad Abidjan e smistato in 16 diverse zone della città causando nei mesi successivi la morte di 17 persone e l’intossicazione di altre migliaia. Lo scorso febbraio, La società ‘Amsterdam port services’ (Aps), specializzata nel ritiro di rifiuti, è stata condannata da un tribunale olandese a pagare una multa di 450.000 euro per il suo coinvolgimento nel caso. In precedenza un tribunale ivoriano aveva condannato il responsabile di una società locale che aveva provveduto a sbarcare i rifiuti. Tuttavia, nessun dirigente della Trafigura, che aveva noleggiato la ‘Probo Koala’, è stato invece processato: grazie a un patteggiamento concordato con le autorità ivoriane, la Trafigura versando al governo della Costa d’Avorio 152 milioni di euro ha ottenuto in cambio la rinuncia a qualsiasi azione legale presente e futura. Sul caso resta però aperta l’inchiesta della magistratura inglese.

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giovedì, maggio 14, 2009

Meditazione sul corpo

del nostro collaboratore Padre Renato Zilio

Situato in un luogo sorprendente, un modernissimo padiglione sulle rive del Tamigi si innalza come un’immensa tenda bianca. Sotto, una mostra originale a Londra. È il racconto straordinario, emozionante della nostra tenda e della sua provvisorietà: il corpo dell’uomo. Body Worlds, the mirror of time, il titolo. Guardo la gente uscire dall’esposizione: la accompagna un’aria assorta, uno sguardo come sospeso. Un sapore amaro ti resta in bocca, è vero, che si stempera subito... ti senti vivo, almeno. Respiri e non ti sembra vero: questo semplice gesto ti pare ora una meraviglia!

Compassione, stupore e curiosità ti seguono lungo tutto il percorso, anzi si incollano al tuo sguardo. Molti lo vivono come un insolito pellegrinaggio all’interno di quello che già dai vostri primi passi è definito lo specchio del tempo: il corpo. Una serie di volti in gigantografia, infatti, mostra l’avanzare degli anni, le pieghe del tempo, i solchi e le macchie dell’età: la nostra pelle rivela il tempo vissuto. “Dal concepimento alla nascita, dall’infanzia alla gioventù, dall’età adulta alla vecchiaia il cambiamento è l’unica costante” avverte delicatamente una scritta.

Vietatissimo prendere foto. Anonimi più che mai i donatori... non di un solo organo, ma di tutto il loro corpo. E così, ci si aggira per le sale come attorno ad un immenso tavolo anatomico. Non riservato solo a qualche studente di medicina, ma a ben 26 milioni di visitatori, finora...

“Chi legge sa molto, ma chi osserva sa molto di più!”affermava Alexandre Dumas. E qui osservi degli esseri umani che hanno vissuto: i loro corpi privi dell’epidermide mostrano la struttura muscolare rosacea, le ossa scoperte, gli attacchi tendinei, la rete venosa o arteriosa, i filamenti nervosi, gli organi interni. Si librano nell’aria a passo di danza, come quel giovane con una stupenda catena muscolare esposta in ogni dettaglio... Un altro seduto compostamente a un tavolo di scacchi: passandogli accanto puoi osservarne il cervello completamente visibile... Un altro corpo lanciato in avanti cavalca un cavallo anch’esso sezionato e aperto nella sua superba rosea struttura muscolare... Altri due giocando, rugby gladiators, in una tensione inesprimibile mostrano allo scoperto uno splendore di organi e di muscolatura... Una giovane donna, poi, con ancora il suo bambino nel ventre, ben visibile, pare un fotogramma bloccato di una sequenza di vita.

Un’immensa pietas ti prende girando in questo spazio, che attraverso una tecnica di conservazione di avanguardia (plastination), presenta più di duecento corpi umani, in una immota vitalità, con gli occhi aperti nel vuoto... E ti risuona nelle tempie la frase appena letta:“Il vostro corpo è l'arpa della vostra anima. Sta a voi trarne una dolce musica oppure dei suoni confusi.”(K.Gibran) L'importanza di questo strumento di vita, “una meraviglia di contraddizioni: semplice e complesso, vulnerabile e resistente, limite delle nostre esperienze e punto di partenza di potenzialità sconfinate”, come suggerisce una scritta, assume ora un risalto impressionante.

Un silenzio sacro regna in queste sale, dove i passi di ogni visitatore avanzano con rispetto. Si è davanti ad esistenze che hanno terminato davanti ai nostri stessi occhi il loro cammino. Ma tutto ciò non è che uno specchio per chi guarda. Perchè“ognuno entra nel mondo con un corpo per mezzo del quale poter sperimentare, realizzare o rischiare ciò che noi stessi scegliamo!”sottolinea un’altra frase. Si contempla, anche, in vitro l’embrione umano alla sua prima settimana, poi alla seconda... alla settima già con i contorni emozionanti di un bébé, fino alla trentatreesima. Una visione concreta, realistica vi accompagna, in cui lo spirito anglossassone sfoggia tutta la sua passione di osservazione e di attacco pragmatico alla realtà. Patologie pedagogicamente esemplificate non mancano, poi, in particolare gli organi colpiti dal flagello del fumo, dell’alcool, dall'infarto cardiaco...

Più avanti, un settore parla di esseri umani centenari e del loro segreto... Il loro mantra è l’ottimismo, si legge accanto. In fondo, comprendi che è quell’amore incredibile e fiducioso nella vita che sostiene a volte un essere, qualsiasi situazione affronti. Tuttavia Abramo Lincoln, sedicesimo presidente degli Stati Uniti, non raggiungendo lui stesso la sessantina, ricorda asciutto qui al visitatore: “Non sono gli anni di vita che contano... ma la vita negli anni!”

Tutto in questo luogo porta a sbattere frontalmente contro il mistero dell’uomo... e della nostra vecchiaia. Ma“nessuno diventa vecchio semplicemente accumulando degli anni, sottolinea lucidamente Samuel Ullman, lo diventiamo disertando i nostri ideali!” Perchè se“gli anni fanno raggrinzire la pelle, spiega, la perdita di entusiasmo lo fa per l’anima stessa.” Interviene anche la saggezza antica del Talmud: “Noi non vediamo le cose come sono, ma le vediamo come siamo.”

E questo fa ricordare i nostri vecchi quando all’alzarsi di buonora salutavano il giorno con un“Siamo vivi, graziaddio!” Stupendo passaggio dalla morte simbolica del sonno alla vita che ricomincia fatto con stupore! Ripetevano, senza saperlo, il senso delle parole di sant'Ireneo di Lione:“La gloria di Dio è l’uomo vivente” Miracolo quotidiano, fattosi oggi spesso banalità. In un luogo come questo, tuttavia, ognuno ne prende coscienza. Drammaticamente.
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giovedì, maggio 14, 2009

Agrocemento

Viaggio in un territorio che un tempo era definito agro sarnese-nocerino e che ora di agricolo ha conservato ben poco, con 300mila metri quadri cementificati illegalmente su un’area di 158 chilometri quadrati. Negli ultimi 20 anni oltre 27mila persone sono state denunciate per abusi edilizi, in pratica il 10% della popolazione. Negli ultimi 4 anni almeno 300mila mq di terreno agricolo cementificati illegalmente.

LiberaInformazione - Era la terra indiscussa del rosso San Marzano. Situata nel mezzo del bacino idrografico del fiume Sarno, pezzo imponente della Campania Felix, l’oasi felice dell’Agro sarnese-nocerino è oggi una terra martoriata dal sacco edilizio e dalla criminalità. La nuova “primavera”, più volte annunciata, con opere di riqualificazione urbanistica e progetti volti alla riscoperta delle tipicità della sua naturale vocazione agricola, è ancora lontana dal realizzarsi. Quello che balza subito agli occhi è un territorio stravolto dallo sregolato sviluppo industriale degli anni ’50 e ’60, che ha lasciato in eredità essenzialmente le ciminiere degli altiforni che ancora costellano il territorio.

Oggi l’Agro è un’enorme città composta da tredici comuni su una superficie di 158 chilometri quadrati con 285.662 abitanti ed una densità di popolazione pari a 1.807 abitanti per Km2, nella quale negli ultimi quattro anni, secondo i dati delle polizie municipali, almeno 300mila metri quadrati di terreno agricolo sono stati cementificati illegalmente. Così, lo sviluppo urbano forsennato e senza senso ha ulteriormente ampliato le criticità dell’assetto idrogeologico di una zona già storicamente instabile, soggetta ciclicamente a frane e colate di fango (le ultime ferite recenti nei comuni di Sarno, Siano e Bracigliano con 161 morti nel ’98, e a Nocera Inferiore nel 2005 con tre vittime).

