lunedì, dicembre 24, 2012
Nel tradizionale discorso di auguri alla Curia romana, tenuto il 21 dicembre nella Sala Clementina del Palazzo Apostolico Vaticano, Benedetto XVI torna sul tema della famiglia e del dialogo interreligioso e con le forze sociali. Tra i fattori di crisi della famiglia la “nuova filosofia della sessualità” gender.

di Bartolo Salone

Dopo il vespaio di polemiche sollevate dalla diffusione del Messaggio per la Giornata della Pace, nel quale aveva definito come “ferite alla pace” la negazione di alcuni principi riguardanti la vita umana e la famiglia fondata sul matrimonio tra uomo e donna, Benedetto XVI torna sull’argomento, dedicando particolare attenzione alla “teoria del gender” e alle inquietanti prospettive che essa apre sul piano della concezione dell’uomo e della famiglia. Secondo questa pericolosa teoria, il sesso – ammonisce il Papa – “non è più un dato originario della natura che l’uomo deve accettare e riempire personalmente di senso, bensì un ruolo sociale del quale si decide autonomamente, mentre finora era la società a decidervi”.

In verità, i sostenitori del pensiero “gender” affermano che l’identità sessuale non sia iscritta nella natura (nel DNA e nei cromosomi), essendo piuttosto il risultato di condizionamenti familiari, culturali e ambientali che non possono avere carattere imperativo per l’individuo, sicché ciascuno ha il diritto di costruirsi il proprio “genere”, fluttuando liberamente tra il maschile e il femminile e transitando per tutte le possibilità intermedie. Secondo questa teoria, gli esseri umani alla nascita sarebbero neutrali rispetto all’identità sessuale e, di conseguenza, sarebbero le influenze post-natali, di tipo culturale, non ormonale, specialmente quelle della prima infanzia, a condizionare l’identità sessuale. Come è stato da più parti evidenziato, la teoria del gender si fonda su basi empiriche povere o addirittura inesistenti e per di più contrasta con le più elementari nozioni di biologia umana e animale. Il comportamento sessuale maschile, come si sa, deriva infatti, tanto nell’uomo quanto negli animali, dall’esposizione al testosterone (comandato dal cromosoma Y di cui solo i maschi sono dotati) durante la vita pre-natale. Questo è ciò che fa la differenza tra un uomo e una donna ed è proprio su quest’imprescindibile dato di partenza che poi si innestano gli altri fattori di tipo psicologico, affettivo, relazionale e culturale (per ulteriori approfondimenti sul tema vedi il mio articolo “Dal transessualismo al sesso neutro: verso una nuova antropologia?”). Nella prospettiva “gender”, invece, i termini della questione vengono sostanzialmente invertiti e ciò per ragioni non scientifiche, ma eminentemente “politiche”: la teoria del “gender” è infatti lo strumento ideologico di cui si servono le varie organizzazioni GLBT e i movimenti di liberazione gay per le loro rivendicazioni sul piano politico e legislativo.

Più che una teoria scientifica, quella del gender si presenta come una ideologia politica, basata su una visione della natura umana e dei rapporti familiari che il Papa non ha timore nel definire come “profondamente ed evidentemente” erronea. Il giudizio del Pontefice, che riassume la posizione della Chiesa in materia, è condotto naturalmente sul piano filosofico, antropologico e biblico. Nel suo discorso, credo non a caso, Benedetto XVI evita di affrontare le questioni connesse alla validità scientifica della teoria del gender, anche se, come già detto, pure sul piano scientifico questa teoria presenta delle enormi lacune. Ebbene, l’erroneità sul piano antropologico della teoria “gender” deriva dal voler negare quel dato di natura, costituito dal sesso, che per l’uomo, per ogni uomo, rappresenta un fatto precostituito, immanente nella propria corporeità, come anche la sapienza biblica ci ricorda: “Dio creò l’uomo a sua immagine, a immagine di Dio lo creò, maschio e femmina li creò” (Gen 1, 27). “L’uomo – osserva giustamente il Papa – contesta così la propria natura. Egli è ormai solo spirito e volontà. La manipolazione della natura, che oggi deploriamo per quanto riguarda l’ambiente, diventa qui la scelta di fondo dell’uomo per quanto riguarda sé stesso. Esiste ormai solo l’uomo in astratto che poi sceglie per sé autonomamente qualcosa come sua natura”. L’ideologia “gender” poggia, quindi, più o meno consapevolmente, su una filosofia di stampo spiritualista, che ripropone il dualismo platonico tra corpo e anima, che la Chiesa nel corso dei secoli ha sempre combattuto nelle varie forme in cui si è storicamente presentata, data la sostanziale svalutazione della corporeità cui essa conduce. L’antitesi della visione “gender” rispetto all’antropologia cristiana non potrebbe essere più radicale.

