martedì, maggio 06, 2014
Papa Francesco: non siamo una religione di idee 

di Paolo Fucili

Non solo con la mozzetta famosa perché rimasta nell'armadio, ma neppure indossando la solenne toga con ermellino di un ipotetico “magnifico rettore” Francesco si sentirebbe a suo agio granché. Perché la Chiesa, ha ammonito oggi severo, non è una “Università della religione” con a capo appunto il sommo Pontefice, “noi non siamo una religione di idee, di pura teologia, di cose belle, di comandamenti...”. Né “si può capire un cristiano senza che sia testimone”.

Chi mastica un po' di greco antico ricorda magari dai tempi del liceo che il “martirio” altro non è appunto che la “testimonianza”, insegnano i dizionari. E senza “martirio” non c'è cristianesimo autentico, è il senso di un'omelia di Francesco, pronunciata oggi durante la quotidiana messa a santa Marta, che merita di essere meditata con calma, specie da chi potrebbe essersi lasciato fuorviare dalla falsa immagine del Bergoglio Papa che piace perché avrebbe inaugurato una specie di stagione dei saldi, a prezzi stracciati, del Vangelo e della sovente dura coerenza che esso esige.

Il cristiano che non è un “martire”, suona invece l'arcigno discorso odierno, si faccia un bell'esame di coscienza per capire se davvero possa dirsi tale.. La storia poi, per le sue imperscrutabili strade, ha tinto le parole in questione di un vivido rosso sangue, per i primi sparuti seguaci di Gesù e pure quelli di oggi. Mai, come nel '900, hanno meritoriamente messo in luce gli studi di tanti storici, sono periti di morte violenta così tanti cristiani, in ragione della loro fede. E pochi giorni fa è stato Francesco in persona a menzionare (sempre a santa Marta) l'atroce e triste caso dei cristiani crocifissi a Maloula, in Siria, dai ribelli jihadisti. Quando ha appreso la notizia sul giornale, ha confessato venerdì, “ho pianto... Anche oggi c'è questa gente che in nome di Dio uccide, perseguita!”.

Questa “testimonianza” così essenziale per un cristiano dunque “alcune volte arriva a dare la vita”, addirittura. Come santo Stefano “protomartire” delle letture di oggi, dove è narrata la sua lapidazione. E subito dopo la sua morte, prosegue il racconto, una feroce persecuzione scoppiò sui primi cristiani di Gerusalemme, così che si dispersero altrove. Ma dove fuggivano, là davano testimonianza del Vangelo e suscitavano nuove conversioni, e “così cominciò la missione della Chiesa”, come Bergoglio stamane spiegava, così da far dire al Tertulliano citato nell'occasione che “il sangue dei martiri è seme di cristiani”.

Versare il sangue come eroici testimoni della fede no, ordinariamente grazie a Dio non succede dalle nostre parti. Anche se come era solito osservare il predecessore Benedetto XVI, certo laicismo anticristiano che prolifera alle latitudini europee non è meno odioso ed insidioso delle violenze aperte e sanguinose che i cristiani patiscono in mezzo mondo, chiusa parentesi. Ma anche senza rischiare la pelle, un po' di “martirio” nel senso etimologico del termine dovrebbe toccare un po' a tutti noi, giacché esorta oggi Francesco “il cristiano che non dà testimonianza diventa sterile”, anziché seme, e pure la Chiesa “è feconda e madre quando dà testimonianza di Gesù Cristo. Invece, quando la Chiesa si chiude in se stessa, si crede – diciamo così – un' università della religione, con tante belle idee, tanti bei templi, tanti bei musei, tante belle cose, ma non dà testimonianza, diventa sterile...”.

L'importante, par di capire, è che l'essere cristiani non rimanga allo stato di “teoria” da sviscerare ed apprendere in un'asettica aula universitaria, come fosse una qualunque “materia” di studio. E questa pragmatica e sana “concretezza” cui Francesco oggi ci ha richiamati (e non per la prima volta) stona non poco con lo zuccheroso ritratto sopra evocato del Papa e del suo presunto cristianesimo “all'acqua di rose”.

La battaglia invece, perchè di battaglia si tratta, è dura eccome, altroché, “dobbiamo dire 'no' a tante cose che forse tentano di sedurci”, proseguiva oggi il Papa annotando che Stefano affrontò quel che ha affrontò perché “era pieno di Spirito Santo”, e sarà bene che lo evochiamo anche noi, “su questa strada della testimonianza”. I suoi famosi “sette doni” sono divenuti non a caso il tema delle catechesi dell'udienza del mercoledì, i vari sapienza, intelletto, consiglio, fortezza, scienza, pietà e timor di Dio. Perché la Chiesa non è una università, no, ma qualche rudimento di “dottrina” comunque ci vuole, pensa evidentemente Francesco, anche quelli relativi ai capitoli più politically un- correct del catechismo cattolico.

Prendiamo ad esempio il diavolo, così inviso alla saccenteria di non pochi che lo relegherebbero volentieri in soffitta come argomento vetusto, arretrato, non più al passo coi tempi. E invece è lui in persona che semina l'odio nei cuori dei persecutori dei cristiani, come già con Cristo nella sua Passione e poi con Stefano. E nel martirio di cui si è detto finora si vede chiaramente, è stato spiegato oggi a santa Marta, “questa lotta tra Dio e il demonio”. In fondo, c'è da ammettere, eravamo stati debitamente messi sul “chi va là”, se “essere perseguitato, essere martire, è una delle beatitudini”, di cui addirittura rallegrarsi, esorta il Vangelo, perché “il demonio”, parola di Francesco, “non può vedere la santità di una Chiesa o la santità di una persona, senza combinare qualcosa”. Come dire, “martire” avvisato, mezzo salvato.


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