giovedì, maggio 14, 2009
Viaggio in un territorio che un tempo era definito agro sarnese-nocerino e che ora di agricolo ha conservato ben poco, con 300mila metri quadri cementificati illegalmente su un’area di 158 chilometri quadrati. Negli ultimi 20 anni oltre 27mila persone sono state denunciate per abusi edilizi, in pratica il 10% della popolazione. Negli ultimi 4 anni almeno 300mila mq di terreno agricolo cementificati illegalmente.

LiberaInformazione - Era la terra indiscussa del rosso San Marzano. Situata nel mezzo del bacino idrografico del fiume Sarno, pezzo imponente della Campania Felix, l’oasi felice dell’Agro sarnese-nocerino è oggi una terra martoriata dal sacco edilizio e dalla criminalità. La nuova “primavera”, più volte annunciata, con opere di riqualificazione urbanistica e progetti volti alla riscoperta delle tipicità della sua naturale vocazione agricola, è ancora lontana dal realizzarsi. Quello che balza subito agli occhi è un territorio stravolto dallo sregolato sviluppo industriale degli anni ’50 e ’60, che ha lasciato in eredità essenzialmente le ciminiere degli altiforni che ancora costellano il territorio.

Oggi l’Agro è un’enorme città composta da tredici comuni su una superficie di 158 chilometri quadrati con 285.662 abitanti ed una densità di popolazione pari a 1.807 abitanti per Km2, nella quale negli ultimi quattro anni, secondo i dati delle polizie municipali, almeno 300mila metri quadrati di terreno agricolo sono stati cementificati illegalmente. Così, lo sviluppo urbano forsennato e senza senso ha ulteriormente ampliato le criticità dell’assetto idrogeologico di una zona già storicamente instabile, soggetta ciclicamente a frane e colate di fango (le ultime ferite recenti nei comuni di Sarno, Siano e Bracigliano con 161 morti nel ’98, e a Nocera Inferiore nel 2005 con tre vittime).

Negli ultimi 20 anni, oltre 27mila persone sono state denunciate per abusi edilizi, in pratica il 10% della popolazione residente. Dal 2004 al 2008 per reati legati alle violazioni urbanistiche sono stati iscritti nel registro degli indagati dalla Procura di Nocera Inferiore almeno seimila persone, fra cui 35 tra funzionari comunali e amministratori pubblici (Il Mattino, 10 marzo 2009, dati forze dell’ordine). Scempi edilizi spesso eclissati dietro l’ormai classica definizione di “abuso di necessità”, ma che, invece, con sempre maggiore frequenza consentono di trasformare, grazie a concessioni per uso agricolo, ruderi di campagna in lussuose ville. Così mentre diminuiscono gli abusi realizzati in assenza totale di autorizzazioni, crescono in maniera abnorme le opere costruite in difformità rispetto a quanto dichiarato nella richiesta di concessione. Per il «Sole 24 ore» - in un’inchiesta sull’abusivismo edilizio pubblicata a gennaio 2009 – la provincia di Salerno detiene la maglia nera in Italia in fatto di illeciti ambientali, con ben 93mila particelle che al catasto risultano aree verdi, ma che in realtà sono coperti da cemento illegale. Eloquenti, a tal proposito, i risultati dell’operazione di tutela ambientale denominata “Easy house” dei Carabinieri che, dal novembre 2007 al luglio 2008, hanno passato al setaccio la documentazione relativa alle richieste di concessione ad uso agricolo - già rilasciate o in fase di istruttoria - giacenti presso l’ufficio assetto del territorio del comune di Nocera Superiore, nell’ambito di una vasta inchiesta sui fabbricati rurali trasformati in ville con piscina. Nell’arco delle indagini sono state denunciate ben 171 persone tra cui tecnici comunali, liberi professionisti, imprenditori edili e privati cittadini e sottoposto a sequestro (probatorio e/o preventivo) più di 35 fabbricati rurali, per un valore commerciale presunto di oltre 14 milioni di euro. In un caso (indagine dei Carabinieri del novembre 2008) è stata posta sotto sequestro una scuola dell’infanzia privata che esercitava la propria attività all’interno di uno stabile che da pertinenza agricola era stato illecitamente adibito a attività scolastica. Il pm del Tribunale di Nocera Inferiore Elena Guarino, tra quelli maggiormente impegnati alla procura nocerina in materia di illeciti urbanistici, in un’intervista al Mattino (10 marzo 2009) ha espresso forti dubbi sull’operato dei funzionari comunali. «Se il titolo concessorio rilasciato per una costruzione è illegittimo – ha annotato il pm – vuole dire che i funzionari comunali degli enti pubblici non conoscono perfettamente le norme dei procedimenti oppure potrebbero sussistere collusioni con chi richiede il permesso a costruire». Collusioni che in più di un caso sono state contestate a funzionari comunali. A seguito di un’indagine dello stesso magistrato (conclusa nel dicembre 2008) fu indagato, tra gli altri, un geometra in servizio presso l’ufficio tecnico del Comune di Sarno accusato di aver preteso una “mazzetta” da 10mila euro “offrendosi” di eseguire dal punto di vista tecnico i lavori di costruzione abusiva per conto di due coniugi, garantendo che si sarebbe occupato non solo della questione tecnica e della pratica di condono, ma anche della stessa esecuzione dei lavori. Opere che, a suo dire, sarebbero state completate senza alcun controllo da parte dei vigili urbani. Un silenzio che in realtà non fu mai comprato, visto che gli stessi agenti procedettero regolarmente al sequestro del manufatto.

