giovedì, marzo 16, 2017
"Vivi o morti? Morte cerebrale e trapianto di organi: certezze vere e false, dubbi e interrogativi". È questo il titolo del libro di Roberto Fantini, che porta un importante contributo all’approfondimento di un tema delicato, di fatto poco affrontato e che ciascuno dovrebbe invece declinare nei suoi vari aspetti di natura scientifica, giuridica, filosofica e persino teologica, al fine di mettere a fuoco sicuri elementi di giudizio.

di Roberto Fantini

Gentile Direttore,
in merito alle complesse e controverse questioni relative al "fine vita", in queste ultime settimane, ho avuto modo di apprezzare le riserve e le preoccupazioni avanzate, all'interno del mondo cattolico, con l'intento di impedire qualsiasi forma di violazione del diritto alla vita, anche in presenza di casi considerati "estremi".

Mi chiedo, però, come mai non venga sollevato e affrontato anche il problema dei cosiddetti "morti cerebrali" (con tutto ciò che a tale problema si collega: donazione di organi, espianto e trapianto di organi), problema a mio avviso di enorme complessità teoretica e dalle enormi implicazioni etiche .

Come lei certamente saprà, la definizione di "morte cerebrale" risale al 1968, quando una Commissione ad hoc dell'Università di Harvard, decise che i tempi erano maturi per abbandonare la precedente definizione di "coma irreversibile" o "coma depassé", per quanto concerne quei pazienti (all'epoca erano ancora tali e non semplici "cadaveri caldi"!) che presentassero gravissime lesioni cerebrali e totale assenza di coscienza. Ciò fu motivato, dagli stessi membri della Commissione, non - si badi bene - sulla base di chissà quali rivoluzionari studi e innovative ricerche, ma sulla base di esigenze strettamente contingenti ed utilitaristiche:

"Il nostro obiettivo principale - leggiamo infatti nel Rapporto redatto dalla Commissione - è definire come nuovo criterio di morte il coma irreversibile. La necessità di una tale definizione è legata a due ragioni.

1) Il miglioramento delle tecniche di rianimazione e di mantenimento in vita ha condotto a sforzi crescenti per salvare malati in condizioni disperate. A volte tali sforzi non ottengono che un successo parziale, e il risultato è un individuo il cui cuore continua a battere, ma il cui cervello è irrimediabilmente leso. il peso è grande per quei pazienti che soffrono di una perdita permanente dell'intelletto, per le loro famiglie, per gli ospedali e per quelli che avrebbero bisogno di letti ospedalieri occupati da questi pazienti in coma.
2) Criteri di morte obsoleti possono originare controversie nel reperimento di organi per i trapianti". (mie le evidenziazioni)

Ora, in tutta franchezza, mi chiedo come possano simili asserzioni (e le loro rilevanti applicazioni pratiche) non essere avvertite da tanta parte del mondo cattolico come palese, agghiacciante manifestazione di quella che, con cruda efficacia, si ama efficacemente definire "cultura dello scarto".

Sulla questione della morte cerebrale (e della consequenziale pratica dei trapianti di organo), nel dicembre 1989, Papa Giovanni Paolo II, rivolgendosi ai partecipanti all'incontro promosso dalla Pontificia Accademia delle Scienze sulla "Determinazione del momento della morte", si preoccupò di sottolineare come ci si venisse a trovare davanti ad "Una reale probabilità che la vita della quale si rende impossibile la continuazione con il prelievo di un organo vitale sia quella di una persona viva, mentre il rispetto dovuto alla vita umana vieta assolutamente di sacrificarla, direttamente e positivamente, anche se fosse a beneficio di un altro essere umano che si ritiene motivatamente di dover privilegiare."

Insomma, dico io, quali certezze assolute possiamo mai veramente brandire, quando, dichiarato morto un individuo, servendoci di criteri opinabili, cangianti e convenzionali (differenti, tra l'altro, da paese a paese), riteniamo perfettamente lecito, anzi cosa moralmente encomiabile ed auspicabile, che il suo organismo ancora funzionante (con cuore battente!) venga impietosamente squartato, non più considerato persona, ma mero magazzino di "pezzi di ricambio"?

Perché non applicare, in questo come in altri casi, l'antico saggissimo e santissimo principio dell' "in dubio pro vita"?!?

Non sarebbe immensamente più giusto, più umano, più scientifico e, soprattutto, più "cristiano" preferire di correre il rischio di considerare e di trattare un morto (o un quasi morto) da vivo, piuttosto che considerare e trattare (con conseguenze terrene e anche ultraterrene incommensurabili) da morto un vivo?

Perché, mi chiedo, non ascoltare (insieme a tante altre) la voce di quegli scienziati e teologi cattolici che, come il vescovo F. W. Bruskewitz, ci ricordano che "Nella comune concezione dell'umanità, asportare il cuore battente alla persona che ingerisce cibo, espelle i rifiuti e risponde agli stimoli esterni, quali pressioni e punture di aghi e bisturi, è considerato un atto di omicidio"? (in Finis Vitae, a cura di R. De Mattei, Rubbettino, Roma 2007, p. 57)

Perché, mi chiedo, escludere a priori la possibilità che il cosiddetto "morto cerebrale" SIA UNA PERSONA "AGONIZZANTE" , non già morta, ma in cammino verso la (probabile) morte?

Perché riferire le seguenti parole di Giovanni Paolo II solo ad alcune categorie e non a tutte quelle che si collocano sui confini della vita che comincia e della vita che finisce? Come sentirsi certi di poter escludere da detto scenario persone che, solo da una manciata di minuti non manifestano più segnali registrabili di presenza della coscienza?

Niente e nessuno può autorizzare l'uccisione di un essere umano innocente, feto o embrione che sia, bambino o adulto, vecchio, AMMALATO INCURABILE O AGONIZZANTE. Nessuno, inoltre, può richiedere questo gesto omicida per se stesso o per un altro affidato alla sua responsabilità, né può acconsentirvi esplicitamente o implicitamente. Nessuna autorità può legittimamente imporlo né permetterlo."(Evangelium vitae, 57)
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Libro di Roberto Fantini
"Vivi o morti? Morte cerebrale e trapianto di organi: certezze vere e false, dubbi e interrogativi"
Ed. Efesto, Roma 2015. (acquista on line)

La scheda del libro:
La morte cerebrale è vera morte? La donazione degli organi è veramente un atto di straordinaria generosità o è, invece, la soppressione violenta di individui morenti, ma ancora vivi? I cosiddetti "donatori" sono morti che sembrano (tanto) vivi o vivi che abbiamo stabilito di considerare morti? Cos'è preferibile: rischiare di trattare da vivo un morto o piuttosto trattare da morto un vivo? Per poter rispondere fondatamente a simili interrogativi, occorrono numerose informazioni e conoscenze imparziali, non soggette a pregiudizi o censure di varia natura.

Questo libro cerca di fornircele, nella convinzione che sia nell'interesse di tutti noi far nascere, sul problema dei trapianti di organi, un aperto ed onesto dibattito autenticamente democratico. Scienza, filosofia e teologia sono chiamate, pertanto, a metterci in condizione di sapere, di comprendere, di operare scelte ragionate, libere e responsabili, ponendo sempre al centro di esse l'inviolabilità della persona umana e dei suoi inalienabili diritti.


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