martedì, marzo 20, 2018
Intervista con il cardinale Tarcisio Bertone alla presentazione del suo libro «I miei Papi». Le polemiche sull’appartamento. La rinuncia di Benedetto XVI: «Ne parlò ad aprile 2012».


Domenico Agasso jr, Torino

Vatican Insider - Eminenza, la sera dell’11 ottobre 1962, in piazza San Pietro, dopo il celebre «discorso della luna», quali erano le Sue sensazioni da studente a Roma? E come descrive la Chiesa oggi alla luce di quella notte?

«Giovanni XXIII ha toccato il cuore di tutti con quel “date una carezza ai vostri bambini”. Quella sera vibravamo per le parole di Papa Roncalli. Oggi, 56 anni dopo, la Chiesa di papa Francesco che cerca di essere “in uscita”, che si impegna a stare vicina alla gente, mi sembra si riallacci, si connetta direttamente con il cuore palpitante, con lo stile di Papa Giovanni XXIII. La Chiesa di Francesco ha un senso di compassione, di misericordia - pensiamo alla famosa espressione “ospedale da campo” - per questa umanità di oggi che ha tanto bisogno di comprensione, oltre che di indirizzi e di orientamento di vita».

Al di là dei miracoli, perché secondo Lei Paolo VI è santo?

«Papa Montini merita di essere proclamato santo perché in quel momento così complesso della storia del mondo e della Chiesa ha sempre espresso il suo amore per ogni uomo. Basta pensare alla sua lettera alle Brigate rosse, o al suo commovente e umanissimo discorso alle esequie di Moro nel 1978. Non è certo un caso se anche papa Francesco si ispira a lui. Era un uomo particolare. Fin da bambino, quando, sui banchi delle elementari, scrisse su un foglio “Io amo”. Da allora non ha mai smesso di “amare” l’umanità tutta».



Il segreto di Fatima è stato svelato oppure no? Perché nella prefazione al Suo libro, «I miei Papi» (Elledici), il cardinale Gianfranco Ravasi parla di fake news?

«Assolutamente sì, è stato svelato. C’è chi dice che esisteva un “plico Capovilla” che rivelava la presenza di un altro testo della terza parte del Segreto, o di una parte nascosta da me chissà per quali inconfessabili obiettivi. Ma lo stesso cardinale Loris Capovilla mi ha “scagionato” più volte, in particolare scrivendo una lettera per chiarire che non c’era nessuna contraddizione nella mia esposizione».


Il pontificato polacco: che cosa sceglie come elemento/momento/avvenimento simbolo dei 27 anni di Papa Wojtyla?

«Innanzitutto, a me piace definire Giovanni Paolo II un combattente. Lo è stato fin dalla gioventù, dalle sue battaglie a fianco degli operai di Cracovia. E con i suoi viaggi è stato un grande comunicatore del Vangelo, oltre che accanto agli umili. Inoltre, ha trasmesso grandi emozioni anche quando non riusciva più a parlare. E il suo dono più grande alla Chiesa è stato inventare la Giornata mondiale della Gioventù, che continua a suscitare l’entusiasmo di milioni di giovani. È un tesoro che ci ha lasciato e che continua a germogliare».

Quanto ha contato per Lei, Salesiano, san Giovanni Bosco negli anni in cui ha avuto incarichi di responsabilità nella Chiesa? Qualche volta non lo ha «dimenticato» o trascurato?

«Mai ho tralasciato don Bosco! Ho sempre invocato il Suo aiuto. E recitare le tre Ave Maria la sera ai piedi del letto, come raccomandava don Bosco, mi pacificava e mi faceva dormire anche nei momenti più difficili».


La rinuncia al pontificato di Benedetto XVI: Lei come e quando ha saputo della decisione di Ratzinger?

«Fece un cenno fugace a una eventuale possibilità già il 30 aprile 2012. Poi ne riparò in un colloquio confidenziale nel mese di agosto, mentre eravamo a Castel Gandolfo».

E Lei come reagì? Qual era il Suo stato d’animo in quei mesi che portarono all’11 febbraio 2013?

«Ero incredulo e inquieto. Successivamente gli presentai una serie di ragionamenti che ritenevo fossero fondati per il bene della Chiesa e per sventare una generale depressione del popolo di Dio. Eravamo in pieno “Anno della fede”. Benedetto XVI stava scrivendo il terzo volume su Gesù di Nazaret e aveva promesso di dare alla Chiesa una enciclica sulla fede che completasse la trilogia delle virtù teologali dopo quelle sulla carità e la speranza. Incominciai la mia resistenza per ottenere almeno una dilazione sulla data dell’annuncio di questa decisione che consideravo tremenda e che portavo con grande sofferenza. Man mano che passava il tempo, il Santo Padre non solo non recedeva, ma si confermava nella decisione presa in tutta coscienza davanti al Signore. Dapprima era intenzionato a pubblicare la dichiarazione di rinuncia prima di Natale, ma io gli dicevo che per Natale doveva farci il dono del suo libro sull’infanzia di Gesù di Nazaret e questo annuncio avrebbe sconvolto l’opinione pubblica, turbato il clima natalizio. Rimandata la decisione all’anno nuovo, io cercavo comunque di prorogarla di settimana in settimana. Ma invano».