Episodi di abusivismo che quasi mai si concludono come vorrebbe la legge, ossia con le demolizioni. In cinque di questi tredici comuni (Angri, Nocera Inferiore, Sarno, Scafati, Roccapiemonte) Legambiente Campania ha censito 3479 ordinanze di demolizione emesse a partire dal 1998 (1795 riferite a immobili completamente abusivi). Al 31 dicembre scorso solo 42 ordinanze sono state regolarmente eseguite. In pratica lo 0,8%. La maglia nera tocca al Comune di Nocera Inferiore con mille ordinanze di demolizione emesse e zero eseguite. Sul totale 610 provvedimenti sono stati sospesi a seguito dell’avvio di procedimenti amministrativi presso il Tar. Seguono le città di Scafati (858 immobili da abbattere, la metà completamente abusivi, nessuna esecuzione) e Sarno (800 totali di cui 740 completamente abusivi e solo 20 demolizioni eseguite).

Negli stessi comuni a seguito dei tre condoni (L. 47/85, 724/94 e 269/2003) sono state presentate ben 19474 richieste di condono: sostanzialmente una nuova città di medie dimensioni tutta da ri-mettere in regola. Per la gioia delle casse comunali 11.400 pratiche sono già state accolte e solo 582 respinte. I restanti fascicoli sono ancora in fase di istruttoria, accantonati nei vari uffici comunali. Stavolta i più solerti sono stati i cittadini sarnesi che hanno presentato dall’85 ad oggi 5179 richieste. Tenuto conto che la popolazione sarnese residente si attesta da anni sui 31mila abitanti, in meda quasi uno su tre ha chiesto di essere “condonato”.
>Anche nell’Agro, ovviamente, dietro la speculazione del cemento si è arricchita la criminalità organizzata, molto forte in questa terra anche se apparentemente invisibile, con influenze multiple legate proprio alle particolarità territoriali. La conformazione geografia – nel mezzo di tre province (Napoli, Salerno e Avellino) - ha reso possibile il collegamento, e talvolta aspre guerre – con gruppi criminali di diversa collocazione. Terra di conquista per i clan storici dell’area vesuviana e casertana (di recente è l’allarme della Dda per il nascente interesse del clan dei Casalesi), nonché area di espansione per i nuovi equilibri salernitani e per lo sviluppo dei gruppi dell’avellinese, i Graziano su tutti.

