sabato, settembre 24, 2011
Francesca Petronella ci racconta il suo viaggio missionario in Marocco. L'invito che rivolge a tutti i giovani è di provare questo tipo di esperienze, davvero indimenticabili e arricchenti

Prima di intraprendere questo viaggio missionario, del Marocco sapevo ben poco, o meglio sapevo più o meno quello che crede di sapere la maggior parte degli italiani sul popolo marocchino, quindi per lo più qualche preconcetto e qualche banale e scontato luogo comune. Allora ho deciso di partire, decidendo all’ultimo momento, per scoprire di persona questo paese e per farmi sorprendere dal Marocco e dalla sua gente. “Il Marocco è un susseguirsi di porte che si spalancano a mano a mano che si avanza” scrive Tahar Ben Jelloun, scrittore marocchino, e così è stato: occorre lasciarsi condurre dal vento del deserto che soffia da Casablanca fino a Skura, lungo le tappe del cammino missionario, passando per Meknes, Marrakesh, Ouarzazate. Strada facendo ho scoperto che il Marocco è un paese in cui alcuni, pochi ma molto potenti, possono permettersi di vivere nel lusso e nella ricchezza, come in una grande metropoli europea, e molti, per lo più nelle città più piccole e nei villaggi, vivono con l’essenziale, con poco ma con molta dignità. Contrapposizioni presenti, seppur in forma diversa, anche in Italia.

Ho condiviso il mio cammino con altre compagne di missione e ho imparato che la convivenza con compagne di viaggio appena conosciute non è facile, ma è possibile ed è divertente se si fa un passo indietro nelle proprie abitudini europee e un piccolo passo in avanti verso la cultura e le usanze di un popolo nuovo.

Ho conosciuto chi ha portato davvero il Vangelo sulla strada, chi ha vissuto o sta vivendo accanto agli ultimi, i ragazzi disabili abbandonati, i carcerati, i migranti: suor Mariangela, che ci ha pazientemente accompagnate per tutto il viaggio; suor Francesca, guida delle Francescane Missionarie di Maria in Marocco e promotrice del centro per disabili di Amnougar; suor Miriam, che si occupa del centro migranti di Casablanca; suor Angela e suor Genevieve, che offrono il loro aiuto alla comunità di Ouarzazate; Fra Pietro, sostegno spirituale per tutti i cristiani di Meknes e punto di riferimento per tutti i ragazzi della sua scuola e per i disabili abbandonati; Padre Renato, da sempre attivo nell’aiuto ai migranti. Ovunque siamo andate, siamo sempre state accolte e ospitate da comunità francescane attive sul territorio in cui operano insieme suore provenienti da ogni parte del mondo e dove è normale sentire parlare in francese, inglese, spagnolo, italiano, arabo. Siamo rimaste felicemente sorprese nell’incontrare tanti laici, italiani e arabi, che si raccolgono intorno alle comunità cristiane presenti in Marocco e che collaborano con loro nei loro progetti di aiuto agli ultimi.

Durante queste tre settimane di vita comunitaria ho cercato di annotare tutto quello che ci succedeva durante le lunghe giornate: gli incontri, le preghiere, la condivisione, l’animazione, le gite con i bambini. Troppi avvenimenti importanti, troppi incontri decisivi che temevo di dimenticare con il passare del tempo una volta tornata in Italia. Non sono riuscita, però, a trascrivere le emozioni e ciò che ho provato nel vivere tutto questo. Avevo bisogno di stare da sola, al di qua del Mediterraneo, per riflettere, avevo bisogno della giusta distanza di tempo e di luoghi per far rivivere tutto il calore del Marocco. Così, ripensandoci, ho capito di essere stata in grado di fare molte cose, pur non avendole mai fatte prima. A Casablanca ho imboccato bambini disabili, spastici gravi, distonici, seguendo i loro tempi e adeguandomi al loro linguaggio, ho cantato in francese e in arabo, senza sapere il francese e l’arabo, ho ballato, rincorso, disegnato, giocato con bambini e ragazzi che parlavano solo arabo ma che miracolosamente ci capivano perfettamente. Ho cullato, ninnato, dato biberon ai bimbi abbandonati dell’ospedale di Meknes desiderosi solo di essere abbracciati e coccolati. Ho tenuto per mano un bimbo autistico, l’ho condotto fino in piscina, non l’ho lasciato neanche per un attimo, avevo paura che scappasse in mezzo alla strada, in realtà conosceva già quella strada, era già stato in piscina e gli era piaciuta tantissimo, allora ci siamo guidati a vicenda! E con tutti loro quando è stato il momento dei saluti ci siamo abbracciati, baciati, stretti forti… forse eravamo riconoscenti per esserci presi cura gli uni degli altri, per averci dedicato del tempo a vicenda.

