lunedì, agosto 29, 2016
Prima la carriera, poi i figli e, forse, la casa. L'Occidente (e l'America) scopre una generazione a due velocità, ma una parte di popolazione "supermobile" ed un'altra condannata a restare sotto il tetto familiare in quartieri e città povere e depresse.

di Lorenzo Carchini

I giovani hanno smesso di comprare case. Coi postumi della recessione e nel mezzo di un'impalpabile ripresa, la percentuale di popolazione tra i 18 ed i 34 anni - i cosiddetti Millennials - che compra una casa è ai minimi storici. Un dato che non coinvolge solo gli stati europei, ma anche gli Stati Uniti che, per la prima volta da un secolo, vedono i propri giovani in casa con la famiglia, piuttosto che sposati.

Certo, oggi è in voga l'idea che l'avversione dei giovani verso la casa possa avere dei risvolti positivi. Dopotutto, proprio la Grande Recessione dell'ultimo decennio ha dimostrato come anche il mattone non costituisca più un bene rifugio. Non possedere una casa, inoltre, può significare avere meno legami ed una maggior possibilità di spostarsi da un paese all'altro in cerca di un buon lavoro. Per di più, vista l'importanza di un titolo di studio nella nostra economia, molti giovani possono essere maggiormente interessati ad investire sulle proprie capacità ed istruzione, piuttosto che in pavimenti, giardini e finestre.

In realtà, nel tentativo in atto nei circuiti mediatici di delineare lo stereotipo di questa generazione come un blob indiscriminato di fannulloni, "choosy" e mammoni, sfugge all'occhio disattento le derive che il fenomeno ha assunto nei paesi europei e negli Stati Uniti. Tra i giovani, infatti, si prospettano due direzioni opposte: i "superflessibili" (nei rapporto del Consiglio Economico della Casa Bianca, "supermobile") ed i "bloccati" ("stuck"). Il tutto con effetti deleteri sul mercato immobiliare.

Da una parte, dunque, giovani provenienti da famiglie ricche o benestanti. Coloro che si muovono verso università prestigiose, nazionali o estere, spesso in grandi metropoli, senza comprare una casa, tanto meno formando una famiglia. Persone che lasciano presto la casa paterna, ma che, dopo gli studi, preferiscono andare avanti in affitto, privilegiando la propria condizione lavorativa. Praticamente hanno messo in "pausa" il proprio ciclo vitale, decidendo, per ambizioni professionali, di essere futuri trentenni con vite da ventenni.

Dall'altra, invece, ragazzi cresciuti in aree povere o depresse, che hanno scarse possibilità di movimento, paralizzati dalla loro stessa condizione a staccarsi dalla famiglia. Una situazione, in particolare negli Stati Uniti, che coinvolge il 70% della popolazione nera povera, ma anche quella ispanica. Spesso sono persone che non hanno finito gli studi e che sono cresciuti in un tessuto sociale dal quale dovrebbero distaccarsi, ma non ne hanno le forze.

Siamo di fronte ad un vero e proprio paradosso: proprio quella porzione di giovani che potrebbe avere effettivi vantaggi da una vita lontana dal luogo di nascita, viene invece condannata a vivere sotto il tetto familiare, nelle zone povere in cui sono cresciuti, senza la prospettiva di un lavoro soddisfacente o di qualunque affermazione personale.

In conclusione, il dato del mercato immobiliare per i giovani è una semplice statistica, dietro la quale, però, possiamo intravedere alcuni dei più gravi problemi che attanagliano la società occidentale.


Sono presenti 0 commenti

Inserisci un commento

Gentile lettore, i commenti contententi un linguaggio scorretto e offensivo verranno rimossi.



___________________________________________________________________________________________
Testata giornalistica iscritta al n. 5/11 del Registro della Stampa del Tribunale di Pisa
Proprietario ed Editore: Fabio Gioffrè
Sede della Direzione: via Socci 15, Pisa