SARNO, STORIA DI UN SACCHEGGIO
Per capire l’interesse delle organizzazioni malavitose in queste zone, occorre fare qualche passo indietro nel tempo. Dove un tempo imperavano Carmine Alfieri e Pasquale Galasso adesso comandano i loro capizona scampati alla decimazione delle cosche, nell’attesa di accaparrarsi nuovi affari. Resi possibili, questi ultimi, da connivenze con le pubbliche amministrazioni o dal clima di terrore instaurato con le stesse. In un territorio ritenuto da sempre una vera e propria roccaforte della camorra campana, il 4 e il 5 marzo 2008, due mesi esatti prima della frana di Sarno, davanti a Ottaviano Del Turco e alla commissione parlamentare Antimafia sfilarono i sindaci dell’Agro nocerino – sarnese e tutti tennero a minimizzare e rassicurare. Il coro fu rotto solo dall’allora Sindaco di Sarno Gerardo Basile, il quale disse ai senatori e deputati venuti da Roma che «non appena si è saputo della possibile approvazione del piano regolatore, sono iniziati i primi problemi», una possibilità che lo spaventava e, infatti, si era «fermamente opposto ad essa in consiglio comunale», perché avrebbe potuto riaprire «vecchi appetiti». Perché questa ammissione di paura? È più che noto che l’attuale collaboratore di giustizia Pasquale Galasso, nel periodo in cui era a capo di una delle maggiori cosche campane, faceva affari nella città di Sarno, dove la famiglia gestiva una concessionaria e esercitava sulle vicende edilizie di quel comprensorio un controllo totale. A conferma di ciò, il 23 giugno del ‘93 il presidente Scalfaro decise di sciogliere il consiglio comunale sarnese proprio per la palese sottomissione del Comune ai camorristi: nella camera da letto della casa di Galasso era stata trovata una copia autentica del piano regolatore della città.

Tornando a quella seduta della commissione antimafia, il 16 maggio del 1998 sul Corriere della Sera comparirono i verbali ancora riservati dell’audizione del sindaco Basile, nella quale lanciò timori anche rispetto all’apparato burocratico dell’ente. «Tutti i funzionari coinvolti sia nel dissesto del Comune sia nelle attività che hanno portato allo scioglimento del consiglio sono rimasti al loro posto e non è stato adottato alcun provvedimento nei loro riguardi. Ditemi come può un sindaco operare in queste condizioni: ha le mani legate! Il sindaco, infatti, oggi ha senz’altro potere, ma chi comanda veramente sono i funzionari». E ancora: «Le questioni relative alla confisca dei beni Galasso... riguardano anche Sarno, dove ci sono alcuni immobili, anche perchè, oltre a Pasquale Galasso, vi sono i suoi cugini, Ciro e Antonio Galasso. Molto spesso è arrivata e continua ad arrivare notizia di sentenze con le quali vengono condannati questi personaggi. Però i loro beni, nonostante sia in atto l’operazione di confisca e il Comune si sia offerto di assicurarne una destinazione, non sono stati ancora affidati. Che garanzia ha il sindaco che prende in consegna questi beni?». Dalla lettura dei verbali appare un sindaco quasi terrorizzato. «Parlo così perché ultimamente anch’io ho subito qualche torto e mi sono pervenute lettere minatorie... Ritengo che siano atti fantasiosi di qualcuno che ha voluto scherzare, comunque non era mai avvenuto prima. Proprio in questo momento, invece, in cui sono prossimi l’approvazione del piano regolatore, nuovi insediamenti industriali e la realizzazione di importanti lavori, mi arrivano minacce volte a farmi consegnare le dimissioni». Parole, vale la pena ricordare, che sono state pronunciate prima ancora dell’evento tragico del maggio ’98, che dopo i morti e la distruzione fece riversare sul quel comune una pioggia di finanziamenti che risvegliò ancora di più gli interessi delle organizzazioni camorristiche.