Negli ultimi 20 anni, oltre 27mila persone sono state denunciate per abusi edilizi, in pratica il 10% della popolazione residente. Dal 2004 al 2008 per reati legati alle violazioni urbanistiche sono stati iscritti nel registro degli indagati dalla Procura di Nocera Inferiore almeno seimila persone, fra cui 35 tra funzionari comunali e amministratori pubblici (Il Mattino, 10 marzo 2009, dati forze dell’ordine). Scempi edilizi spesso eclissati dietro l’ormai classica definizione di “abuso di necessità”, ma che, invece, con sempre maggiore frequenza consentono di trasformare, grazie a concessioni per uso agricolo, ruderi di campagna in lussuose ville. Così mentre diminuiscono gli abusi realizzati in assenza totale di autorizzazioni, crescono in maniera abnorme le opere costruite in difformità rispetto a quanto dichiarato nella richiesta di concessione. Per il «Sole 24 ore» - in un’inchiesta sull’abusivismo edilizio pubblicata a gennaio 2009 – la provincia di Salerno detiene la maglia nera in Italia in fatto di illeciti ambientali, con ben 93mila particelle che al catasto risultano aree verdi, ma che in realtà sono coperti da cemento illegale. Eloquenti, a tal proposito, i risultati dell’operazione di tutela ambientale denominata “Easy house” dei Carabinieri che, dal novembre 2007 al luglio 2008, hanno passato al setaccio la documentazione relativa alle richieste di concessione ad uso agricolo - già rilasciate o in fase di istruttoria - giacenti presso l’ufficio assetto del territorio del comune di Nocera Superiore, nell’ambito di una vasta inchiesta sui fabbricati rurali trasformati in ville con piscina. Nell’arco delle indagini sono state denunciate ben 171 persone tra cui tecnici comunali, liberi professionisti, imprenditori edili e privati cittadini e sottoposto a sequestro (probatorio e/o preventivo) più di 35 fabbricati rurali, per un valore commerciale presunto di oltre 14 milioni di euro. In un caso (indagine dei Carabinieri del novembre 2008) è stata posta sotto sequestro una scuola dell’infanzia privata che esercitava la propria attività all’interno di uno stabile che da pertinenza agricola era stato illecitamente adibito a attività scolastica. Il pm del Tribunale di Nocera Inferiore Elena Guarino, tra quelli maggiormente impegnati alla procura nocerina in materia di illeciti urbanistici, in un’intervista al Mattino (10 marzo 2009) ha espresso forti dubbi sull’operato dei funzionari comunali. «Se il titolo concessorio rilasciato per una costruzione è illegittimo – ha annotato il pm – vuole dire che i funzionari comunali degli enti pubblici non conoscono perfettamente le norme dei procedimenti oppure potrebbero sussistere collusioni con chi richiede il permesso a costruire». Collusioni che in più di un caso sono state contestate a funzionari comunali. A seguito di un’indagine dello stesso magistrato (conclusa nel dicembre 2008) fu indagato, tra gli altri, un geometra in servizio presso l’ufficio tecnico del Comune di Sarno accusato di aver preteso una “mazzetta” da 10mila euro “offrendosi” di eseguire dal punto di vista tecnico i lavori di costruzione abusiva per conto di due coniugi, garantendo che si sarebbe occupato non solo della questione tecnica e della pratica di condono, ma anche della stessa esecuzione dei lavori. Opere che, a suo dire, sarebbero state completate senza alcun controllo da parte dei vigili urbani. Un silenzio che in realtà non fu mai comprato, visto che gli stessi agenti procedettero regolarmente al sequestro del manufatto.

Episodi di abusivismo che quasi mai si concludono come vorrebbe la legge, ossia con le demolizioni. In cinque di questi tredici comuni (Angri, Nocera Inferiore, Sarno, Scafati, Roccapiemonte) Legambiente Campania ha censito 3479 ordinanze di demolizione emesse a partire dal 1998 (1795 riferite a immobili completamente abusivi). Al 31 dicembre scorso solo 42 ordinanze sono state regolarmente eseguite. In pratica lo 0,8%. La maglia nera tocca al Comune di Nocera Inferiore con mille ordinanze di demolizione emesse e zero eseguite. Sul totale 610 provvedimenti sono stati sospesi a seguito dell’avvio di procedimenti amministrativi presso il Tar. Seguono le città di Scafati (858 immobili da abbattere, la metà completamente abusivi, nessuna esecuzione) e Sarno (800 totali di cui 740 completamente abusivi e solo 20 demolizioni eseguite).

Negli stessi comuni a seguito dei tre condoni (L. 47/85, 724/94 e 269/2003) sono state presentate ben 19474 richieste di condono: sostanzialmente una nuova città di medie dimensioni tutta da ri-mettere in regola. Per la gioia delle casse comunali 11.400 pratiche sono già state accolte e solo 582 respinte. I restanti fascicoli sono ancora in fase di istruttoria, accantonati nei vari uffici comunali. Stavolta i più solerti sono stati i cittadini sarnesi che hanno presentato dall’85 ad oggi 5179 richieste. Tenuto conto che la popolazione sarnese residente si attesta da anni sui 31mila abitanti, in meda quasi uno su tre ha chiesto di essere “condonato”.
>Anche nell’Agro, ovviamente, dietro la speculazione del cemento si è arricchita la criminalità organizzata, molto forte in questa terra anche se apparentemente invisibile, con influenze multiple legate proprio alle particolarità territoriali. La conformazione geografia – nel mezzo di tre province (Napoli, Salerno e Avellino) - ha reso possibile il collegamento, e talvolta aspre guerre – con gruppi criminali di diversa collocazione. Terra di conquista per i clan storici dell’area vesuviana e casertana (di recente è l’allarme della Dda per il nascente interesse del clan dei Casalesi), nonché area di espansione per i nuovi equilibri salernitani e per lo sviluppo dei gruppi dell’avellinese, i Graziano su tutti.

SARNO, STORIA DI UN SACCHEGGIO
Per capire l’interesse delle organizzazioni malavitose in queste zone, occorre fare qualche passo indietro nel tempo. Dove un tempo imperavano Carmine Alfieri e Pasquale Galasso adesso comandano i loro capizona scampati alla decimazione delle cosche, nell’attesa di accaparrarsi nuovi affari. Resi possibili, questi ultimi, da connivenze con le pubbliche amministrazioni o dal clima di terrore instaurato con le stesse. In un territorio ritenuto da sempre una vera e propria roccaforte della camorra campana, il 4 e il 5 marzo 2008, due mesi esatti prima della frana di Sarno, davanti a Ottaviano Del Turco e alla commissione parlamentare Antimafia sfilarono i sindaci dell’Agro nocerino – sarnese e tutti tennero a minimizzare e rassicurare. Il coro fu rotto solo dall’allora Sindaco di Sarno Gerardo Basile, il quale disse ai senatori e deputati venuti da Roma che «non appena si è saputo della possibile approvazione del piano regolatore, sono iniziati i primi problemi», una possibilità che lo spaventava e, infatti, si era «fermamente opposto ad essa in consiglio comunale», perché avrebbe potuto riaprire «vecchi appetiti». Perché questa ammissione di paura? È più che noto che l’attuale collaboratore di giustizia Pasquale Galasso, nel periodo in cui era a capo di una delle maggiori cosche campane, faceva affari nella città di Sarno, dove la famiglia gestiva una concessionaria e esercitava sulle vicende edilizie di quel comprensorio un controllo totale. A conferma di ciò, il 23 giugno del ‘93 il presidente Scalfaro decise di sciogliere il consiglio comunale sarnese proprio per la palese sottomissione del Comune ai camorristi: nella camera da letto della casa di Galasso era stata trovata una copia autentica del piano regolatore della città.

Tornando a quella seduta della commissione antimafia, il 16 maggio del 1998 sul Corriere della Sera comparirono i verbali ancora riservati dell’audizione del sindaco Basile, nella quale lanciò timori anche rispetto all’apparato burocratico dell’ente. «Tutti i funzionari coinvolti sia nel dissesto del Comune sia nelle attività che hanno portato allo scioglimento del consiglio sono rimasti al loro posto e non è stato adottato alcun provvedimento nei loro riguardi. Ditemi come può un sindaco operare in queste condizioni: ha le mani legate! Il sindaco, infatti, oggi ha senz’altro potere, ma chi comanda veramente sono i funzionari». E ancora: «Le questioni relative alla confisca dei beni Galasso... riguardano anche Sarno, dove ci sono alcuni immobili, anche perchè, oltre a Pasquale Galasso, vi sono i suoi cugini, Ciro e Antonio Galasso. Molto spesso è arrivata e continua ad arrivare notizia di sentenze con le quali vengono condannati questi personaggi. Però i loro beni, nonostante sia in atto l’operazione di confisca e il Comune si sia offerto di assicurarne una destinazione, non sono stati ancora affidati. Che garanzia ha il sindaco che prende in consegna questi beni?». Dalla lettura dei verbali appare un sindaco quasi terrorizzato. «Parlo così perché ultimamente anch’io ho subito qualche torto e mi sono pervenute lettere minatorie... Ritengo che siano atti fantasiosi di qualcuno che ha voluto scherzare, comunque non era mai avvenuto prima. Proprio in questo momento, invece, in cui sono prossimi l’approvazione del piano regolatore, nuovi insediamenti industriali e la realizzazione di importanti lavori, mi arrivano minacce volte a farmi consegnare le dimissioni». Parole, vale la pena ricordare, che sono state pronunciate prima ancora dell’evento tragico del maggio ’98, che dopo i morti e la distruzione fece riversare sul quel comune una pioggia di finanziamenti che risvegliò ancora di più gli interessi delle organizzazioni camorristiche.

