martedì, gennaio 14, 2014
Lpl pubblica in esclusiva un ciclo di racconti inediti del noto scrittore Silvio Foini. (prima parte)

Alan non chiedeva di meglio. Si avvicinò al fuoco che ardeva nel camino di pietra e rimase immobile ad assorbirne il calore. I suoi denti battevano in un angosciante tremito. La donna gli offrì del latte caldo con del miele mentre l’uomo gli poneva accanto dei modesti abiti asciutti. “Sono miei ma dovrebbero andarti bene. Sei alto e grosso come sono io. Mettili o rischi di beccarti una bella polmonite. Sei un inglese, vero?” Alan accennò di si con il capo mentre finiva di bere. Poi si vestì. Gli abiti erano della sua misura. Si sedettero accanto al fuoco a parlare. Alan si sentiva a casa adesso. In quella modesta casa tanto simile alla sua su nel Derbyshire.

“Ora dovrai stare nascosto qui da noi. – Stava dicendo Matteo, il pescatore fiancheggiatore dei partigiani che agivano sulle sponde del lago Maggiore. - Ti cercheranno... lo staranno già facendo. Sono bastardi come pochi al mondo. Se ti trovassero non scommetterei un centesimo sulla tua vita. Mi capisci?” Alan assentì. In tutta quella pericolosissima situazione il suo pensiero non si discostava un attimo dal volto della fanciulla che lo aveva tratto dal fondo del lago. Era quasi come se di tutto il resto non gli importasse nulla. Lei era stata un sogno? Una visione pre morte? Una anticipazione del paradiso? Un angelo? Forse tutte queste cose insieme. Raccontò ai suoi generosi ospiti quanto era avvenuto dal momento in cui il suo velivolo era stato abbattuto, raccontò di come era potuto riemergere dal fondo del lago e parlò della fanciulla. I due ascoltavano in silenzio poi Alan si accorse che lacrime scendevano dagli occhi a rigar le guance di quelle povere persone. Il fuoco trasformava in rubini quelle perle di un dolore per lui incomprensibile. La donna desiderò che lui le parlasse dell’aspetto di quell’entità diafana che lo aveva salvato. Lui descrisse quel viso dai lineamenti bellissimi e dolci, parlò di quei profondi occhi che lo avevano guardato con tenerezza infinita, di quei lunghi capelli biondi che ondeggiavano mossi dall’acqua, di quel fisico statuario che si muoveva nell’acqua con una leggerezza quasi impossibile.

La donna si levò dalla panca su cui stava seduta accanto al marito. “Ora ti mostrerò una vecchia fotografia, mio caro ragazzo... aspetta.” Si diresse verso l’unica altra stanza della casa e quando ne uscì portava in mano una piccola cornice d’argento. La porse ad Alan che prese ad osservare quel viso. Scosse ripetutamente il capo incredulo. “Questa è la donna che stava in fondo al lago. La conoscete?” Domandò stringendo la vecchia immagine al petto. Matteo tirò su con il naso. “E’... era nostra figlia... è annegata venti anni fa in una sera di febbraio come questa.” Scese un greve silenzio nella casupola del pescatore mentre fuori il vento fischiava lugubremente fra le canne. Adesso Alan si accorse di piangere. “Io voglio rivederla... devo rivederla! Non potrò mai avere pace se non vi riuscirò!” Esclamò rendendo alla madre la fotografia. “Caro ragazzo... Ofelia è morta. Non potresti rivederla nemmeno se tu scendessi nuovamente in fondo al lago. Lei è dappertutto ormai, lei è lo spirito del lago e attraverso lo sciabordio dell’acqua che fluttua intorno alla mia barca quando vado fuori a pescare lei mi parla. Mi sembra che racconti storie a volte liete e a volte tristi. Mi ha detto che non è veramente morta... ella vive ed attende. Dice che qualcuno lassù le abbia promesso che potrà tornare a vivere ancora...” “Forse aspettava proprio te... – Disse la madre asciugando l’ultimo pianto. – Forse lei ritornerà ma tu devi credere che questo potrà avvenire. Riuscirai in questo giovane inglese?” Alan Khenilwort, baronetto di sua maestà britannica, asso dei cieli, puro di spirito e colmo il cuore di nobili intenti ci credette e promise di trovare Ofelia gli fosse anche costata la sua propria vita.

