Un altro punto a favore della ricerca rivolta a sconfiggere la famigerata malattia
di Paolo Antonio Magrì
Gli ultimi anni e soprattutto gli ultimi mesi ci hanno abituato, per fortuna, a continui progressi nella ricerca anti-Alzheimer: dall’inversione del nesso causa effetto tra depressione e Alzheimer (i cambiamenti dell'umore associati all'Alzheimer non sarebbero conseguenza della sua comparsa, ma un alert che segnala l'inizio della patologia) all’utilizzo degli anticorpi monoclonali, dall’impiego degli ultrasuoni focalizzati al “tagging” dei neuroni dell’ippocampo. Uno studio recente ha individuato un nuovo bersaglio terapeutico: il blocco della sinergia fra due proteine che intervengono nella malattia. Una è la proteina tau anomala, responsabile della gravità dei sintomi e della neurodegenerazione che caratterizza l'Alzheimer. L’altra è la proteina ApoE che non solo rappresenta il "grilletto" che scatena il morbo, ma è anche il fattore che permette all'altra protagonista della malattia, la proteina tau, di sviluppare potentemente i suoi effetti tossici a livello cerebrale. È stato capito come la loro presenza associata sia terribilmente micidiale.
La scoperta è opera dei ricercatori della Washington University School of Medicine a St. Louis ed è stata pubblicata su "Nature". Già dai primi anni novanta era noto come ApoE partecipasse in modo rilevante allo sviluppo dell'Alzheimer determinando l'accumulo di placche di proteina beta amiloide attorno alle cellule cerebrali. Tuttavia non si era riuscito ancora a dimostrare la correlazione diretta tra placche amiloidi, intensità dei sintomi e perdita del tessuto cerebrale. Rimaneva aperta quindi la discussione tra i ricercatori sul bersaglio terapeutico da privilegiare: la proteina beta amiloide (e la ApoE che ne permette la formazione) oppure la proteina tau anomala. Adesso David Holtzman e colleghi sono ora riusciti a stabilire un nesso diretto fra l'azione di ApoE e la tossicità della proteina tau anomala, mediante esperimenti su topi geneticamente modificati: sulle cavie che producevano proteina tau ma non ApoE non c'erano segni di morte neuronale, prova definitiva del ruolo negativamente importante che riveste questa proteina nella patologia.
Risultato: non si tratta di scegliere se colpire l’una o l’altra, ma bisogna puntare la pistola della ricerca e colpire la loro sinergia. La strada verso l’obiettivo finale della sconfitta della malattia è ancora lunga e tortuosa, ma avere individuato un altro punto debole del morbo segna un punto importante a favore della ricerca e della speranza.
Paolo Antonio Magrì
Ama le sfide e beve adrenalina a colazione.
www.paoloantoniomagri.com
di Paolo Antonio MagrìGli ultimi anni e soprattutto gli ultimi mesi ci hanno abituato, per fortuna, a continui progressi nella ricerca anti-Alzheimer: dall’inversione del nesso causa effetto tra depressione e Alzheimer (i cambiamenti dell'umore associati all'Alzheimer non sarebbero conseguenza della sua comparsa, ma un alert che segnala l'inizio della patologia) all’utilizzo degli anticorpi monoclonali, dall’impiego degli ultrasuoni focalizzati al “tagging” dei neuroni dell’ippocampo. Uno studio recente ha individuato un nuovo bersaglio terapeutico: il blocco della sinergia fra due proteine che intervengono nella malattia. Una è la proteina tau anomala, responsabile della gravità dei sintomi e della neurodegenerazione che caratterizza l'Alzheimer. L’altra è la proteina ApoE che non solo rappresenta il "grilletto" che scatena il morbo, ma è anche il fattore che permette all'altra protagonista della malattia, la proteina tau, di sviluppare potentemente i suoi effetti tossici a livello cerebrale. È stato capito come la loro presenza associata sia terribilmente micidiale.
La scoperta è opera dei ricercatori della Washington University School of Medicine a St. Louis ed è stata pubblicata su "Nature". Già dai primi anni novanta era noto come ApoE partecipasse in modo rilevante allo sviluppo dell'Alzheimer determinando l'accumulo di placche di proteina beta amiloide attorno alle cellule cerebrali. Tuttavia non si era riuscito ancora a dimostrare la correlazione diretta tra placche amiloidi, intensità dei sintomi e perdita del tessuto cerebrale. Rimaneva aperta quindi la discussione tra i ricercatori sul bersaglio terapeutico da privilegiare: la proteina beta amiloide (e la ApoE che ne permette la formazione) oppure la proteina tau anomala. Adesso David Holtzman e colleghi sono ora riusciti a stabilire un nesso diretto fra l'azione di ApoE e la tossicità della proteina tau anomala, mediante esperimenti su topi geneticamente modificati: sulle cavie che producevano proteina tau ma non ApoE non c'erano segni di morte neuronale, prova definitiva del ruolo negativamente importante che riveste questa proteina nella patologia.
Risultato: non si tratta di scegliere se colpire l’una o l’altra, ma bisogna puntare la pistola della ricerca e colpire la loro sinergia. La strada verso l’obiettivo finale della sconfitta della malattia è ancora lunga e tortuosa, ma avere individuato un altro punto debole del morbo segna un punto importante a favore della ricerca e della speranza.
Paolo Antonio Magrì
Ama le sfide e beve adrenalina a colazione.
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