E quando lingue di terra e acqua si staccarono impetuose dal Monte Saro, le ditte in odore di camorra sono erano già lì, alcune addirittura pronte a spalare il fango. Non si contano, negli anni successivi, gli attentati incendiari ai cantieri, le minacce agli imprenditori. Quando poi l’imprenditore-camorrista inciampava in un prefetto che bloccava ogni piano, non rilasciando il certificato antimafia perché pronto a captare la presenza del clan, ecco pronta la via alternativa, quella che non prevede neppure i controlli: il nolo a freddo. Scattava così il meccanismo del noleggio di macchinari e manovalanza all’impresa aggiudicataria, solitamente di caratura nazionale e lontana da ogni sospetto. Un subappalto occulto, un metodo sicuro per dribblare veti e verifiche e lavorare ugualmente per conto dell’organizzazione camorristica. Le inchieste della magistratura negli anni successivi al ’98 puntano proprio su questo. Vennero eseguite decine di arresti nei comuni colpiti da quella sciagura. Il 3 giugno del 2004, nel giorno stesso in cui il giudice del Tribunale di Nocera Inferiore, Bartolomeo Ietto, leggeva la prima sentenza di assoluzione per il sindaco Basile, accusato di omicidio colposo plurimo per il mancato sgombero della popolazione nella notte fra il 5 e il 6 maggio ‘98 (sarà poi assolto anche in Appello nel settembre del 2008), la Dia diede esecuzione all’Operazione “Ametista” che permise di colpire al cuore un clan collegato alla famiglia Graziano di Quindici. Tredici ordinanze di custodia cautelare notificate, tre noti imprenditori edili finiti nella rete accusati di favoreggiamento, per aver avuto un atteggiamento omertoso al cospetto degli inquirenti. Quello che alla fine hanno smascherato gli inquirenti è il tentativo di infiltrazione della camorra nei lavori per la ricostruzione e la messa in sicurezza delle zone di Sarno, Siano, Bracigliano e Quindici. In particolare, l’azione investigativa consentì di seguire l’evoluzione degli equilibri criminali nella zona, con il progressivo, capillare ingresso del clan di Quindici nella gestione delle attività estorsive ed il tentativo, da parte del gruppo Graziano, di conquistare il controllo totale sui lavori di ricostruzione, in particolare del nuovo ospedale Villa Malta e dei canali di regimentazione delle acque: uno sgarro al clan Serino, egemone fino ad allora nel territorio sarnese.

Altro che territorio tranquillo, come da più parti si vorrebbe far intendere. Così mettere mano a “questioni importanti”, come redigere il piano regolatore (Puc) a Sarno, può significare dare sfogo agli appetiti dei clan. Sarà un caso ma dal 1972 – anno in cui venne approvato un piano di fabbricazione, ormai del tutto inadeguato alle esigenze del territorio – la città di Sarno non riesce ad avere un proprio piano regolatore generale. Eppure, ultimamente, qualche tentativo c’era stato. Nel 2002 l’allora amministrazione comunale sarnese (ampia coalizione di centro sinistra) indisse un concorso internazionale per scegliere il progettista cui affidare l’importante lavoro. Fu scelto il gruppo capeggiato da Stefano Boeri, architetto e phd, già il direttore della rivista Domus e docente di Progettazione urbana presso la Facoltà di Architettura di Venezia. Un personaggio di spicco nel panorama internazionale che faceva ben sperare. Boeri e il suo staff avviarono una “progettazione partecipata”, un modo nuovo di intendere la redazione del piano, partendo dal basso, incontrando cittadini, associazioni, comitati di quartiere, in una serie di “passeggiate” nelle diverse aree del paese. Un anno e mezzo dopo, però, quel consiglio comunale fu sciolto, sotto i colpi della stessa lacerata maggioranza. Dopo un anno di commissariamento le urne decretarono la vittoria di compagine dell’opposto schieramento politico. Il sindaco, eletto nelle fila di Forza Italia, dichiarò subito – per senso di continuità – la piena fiducia all’architetto milanese. Ma sembrò fin da subito un rapporto più di odio che d’amore. Una “unione forzata” sfociata, infatti, qualche mese fa, con le dimissioni di Boeri. E con accuse dure del progettista: «Com’è noto – scrisse il tecnico in una lettera indirizzata al Comune - nel dicembre del 2005, avevamo presentato al consiglio comunale la bozza del piano urbanistico, che proponeva di bloccare lo sviluppo urbano nella piana agricola, di combattere l’abusivismo spostando risorse sul recupero dei centri storici, di valorizzare le attività produttive, di salvaguardare il paesaggio montano e fluviale. Oltre che naturalmente di impedire qualsiasi nuova costruzione o ristrutturazione nelle zone a rischio di smottamento». Ma questo progetto «non è mai stato seriamente discusso dal consiglio comunale, né la sua approvazione è stata messa all’ordine del giorno della giunta comunale. Al contrario, in questi 3 anni sono state rilasciate un numero spropositato di concessioni edilizie (ben 53 nuove concessioni nell’area urbana e 29 nelle zone agricole), senza chiederci un parere preventivo. E’ bene ricordare che molte di queste licenze sono totalmente in contraddizione con gli indirizzi della bozza di preliminare. Non solo: non ci è stata mai fornita la mappatura aggiornata dell’abusivismo edilizio che avevamo più volte richiesto. Ancora più grave è stata la scelta del Comune, nel luglio 2005, di approvare una delibera, con il voto unanime dei consiglieri, che rende abitabili (a soli 10 anni dall’alluvione!) tutti i piani interrati. Una scelta che ci è stata comunicata a delibera votata». Prima di lasciare Boeri l’aveva lanciata grossa: «Per sei mesi basta concessioni edilizie – chiese l’architetto al consiglio comunale. In attesa di redigere, entro sei mesi massimo, il nuovo puc è necessario bloccare ogni provvedimento edilizio che autorizzi o consenta la realizzazione di interventi che determino un aumento del carico insediativo sul territorio del comune». Così da puntare al recupero delle tantissime unità abitative (circa 3000 censite dallo studio di progettazione) abbandonate e lasciate dal semplice degrado al totale abbandono. Boeri volle, inoltre, rendere pubblico quanto accaduto a Sarno scrivendo una lettera al direttore del Corriere del Mezzogiorno (apparsa a pagina 15 il 31 gennaio scorso): «Proprio la gravissima condizione in cui versano i territori della piana del fiume Sarno – scrisse l’architetto - ci spinge, prima di abbandonare il nostro incarico, a denunciare pubblicamente e con forza l’atteggiamento irresponsabile della giunta e del consiglio comunale di fronte alla possibilità di approvare — dopo più di 30 anni di assenza — un piano urbanistico in grado di valorizzare e finalmente salvaguardare un territorio ferito non solo dalle catastrofi naturali, ma anche dalle inadempienze degli uomini».

Il Comune di Sarno ha già annunciato di procedere a una richiesta di risarcimento: il tecnico milanese, poco più che incompetente per gli amministratori locali, non avrebbe rispettato tempi e modalità di lavoro previsti dal contratto.

Certo è che il tragico evento del maggio ’98 poco o nulla ha insegnato ai cittadini sarnesi. In quell’anno i cantieri abusivi scovati dai Vigili Urbani furono 74, tra opere completamente, parzialmente abusive e violazioni di sigilli. Da allora, come se nulla fosse accaduto, si è continuato a costruire in altre zone. Nel 2003 i sequestri furono più di 400, l’anno successivo 300 e altrettanti fino al 2008.
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giovedì, maggio 14, 2009

Gli Alleati sapevano dell'Olocausto già dal 1941

del nostro collaboratore Carlo Mafera

Qualche anno fa il Washington Post pubblicò i testi segreti dei telegrammi che i capi nazisti inviavano a Berlino nel 1941. Questi telegrammi fanno parte di un archivio di documenti segreti intercettati dagli Stati Uniti e dalla Gran Bretagna. Da questi messaggi si evince che le potenze occidentali sapevano che i nazisti stavano facendo stermini di massa. Particolare inquietante è che il governo britannico non ne fece alcun uso nè si confrontò con il governo statunitense che era alla ricerca di riscontri oggettivi riguardo al genocidio per intraprendere iniziative atte a impedirlo.