Ma se maschio e femmina, come realtà della creazione, come dato di natura, non esistono più, allora, continua Benedetto XVI, “non esiste più neppure la famiglia come realtà prestabilita dalla creazione”. In tal caso anche la prole perde la particolare dignità che le è propria, passando (come pure sostenuto dal Gran Rabbino di Francia, Gilles Bernheim, di cui il pontefice riprende qui le considerazioni) da soggetto giuridico a sé stante ad oggetto “a cui si ha diritto e che, come oggetto di diritto, ci si può procurare”. Fra le righe viene quindi affrontata la triste tematica dell’omogenitorialità e soprattutto del diritto prepotentemente rivendicato dalle organizzazioni gay per le coppie omosessuali al matrimonio e all’adozione.

Questa trasformazione della concezione del matrimonio e della famiglia è del resto sotto gli occhi di tutti. Basti pensare al fatto che le convenzioni e i documenti internazionali approvati negli ultimi tempi dalle Nazioni Unite, sotto il profilo terminologico, tendono ad evitare volutamente, quando parlano di matrimonio e di famiglia, ogni riferimento alla differenza di sesso tra i coniugi o i genitori (termini come “padre” e “madre” o come “marito” e “moglie” sono stati oculatamente sostituiti con vocaboli o espressioni “gender neutral” del tipo “progetto parentale”, “genitorialità”, “rapporto di coniugio” o con un asettico riferimento ai “diritti riproduttivi”). La stessa Unione Europea, tanto attenta alla neutralità sul piano religioso della sua legislazione e delle sue istituzioni, in materia familiare, al contrario, pressa continuamente gli Stati-membri attraverso risoluzioni, raccomandazioni, direttive affinché ridefiniscano la concezione tradizionale della famiglia conformemente ai dettami della nuova ideologia “gender”. E così non pochi paesi europei nell’ultimo decennio hanno riconosciuto prima il diritto al matrimonio e poi quello alle adozioni alle coppie omosessuali. A livello nazionale poi non sono mancate voci favorevoli alla modifica degli articoli della Costituzione sui rapporti etico-sociali, e in particolare dell’art. 29, che definisce la famiglia come “società naturale fondata sul matrimonio”.

Sembra quasi che, sotto la spinta dei movimenti GLBT, che rappresentano una piccolissima parte della popolazione mondiale, le legislazioni nazionali e la produzione normativa sovranazionale stiano gradualmente attuando quell’“agenda gender” delineata nell’ultimo trentennio da una risicata ma intraprendente élite intellettuale. La filosofa Judith Butler, docente a Berkeley, già nei suoi studi degli anni ’90, ad esempio, cominciava a sostenere che l’identità sessuale fosse un’invenzione e che qualsiasi richiamo alla natura fosse truffaldino, antiquato, oppressivo e discriminatorio per definizione e che i termini “padre” o “madre” sono quasi degli insulti, ciarpame da azzerare con definizioni meno biologicamente deterministiche. La tendenza nel mondo occidentale sembrerebbe quella di assecondare questo tipo di concezioni, in apparenza così moderne, aperte ed inclusive. La Chiesa cattolica, invece, è una delle poche istituzioni che con coraggio e pubblicamente continua ad esaltare il valore della famiglia come società naturale fondata sull’amore esclusivo e indissolubile tra un uomo e una donna.

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