Lei è amico di Joseph Ratzinger ed è stato Segretario di Stato vaticano anche di Jorge Mario Bergoglio oltre che dello stesso Benedetto XVI: come commenta i paragoni che si fanno tra i loro pontificati, culminati con le polemiche sulla lettera del Papa emerito emersa in questi giorni?

«Tra Benedetto XVI e Francesco c’è continuità nella diversità degli stili e dei caratteri, è assurdo metterli in contrapposizione come fossero il primo un intellettuale astratto che non capisce i problemi della gente e l’altro “solo” il papa concreto, pratico, amato da tutti. Non corrisponde alla verità. L’impatto di Francesco con la gente è più immediato, empatico, mentre Papa Benedetto semplicemente ha un altro carattere. Bergoglio ha un enorme bagaglio di studio come Gesuita, una formazione intellettuale robusta con un suo temperamento particolare; Ratzinger ha sempre avuto un’ottima comunicazione con i suoi fedeli, basti pensare come parlava ai bambini e alle sue visite nelle carceri. Ripeto: fra di loro c’è continuità nella diversità. Come è normale e bello che sia. Non c’è altro da aggiungere. E i paragoni servono a nulla. Anzi, sono controproducenti».

Come descrive i cinque anni di papa Francesco?

«Soprattutto con il suo dono di se stesso senza riposo! È infaticabile. È un Pontefice che si dona totalmente agli altri, dai più “alti” collaboratori a tutti i bambini e gli ammalati che incontra nelle udienze. Anche dopo alcune centinaia di abbracci e carezze, sa sempre donarsi e sorridere con intensità. A tutti. È un miracolo che resista a questi ritmi a 81 anni. Io penso che papa Francesco, con questo spirito che tende la mano a chi ha bisogno, sia un esempio per tutta la Chiesa, in particolare per gli ecclesiastici. Per questo non ho alcuna paura per il futuro della Chiesa. E a proposito delle riforme e delle sfide in atto, in particolare la lotta contro gli abusi sessuali e l’ambito economico, sottolineo che Francesco le ha prese in mano e le sta portando avanti. E questo non è poco. Anzi. Ovviamente ci sono difficoltà. Ma nella Curia romana - e io la conosco bene - non c’è un’ostilità, un’opposizione sorda alle iniziative di Francesco, solo problemi fisiologici di una struttura così complessa. Però sono convinto che Francesco andrà avanti bene nelle riforme. Io dico questo: preghiamo il Signore che ce lo conservi, papa Francesco. Preghiamo per questo ogni giorno!».

Non le sembra di avere esagerato attribuendo anche a Francesco le decisioni sul Suo appartamento?

«Nel libro ho ritenuto di dover citare papa Francesco per far capire che il pontefice non era all’oscuro, ma sapeva cosa stava accadendo. La verità è questa. Anche se, preciso, dei particolari era responsabile il Governatorato. A proposito, c’è chi chiama la mia residenza “attico”, mentre è un appartamento con un grande terrazzo condominiale. Fu Papa Bergoglio a chiedermi di stare in Vaticano e di continuare a occuparmi dell’archivio, e a quel punto si dovette cercare un appartamento. Il Papa seguì da vicino tutto questo iter. I pagamenti sono un’altra questione, sulla quale non voglio dire nulla, c’è un processo in corso in Vaticano, non tocca a me adesso dire altro. A conferma della mia buona fede, sottolineo che fino al 2 dicembre 2018, quando compirò 84 anni, continuerò a lavorare in Vaticano anche per espressa richiesta di papa Francesco. E io proseguirà con gioia e con grande vicinanza a questo straordinario Papa. E poi, ho in programma di restare in Vaticano: ho fatto tanti trasferimenti nella mia vita, spero di stare in pace nella mia vecchiaia».

Perché molti la definiscono soprattutto «uomo di potere e di intrighi»?

«Ho subito molti attacchi, l’accanimento con cui sono stato preso di mira mi sembra che sia impietoso, esagerato. Mai ho organizzato intrighi o complotti. Sono convinto di essere stato solo un capro espiatorio. Mi sono sempre attenuto alle indicazioni dei Papi con i quali ho collaborato. Ho sempre cercato di svolgere bene i miei compiti. Credo dunque che il motivo sia solo che se avessero colpito un cardinale sconosciuto forse non avrebbe fatto notizia. Ma ormai mi tengo questa etichetta, è come se stessi espiando i peccati qui in terra».

Qual è il suo principale rimpianto o rimorso? E un merito che si attribuisce nel governo della Chiesa?

«Lo sbaglio più grande è avere accettato troppi incarichi. Se potessi tornare indietro non lo farei più. Ma adesso è troppo tardi. Per esempio, non accetterei più la presidenza della Commissione cardinalizia dello Ior. Sono fiero invece di avere cercato di ascoltare e aiutare tutti, dedicare il tempo a ogni persona che chiedesse udienza. Molti lo ricordano e mi sono riconoscenti».


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