Si era sempre creduto che la scoperta del piano hitleriano risalisse all’anno in cui furono costruiti Buchenwald e Auschwitz (1942), ma i testi dei telegrammi non lasciano più dubbi. Le azioni di pulizia etnica affidate alle SS ma anche alla polizia municipale tedesca iniziarono nel 1941 con la conquista dei territori dell’est europeo (Paesi baltici, Bielorussia e Ucraina). Alcuni di questi telegrammi recitavano più o meno così: “il totale delle esecuzioni nel territorio sotto il mio comando supera ormai le trentamila unità”. Molto probabilmente gli Inglesi non vollero fare nulla per non avere effetti controproducenti sul proprio protettorato in Palestina e sui rapporti con il mondo arabo e fecero trapelare, nelle loro dichiarazioni ufficiali, notizie generiche relative ad atrocità e violenze nei confronti delle popolazioni occupate senza fare alcun riferimento allo sterminio del popolo ebraico.

Indubbiamente c’era un enorme difficoltà ad intervenire a favore degli ebrei e c’era un grande imbarazzo tra gli alleati per collocare la grande massa dei deportati. Difficile infatti sarebbe stato il loro sostentamento nei paesi anglosassoni limitrofi già oggetto di emigrazione spontanea negli anni trenta. Gli Inglesi cercarono di scongiurare l’eventualità di trasferire i profughi in Palestina per non cambiare i fragili equilibri del protettorato. Altre strade vennero studiate senza grande convinzione come quella di ipotizzare un trasferimento nel nord Africa ma mancavano i mezzi per realizzare tale progetto. Una soluzione venne trovata nella disponibilità della Svezia di accogliere 20.000 bambini ebrei polacchi, ma le condizioni che i Tedeschi apponevano erano inaccettabili e quindi anche questa ipotesi fu abbandonata.

Gli alleati organizzarono la Conferenza di Bermuda nel 1943 per esaminare le concrete possibilità di azione a favore degli Ebrei ma si concluse con poca cosa: l’evacuazione di alcune migliaia di ebrei dalla Bulgaria per trasferirli in Nord-Africa. Le linee che furono delineate dai governi inglese e statunitense più volte dichiarate da Churchill e da Roosevelt consistevano in due punti e cioè: affrettare la fine della guerra e soprattutto minacciare l’istituzione di grandi processi che, a guerra finita, avrebbero portato in giudizio i criminali nazisti. Tale affermazione aveva la funzione di spezzare l’identificazione tra criminali e popolazione tedesca che avrebbe avuto un incentivo a prenderne le distanze.

A proposito dei processi celebrati dopo la guerra, è interessante notare che anche in quella sede non furono utilizzate le intercettazioni relative agli stermini degli ebrei nel 1941. Non furono quindi individuate le responsabilità della polizia municipale tedesca (ORPO) che quindi continuò ad operare anche dopo la guerra senza quindi essere depurata dalla sua componente nazista. Probabilmente nel processo di denazificazione e di colpevolizzazione della Germania in merito alla vicenda dell’Olocausto, la pubblicizzazione delle citate intercettazioni svolte nel 1941, avrebbe sì aumentato le gravissime responsabilità a carico dei criminali nazisti ma nello stesso tempo, avrebbe scoperto l’altrettanto grave peccato di omissione degli alleati che, pur sapendo già dal 1941, poco fecero per evitare lo sterminio.

Addirittura un recente studio di Edwin Black, L’IBM e l’Olocausto, ha documentato la funzione essenziale della tecnologia IBM nel preparare i censimenti indispensabili per realizzare la “soluzione finale” attraverso le famose schede perforate. Quindi ci troviamo di fronte non soltanto a delle gravi omissioni da parte degli alleati, ma di un vera e propria collaborazione con le autorità naziste nel diabolico piano di distruzione del popolo ebraico da parte di una delle più prestigiose imprese degli Stati Uniti. E’ curioso come i dirigenti della IBM sapessero cose che il governo degli Stati Uniti stentava a trovare mediante quei “riscontri oggettivi” già menzionati. Purtroppo la sete di denaro calpesta qualsiasi regola etica.

Come ho cercato di fare presente nei miei precedenti articoli, anche in questo desidero far comprendere che il bene e il male non sono mai divisi nettamente e che c’è sempre una corresponsabilità più o meno grande in ogni evento. Compito dello storico è la ricerca della verità addebitando o accreditando a ciascuna parte la sua dose di colpa o di ragione.
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giovedì, maggio 14, 2009

Emirati: aperta un'inchiesta sul fratello dello sceicco

In un video trasmesso da un network Usa il principe tortura un uomo afgano



PeaceReporter - Il Dipartimento di giustizia di Abu Dhabi ha aperto un'inchiesta per il video nel quale si vede Issa bin Zayed al-Nahyan, fratello del presidente degli Emirati Arabi Uniti, mentre tortura un uomo. E' stato reso noto in un comunicato ufficiale, diffuso dall'agenzia di stampa Wam. Il Public Prosecution Office, dunque, condurrà ''un'indagine immediata, vasta e approfondita sull'accaduto - si legge nel comunicato dell'organo inquirente degli Emirati - e attuerà tutte le azioni legali come previsto dalla normativa del Paese''.

L'inchiesta è stata voluta, prosegue la nota, "per assicurare che i diritti umani vengano rispettati e perché le leggi siano applicate nello stesso modo verso tutti i cittadini, con trasparenza ed equità. In questo modo il Paese prosegue nel suo sforzo per rispettare la Costituzione e assicurare che ogni individuo sia trattato imparzialmente e possa avere un processo equo". Nel frattempo Issa bin Zayed al-Nahyan, come le altre persone presenti nel video, tra cui diversi poliziotti, sono stati sospesi dagli incarichi pubblici e hanno il divieto di lasciare il Paese.

La decisione è stata presa dopo il report presentato dall'Ufficio per i diritti umani degli Emirati, organismo del Dipartimento di giustizia di Abu Dhabi, che ha esaminato il video, ascoltato i presenti coinvolti e incontrato la vittima: un uomo d'affari afgano che, secondo quanto riferisce il Dipartimento, sarebbe stato aggredito e torturato a causa di un disputa su una somma di denaro. Il video integrale é di 45 minuti ed è stato trasmesso dal network statunitense Abc news e poi circolato sul web, mostra chiaramente il fratello dello sceicco mentre picchia l'uomo, lo prende a calci e gli riempie la bocca di sabbia. Il video era stato trafugato da Bassam Nabulsi, ex socio in affari della famiglia reale, e trasmesso dal network televisivo statunitense alcune settimane fa.

L'Ufficio per i diritti umani ha inoltre dato il via libera alla costituzione di un'unità specializzata che, in futuro, sarà responsabile delle denunce di violazione dei diritti umani; non solo: il Dipartimento di Giustizia ha fatto sapere che è partito un progetto di formazione specializzata sui diritti internazionali in tutti gli Emirati, a partire dagli istituti di formazione giuridici e dalle accademie di polizia. Il Dipartimento ha infine dichiarato che è ''un diritto di ogni cittadino sporgere denuncia alle autorità competenti ogni volta che diritti e libertà non vengono rispettati, come previsto dall'articolo 41 della Costituzione''.
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giovedì, maggio 14, 2009

Somalia, civili in fuga

Almeno 17.000 sfollati hanno lasciato Mogadiscio dallo scorso sabato

PeaceReporter - Almeno 113 morti e centinaia di civili in fuga. E' questo il bilancio degli scontri che hanno insanguinato la capitale somala Mogadiscio negli ultimi giorni, e che hanno dato un'altra spallata al già fragile processo di pace. L'esercito somalo e i miliziani dello Shabaab si sono affrontati a colpi di mortaio nella zona meridionale della città. Secondo fonti locali, le milizie islamiche starebbero ammassando truppe ai confini del centro abitato.

Secondo la locale Elman Human Rights Organization, più di 17.000 persone avrebbero lasciato la capitale da sabato scorso ad oggi. Cosa ancora più grave, buona parte dei civili in fuga sarebbero scappati da Mogadiscio senza una meta precisa e senza la garanzia di un'assistenza umanitaria che, nel Paese, si sta facendo sempre più difficile. Dal 1991 priva di un governo che riesca a controllare il territorio, la Somalia è attualmente spaccata tra la zona meridionale, in mano alle milizie islamiche, e i dintorni di Mogadiscio, parzialmente in mano del governo di transizione guidato dal presidente Sheikh Sharif Ahmed. Ex leader delle Corti islamiche, il nuovo capo di stato, eletto lo scorso gennaio, era stato presentato come l'unica personalità in grado di riportare gli estremisti islamici al tavolo delle trattative.

Finora, però, gli eventi hanno raccontato una storia diversa. In lotta ormai da tre anni contro il governo di transizione, i miliziani dello Shabaab non hanno mai riconosciuto l'autorità della presidenza Sharif, ribadendo più volte di non essere interessati a intavolare trattative con le autorità somale. Questo nonostante la partenza delle truppe etiopi che, fino alla fine dell'anno scorso, sostenevano il governo, e il cui ritiro dalla Somalia era stato indicato dallo Shabaab come una precondizione per avviare un dialogo.

