Viaggiatori del tempo e dello spazio. Su nuvole e tappeti volanti, gli scrittori disegnano sempre nuove mappe. E sulla pagina nascono e vivono luoghi inventati fino a sembrare veri.
recensione di Danilo Stefani
Giuseppe Lupo, lucano di cinquantuno anni – saggista, romanziere, e insegnante di letteratura italiana contemporanea presso l’Università Cattolica di Milano e Brescia – nel suo Atlante Immaginario, edito da Marsilio e dal 10 settembre in libreria, usa un’immaginazione che crea e plasma per atterrare sui territori impervi, ma affascinanti, dello scrivere.
Una sua geografia che con le tappe nostalgiche della fanciullezza si alterna alle citazioni dei grandi scrittori. Il sapore proustiano delle cose si mescola e si alterna all’onirico e al reale.
Sogna un Garcia Marquez che gli dice “scriviamo per inventare, per che altro sennò”. Lascia intuire quanto una Macondo sia necessaria, se non si vuole diventare folli nella società dell’esattezza esasperata.
Rimaniamo spiazzati, sperduti, quando un software prestigioso rifiuta di darci le coordinate. Ecco che spesso lo scrittore ci viene in soccorso: Lupo lo definisce anche come un ‘Noè a forma di lumaca con un guscio sopra le spalle, che è il riassunto della sua vita’. Una vita che nasce in un luogo per portare le radici (e il guscio) lontano, dove germoglierà a beneficio delle generazioni future. E nasce una Macondo, e crescono gli scrittori che vorrebbero trovarla sulla punta delle dita per trasmetterla come una scarica elettrica che tocchi la spina dorsale del lettore.
Oltre a Garcia Marquez, troviamo Ariosto, Omero, Calvino, Faulkner e tanti altri.
Una carrellata di pensieri, considerazioni e invenzioni fantastiche. A bordo della sua navicella personale, Lupo ci avvicina al mito che compare e scompare in ogni territorio. Ma non dimentica la realtà (non esisterebbe il mito senza la realtà), e dolorosa è la sua osservazione sullo scrivere per ricordare - riferita al terremoto che si abbatté sull’Irpinia nell’inverno del 1980 -: “Si scrive anche per certificare che siamo sopravvissuti a una catastrofe e abbiamo voglia di non tacere più”.
Giuseppe Lupo lavora a due scrivanie, una per i saggi e una per i romanzi.
Confessa che a volte teme di far confusione; ma in questo breve libro (ottantuno pagine), non vi è traccia di disordine: nei giorni di stesura deve aver riunito quelle scrivanie, come ha raccolto, rivisto e integrato gli articoli di una sua rubrica, dal titolo omonimo, comparsa su Avvenire tra il 2012 e il 2013 e che ha generato l’idea di questo libro.
Non resta che affidarsi al guscio sopra le spalle del lettore, che ha pure le sue radici; qui vi troverà tante piantine di letteratura da osservare, catalogare, e serrare nella pinza onnivora dei polpastrelli durante i grigi mesi invernali.
recensione di Danilo Stefani Giuseppe Lupo, lucano di cinquantuno anni – saggista, romanziere, e insegnante di letteratura italiana contemporanea presso l’Università Cattolica di Milano e Brescia – nel suo Atlante Immaginario, edito da Marsilio e dal 10 settembre in libreria, usa un’immaginazione che crea e plasma per atterrare sui territori impervi, ma affascinanti, dello scrivere.
Una sua geografia che con le tappe nostalgiche della fanciullezza si alterna alle citazioni dei grandi scrittori. Il sapore proustiano delle cose si mescola e si alterna all’onirico e al reale.
Sogna un Garcia Marquez che gli dice “scriviamo per inventare, per che altro sennò”. Lascia intuire quanto una Macondo sia necessaria, se non si vuole diventare folli nella società dell’esattezza esasperata.
Rimaniamo spiazzati, sperduti, quando un software prestigioso rifiuta di darci le coordinate. Ecco che spesso lo scrittore ci viene in soccorso: Lupo lo definisce anche come un ‘Noè a forma di lumaca con un guscio sopra le spalle, che è il riassunto della sua vita’. Una vita che nasce in un luogo per portare le radici (e il guscio) lontano, dove germoglierà a beneficio delle generazioni future. E nasce una Macondo, e crescono gli scrittori che vorrebbero trovarla sulla punta delle dita per trasmetterla come una scarica elettrica che tocchi la spina dorsale del lettore.
Oltre a Garcia Marquez, troviamo Ariosto, Omero, Calvino, Faulkner e tanti altri.
Una carrellata di pensieri, considerazioni e invenzioni fantastiche. A bordo della sua navicella personale, Lupo ci avvicina al mito che compare e scompare in ogni territorio. Ma non dimentica la realtà (non esisterebbe il mito senza la realtà), e dolorosa è la sua osservazione sullo scrivere per ricordare - riferita al terremoto che si abbatté sull’Irpinia nell’inverno del 1980 -: “Si scrive anche per certificare che siamo sopravvissuti a una catastrofe e abbiamo voglia di non tacere più”.
Giuseppe Lupo lavora a due scrivanie, una per i saggi e una per i romanzi.
Confessa che a volte teme di far confusione; ma in questo breve libro (ottantuno pagine), non vi è traccia di disordine: nei giorni di stesura deve aver riunito quelle scrivanie, come ha raccolto, rivisto e integrato gli articoli di una sua rubrica, dal titolo omonimo, comparsa su Avvenire tra il 2012 e il 2013 e che ha generato l’idea di questo libro.
Non resta che affidarsi al guscio sopra le spalle del lettore, che ha pure le sue radici; qui vi troverà tante piantine di letteratura da osservare, catalogare, e serrare nella pinza onnivora dei polpastrelli durante i grigi mesi invernali.
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