martedì, settembre 28, 2010
Seconda parte dell'intervista della nostra corrispondente Raffaela Corrias a Emile Moatti, pioniere del dialogo interreligioso a Gerusalemme. Clicca qui per la prima parte

D - Emile, è arrivato a Gerusalemme con grandi speranze. Ha vissuto momenti di disillusione?
R - Inizialmente fui molto deluso dalla vita di tutti i giorni perché non riuscivo ad avere un riscontro rispetto a quell’evoluzione verso la riscoperta di Dio che desideravo e attendevo. I cristiani non amavano gli ebrei, i musulmani non amavano i cristiani e gli ebrei. La vita concreta era abbastanza agli antipodi rispetto ai miei ideali. Non potevo essere che deluso, ma nel fondo permaneva uno spazio per la speranza che si nutriva della tradizione. L’unica cosa veramente importante è avere pazienza. Siccome la prima volta che sono venuto qui è stato quarant’anni fa, questo mi permette di vedere l’evoluzione delle cose. Quarant’anni fa, infatti, non si poteva fermare una persona per strada e parlarle di Dio. Oggi si può fare. Questo, naturalmente, non significa poi essere approvati. Poter parlare di Dio a proprio modo e in tutta franchezza è un progresso immenso. E siccome molte persone hanno ricominciato a parlare di Dio, siccome c’è un grande progresso nel dialogo interreligioso legato al Concilio Vaticano II – non dimentichiamoci che il Vaticano II si è concluso nel 1965, cioè un anno dopo la mia seconda permanenza di quattro mesi in Israele – ci troviamo in un periodo di evoluzione delle mentalità. Ho aiutato molte associazioni interreligiose a costituirsi. In particolare ho favorito la costituzione della sezione francese in seno alla Conferenza Mondiale delle Religioni per la Pace nel 1986. Il Concilio Vaticano II aprì le porte allo sviluppo del dialogo interreligioso e alla creazione della Fraternità di Abramo in Francia.
 

D - In cosa consiste la Fraternità di Abramo?
R - In seguito al Concilio Vaticano II, Andre Chouraqui, lo scrittore che ha tradotto i testi sacri in una stessa lingua, il francese, entrò in contatto con il mondo cattolico e quello islamico di Parigi. Le persone coinvolte compresero che se non si fosse fatto uno sforzo nella prospettiva del dialogo interreligioso, non ci sarebbero state speranze per la costruzione della pace. Decisero quindi di fondare un’associazione, la Fraternità di Abramo.
Il Vaticano II si è concluso con la dichiarazione “Nostra aetate” che per la prima volta nella Chiesa Cattolica ha incoraggiato il dialogo interreligioso. Giovanni XXIII e il Concilio Vaticano II hanno permesso di intraprendere una via nella giusta direzione. Poi c’è stato l’esempio meraviglioso di Giovanni Paolo II che ha permesso alla Chiesa di fare il “Mea culpa”, faccia a faccia con Dio.
 

D - Cosa pensa dei giovani di oggi relativamente alla religione e al contributo che possono dare al dialogo interreligioso?
R - Oggi se si fa un cammino, lo si fa seriamente e con cognizione di causa. Non è più un “coinvolgimento tribale”. In passato si agiva come delle tribù, nel senso che si faceva un percorso più in opposizione a un altro gruppo che per spinta personale. Ci sono stati dei grandi politologi che hanno detto che la politica è nata grazie alla definizione dei propri nemici. Sapendo chi è il proprio nemico è possibile sviluppare la propria cultura. Una visione aberrante, ma che significa che le culture sono state fondate per lungo tempo sull’opposizione all’altro. La vera religione è un dialogo che ti mette in relazione quotidiana con Dio e quindi con l’amore, la giustizia, la ragione. Oggi i giovani sono molto esigenti: non vogliono più reagire come dei “pecoroni” e in modo istintivo, ma con tutta la loro anima. Per questo quando si mettono in ricerca si tratta di una ricerca seria di Dio e se lo trovano diventano dei veri e propri pilastri. La questione è quindi quella di saper parlare di Dio ai giovani. 


D - Quale consiglio darebbe a un giovane in ricerca?
R - Gli direi che è fondamentale confrontarsi con la propria religione, anche se non è perfetta. Nessuna lo è. Gli direi di rendersi utile nel contesto di ambiti legati alla propria tradizione religiosa mantenendo uno sguardo critico. La critica viene da un’intuizione del cuore; se il cuore suggerisce qualcosa è importante ascoltarlo. Mai ascoltare la religione ad occhi chiusi.
 