A séguito degli scontri, il presidente ha rinnovato la sua fiducia nei confronti del governo, accusando le milizie islamiche di essere al soldo di destabilizzatori esterni. Gli insorti, che nei mesi scorsi hanno scavato la terra sotto ai piedi delle autorità somale, prendendo il controllo di buona parte del sud del Paese e di alcuni quartieri della capitale, non sono mai riusciti a scagliare un attacco decisivo contro la città. A difendere Mogadiscio, oltre alle truppe somale, ci sono solo alcune migliaia di berretti verdi dell'Unione Africana, impegnati in una missione di pace resa estremamente difficile dai continui combattimenti e dall'esiguità delle forze in dotazione. Almeno per il momento, le Nazioni Unite non hanno infatti intenzione di inviare propri contingenti in un Paese così instabile.
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giovedì, maggio 14, 2009

Continuiamo a proclamare la Buona Notizia

Messa a Nazareth. Il saluto di mons. Chacour: continuiamo a proclamare la Buona Notizia nonostante le grandi difficoltà e il dolore per l'esodo di tanti cristiani.

RadioVaticana - Nello splendido scenario del Monte del Precipizio a Nazareth, che si apre ad anfiteatro sulle colline della Galilea, il Papa presiede la Messa per la conclusione dell’Anno della Famiglia indetto dalla Chiesa cattolica in Terra Santa. 40 mila i fedeli presenti. Al termine del rito la benedizione delle Prime pietre del Centro internazionale della Famiglia, del Parco memoriale Giovanni Paolo II e della University of Pope Benedict XVI. All’inizio della Messa l’ordinario greco-melkita per la Galilea Elias Chacour ha rivolto al Papa l’indirizzo di saluto. Ne diamo un’ampia sintesi.

Santità,
A nome mio e a nome delle Chiese Cattoliche nella Terra Santa e a nome di tutti i presenti, porgo un saluto caloroso dicendo: “Benedetto Colui che viene nel nome del Signore”. Cristo e risorto! Lui è veramente risorto. Questo è il nostro auguro pasquale a Sua Santità, proclamato dalle nostre Chiese antiche.

Questo Cristo risorto dai morti è il Figlio di questo nostro Paese, figlio di Nazareth, di questa Nazareth che saluta Sua Santità con gioia e amore filiale. Infatti, qui a Nazareth il Verbo si è fatto carne per venire ad abitare tra noi.

Santità, la Chiesa della Galilea custodisce sempre l’alleanza della Resurrezione, proclamando continuamente la Buona Notizia nonostante le grandi difficoltà e i pericoli che minacciano la sua presenza in Terra Santa. L'esodo dei cristiani ci angoscia con dolore e ci mostra una prospettiva poco incoraggiante. Santità, abbiamo bisogno delle sue preghiere e del suo sostegno morale e spirituale. Gli sfollati di ”Bourom e Ikreth”, qui presenti, aspettano con speranza un sostegno per poter ritornare ai loro villaggi e vivere nelle loro case così come fanno gli altri cittadini di questo Paese.

Noi abbiamo un grande amore per San Pietro di cui Lei, per la grazia di Dio, è il degno Successore. Ringraziamo Dio per la comunione profonda con la Santa Sede. In tutta umiltà vogliamo annunciare la nostra fede davanti al mondo intero: Tu sei la pietra e su questa pietra Gesù ha costruito la sua Chiesa, e le porte degli inferi, molte nei nostri giorni, non prevarranno.

Ringraziamo Sua Santità per la benedizione della Prima pietra del Centro Mondiale per la famiglia cristiana nella città della Santa Famiglia, Nazareth. Si tratta della Prima pietra della prima istituzione accademica araba cristiana in Terra Santa così come in Galilea e in Israele. Siamo lieti per aver permesso di dare il suo nome a quest’Università, che si chiama appunto “Università Papa Benedetto XVI”. Ringraziamo il Consiglio israeliano per l’Insegnamento superiore per il suo riconoscimento di questa istituzione accademica. Continuiamo ad aspettare sempre più sostegno dalle autorità israeliane, come cittadini di questo Paese: siamo convinti che rispetteranno i nostri diritti. Le nostre istituzioni educative, le nostre scuole sono la nostra prima priorità perché questo è lo strumento per diffondere il messaggio di Cristo, per diffondere lo spirito di riconciliazione. Le nostre scuole lottano per la sopravvivenza, fanno grandi sacrifici, ma andiamo avanti: le nostre scuole sono di altissimo livello.

La ringraziamo per la sua presenza tra noi. Così Lei rinnova la presenza del grande Figlio di Nazareth. Dio benedica questa sua presenza. Continui ad essere nostro padre, padre dei discepoli di Cristo nella terra di Cristo. Stiamo camminando sulle sue orme. Vogliamo giustizia e rettitudine per godere della pace e della sicurezza per tutti.
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mercoledì, maggio 13, 2009

Si ricorda Peppino Impastato, ma il paese dov'è?

Il Forum antimafia sembra non rompere il muro dell’indifferenza

Liberainformazione - Sono passati ormai 31 anni da quel lontano 9 maggio 1978, in cui furono ritrovati in un’alba tersa i poveri resti di Peppino Impastato, militante di sinistra e uomo di cultura e impegno civile, ucciso dalla mafia del luogo che aveva fretta di tappargli la bocca. A pochi giorni di distanza si dovevano tenere le elezioni per il rinnovo del consiglio comunale e Peppino minacciava di diventare una vera spina nel fianco per i mafiosi e i loro complici istituzionali. I killer mandati da Tano Badalamenti legarono il suo corpo ridotto in fin di vita sui binari della ferrovia, perché si potesse accreditare il depistaggio fin dalle prime ore dal ritrovamento: un attentato finito male, una bomba esplosa nelle mani del vile attentatore, questa la prima spiegazione data alla tragedia. Una tragedia che si aveva fretta di liquidare anche perché concomitante con il ritrovamento del cadavere di Aldo Moro, ucciso dalle Brigate Rosse. Ci sono voluti più di due decenni di impegno civile della famiglia e dei compagni di Peppino perché gli fosse restituito pienamente l’onore che tocca al militante caduto in battaglia e la verità scomoda fosse finalmente accertata prime nelle aule parlamentari e poi in quelle di tribunale: Impastato venne ucciso perché aveva ben chiaro i meccanismi di infiltrazione mafiosa in quel territorio e aveva dimostrato in passato, con la sua variegata attività di impegno politico e civile, di saper denunciare gli interessi delle cosche senza guardare in faccia a nessuno.

Raggiunta la verità storica – che una volta tanto è coincidente con quella ottenuta in sede giudiziaria ed è questo un fatto davvero degno di rilevanza in un paese come il nostro – oggi, a distanza di oltre trent’anni, si rinnova ancora il ricordo con il Forum sociale antimafia che, come ogni anno, si celebra a Cinisi, il paese dove Peppino si spese e dove trovò la morte. Dibattiti e approfondimenti che, a partire dalle riflessioni elaborate da Impastato, hanno l’obiettivo ambizioso di allargarsi alla proposta per rafforzare il versante del contrasto alle mafie.

Anche quest’anno si è parlato di diversi temi d’attualità, i più vari, perché varia e poliedrica era l’anima del giovane di Cinisi: l’ambiente (dalla realizzazione del Ponte sullo Stretto all’emergenza rifiuti in Campania, passando per alcune campagne di mobilitazione, quale quella per la smilitarizzazione della base di Sigonella); il diritto al lavoro (dalla dimensione della precarietà alla fase di recessione mondiale, passando per la condanna della finanza e delle banche), l’antifascismo (con la presentazione di alcune esperienze di resistenze sociali di fronte alle nuove forme di neofascismo e razzismo, sempre in agguato nel Belpaese), i temi internazionali (con l’anteprima nazionale del nuovo video di Fulvio Grimaldi sulla Palestina dal titolo “Araba fenice, il tuo nome è Gaza”); la lotta alla mafia (dall’impegno della magistratura più impegnata alle prospettive dell’educazione alla legalità nelle scuole). A questi momenti di incontro e dibattito, si sono affiancate nel programma le numerose esibizioni di musicisti, artisti e teatranti, nella logica di alternare musica e cultura, gioia e riflessione, per favorire il pensiero libero, secondo uno degli insegnamenti più importanti lasciatici dal coraggioso antagonista di Badalamenti. Il 9 sera hanno concluso il loro entusiasmante tour in giro per l’Italia i Modena City Ramblers: quattordici tappe in quindici giorni in luoghi simbolo della lotta alle mafie, perché luoghi dove lo Stato con la legge 109 del 1996 ha restituito alla collettività i beni confiscati alle cosche. Il concerto nella piazza principale di Cinisi è stato un grande momento di festa collettivo, impreziosito dalle esibizioni di Fabrizio Varchetta e Zen.it PosseIl momento più importante del Forum dal punto di vista politico e civile, però, è stato il corteo del 9 pomeriggio che ha visto affluire alcune migliaia di persone e sfilare dalla vecchia sede di Radio Aut a Terrasini a Casa Memoria Impastato, in quel di Cinisi. Un corteo variopinto e festoso, animato da slogan e musica contro la mafia, slogan e musica per ricordare quanti, come Peppino, si sono battuti per liberare la società dall’ipoteca delle mafie e della collusione con politica e affari.

