In totale nei paesi europei si consumano 7,5 milioni di tonnellate di pesce all’anno (33,4 chili pro capite contro i 19,2 chili consumati in media a livello globale), con un costo d’acquisto pari a 34,57 miliardi di euro. Da dove viene tutto questo pesce?
Green Report - Secondo i dati contenuti nel nuovo report Wwf Gusti locali, mercati globali – Lerisorse ittiche e il Mediterraneo, presentato a Slow Fish, 2,75 milioni di tonnellate sono di pescato locale, mentre le restanti 5 milioni sono da prodotti di importazione.
Perché questa sproporzione? Oggi nel Mediterraneo il 93% degli stock ittici sono minacciati dalla pesca eccessiva, il che significa che «se le attuali pratiche di pesca non verranno modificate, le popolazioni ittiche non riusciranno a riprendersi e collasseranno».
Al contrario, un tempo «il Mediterraneo possedeva una quantità di stock ittici superiore alle necessità, che supportava intere comunità e forniva un elemento chiave della famosa dieta salutare mediterranea. Dal polpo al tonno rosso, dai gamberi di acque profonde al pesce spada, tutto il pescato proveniva dal mare antistante». Oggi, invece, il pescato che finisce sulle tavole europee è importato, e per la maggior parte proviene dai paesi in via di sviluppo. Ovviamente la situazione varia da specie a specie e se per le sardine e le acciughe ci affidiamo a pesce interamente pescato localmente, nel caso di tonni e pesci spada il pescato locale costituisce appena il 25% e in quello dei cefalopodi i prodotti di importazione costituiscono addirittura l’82%.
La priorità è dunque invertire la rotta della pesca, come ha suggerito Carlo Petrini, presidente di Slow Food, passando «da un’economia di rapina a un’economia di costruzione». Un grido di aiuto non è certo inascoltato a Slow Fish: «Proprio nel momento in cui si pesca di più – osserva il presidente di Slow Food Italia, Gaetano Pascale -, sotto la spinta di un mercato che non tiene conto dei cambiamenti in corso nel mare, i pescatori e in particolare le comunità della piccola pesca incarnano le realtà che, dal punto di vista economico, soffrono di più. Questo oltre a essere paradossale è ingiusto». Le esperienze presentate a Slow Fish dimostrano che è possibile seguire un’altra via, conclude il presidente di Slow Food Italia, «in grado di assicurare una pesca sostenibile per il mare e per i pescatori».
La base di tutto – sintetizzano da Slow Fish – è la consapevolezza: informarsi sull’origine del pesce che si acquista; privilegiare il pescato locale; qualora si acquistino dei prodotti industriali affidarsi a quelli provvisti di certificazione; rispettare le taglie minime; scegliere animali a ciclo vitale breve e, ovviamente, alzare il livello di biodiversità dei nostri piatti. Non è difficile ed è anche piacevole.
Perché questa sproporzione? Oggi nel Mediterraneo il 93% degli stock ittici sono minacciati dalla pesca eccessiva, il che significa che «se le attuali pratiche di pesca non verranno modificate, le popolazioni ittiche non riusciranno a riprendersi e collasseranno».
Al contrario, un tempo «il Mediterraneo possedeva una quantità di stock ittici superiore alle necessità, che supportava intere comunità e forniva un elemento chiave della famosa dieta salutare mediterranea. Dal polpo al tonno rosso, dai gamberi di acque profonde al pesce spada, tutto il pescato proveniva dal mare antistante». Oggi, invece, il pescato che finisce sulle tavole europee è importato, e per la maggior parte proviene dai paesi in via di sviluppo. Ovviamente la situazione varia da specie a specie e se per le sardine e le acciughe ci affidiamo a pesce interamente pescato localmente, nel caso di tonni e pesci spada il pescato locale costituisce appena il 25% e in quello dei cefalopodi i prodotti di importazione costituiscono addirittura l’82%.
La priorità è dunque invertire la rotta della pesca, come ha suggerito Carlo Petrini, presidente di Slow Food, passando «da un’economia di rapina a un’economia di costruzione». Un grido di aiuto non è certo inascoltato a Slow Fish: «Proprio nel momento in cui si pesca di più – osserva il presidente di Slow Food Italia, Gaetano Pascale -, sotto la spinta di un mercato che non tiene conto dei cambiamenti in corso nel mare, i pescatori e in particolare le comunità della piccola pesca incarnano le realtà che, dal punto di vista economico, soffrono di più. Questo oltre a essere paradossale è ingiusto». Le esperienze presentate a Slow Fish dimostrano che è possibile seguire un’altra via, conclude il presidente di Slow Food Italia, «in grado di assicurare una pesca sostenibile per il mare e per i pescatori».
La base di tutto – sintetizzano da Slow Fish – è la consapevolezza: informarsi sull’origine del pesce che si acquista; privilegiare il pescato locale; qualora si acquistino dei prodotti industriali affidarsi a quelli provvisti di certificazione; rispettare le taglie minime; scegliere animali a ciclo vitale breve e, ovviamente, alzare il livello di biodiversità dei nostri piatti. Non è difficile ed è anche piacevole.
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