D - Come può un giovane cominciare a impegnarsi nel dialogo interreligioso se matura questa intuizione e questo desiderio?
R - Là dove si trova ci sono sicuramente possibilità di mettersi in dialogo. Il dialogo comincia sorridendo ogni mattina alle persone che incontriamo. Sarà poi la vita che si prenderà l’impegno di indicare la direzione da intraprendere. Prendiamo sempre come riferimento l’ospitalità di Abramo: accoglie tre persone che di fatto sono tre angeli. Sta conversando con Dio quando vede sopraggiungere tre uomini stanchi, desiderosi di bere qualcosa di fresco, e di passaggio. Abramo si rivolge a Dio dicendogli che avranno tutto il tempo di riprendere la loro conversazione; quegli uomini, invece, hanno bisogno di essere aiutati immediatamente. Dio lo incoraggia ad andare dai tre uomini: questo è Dio. Dio è l’aiuto a qualsiasi persona si incontri. Quando si è capaci di vivere in questo modo, una serie di contatti si sviluppano poi da sé! Così si trasforma se stessi e coloro che si accolgono. Confrontarsi sui propri punti di vista è una crescita per noi e per chi incontriamo e in questo modo si scopre il cammino di Dio. Se in tanti saremo capaci di agire in questo modo il mondo potrà prendere coscienza dell’esistenza di Dio. Questo è il mio impegno, quello su cui sto lavorando.
 

D - Oggi a Gerusalemme in che modo concreto Emile Moatti vuole dare voce a questo suo impegno?
R - Innanzitutto voglio essere attento ai segni. Dio ci fa dei piccoli “occhiolini”. Gli incontri che facciamo ci mettono su un cammino. Le voglio parlare del mio progetto: vorrei che un domani ci fosse una preghiera per la pace a Gerusalemme, così come quella di Assisi del 1986 che riunì i rappresentanti di quasi tutte le religioni del mondo.
Fui invitato come semplice credente ad Assisi da Papa Giovanni Paolo II perché mi interessavo molto al dialogo interreligioso. Chiesi consiglio ai due Grandi Rabbini di Francia e di Parigi che mi incoraggiarono a partecipare. Fu uno dei momenti più impressionanti della mia vita. Pensi che non c’era nemmeno la presenza di un giornalista francese. Oggi, invece, ci sarebbero tutti i giornalisti del mondo! Era lunedì 27 ottobre 1986. Mi ricordo bene la data. Quindi si parla di vent’anni dopo il Vaticano II. Vede quanto cammino si è fatto?
Vorrei ripetere questa esperienza a Gerusalemme perché la sua vocazione è quella di portare la pace nel mondo. Bisogna quindi aiutare Gerusalemme a compiere la sua missione. Come fare? Sto cominciando a coinvolgere le persone che stanno alla base per poi risalire ai leader religiosi.
È necessario che si chieda perdono e che ci si perdoni gli uni gli altri, faccia a faccia, così come accadde ad Assisi. Nelle feste ebraiche di Rosh Hashana e Yom Kippur si digiuna per accedere al perdono, è una penitenza; si fa la carità così come fece Abramo; si prega, cioè si parla con Dio. Dio ci parla tramite la sua parola, il testo sacro, noi con lui tramite la preghiera. Quindi grazie alla preghiera che mi mette in dialogo con Dio, alla penitenza che mi permette di chiedere perdono e alla carità che mette in luce il desiderio di intraprendere un cammino nella giusta direzione, ottengo il perdono di Dio. Questo è il primo passo e questo possiamo fare tutti insieme a Gerusalemme, gli uni accanto agli altri. Kippur ha un fine, Succot, un’altra festa ebraica, e Succot è allenarsi all’ospitalità abramitica gli uni con gli altri per arrivare alla gioia condivisa. Non esiste gioia vera se non è condivisa. Quando facciamo il kiddush o voi cristiani l’eucarestia, si condividono due cose: il pane che dona la vita dal punto di vista fisico e il vino che rappresenta la spiritualità, cioè la conoscenza di Dio. Se condivido i miei beni materiali e la mia conoscenza di Dio ho accesso alla gioia eterna! Questa è la mia speranza e tutto questo mi appassiona profondamente! Spero di avere la salute per impegnarmi a fondo. Sono grato ai passi di Giovanni XXIII e di Giovanni Paolo II e ho anche fiducia in Benedetto XVI. È vero che non viviamo ancora in un mondo dove ci si capisce gli uni con gli altri come si dovrebbe, ma il dialogo è il cammino da percorrere. Ho chiesto alle suore di molti conventi qui a Gerusalemme di intercedere perché la preghiera per la pace possa realizzarsi in questa città … e se ci sono delle suore che pregano Dio per questo, come sarà possibile fallire? Ho delle buone carte!


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