Nelle quattro giornate di Cinisi, si è avuto inoltre la possibilità di presentare due testi che restituiscono con modalità e linguaggi diversi la cifra dell’impegno di Impastato. >Stiamo parlando del libro scritto a quattro mani da Franco Vassia e Giovanni Impastato dal titolo “Resistere a Mafiopoli. La storia di mio fratello Peppino Impastato” (Stampa Alternativa, Viterbo 2009). Il fratello di Peppino, oltre ad essere anima e cuore del Forum insieme a Salvo Vitale e Umberto Santino, gira instancabilmente per l’Italia per trasmetterne il messaggio politico e civile e per la prima volta rivela alcuni particolari inediti dei rapporti familiari, a partire dalla controversa relazione con il padre. >L’altro libro è invece un fumetto realizzato da Marco Rizzo e Lelio Bonaccorso dal titolo “Peppino Impastato. Un giullare contro la mafia” (Beccogiallo Editore, Padova 2009): centoventi pagine in bianco e nero, con la prefazione di Lirio Abbate, per ricostruire a fumetti la figura di Peppino, grazie alle testimonianze inedite degli amici e soprattutto del fratello Giovanni. Senza cadere nella tentazione di ricalcare il copione de “I cento passi”, il fumetto sembra costituire una ottima occasione per raggiungere un pubblico nuovo, composto per lo più da giovani che ancora non conoscono la storia raccontata nel film dal regista Marco Tullio Giordana Un’ultima considerazione ci sembra doverosa anche se scomoda. Nonostante lo sforzo dei familiari e degli amici di esportare fuori da Cinisi la figura e il messaggio di Peppino Impastato, ancora oggi , dopo oltre trent’anni, sembra irrisolto il rapporto con il paese. Per quanti sono venuti da fuori è sembrato fin troppo evidente che la manifestazione si svolgesse quasi su un altro piano, senza un reale coinvolgimento dei compaesani di Impastato. E la troppa indifferenza è spesso e volentieri colpevole, anche e soprattutto in terra di mafia.

di Lorenzo Frigerio

... (continua)
mercoledì, maggio 13, 2009

Il coraggio dimenticato

Estratto dall'articolo di Roberto Saviano di oggi su Repubblica

Liberainformazione - Questa mattina Roberto Saviano ha scritto di "coraggio dimenticato", la stessa riflessione che continuiamo a farci da circa un anno. Da quando, a Castelvolturno e Rosarno, gli "Africani" ci hanno insegnato il coraggio della dignità, quella che non hanno perso, nonostante le condizioni in cui si vedono costretti. In questa Italia che, volente o nolente, è divenuta multietnica, le parole di Saviano danno voce e respiro a quell'idea che comincia a divenire sempre meno una provocazione e sempre più una speranza di cambiamento: "Gli Africani salveranno Rosarno. E probabilmente anche l'Italia"

E poi a Rosarno. In provincia di Reggio Calabria, uno dei tanti paesini del sud Italia a economia prevalentemente agricola che sembrano marchiati da un sottosviluppo cronico e le cui cosche, in questo caso le 'ndrine, fatturano cifre paragonabili al PIL del paese.
La cosca Pesce-Bellocco di Rosarno, come dimostra l'inchiesta del GOA della Guardia di Finanza del marzo 2004, aveva deciso di riciclare il danaro della coca nell'edilizia in Belgio, a Bruxelles, dove per la presenza delle attività del Parlamento Europeo le case stavano vertiginosamente aumentando di prezzo. La cosca riusciva a immettere circa trenta milioni di euro a settimana in acquisto di abitazioni in Belgio.
L'egemonia sul territorio è totale, ma il 12 dicembre 2008, due lavoratori ivoriani vengono feriti, uno dei due in gravissime condizioni. La sera stessa, centinaia di stranieri - anche loro, come i ragazzi feriti, impiegati e sfruttati nei campi - si radunano per protestare. I politici intervengono, fanno promesse, ma da allora poco è cambiato. Inaspettatamente, però, il 14 di dicembre, ovvero a due soli giorni dall'aggressione, il colpevole viene arrestato e il movente risulta essere violenza a scopo estorsivo nei riguardi della comunità degli africani. La popolazione in piazza a Rosarno, contro la presenza della 'ndrangheta che domina come per diritto naturale, non era mai accaduto negli anni precedenti.
Eppure, proprio in quel paese, una parte della società, storicamente, aveva sempre avuto il coraggio di resistere. Ne fu esempio Peppe Valarioti, che in piazza disse: "Non ci piegheremo", riferendosi al caso in cui avesse vinto le elezioni comunali. E quando accadde fu ucciso. Dopo di allora il silenzio è calato nelle strade calabresi. Nessuno si ribella. Solo gli africani lo fanno. E facendolo difendono la cittadinanza per tutti i calabresi, per tutti gli italiani. Difendono il diritto di lavorare e di vivere dignitosamente e difendono il diritto della terra. L'agricoltura era una risorsa fondamentale che i meccanismi mafiosi hanno lentamente disgregato facendola diventare ambito di speculazioni criminali. Gli africani che si sono rivoltati erano tutti venuti in Italia su barconi. E si sono ribellati tutti, clandestini e regolari. Perche da tutti le organizzazioni succhiano risorse, sangue, danaro.
Sulla rivolta di Rosarno, in questi giorni, è uscito un libretto assai necessario da leggere con un titolo in cui credo molto. "Gli africani salveranno Rosarno. E, probabilmente, anche l'Italia" di Antonello Mangano, edito da Terrelibere. La popolazione africana ha immesso nel tessuto quotidiano del sud Italia degli anticorpi fondamentali per fronteggiare la mafia, anticorpi che agli italiani sembrano mancare. Anticorpi che nascono dall'elementare desiderio di vivere.

*da "Repubblica del 13 maggio 2009"
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mercoledì, maggio 13, 2009

Firenze celebra l'arrivo dei primi francescani

L'Ordine Francescano celebra quest'anno gli 800 anni dall' "approvazione della forma di vita"

I francescani provenienti da tutta la Toscana (frati, suore, terziari) e alcune migliaia di giovani si riuniranno a Firenze, dal 14 al 17 maggio, per ricordare l'arrivo dei primi seguaci di San Francesco nel capoluogo toscano. Nel 1209, arrivati nel capoluogo toscano, Bernardo e Egidio, seguaci del Santo di Assisi, furono accolti presso Porta San Gallo. Un affresco trecentesco raffigura l'entrata dei frati Minori in città e le fonti francescane ricordano che vennero scambiati per mendicanti, ma rifiutarono l'elemosina dichiarando di essere poveri per scelta. L'Ordine Francescano, che celebra quest'anno gli ottocento anni dall' "approvazione della forma di vita", conta nel mondo circa 400 mila religiosi e religiose e 400 mila laici, e continua anche oggi ad esercitare un grande fascino, grazie all'intuizioni evangeliche del poverello di Assisi.

I dettagli del programma dei festeggiamenti sono stati presentati questa mattina in Palazzo Vecchio dal vicesindaco, padre Paolo Fantaccini (ministro provinciale ordine francescano minori), padre Luciano Baffigi (ministro provinciale ordine francescano minori cappuccini), padre Antonio Di Marcantonio (ministro provinciale ordine francescano minori conventuali). Quattro giorni di festa per celebrare una data storica ma anche un momento per riunire la grande famiglia francescana. Giovedì pomeriggio, alle 17, nel Salone dei Cinquecento di Palazzo Vecchio, è prevista una tavola rotonda: monsignor Rino Fischella interverrà sull' 'Attualità del messaggio francescano', il professor Franco Cardini sull' 'Arrivo e significato dei primi francescani'.

Alle 17 di venerdì, in Santa Croce, ci sarà la cerimonia solenne per accogliere nella basilica, proveniente da Assisi, il testo della Regola francescana. Dopo la riflessione spirituale di padre Raniero Cantalamessa, ci sarà il rinnovo della professione religiosa da parte della famiglia francescana nelle mani dell' arcivescovo di Firenze, Giuseppe Betori. Sabato, sempre in santa Croce, pomeriggio e serata di festa con canti e testimonianze. Alle 19 è previsto il concerto del gruppo 'Janua Coeli', alle 21.15 il musical su San Francesco 'Hai guardato me'. Alle 11 di domenica, infine, solenne celebrazione eucaristica nella basilica di santa Croce, presieduta dall'arcivesvovo Gianfranco Gardin, segretario della congregazione per la vita consacrata.