E quando lingue di terra e acqua si staccarono impetuose dal Monte Saro, le ditte in odore di camorra sono erano già lì, alcune addirittura pronte a spalare il fango. Non si contano, negli anni successivi, gli attentati incendiari ai cantieri, le minacce agli imprenditori. Quando poi l’imprenditore-camorrista inciampava in un prefetto che bloccava ogni piano, non rilasciando il certificato antimafia perché pronto a captare la presenza del clan, ecco pronta la via alternativa, quella che non prevede neppure i controlli: il nolo a freddo. Scattava così il meccanismo del noleggio di macchinari e manovalanza all’impresa aggiudicataria, solitamente di caratura nazionale e lontana da ogni sospetto. Un subappalto occulto, un metodo sicuro per dribblare veti e verifiche e lavorare ugualmente per conto dell’organizzazione camorristica. Le inchieste della magistratura negli anni successivi al ’98 puntano proprio su questo. Vennero eseguite decine di arresti nei comuni colpiti da quella sciagura. Il 3 giugno del 2004, nel giorno stesso in cui il giudice del Tribunale di Nocera Inferiore, Bartolomeo Ietto, leggeva la prima sentenza di assoluzione per il sindaco Basile, accusato di omicidio colposo plurimo per il mancato sgombero della popolazione nella notte fra il 5 e il 6 maggio ‘98 (sarà poi assolto anche in Appello nel settembre del 2008), la Dia diede esecuzione all’Operazione “Ametista” che permise di colpire al cuore un clan collegato alla famiglia Graziano di Quindici. Tredici ordinanze di custodia cautelare notificate, tre noti imprenditori edili finiti nella rete accusati di favoreggiamento, per aver avuto un atteggiamento omertoso al cospetto degli inquirenti. Quello che alla fine hanno smascherato gli inquirenti è il tentativo di infiltrazione della camorra nei lavori per la ricostruzione e la messa in sicurezza delle zone di Sarno, Siano, Bracigliano e Quindici. In particolare, l’azione investigativa consentì di seguire l’evoluzione degli equilibri criminali nella zona, con il progressivo, capillare ingresso del clan di Quindici nella gestione delle attività estorsive ed il tentativo, da parte del gruppo Graziano, di conquistare il controllo totale sui lavori di ricostruzione, in particolare del nuovo ospedale Villa Malta e dei canali di regimentazione delle acque: uno sgarro al clan Serino, egemone fino ad allora nel territorio sarnese.

