Il magistrato ospite di "Trame" il festival dei libri sulle mafie
Liberainformazione - Da mesi al centro delle polemiche per aver detto durante una manifestazione politica le ormai note parole “Sono partigiano della Costituzione”, il procuratore aggiunto di Palermo, Antonio Ingroia, ospite al Festival "Trame" a Lamezia Terme ha parlato del ruolo che svolge oggi la magistratura in Italia. Il procuratore aggiunto di Palermo, in occasione della presentazione del suo ultimo libro, "Palermo, gli splendori , le miserie, l’eroismo e la verità” ha dichiarato: «Negli ultimi anni in Italia, i magistrati hanno assunto un ruolo sempre più importante, colmando i vuoti lasciati dal potere politico, hanno svolto un ruolo così importante da diventare punti di riferimento. Falcone e Borsellino lo erano ancora prima di essere uccisi. La caratterista del nostro Paese è di avere una diffusa e dilagante presenza dipoteri criminali spesso in correlazione con pezzi della classe dirigente. In Italia questa è una questione centrale, rispetto a quanto lo potrebbe essere in altri stati democratici. E finisce per essere al centro del dibattito politico. Di conseguenza, poiché di questo la politica tende a non occuparsi, scaricando la responsabilità sulle spalle della magistratura, l’effetto che si produce è che il magistrato di fatto finisce per dover capire di media, dell’impatto mediatico che hanno le sue indagini, dell’impatto politico che finisce per avere la sua inchiesta».
«Per cui - ha spiegato Ingroia - non basta essere un magistrato nelle aule dei giustizia, ti ritrovi proiettato in una realtà molto più difficile e complessa di quella che immagini quando vinci il concorso in magistratura. Il tuo ruolo non può esaurirsi nelle indagini e nei processi, si deve completare la propria attività nella società. Essere qui per me è una continuazione del lavoro che ho fatto stamattina in ufficio. Un magistrato non è che ha bisogno del sostegno dell’opinione pubblica, ma ha bisogno – soprattutto quando si occupa di fenomeni criminale complessi come la mafia – di avere una correlazione con un’opinione pubblica che sia informata, consapevole avvertita, attiva e impegnata».
«Questa è un’intuizione della magistratura dagli anni '80: da Chinnici in poi. Cioè di capire che la nostra attività non poteva finire nel palazzo di giustizia, doveva continuare nei dibattiti, nelle scuole, fra gli studenti». Il racconto della "sua" Palermo, di miserie e nobiltà del capoluogo siciliano, si incrociano con i temi di stretta attualità e le delicate inchieste sulla cosiddetta "trattativa Stato - mafia" e le recenti polemiche piombate sul Quirinale. «Dobbiamo evitare le strumentalizzazioni sulla questione della trattativa Stato-Mafia: autorevoli sono state le parole di Napolitano che hanno riconosciuto il lavoro dei pm» - ha detto Ingroia. «Una trattativa che, se davvero c’è stata e aveva una finalità strategica di repressione della mafia, «ha in realtà avuto un effetto controproducente di acceleratore di altre stragi», prosegue il procuratore aggiunto nel suo intervento - ricordando che i giudici di Firenze definirono «scriteriata (quella) trattativa» perché aveva dato alla mafia quello che voleva, permettendole di usare la categoria delle stragi per continuare ad ottenere ciò di cui aveva bisogno. Per questo, secondo il pm di Palermo, che è difficile ammettere questo "dialogo" Stato - mafia.
In compagnia del giornalista di Rainews, Arcangelo Ferri, Ingroia ha ripercorso la sua lunga carriera in magistratura, raccontando i processi e le inchieste più note (da Contrada a Dell’Utri alla "trattativa") inchieste accomunate da due fattori che nell’arco di vent’anni si sono ripresentati più volte: anzitutto, il fatto che la mafia sia un’organizzazione che nella costruzione di un sistema basato su intimidazioni e violenza «è indubbiamente aiutata da pezzi di Stato» e, in secondo luogo, le reazioni delle istituzioni all’accusa che i suoi uomini fossero collusi con le organizzazioni della criminalità organizzata.