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mercoledì, maggio 13, 2009

Iniziativa dell’associazione Rondine per i giovani e la pace

Un evento senza precedenti – spiegano gli organizzatori - che prende vita dallo Studentato internazionale di Rondine Cittadella della Pace

Radio Vaticana - Si chiama “Piazze di Maggio – Irrompere nel futuro” la manifestazione promossa dall’associazione Rondine Cittadella della Pace e dalla fondazione Rondine per riflettere sul futuro delle giovani generazioni e sul loro impegno per un mondo di pace. Per una settimana, dal 13 al 19 maggio, ad Arezzo, Rondine (Ar) e Firenze, sul tema si terranno incontri, eventi e dibattiti. Tra gli appuntamenti in calendario anche la prima Conferenza dei popoli del Caucaso “Ventidipacesucaucaso”. “Un evento senza precedenti – spiegano gli organizzatori - che prende vita dallo Studentato internazionale di Rondine Cittadella della Pace, originale laboratorio di convivenza e dialogo che dal 1997 vede convivere e studiare assieme giovani provenienti da Paesi in conflitto o in difficoltà del Caucaso, del Medio Oriente, dei Balcani, dell’Africa nel piccolo borgo medievale di Rondine in provincia di Arezzo”. Due i concerti in programma: Davide Riondino e Stefano Bollani si esibiranno venerdì 15 maggio per una raccolta fondi, mentre l’artista israeliana di origine yemenita Noa, la cantante arabo-israeliana di origine palestinese Mira Awad e il musicista Nicola Piovani saliranno sul palco lunedì 18 maggio al Santuario della Verna di Arezzo, nell’ambito del Concerto internazionale per la Pace “Musica per unire”. (C.D.L.)

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mercoledì, maggio 13, 2009

Francia: “Insieme per l’Europa” sbarca a Parigi

All’incontro parteciperanno i leader delle maggiori confessioni cristiane del Paese

Radio Vaticana - Si terrà sabato 16 maggio a Parigi l’edizione francese di "Insieme per l'Europa", iniziativa promossa sulla scia delle due manifestazioni europee svoltasi a Stoccarda e sostenute da movimenti cristiani di diverse Chiese. Ad aprire l’evento parigino sarà Andrea Riccardi, fondatore della Comunità di Sant’Egidio che parlerà delle “Sfide per l’Europa”. All’incontro parteciperanno i leader delle maggiori confessioni cristiane del Paese: il metropolita Emmanuel, presidente dell’Assemblea dei vescovi ortodossi in Francia, il pastore Claude Baty, presidente della Federazione protestante e il card. André Vingt-Trois, arcivescovo di Parigi e presidente della Conferenza episcopale francese. E’ previsto anche l’intervento di Jacques Barrot, vice-presidente della Commissione europea, incaricato per la Giustizia. Nel corso della giornata, ci saranno tre tavole rotonde dedicate al tema delle beatitudini da proporre “in un mondo di violenza”; “la semplicità come stile di vita” “in un mondo in cui la condivisione delle ricchezze è divenuta indispensabile”; l’impegno ad “accogliere l’altro” per aprire “l’Europa agli altri continenti” e trovare “un modo nuovo di impegnarsi per i più deboli”. L’evento – ricorda il Sir - si concluderà con la proclamazione di un appello per la pace. (A.L.)

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mercoledì, maggio 13, 2009

Libano: con tre anni di ritardo Israele consegna le mapper Cluster

Dalla fine della guerra circa 300 persone sono rimaste ferite o uccise a causa delle cluster con conseguenze anche sulla ripresa economica e sulla ricostruzione

Agenzia Misna - Con quasi tre anni di ritardo, Israele ha consegnato alla missione dell’Onu nel sud del Libano (Unifil) le mappe dei siti colpiti con bombe a grappolo durante gli ultimi giorni della guerra del luglio 2006. Si tratta di informazioni a lungo chieste dal governo libanese e dalle organizzazioni che stanno procedendo alla bonifica di ampi territori dove si stima – fonte Onu - siano circa un milione le sub-munizioni cluster (più letali e instabili delle mine anti-uomo) rimaste inesplose ma pronte a rilasciare il loro carico letale se solo sfiorate. Nei mesi successivi la fine della guerra fonti militari israeliane avevano ammesso il lancio di sub-munizioni cluster. Il primo ministro Fouad Siniora ha preso atto della consegna delle informazioni sottolineando che si tratta di un passo comunque tardivo. Dalla fine della guerra circa 300 persone sono rimaste ferite o uccise a causa delle cluster con conseguenze anche sulla ripresa economica e sulla ricostruzione. Ancor oggi, da Sidone procedendo verso sud l’esercito consegna agli automobilisti di passaggio volantini con le foto di sub-munizioni cluster come misura di cautela; inoltre le campagne attorno a Bint Jbeil e Tiro sono ancora considerate insicure e numerosi appezzamenti restano incolti proprio per il rischio che possano nascondere cluster.

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mercoledì, maggio 13, 2009

Arrestato Zhou Yongjun: il 4 giugno 1989 era in piazza Tiananmen

Fuggito da anni negli Usa, nel 2008 cerca di tornare in Cina ma la polizia lo ferma e lo tiene in carcere in segreto per mesi, prima di accusarlo per “truffa”. Intanto la Fondazione Dui Hua fa un elenco di almeno 30 dissidenti in prigione dalle proteste di piazza Tiananmen.

Pechino (AsiaNews) – Dopo mesi di detenzione “non ufficiale”, è stato formalmente arrestato ieri per truffa Zhou Yongjun, leader degli studenti che nel 1989 hanno protestato in piazza Tiananmen. A distanza di 20 anni, si ritiene che almeno 30 persone siano ancora in carcere per avere partecipato alle proteste. Zhou da anni risiede negli Stati Uniti. Nel settembre 2008 ha cercato di rientrare in Cina di nascosto, ma è stato arrestato appena arrivato da Hong Kong. Ieri, infine, la polizia della sua città natale Suining (Sichuan) ha notificato alla famiglia l’ordine di arresto, poco prima del 20° anniversario del massacro di piazza Tiananmen, che cade il 4 giugno.

La famiglia di Zhou afferma che la polizia ha parlato di spionaggio e delitti politici, prima dell’accusa di truffa.

Nel 1989 Zhou era studente alla facoltà di giurisprudenza ed è stato tra i promotori del movimento studentesco che ha portato alle proteste di massa. Era in piazza Tiananmen la notte del 4 giugno, quando l’esercito ha circondato la piazza e sparato su chiunque ci fosse, con centinaia, forse migliaia di morti (nella foto: protesta nella piazza nel maggio 1989). Detenuto per anni, nel 1993 è stato liberato ed è fuggito negli Stati Uniti. Nel 1998 ha cercato di tornare in Cina, ma è stato condannato a 3 anni di rieducazione-tramite-lavoro, condanna amministrativa a veri lavori forzati. Scontata la pena, nel 2002 è tornato negli Usa.

Oggi la Fondazione Dui Hua, gruppo per la difesa dei diritti umani, ha denunciato che sono ancora in carcere almeno 30 persone che quel 4 giugno erano nella piazza, accusati di avere assalito i soldati che sono avanzati sparando sulla folla. Molti allora erano giovani operai, che il governo ha colpito con estrema durezza, persino maggiore di studenti e intellettuali. La Fondazione ha indicato 16 nomi.

A distanza di 20 anni, in Cina è proibito persino parlare di quegli eventi.
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mercoledì, maggio 13, 2009

I palestinesi hanno diritto a una patria, ma rifiutino il terrorismo

A Betlemme Benedetto XVI “supplica” tutti i popoli della regione di accantonare i rancori. Per due volte ricorda il conflitto di Gaza. Ai palestinesi chiede di divenire “ponte di dialogo”.

Betlemme (AsiaNews) – Il Papa appoggia il diritto dei palestinesi ad una “sovrana patria”, “sicura e in pace con i suoi vicini, entro confini internazionalmente riconosciuti”, “supplica” tutti i popoli della regione, in guerra da 60 anni “ad accantonare qualsiasi rancore e contrasto”, spera che vengono “allegeriti” i problemi di sicurezza, che hanno dato origine a pesanti difficoltà della vita economica, sociale e familiare delle popolazioni e che proceda la ricostruzione di Gaza, invita a rifiutare il terrorismo e soprattutto a “non avere paura”, di “edificare la cultura della pace e del rispetto reciproco che potranno garantire un futuro migliore”.

E’ giornata di festa a Betlemme: negozi chiusi, bandiere palestinesi e del Vaticano ovunque, decine di striscioni che danno il benvenuto a Benedetto XVI, i cui ritratti, come quelli del presidente dell’Anp, Mahmoud Abbas, occhieggiano da tutte le parti. Man mano che ci si avvicina alla piazza della Mangiatoia, dove il Papa celebra messa si odono trombe e tamburi. Sono anche arrivati un folto gruppo di scout, ragazzi e ragazze, che marciano e che ai tamburi hanno unito inattese cornamuse.

Il sole è caldo, ma non spaventa le persone venuta pure da altri Paesi. C’è un gruppo anche da Gaza, al quale gli israeliani hanno concesso un inusuale permesso di venire in Cisgiordania. Benedetto XVI vi arriva passando attraverso una grande porta di metallo che interrompe il muro di sicurezza costruito dagli israeliani e che incombe su quasi tutta Betlemme. C’è una chiesetta in una delle strade che si spengono sul muro, soffocata dalla barriera di cemento. Abbas, nel suo saluto al Papa parla di “apartheid”.