Altro che territorio tranquillo, come da più parti si vorrebbe far intendere. Così mettere mano a “questioni importanti”, come redigere il piano regolatore (Puc) a Sarno, può significare dare sfogo agli appetiti dei clan. Sarà un caso ma dal 1972 – anno in cui venne approvato un piano di fabbricazione, ormai del tutto inadeguato alle esigenze del territorio – la città di Sarno non riesce ad avere un proprio piano regolatore generale. Eppure, ultimamente, qualche tentativo c’era stato. Nel 2002 l’allora amministrazione comunale sarnese (ampia coalizione di centro sinistra) indisse un concorso internazionale per scegliere il progettista cui affidare l’importante lavoro. Fu scelto il gruppo capeggiato da Stefano Boeri, architetto e phd, già il direttore della rivista Domus e docente di Progettazione urbana presso la Facoltà di Architettura di Venezia. Un personaggio di spicco nel panorama internazionale che faceva ben sperare. Boeri e il suo staff avviarono una “progettazione partecipata”, un modo nuovo di intendere la redazione del piano, partendo dal basso, incontrando cittadini, associazioni, comitati di quartiere, in una serie di “passeggiate” nelle diverse aree del paese. Un anno e mezzo dopo, però, quel consiglio comunale fu sciolto, sotto i colpi della stessa lacerata maggioranza. Dopo un anno di commissariamento le urne decretarono la vittoria di compagine dell’opposto schieramento politico. Il sindaco, eletto nelle fila di Forza Italia, dichiarò subito – per senso di continuità – la piena fiducia all’architetto milanese. Ma sembrò fin da subito un rapporto più di odio che d’amore. Una “unione forzata” sfociata, infatti, qualche mese fa, con le dimissioni di Boeri. E con accuse dure del progettista: «Com’è noto – scrisse il tecnico in una lettera indirizzata al Comune - nel dicembre del 2005, avevamo presentato al consiglio comunale la bozza del piano urbanistico, che proponeva di bloccare lo sviluppo urbano nella piana agricola, di combattere l’abusivismo spostando risorse sul recupero dei centri storici, di valorizzare le attività produttive, di salvaguardare il paesaggio montano e fluviale. Oltre che naturalmente di impedire qualsiasi nuova costruzione o ristrutturazione nelle zone a rischio di smottamento». Ma questo progetto «non è mai stato seriamente discusso dal consiglio comunale, né la sua approvazione è stata messa all’ordine del giorno della giunta comunale. Al contrario, in questi 3 anni sono state rilasciate un numero spropositato di concessioni edilizie (ben 53 nuove concessioni nell’area urbana e 29 nelle zone agricole), senza chiederci un parere preventivo. E’ bene ricordare che molte di queste licenze sono totalmente in contraddizione con gli indirizzi della bozza di preliminare. Non solo: non ci è stata mai fornita la mappatura aggiornata dell’abusivismo edilizio che avevamo più volte richiesto. Ancora più grave è stata la scelta del Comune, nel luglio 2005, di approvare una delibera, con il voto unanime dei consiglieri, che rende abitabili (a soli 10 anni dall’alluvione!) tutti i piani interrati. Una scelta che ci è stata comunicata a delibera votata». Prima di lasciare Boeri l’aveva lanciata grossa: «Per sei mesi basta concessioni edilizie – chiese l’architetto al consiglio comunale. In attesa di redigere, entro sei mesi massimo, il nuovo puc è necessario bloccare ogni provvedimento edilizio che autorizzi o consenta la realizzazione di interventi che determino un aumento del carico insediativo sul territorio del comune». Così da puntare al recupero delle tantissime unità abitative (circa 3000 censite dallo studio di progettazione) abbandonate e lasciate dal semplice degrado al totale abbandono. Boeri volle, inoltre, rendere pubblico quanto accaduto a Sarno scrivendo una lettera al direttore del Corriere del Mezzogiorno (apparsa a pagina 15 il 31 gennaio scorso): «Proprio la gravissima condizione in cui versano i territori della piana del fiume Sarno – scrisse l’architetto - ci spinge, prima di abbandonare il nostro incarico, a denunciare pubblicamente e con forza l’atteggiamento irresponsabile della giunta e del consiglio comunale di fronte alla possibilità di approvare — dopo più di 30 anni di assenza — un piano urbanistico in grado di valorizzare e finalmente salvaguardare un territorio ferito non solo dalle catastrofi naturali, ma anche dalle inadempienze degli uomini».

Il Comune di Sarno ha già annunciato di procedere a una richiesta di risarcimento: il tecnico milanese, poco più che incompetente per gli amministratori locali, non avrebbe rispettato tempi e modalità di lavoro previsti dal contratto.

Certo è che il tragico evento del maggio ’98 poco o nulla ha insegnato ai cittadini sarnesi. In quell’anno i cantieri abusivi scovati dai Vigili Urbani furono 74, tra opere completamente, parzialmente abusive e violazioni di sigilli. Da allora, come se nulla fosse accaduto, si è continuato a costruire in altre zone. Nel 2003 i sequestri furono più di 400, l’anno successivo 300 e altrettanti fino al 2008.

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