martedì, ottobre 04, 2016
Dopo il No al referendum per la pace tra stato e ribelli, ci sono ancora 6 mesi prima che esploda di nuovo la guerra nel paese.

La notizia ha sorpreso tutto il mondo. Lunedì 26 Settembre, a Cartagena, il presidente colombiano Manuel Santos e Rodrigo Londoño Echeverri, alias Timochenko, leader delle FARC avevano stretto un accordo, decretando la fine di oltre 52 anni di guerra civile. All'evento erano presenti anche ospiti d'eccezione come John Kerry, Juan Carlos di Spagna, il Segretario di Stato vaticano e Raul Castro.

Domenica scorsa, però, il trattato, sottoposto a referendum, è stato clamorosamente bocciato dal popolo colombiano. La vittoria del No ha di fatto acuito la crisi politica del paese e gli scenari che si aprono sono ancora tutti da decifrare. Eppure tutto sembrava predisposto per l'inserimento delle FARC nel mondo politico, abbandonando le armi. All'incontro erano tutti in abiti civili, in uno spirito di cordialità e, finalmente, di pace.

L'evento, per molti colombiani, costituiva anche la prima occasione per vedere in faccia Timochenko, solitamente coperto da un'aura austera e di mistero, propria dei guerriglieri sudamericani. Al momento in cui il leader aveva chiesto il "perdono del popolo colombiano", per le morti causate nel corso degli anni gli applausi erano stati scroscianti. Un gesto che avrebbe dovuto superare ogni scetticismo e lenire le ferite del paese.

Già durante l'incontro, però, qualche sinistro presagio era stato colto, almeno dagli osservatori più attenti. Proprio in conclusione del discorso di Echeverri, i jet dell'esercito regolare colombiano hanno sfrecciato sopra la testa del leader ribelle. Un gesto, lì per lì, accolto con sorpresa anche da Raul Castro, ma la battuta "Almeno stavolta non ci volano sopra la testa per buttarci le bombe", sembrava potesse aver alleggerito il clima.

Santos ha spiegato l'accaduto adducendo la scusa del discorso di Timoshenko troppo lungo, ma in molti è rimasta l'impressione che il gesto fosse voluto: una piccola dimostrazione di forza volta a ridurre l'impatto pubblico del leader delle FARC.

Altrove intanto, l'avversario di Santos, l'ex presidente Alvaro Uribe, stava raccogliendo il dissenso verso quello che molti colombiani hanno visto come un premio ottenuto dai ribelli per le violenze perpetrate. La sua campagna per il No, ha raccolto ogni populismo e tutto il malcontento delle destre cattoliche verso il governo, definendo il presidente un traditore e paventando i rischi del "castrochavismo" della sinistra in Colombia.

La sensazione di una giustizia troppo mite e di un governo troppo accondiscendente verso dei ribelli ha finito per unire buona parte del paese sotto l'insegna del No al pur storico accordo. Poco importa che Uribe al governo abbia avuto fortissimi legami con i gruppi paramilitari anticomunisti, estremamente violenti, autori di veri e propri massacri nelle campagne ed in larga parte amnistiati dal presidente.

Domenica scorsa, quindi, il test referendario promesso da Santos e che sulla carta avrebbe dovuto sancire il successo diplomatico dell'accordo. E invece, come accaduto nel Regno Unito con la Brexit, il sogno si è trasformato in incubo, con Timochenko partito per L'Avana, in attesa di sapere come si svilupperà la situazione. Gli organi delle FARC si sono detti "sconcertati", ma l'accordo resta in piedi, come ha affermato lo stesso presidente Santos. Intanto Uribe, forte della vittoria, propone sentenze esemplari, compensazioni finanziarie alle vittime e la messa al bando dalla politica. Uno scenario complesso nel quale la guerra civile rischia di riprendere con maggior forza.


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