Oltre 4000 ragazze nigeriane vengono condotte ogni anno in Italia ed in altri paesi Europei per essere introdotte nel mercato della prostituzione.
Radio Vaticana - E’ uno dei dati emersi dal dossier sulle donne nigeriane promosso dalla Cooperativa sociale per i diritti degli immigrati "Be Free", in collaborazione con l’ Assessorato ai servizi sociali e per la famiglia della Provincia di Roma, presentato nei giorni scorsi nella capitale. Nel dossier sono state intervistate 111 donne nigeriane ospitate nel Centro di identificazione ed espulsione di Ponte Galeria a Roma, che hanno raccontato il loro comune e drammatico percorso per arrivare in Italia, attraverso adescatori nigeriani e libici. Il servizio di Marina Tomarro (ascolta).
Dalla Nigeria attraverso il Niger, il Ciad, la Libia, per poi approdare con dei barconi di fortuna sulle coste di Lampedusa, in Italia. E’ il percorso della tratta delle nigeriane che, adescate nella loro terra d’origine vengono condotte nel Bel Paese per essere inserite nel mercato della prostituzione. Un viaggio doloroso, a tappe, che può durare oltre un anno. In particolare, arrivate in Libia queste ragazze vengono segregate in case ed obbligate con la violenza a vendersi. Carla Quinto legale della Cooperativa sociale "Be Free":
“E’ un percorso che ha del paradosso in sé, nel senso che alla serie di violenze che subiscono durante tutto il viaggio di tratta, si aggiunge poi una risposta insufficiente da parte di qualsiasi Paese che costituisca per loro un transito. Noi abbiamo avuto modo di cogliere il loro totale essere sprovviste di qualsiasi tipo di risorsa, ed è questo che le rende vulnerabili ed è questo che facilita la loro immissione nel circuito del crimine transnazionale. Le storie sono piene di violenze, di soprusi, di gravi violazioni dei diritti umani, che purtroppo qui in Italia non trovano risarcimento. Quindi, la nostra preoccupazione è non soltanto di intervenire da un punto di vista legislativo, ma è anche quello di offrire una possibilità a queste ragazze, un’alternativa vera. E quindi, lavorare sull’accoglienza per dare loro un’altra possibilità”.
Infatti per queste donne tornare indietro è impossibile perché sarebbero condannate a subire solo nuovi soprusi. Ma cosa si può fare per loro di concreto? Ascoltiamo ancora Carla Quinto:
“Innanzitutto, un’azione di sensibilizzazione in tutti gli Stati coinvolti partendo da un medesimo presupposto. Noi, sul territorio italiano, possiamo ampliare l’applicabilità dell’articolo 18 anche a situazioni dove non ci sia stato uno sfruttamento sul territorio italiano. E quindi ampliare l’obbligo positivo della nostra legge, cioè, lo Stato si impegna a dare assistenza e ad offrire una possibilità di reinserimento sociale a queste persone”.
Radio Vaticana - E’ uno dei dati emersi dal dossier sulle donne nigeriane promosso dalla Cooperativa sociale per i diritti degli immigrati "Be Free", in collaborazione con l’ Assessorato ai servizi sociali e per la famiglia della Provincia di Roma, presentato nei giorni scorsi nella capitale. Nel dossier sono state intervistate 111 donne nigeriane ospitate nel Centro di identificazione ed espulsione di Ponte Galeria a Roma, che hanno raccontato il loro comune e drammatico percorso per arrivare in Italia, attraverso adescatori nigeriani e libici. Il servizio di Marina Tomarro (ascolta).Dalla Nigeria attraverso il Niger, il Ciad, la Libia, per poi approdare con dei barconi di fortuna sulle coste di Lampedusa, in Italia. E’ il percorso della tratta delle nigeriane che, adescate nella loro terra d’origine vengono condotte nel Bel Paese per essere inserite nel mercato della prostituzione. Un viaggio doloroso, a tappe, che può durare oltre un anno. In particolare, arrivate in Libia queste ragazze vengono segregate in case ed obbligate con la violenza a vendersi. Carla Quinto legale della Cooperativa sociale "Be Free":
“E’ un percorso che ha del paradosso in sé, nel senso che alla serie di violenze che subiscono durante tutto il viaggio di tratta, si aggiunge poi una risposta insufficiente da parte di qualsiasi Paese che costituisca per loro un transito. Noi abbiamo avuto modo di cogliere il loro totale essere sprovviste di qualsiasi tipo di risorsa, ed è questo che le rende vulnerabili ed è questo che facilita la loro immissione nel circuito del crimine transnazionale. Le storie sono piene di violenze, di soprusi, di gravi violazioni dei diritti umani, che purtroppo qui in Italia non trovano risarcimento. Quindi, la nostra preoccupazione è non soltanto di intervenire da un punto di vista legislativo, ma è anche quello di offrire una possibilità a queste ragazze, un’alternativa vera. E quindi, lavorare sull’accoglienza per dare loro un’altra possibilità”.
Infatti per queste donne tornare indietro è impossibile perché sarebbero condannate a subire solo nuovi soprusi. Ma cosa si può fare per loro di concreto? Ascoltiamo ancora Carla Quinto:
“Innanzitutto, un’azione di sensibilizzazione in tutti gli Stati coinvolti partendo da un medesimo presupposto. Noi, sul territorio italiano, possiamo ampliare l’applicabilità dell’articolo 18 anche a situazioni dove non ci sia stato uno sfruttamento sul territorio italiano. E quindi ampliare l’obbligo positivo della nostra legge, cioè, lo Stato si impegna a dare assistenza e ad offrire una possibilità di reinserimento sociale a queste persone”.
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