lunedì, gennaio 14, 2013
Le attuali questioni della politica migratoria in Svizzera

di Luisa Deponti (CSERPE)

Durante una lezione sulla storia dell'immigrazione in Svizzera presso la Pädagogische Hochschule a Basilea, insieme ai partecipanti ho potuto ripercorrere le principali tappe storiche fino alla recente "nuova immigrazione" di lavoratori altamente qualificati provenienti dai paesi dell'Unione Europea. Con mia grande sorpresa la discussione finale si è accesa proprio su quest'ultimo aspetto ed in particolare sul massiccio afflusso di tedeschi. Uno studente esprimeva la preoccupazione che la concorrenza di questi lavoratori avesse effetti negativi sugli stipendi degli svizzeri, altri invece sottolineavano il contributo dell'immigrazione per la crescita economica generale del paese, seppur con degli svantaggi per alcune fasce di popolazione, una giovane donna manifestava disagio per il fatto che nei parchi della città non si senta più parlare il dialetto basilese, ma il tedesco…

Ormai da diverso tempo i media mettono in evidenza che tali opinioni non sono voci isolate. Il saldo migratorio annuale, sempre positivo negli ultimi cinque anni e compreso tra le 70'000 e le 80'000 persone, ha creato nella popolazione locale reazioni che vengono sostenute anche da partiti e movimenti populisti. L'Unione Democratica di Centro ha lanciato l'iniziativa popolare "Contro l'immigrazione di massa", con l'intento di introdurre delle quote massime per l'immigrazione per tutte le categorie di stranieri, compresi i cittadini dell'Unione Europea, per i quali attualmente vige la libera circolazione, e i rifugiati, che godrebbero del diritto d'asilo. Inoltre, l'iniziativa "Stop alla sovrappopolazione - sì alla conservazione delle basi naturali della vita", promossa dall'Associazione per l'ambiente e la popolazione ECOPOP, vorrebbe limitare allo 0,2% la porzione di crescita annuale della popolazione residente dovuta all'immigrazione. Lo stesso Consiglio Federale ha avvertito la necessità di affidare ad un gruppo di lavoro il compito di considerare le chance e i rischi dell'attuale politica migratoria nel suo impatto sull'economia, il sistema sociale, la scuola, l'integrazione, il mercato immobiliare, il traffico, il consumo di energia, l'ambiente.

Ciò indica che non si tratta più solo di un dibattito sulle politiche migratorie, ma di un dibattito sulla crescita economica e le conseguenze che essa porta con sé. Profonde paure attraversano la popolazione locale: molte persone avvertono la predominante legge del mercato, la globalizzazione, i mutamenti della società come realtà minacciose, come una perdita di controllo sulla propria vita e il proprio ambiente.

L'ampiezza del cambiamento, in effetti, è rimasta inizialmente ignorata: l'introduzione della libera circolazione per i cittadini dell'Unione Europea è coincisa con una fase di fabbisogno di manodopera qualificata da parte della Svizzera. Le esigenze del mercato del lavoro hanno determinato una forte immigrazione di specialisti. La Confederazione Elvetica, infatti, per mantenere salari e standard di vita molto elevati nel bel mezzo di un mondo globalizzato deve puntare sull'economia della conoscenza e sul capitale umano. Fino ad oggi l'immigrazione risulta necessaria perché nel paese non vi è un numero sufficiente di lavoratori con le necessarie competenze. Si pone qui la domanda se sia preferibile continuare a ricercare all'estero questa manodopera o favorire piuttosto la formazione dei lavoratori già presenti sul territorio. Le due strategie, in realtà, non andrebbero tra loro contrapposte. Da una parte, la Svizzera continuerà ad avere bisogno di specialisti provenienti dall'estero, sia per motivi demografici sia per l'arricchimento in termini di interscambio, creatività e innovazione che essi portano con sé. Dall'altra, il governo e anche le aziende non possono venir meno alla loro responsabilità sociale nei confronti della popolazione locale (sia autoctona che immigrata da lungo tempo) e dovranno investire su una sua maggiore qualificazione e sull'integrazione, intesa come un processo reciproco di avvicinamento in vista della costruzione di un futuro comune.

Si tratta di superare nella gestione delle migrazioni un'ottica puramente economicistica, che considera la persona del migrante o dell'autoctono dal solo punto di vista produttivo. È necessaria una corresponsabilità più ampia per il bene comune che abbracci anche gli aspetti umani, culturali, ambientali e, in particolare, la qualità delle relazioni tra i diversi gruppi e individui che convivono sullo stesso territorio.

La corresponsabilità per il bene comune, inoltre, non può fermarsi ai confini nazionali ed avere solo di mira la competitività del paese. Altre forme di immigrazione, che raggiungono anche la Svizzera, come quella dei rifugiati o di coloro che cercano di sfuggire alla crisi economica nei loro paesi, ci aprono gli occhi su gravi situazioni di ingiustizia e di violenza. Ogni decisione e azione locale ha oggi un impatto globale.

Tutte queste sfide ci sollecitano ad interrogarci su che cosa determini l'autentico sviluppo di un paese e a trovare strade di riflessione e di azione che permettano di superare il clima di paura e di rassegnazione che spinge alla chiusura e al conflitto.

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