“So – gli risponde Benedetto XVI - quanto avete sofferto e continuate a soffrire a causa delle agitazioni che hanno afflitto questa terra per decine di anni. Il mio cuore si volge a tutte le famiglie che sono rimaste senza casa”. “A quelli fra voi che piangono la perdita di familiari e di loro cari nelle ostilità, particolarmente nel recente conflitto di Gaza, offro l’assicurazione della più profonda compartecipazione e del frequente ricordo nella preghiera. In effetti, io prendo con me tutti voi nelle mie preghiere quotidiane, ed imploro ardentemente l'Eccelso per la pace, una pace giusta e durevole, nei territori Palestinesi e in tutta la regione”.

Nel piccolo palazzo presidenziale dell’Autorità nazionale palestinese, Benedetto XVI fa sue le ragioni dei palestinesi, ma al tempo stesso lancia un forte invito alla riconciliazione, che più tardi, alla messa, diverrà una esortazione a sperare. “La Santa Sede – dice ad Abbas - appoggia il diritto del Suo popolo ad una sovrana patria Palestinese nella terra dei vostri antenati, sicura e in pace con i suoi vicini, entro confini internazionalmente riconosciuti. Anche se al presente questo obiettivo sembra lontano dall’essere realizzato, io incoraggio Lei e tutto il Suo popolo a tenere viva la fiamma della speranza, speranza che si possa trovare una via di incontro tra le legittime aspirazioni tanto degli Israeliani quanto dei Palestinesi alla pace e alla stabilità”. Ricordando le parole di Giovanni Paolo II, non vi può essere “pace senza giustizia, né giustizia senza perdono”, “supplico – esclama - tutte le parti coinvolte in questo conflitto di vecchia data ad accantonare qualsiasi rancore e contrasto che ancora si frapponga sulla via della riconciliazione, per arrivare a tutti ugualmente con generosità e compassione, senza discriminazione. Una coesistenza giusta e pacifica fra i popoli del Medio Oriente può essere realizzata solamente con uno spirito di cooperazione e mutuo rispetto, in cui i diritti e la dignità di tutti siano riconosciuti e rispettati. Chiedo a tutti voi, chiedo ai vostri capi, di riprendere con rinnovato impegno ad operare per questi obiettivi. In particolare, chiedo alla Comunità internazionale di usare della sua influenza in favore di una soluzione. Credo e confido che tramite un onesto e perseverante dialogo, con pieno rispetto delle aspettative di giustizia, si possa raggiungere in queste terre una pace durevole”.

“Prego anche – aggiunge ancora - perché, con l’assistenza della Comunità internazionale, il lavoro di ricostruzione possa procedere rapidamente dovunque case, scuole od ospedali siano stati danneggiati o distrutti, specialmente durante il recente conflitto in Gaza”. Agli abitanti della Striscia, durante la messa, invierà “un caloroso abbraccio”, condoglianze per le perdite e solidarietà. In conclusione un appello “ai tanti giovani presenti oggi nei Territori Palestinesi: non permettete che le perdite di vite e le distruzioni, delle quali siete stati testimoni suscitino amarezze o risentimento nei vostri cuori. Abbiate il coraggio di resistere ad ogni tentazione che possiate provare di ricorrere ad atti di violenza o di terrorismo. Al contrario, fate in modo che quanto avete sperimentato rinnovi la vostra determinazione a costruire la pace”.

L’esortazione a guardare con speranza e positività al futuro diviene centrale durante la messa. Nella piazza che fiancheggia la basilica della Natività, sopra all’altare c’è una cometa a due code: di fronte una enorme bandiera palestinese alta due piani di un palazzo. C’è qualche migliaio di persone, a riempire quasi interamente la piazza. Folla piccola in sé, ma grande per i numeri dei cristiani di questa zona.

A Betlemme, naturalmente, il discorso del Papa parte dalla Natività. “Nell’assumere la nostra carne, con tutte le sue debolezze, e nel trasfigurarla con la potenza del suo Spirito, Gesù ci ha chiamato ad essere testimoni della sua vittoria sul peccato e sulla morte. E questo è ciò che il messaggio di Betlemme ci chiama ad essere: testimoni del trionfo dell’amore di Dio sull’odio, sull’egoismo, sulla paura e sul rancore che paralizzano i rapporti umani e creano divisione fra fratelli che dovrebbero vivere insieme in unità, distruzioni dove gli uomini dovrebbero edificare, disperazione dove la speranza dovrebbe fiorire!”.

“Paolo – prosegue il Papa - trae dall’Incarnazione una lezione che può essere applicata in modo particolare alle sofferenze che voi, i prescelti da Dio in Betlemme, state sperimentando: ‘È apparsa la grazia di Dio – egli dice – che ci insegna a rinnegare l’empietà e i desideri mondani e a vivere in questo mondo con sobrietà, con giustizia e con pietà, nell’attesa della venuta della nostra beata speranza, il Salvatore Cristo Gesù (Tt 2,11-13). Non sono forse queste le virtù richieste a uomini e donne che vivono nella speranza? In primo luogo, la costante conversione a Cristo che si riflette non solo sulle nostre azioni, ma anche sul nostro modo di ragionare: il coraggio di abbandonare linee di pensiero, di azione e di reazione infruttuose e sterili. La cultura di un modo di pensare pacifico basato sulla giustizia, sul rispetto dei diritti e dei doveri di tutti, e l’impegno a collaborare per il bene comune. E poi la perseveranza, perseveranza nel bene e nel rifiuto del male. Qui a Betlemme si chiede ai discepoli di Cristo una speciale perseveranza: perseveranza nel testimoniare fedelmente la gloria di Dio qui rivelata nella nascita del Figlio suo, la buona novella della sua pace che discese dal cielo per dimorare sulla terra. ‘Non abbiate paura!’. Questo è il messaggio che il Successore di San Pietro desidera consegnarvi oggi, facendo eco al messaggio degli angeli e alla consegna che l’amato Papa Giovanni Paolo II vi ha lasciato nell’anno del Grande Giubileo della nascita di Cristo”.

“Contate sulle preghiere e sulla solidarietà dei vostri fratelli e sorelle della Chiesa universale, e adoperatevi con iniziative concrete per consolidare la vostra presenza e per offrire nuove possibilità a quanti sono tentati di partire. Siate un ponte di dialogo e di collaborazione costruttiva nell’edificare una cultura di pace che superi l’attuale stallo della paura, dell’aggressione e della frustrazione. Edificate le vostre Chiese locali facendo di esse laboratori di dialogo, di tolleranza e di speranza, come pure di solidarietà e di carità pratica. Al di sopra di tutto, siate testimoni della potenza della vita, della nuova vita donataci dal Cristo risorto, di quella vita che può illuminare e trasformare anche le più oscure e disperate situazioni umane. La vostra terra non ha bisogno soltanto di nuove strutture economiche e politiche, ma in modo più importante – potremmo dire – di una nuova infrastruttura “spirituale”, capace di galvanizzare le energie di tutti gli uomini e donne di buona volontà nel servizio dell’educazione, dello sviluppo e della promozione del bene comune. Avete le risorse umane per edificare la cultura della pace e del rispetto reciproco che potranno garantire un futuro migliore per i vostri figli. Questa nobile impresa vi attende. Non abbiate paura!”.
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mercoledì, maggio 13, 2009

Lo sporco del carbone viene a galla

GreenPeace si complimenta con il Corpo forestale dello Stato per aver sequestrato 100mila tonnellate di rifiuti pericolosi provenienti dalla centrale a carbone Enel di Brindisi. Tutto lo sporco viene a galla, a conferma che il carbone 'pulito' non esiste e che gli impatti per l’ambiente sono molteplici e gravi.

GreenPeace - I rifiuti pericolosi venivano smaltiti in una cava del Reggino, in una zona sottoposta a vincolo. Dieci persone sono state arrestate tra cui tre funzionari Enel. Gli scarti, classificati come pericolosi, venivano trasformati con certificati di analisi insufficienti in rifiuti non pericolosi e avviati apparentemente a recupero per la produzione di laterizi.

Continuiamo ad assistere a incidenti gravi che interessano centrali a carbone in tutta Italia. A Genova è stato recentemente sequestrato un deposito di carbone per mancanza dei necessari impianti di depurazione delle acque di scolo. Nel Sulcis, invece, la scorsa estate carbonili a cielo aperto hanno preso fuoco per processi di autocombustione, diffondendo fumi tossici sul vicino centro di Portoscuso.

La gestione delle grandi quantità di rifiuti solidi dalle centrali a carbone rimane un grave elemento di preoccupazione. Eppure il governo continua ad autorizzare nuovi impianti a carbone, contro gli impegni europei al 2020 che spingono verso lo sviluppo delle fonti rinnovabili.

L'ultimo caso è l'autorizzazione della centrale Enel di Porto Tolle, nel bel mezzo del parco naturale del Delta del Po, contro le stesse leggi nazionali e regionali per la protezione dell'ambiente. Il fatto di autorizzarle in barba a regolamenti e norme regionali con un escamotage normativo rivela l'atteggiamento anti-ambientale del Governo.
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