Ho imparato a pregare, ma soprattutto a fermarmi a pregare. L’ho imparato dagli arabi, dai musulmani. Ho sentito il richiamo del muezzin, che ha fatto da sottofondo alle lodi mattutine e alle condivisioni serali. Ho scoperto che il posto per pregare meglio Dio in Marocco è il tetto della Medersa di Meknes: nel tardo pomeriggio, quando inizia il canto del muezzin, puoi isolarti dal frastuono della Medina e ricongiungerti con tuoi pensieri. Ho scoperto che il luogo dove puoi incontrare Dio in Marocco è il cortile del centro di Casablanca dove giocano i bimbi disabili e ti mostrano felici il disegno appena fatto, la maschera appena costruita, il palloncino appena gonfiato, fatti da loro, tutto da soli!

Ho anche scoperto molte cose della religione musulmana che non condivido, che capisco ancora poco ma che rispetto. Ho riscoperto (forse l’avevo dimenticato) che la religione cristiana è aperta a tutti, proprio a tutti, che il messaggio del Vangelo è universale, che è vivo e presente anche in Marocco e che spesso è messo in pratica, inconsapevolmente, dagli stessi musulmani, non solo dai cristiani.

A casa ho portato tutto questo bagaglio di nuove conoscenze, di scoperte inaspettate, di incontri sorprendenti, che credo mi accompagneranno ancora per molto tempo e che mi faranno riflettere a lungo. Per rivivere il cammino guardo le tante foto scattate ai bimbi del Marocco: sono volti sorridenti, nei loro occhi e nei loro visi non ho visto la tristezza di che è stato abbandonato o l’insofferenza di chi è disabile ma la felicità e la gioia di chi ha condiviso con noi giochi, scherzi, balli, canti, abbracci… vita.

È presente 1 commento

Marco ha detto...

Cara Francesca, Sono contento di sentire le parole tue, che dal "ignoranza" del Marocco e del Islam, sei passata, all'inizio della comprensione. Io dico sempre:" Che l'ignoranza degli altri è la peggiore disgrazia del mondo.Ho una teoria, che la chiamo del
3.$ persone seduti attorno ad un tavolo, sul quale è scritto el numero 3. Ma oguno dei personaggi vede il
3 in modo differente.Uno vede il 3, l'altro vede la m
e l'altro vede w, e l'ultimo vede la fi greca.Discutono
per secoli che ognuno ha la ragione sugli altri. Ed è
vero perche ognuno vede quello che ha difronte.Ma basta che ognuno di loro si sposti al posto del'altro
per capirlo meglio.Un musulmano è anche cristiano, ma non cattolico. Il cattolicismo è lontano dal vangelo e dal cristianesimo.Io sto preparanto un sito "L'islam per gli italiani" per spiegalo con la mentalità italiana,accecata dalla idolatria delle immagini. (Quadri, santini, statue,statuine, simboli...ecc)che distrggono dall'adorazione di Dio.
Ricordi cosa feci Jesu al tempio di tutto questo?

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