“Non tornerò a casa mia senza aver mantenuto la promessa. Desidero, se lo vorrete, rimanere qui, con voi. Farò il pescatore e saprò amarvi e rispettarvi come avrebbe fatto sempre lei. Se deve tornare a vivere io la riporterò qui come lei ha fatto con me.” I due lo abbracciarono con gioia infinita. Fuori intanto, il vento era cessato e nel cielo terso e stellato come non mai. la Luna osservò qualcosa o qualcuno riemergere dalle profondità delle scure acque. La guerra finalmente finì. Era il 1945. Alan aveva imparato a pescare i lucci d’argento e gli altri pesci che popolavano quel lago che ora amava. Tutti, nel piccolo paese avevano accettato la sua presenza come nipote di Matteo e di Rosa. “...E’ figlio del Carletto, quel mio cugino che era andato a fare il minatore in Inghilterra. Ricordate no?” Tutti ricordavano bene quel Carlo che non aveva voluto fare il pescatore e che nel 1916 se ne era partito col piroscafo. Così Alan divenne Aldo e tutte le mattine, escluse le Domeniche, usciva con la barca. Mentre gettava le reti bisbigliava una preghiera: “ Torna dolce ragazza, torna! Son qui solo per te e non me ne andrò mai più. Ti aspetterò sino all’ultimo istante della mia vita, quella che devo a te. Ascoltami Ofelia!” Aveva sempre negli occhi e nell’anima l’immagine di quel meraviglioso viso e di quei profondi occhi che si erano fissati a lungo nei suoi mentre egli stava morendo.

Tutto accadde un pomeriggio di ottobre, sul lungo lago di Angera. Aldo e Matteo si erano recati allo spaccio dove vendevano fra le altre cose, aghi d’osso per ricucire le reti da pesca poi si erano fermati a bere qualcosa al bar che aveva i tavolini vista lago. Una giovane donna, una cameriera, avanzò verso di loro con in mano un cabaret con due birre. Li depositò sul tavolino. Matteo balzò di scatto in piedi rovesciando la sedia in ferro battuto portandosi la mani strette sul cuore. Ebbe appena il tempo di sussurrare un nome “Ofelia” poi stramazzò sul lastricato in cubetti di porfido. Il suo vecchio cuore non aveva retto.

Alan rimase impietrito, stordito. Come se su di lui si fosse rovesciata addosso una immensa massa d’acqua. Guardò la ragazza chinarsi sull’uomo che giaceva a terra con sul viso la splendida gioia di chi è finalmente in pace. Lei gli chiuse gli occhi. “Ora dormi papà. Io sono qui. Sono tornata. Per amore” Poi, mentre tutt’intorno la gente si faceva in quattro per prestare l’inutile soccorso al buon Matteo che tutti conoscevano e stimavano, la giovane tese la mano ad Alan che l’afferrò. Una potente sensazione mista fra terrore, gioia e incredulità lo pervase.

I due giovani si baciarono a lungo ignorati da tutti. “Mi hai cercata con tutto te stesso e mi hai fatta tornare. Io non ti lascerò mai più!” Disse lo spirito del lago ad un attonito giovane inglese che faticava persino a respirare tant’era l’emozione di quel repentino incontro. “Ci puoi scommettere Ofelia o ti costringerò ancora a tirarmi fuori dall’acqua... Grazie piccolina mia. Ora sarà per sempre.” La vita continuò. Tutti nel circondario appresero con gioia la notizia del ritorno della giovane data per annegata nel lago anni prima e il cui corpo non era mai stato ritrovato e tutta la sponda del lago partecipò alla cerimonia che unì in matrimonio i due giovani. Nel 1947 venni al mondo io e ne fui ben felice. I miei genitori mi adoravano e la mia vecchia nonna Rosa stravedeva per il nipotino che voleva fare a sua volta il pescatore. Ma i tempi mutarono in fretta ed io feci tutt’altro. Geneticamente avevo il volo nel cuore e così seguii le orme del mio grande padre. Non avevo mai paura quando mi alzavo in volo: sapevo che non mi sarebbe mai potuto accadere nulla di male.

Ma una profezia mi seguiva sempre e dappertutto. Non sarei stato mai davvero felice se no avessi incontrato, al par di mio padre, la mia Ofelia. Quando avevo perdute le speranze lei arrivò. Entrambi reduci da esperienze che ci avevano soltanto lasciato l’amaro in bocca perché l’altro o l’altra non erano mai quelli giusti... Adesso i miei genitori non ci sono più: li immagino seduti da qualche parte lassù che scrutano le nostre vicende e sorridono benevolmente. L’altra sera, io e la mia donna stavamo passeggiando sulla riva del nostro lago e ci era parso di vedere due persone, un uomo e una donna, sedute sul muretto con i piedi a bagno nelle piccole onde della risacca. Lei aveva la testa appoggiata sulla spalla di lui e guardavano verso il sole che tramontava inondando di una luce d’oro tutto il lago. Si, mamma e papà, ci avete regalato un sogno. Uno splendido sogno che si chiama amore. Questo sarà per sempre lo spirito del lago. Un giorno io lo recupererò quello Spitfire della Royal Air Force che fu abbattuto in una sera di febbraio, quell’aereo che permise alla mia vita di nascere.


È presente 1 commento

Anonimo ha detto...

Sei capace di fare sognare la gente!
Loretta.

Inserisci un commento

Gentile lettore, i commenti contententi un linguaggio scorretto e offensivo verranno rimossi.



___________________________________________________________________________________________
Testata giornalistica iscritta al n. 5/11 del Registro della Stampa del Tribunale di Pisa
Proprietario ed Editore: Fabio Gioffrè
Sede della Direzione: via Socci 15, Pisa