«Negli anni si è sempre cercato di sminuire il lavoro dei pool antimafia: è successo a Falcone e Borsellino, è successo a Caselli e succede oggi - dice Ingroia» che precisa anche «non abbiamo avuto alcuna pressione diretta». Nessuna ingerenza ma tanta tensione, in merito a quest'ultima inchiesta, in particolare. Ed è proprio parlando di questo clima che Ingroia si rivolge ai media: «possono aiutare le indagini se non distorcono le informazioni». Una critica neanche troppo velata ad un modo di fare informazione che – nelle parole dello stesso Ingroia – troppo spesso «pensa solo a rincorrere lo scoop».
«Per cui - ha spiegato Ingroia - non basta essere un magistrato nelle aule dei giustizia, ti ritrovi proiettato in una realtà molto più difficile e complessa di quella che immagini quando vinci il concorso in magistratura. Il tuo ruolo non può esaurirsi nelle indagini e nei processi, si deve completare la propria attività nella società. Essere qui per me è una continuazione del lavoro che ho fatto stamattina in ufficio. Un magistrato non è che ha bisogno del sostegno dell’opinione pubblica, ma ha bisogno – soprattutto quando si occupa di fenomeni criminale complessi come la mafia – di avere una correlazione con un’opinione pubblica che sia informata, consapevole avvertita, attiva e impegnata».
«Questa è un’intuizione della magistratura dagli anni '80: da Chinnici in poi. Cioè di capire che la nostra attività non poteva finire nel palazzo di giustizia, doveva continuare nei dibattiti, nelle scuole, fra gli studenti». Il racconto della "sua" Palermo, di miserie e nobiltà del capoluogo siciliano, si incrociano con i temi di stretta attualità e le delicate inchieste sulla cosiddetta "trattativa Stato - mafia" e le recenti polemiche piombate sul Quirinale. «Dobbiamo evitare le strumentalizzazioni sulla questione della trattativa Stato-Mafia: autorevoli sono state le parole di Napolitano che hanno riconosciuto il lavoro dei pm» - ha detto Ingroia. «Una trattativa che, se davvero c’è stata e aveva una finalità strategica di repressione della mafia, «ha in realtà avuto un effetto controproducente di acceleratore di altre stragi», prosegue il procuratore aggiunto nel suo intervento - ricordando che i giudici di Firenze definirono «scriteriata (quella) trattativa» perché aveva dato alla mafia quello che voleva, permettendole di usare la categoria delle stragi per continuare ad ottenere ciò di cui aveva bisogno. Per questo, secondo il pm di Palermo, che è difficile ammettere questo "dialogo" Stato - mafia.
In compagnia del giornalista di Rainews, Arcangelo Ferri, Ingroia ha ripercorso la sua lunga carriera in magistratura, raccontando i processi e le inchieste più note (da Contrada a Dell’Utri alla "trattativa") inchieste accomunate da due fattori che nell’arco di vent’anni si sono ripresentati più volte: anzitutto, il fatto che la mafia sia un’organizzazione che nella costruzione di un sistema basato su intimidazioni e violenza «è indubbiamente aiutata da pezzi di Stato» e, in secondo luogo, le reazioni delle istituzioni all’accusa che i suoi uomini fossero collusi con le organizzazioni della criminalità organizzata.
«Negli anni si è sempre cercato di sminuire il lavoro dei pool antimafia: è successo a Falcone e Borsellino, è successo a Caselli e succede oggi - dice Ingroia» che precisa anche «non abbiamo avuto alcuna pressione diretta». Nessuna ingerenza ma tanta tensione, in merito a quest'ultima inchiesta, in particolare. Ed è proprio parlando di questo clima che Ingroia si rivolge ai media: «possono aiutare le indagini se non distorcono le informazioni». Una critica neanche troppo velata ad un modo di fare informazione che – nelle parole dello stesso Ingroia – troppo spesso «pensa solo a rincorrere lo scoop».
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