sabato, marzo 23, 2013
E’ passato un anno dal colpo di stato militare che in poche ore, il 22 marzo 2012, ha portato alla destituzione del presidente Amadou Toumani Touré, trascinando il Mali, un paese considerato piuttosto stabile, fuori dall’ordine costituzionale e facendo precipitare la crisi armata del nord a favore dei gruppi ribelli. 

Misna - Da allora la sfera politica si è divisa tra partiti pro-golpisti e quelli anti-golpisti, con i primi che criticano la ‘road map’ approvata lo scorso gennaio dal governo di transizione di Diango Cissoko che prevede l’organizzazione di elezioni generali entro il 31 luglio per voltare definitivamente pagina sul golpe orchestrato dall’ancora influente capitano Amadou Haya Sanogo. Quest’ultimo è ora alla guida del comitato di riforma dell’esercito maliano, impegnato dall’11 gennaio accanto ai militari francesi nella piena riconquista delle regioni settentrionali rimaste per quasi un anno sotto il controllo dei ribelli islamici e tuareg .

Le forze vicine all’ex giunta militare, ma non solo, fanno notare che la scadenza di luglio è troppo vicina da un punto di vista tecnico: il registro dei votanti non è pronto, la sicurezza non è stata del tutto ristabilita mentre più di 430.000 persone sfollate e rifugiate rischiano di non poter andare alle urne quest’estate, stagione delle piogge che rischia di complicare ulteriormente le elezioni. Ad insistere sul rispetto del calendario prestabilito sono invece i partner del Mali, a cominciare dalla Comunità economica degli Stati dell’Africa occidentale (Cedeao/Ecowas) e dalle potenze occidentali, entrambe in prima fila nell’offensiva militare in corso. Incerta e divisa è la posizione dei maliani che dal golpe e dalla crisi armata del nord hanno ricevuto una pesante eredità fatta di sospetti tra le varie comunità e incertezza per il futuro. Le autorità di transizione hanno istituito una commissione dialogo e riconciliazione che finora non è entrata in attività. Inoltre tra la gente “domina un sentimento di sfiducia nella classe politica, molto divisa, vista come incapace di gestire il paese oltre che criticata per i numerosi casi di corruzione emersi negli ultimi tempi” dicono alla MISNA fonti della società civile maliana contattate a Bamako.

Ma oggi, più che sulla difficile e incerta transizione politica, gli occhi dei maliani sono ancora puntati verso nord, all’indomani del primo attentato che ha colpito la città di Timbuctù, patrimonio mondiale dell’umanità. Finora Timbuctù era stata risparmiata da questo tipo di attacchi che aveva invece già colpito Gao e Tessalit. L’attentato di ieri è stato rivendicato dagli islamisti del Movimento per l’unità e il jihad in Africa occidentale (Mujao), legati ad Al Qaida nel Maghreb islamico (Aqmi). “Abbiamo aperto un nuovo focolaio di conflitto a Timbuctù e continueremo così (…); i francesi sono i nostri nemici ma consideriamo tali anche coloro che lavorano con loro” ha minacciato Adnan Abou Al Walid Sahraoui, portavoce del Mujao. Nel tentativo di infiltrazione dei ribelli in città, le forze maliane e francesi hanno ucciso dieci jihadisti mentre un soldato di Bamako ha perso la vita nei combattimenti durati diverse ore. Le operazioni militari si stanno concentrando nei territori montuosi degli Ifoghas e di Timetrine (nord-est), principale roccaforte di Aqmi.

Intanto il dipartimento di Stato statunitense ha annunciato di aver iscritto nella lista dei gruppi terroristi stranieri Ansar Al Din (Difensori dell’Islam), il cui capo, il tuareg Iyad Ag Ghali, era già stato inserito nell’elenco lo scorso febbraio per i suoi legami comprovati con Aqmi. I due gruppi armati hanno occupato i principali centri del nord del Mali – Gao, Kidal e Timbuctù – dove hanno commesso violazioni dei diritti umani e distruzioni a nome della sharia (legge islamica).


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