domenica, maggio 29, 2016
Con un'inflazione valutata intorno all'800%, l'economia venezuelana sta letteralmente implodendo. La catastrofe colpisce praticamente tutta la società. Tra le cause il prezzo del petrolio ai minimi storici e gli errori di un'economia mono-produttrice.

di Lorenzo Carchini

E pensare che la Fao aveva premiato, nel 2015, il presidente venezuelano Nicolás Maduro per i suoi programmi di "lotta contro la fame", basandosi sugli indici diffusi dal governo. Chissà se questi tenessero conto dei semafori che non funzionano, delle strade ancora sterrate e colme di spazzatura, delle fogne a cielo aperto e dei mendicanti che in esse si lavano, dissetano ed avvelenano.

Si affittano deodoranti e dentifrici, in Venezuela. Nel 2016 l’economia venezuelana sta letteralmente implodendo. Secondo il Fondo monetario internazionale e la Banca mondiale, l'inflazione è di circa l'800%(il 200% secondo la Banca centrale nazionale).

Nonostante dall'inizio del mese migliaia di persone abbiano manifestato a Caracas e in altre città del paese, la situazione rimane difficile: in tutto il paese la distribuzione alimentare è caotica, i blackout sono continui e l’inflazione erode il potere d’acquisto dei consumatori.

In un clima politico insostenibile dopo la vittoria delle opposizioni nelle elezioni del Dicembre scorso, il presidente Maduro ha dichiarato lo stato d’emergenza "per far fronte all'aggressione esterna contro il nostro paese".

Il Parlamento ha, però, definito il decreto incostituzionale e, in attesa del referendum sulla destituzione del presidente, ha chiamato a raccolta il vecchio incubo sudamericano: l'esercito.

Si lavora due giorni a settimana, in Venzuela. Nella sperduta regione del Bolivar esiste una delle più grandi centrali idroelettriche al mondo, la Guri. Questa fornisce ben il 73% del paese, ma ad oggi è paralizzata.

Questi i risultati dell'emergenza energetica e della fine della bonanza petrolifera. Il paese sta facendo i conti con un'economia mono-produttrice ed indirizzata all'esportazione, capace sì di investire sulle rinnovabili (83% dell'energia prodotta), ma incapace di appianare il debito pubblico, passando da 30 miliardi di dollari a 220 miliardi in 15 anni.

Costano più di 100 dollari le patate, in Venezuela. In un paese dove il 93% dei crimini restano impuniti (a meno che non si parli di dissidenti politici), il mercato nero non solo diventa uno stile di vita, ma "detta" l'economia.

Nello stato d'eccezione imposto dal tasso di cambio del mercato nero, il salario minimo nazionale è pari a solo 42,5 dollari o 31 euro circa. Sedici volte meno rispetto al tasso di cambio ufficiale. L'equivalente di 500 BsF (bolivar fuerte) al giorno. Si pensi che un chilo di patate ne costa 1.200, quando lo si trova. Un chilo di formaggio, invece 5 mila BsF (5 dollari) ed una cipolla 500 BsF (50 centesimi). Non ci è dato sapere il costo di pane, latte o carta igienica: non si trovano.

La scarsità di beni, però, non colpisce solo la popolazione. La Polar, principale fabbrica di birra del paese, ha dovuto bloccare l'attività per mancanza di orzo. Il colosso Coca-cola, invece, non riceve più l'approvvigionamento di zucchero necessario.

Non si è "coltivato il petrolio", in Venezuela. In un articolo sul quotidiano Ahora, il 14 luglio 1936, l'allora Ministro delle finanze e scrittore Arturo Uslar Pietri sostenne che il paese dovesse utilizzare la sua ricchezza naturale per investire in infrastrutture, sanità, istruzione e industrie, per raccogliere i frutti qualora il petrolio fosse finito o ne fosse crollato il valore.

Non sono bastati i piani a lungo periodo di Hugo Chavez, né le preveggenze del realismo magico. Il processo d'innesco della crisi umanitaria, da quella economica, è già ampiamente avviato. La comunità internazionale assiste inerme, mentre Lufthansa effettua gli ultimi voli prima dello stop, annunciato oggi. Ecco come il Venezuela si è scoperto un'isola.


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