giovedì, marzo 23, 2017
Dal 29 al 31 marzo, a Roma, l’incontro organizzato dal Pontificio Comitato di Scienze storiche Padre Ardura: «Dopo cinque secoli di lontananza, lo sguardo è cambiato».

Salvatore Cernuzio, Città del Vaticano

Vatican Insider - Papa Francesco vuole «riabilitare» la figura di Lutero? «Non lo so. So però che Lutero è stato percepito nei secoli del passato come l’incarnazione del diavolo, quello che ha rotto la comunione e via dicendo… Oggi non si tratta di dire che quello che ha fatto Lutero sia una cosa buona, però possiamo spiegare gli eventi che hanno portato alla riforma e agli sviluppi che sono seguiti». Per padre Bernard Ardura, presidente del Pontificio Comitato di Scienze Storiche, polemiche e «interpretazioni personali» vengono dopo, ciò che conta è la «ricerca della verità» di un contesto storico, economico e politico che ha esasperato una riforma inizialmente animata da «buone intenzioni», provocando una «rottura» durata cinque secoli che ancora oggi rappresenta «una ferita aperta».

Proprio per collocare questo evento nella giusta prospettiva, il Pontificio Comitato di Scienze Storiche ha organizzato il Convegno Internazionale di Studio sul tema: Lutero 500 anni dopo. Una rilettura della Riforma luterana nel suo contesto storico ecclesiale , che avrà luogo nell’Istituto di Maria SS.ma Bambina a Roma dal 29 al 31 marzo. Si tratta di «una rilettura storica ed ecclesiale degli eventi che hanno portato alla riforma all’interno della Chiesa. Cioè vedere qual è il contesto storico ed ecclesiale in cui è vissuto Lutero, perché senza questa conoscenza non si può capire quello che è successo dopo in tutto il continente europeo», spiega il prelato in un meeting point in Sala Stampa vaticana. Un modo dunque per «aprire prospettive» e far luce su alcuni aspetti rimasti finora nell’ombra. Ad esempio, il fatto che Lutero «non arriva in una Chiesa completamente da rovesciare, ma in una Chiesa che già dalla fine del XV secolo conosce elementi di riforma , non solo dal punto di vista teologico: c’erano ad esempio riforme all’interno degli ordini religiosi, in Inghilterra, in Boemia, in Italia, in Spagna», dove era in atto l’opera del cardinale Francisco Jimenez de Cisneros, che in qualche modo anticipò la contro-Riforma.

Il convegno di Roma sarà, inoltre, l’occasione per indagare sui «risvolti psicologici» del «dramma» vissuto dall’uomo Lutero: un «uomo peccatore». Quindi quella «crisi personale, interiore» che ha spinto il monaco tedesco a rompere con la vita religiosa e con quella Chiesa presso la quale si era consacrato. «Lutero si è anche sposato con una suora… Tutto questo non può che succedere dopo una crisi profonda», evidenzia Ardura, «sono elementi di cui dobbiamo tenere conto perché hanno avviato la riforma che ha trovato il suo punto di diffusione tra i principati europei» e anche perché la sua vicenda personale «è divenuta in qualche modo un modello che ha forgiato la cultura protestante che si vede, ad esempio, oggi negli Stati Uniti, dove gli stessi cattolici sono un po’ contaminati da questo modo di concepire la vita cristiana, il peccato nei campi della vita, della sessualità…».

Le intenzioni iniziali del teologo non erano, però, queste. La riforma era principalmente «interna»: «Lutero non voleva fare la scissione», assicura Ardura. «All’inizio lui vuole fare una riforma all’interno della Chiesa, cosa che è sempre avvenuta nei secoli. Lui compie un cammino spirituale; il punto di partenza è dunque buono. Poi, però, ci sono state pressioni da tutte le parti, elementi intervenuti dall’esterno - storici, politici ed economici - che hanno influito sulla “involuzione” della riforma stessa sfociando poi in una rottura».

La «ferita è ancora aperta», afferma padre Ardura, ma «lo sguardo non è più lo stesso»: «Abbiamo uno sguardo di carità, uno sguardo reciproco, che vede nell’altro qualcuno che è di buona volontà e che cerca di rispondere alla sua professione di fede». A questo risultato si è arrivati sicuramente grazie all’impulso ecumenico del pontificato di Bergoglio, ma il cammino è iniziato ben prima: «I risultati che vediamo oggi sono il frutto di un processo avviato già con Giovanni XXIII, il primo Papa della storia recente a voler fare questi passi. Pensiamo al suo incontro con il primate anglicano: non si parla ancora di unità o comunione ma si inizia a vedere l’altro come un fratello. E questo è un punto di partenza, un buon punto di partenza». Il presidente del Pontificio Comitato di Scienze storiche ricorda pure i passi compiuti con le Chiese “sorelle” ortodosse, mentre alle spalle di cattolici e protestanti «ci sono cinque secoli di separazione, durante i quali le due Chiese si sono sviluppate seguendo due vie diverse. Di questo si deve tener conto. Cinquecento anni di allontanamento non possono essere risolti in pochi anni». Però si può andare avanti e approfondire «le riletture che consentono di riscoprire che ci sono stati dei malintesi».

Essenziale, in tal contesto, è «il dialogo fra teologi», che però è un’altra cosa rispetto all’«ecumenismo della vita quotidiana: quello che vivono tante comunità. Abbiamo ad esempio a Mosca un centro culturale creato dalla Chiesa cattolica in cui quelli che lavorano sono quasi tutti ortodossi; un luogo di incontro in cui non si parla di teologia ma si fa ecumenismo nel rispetto l’uno con l’altro. Anche noi, non facciamo ecumenismo, però con gli storici, i teologi che appartengono a diverse Chiese, possiamo fare un po’ di cammino insieme... Fare una storia assolutamente neutra mi sembra difficile ma bisogna fare una storia onesta, fondata sui documenti. E questo è importante».

E aiuta anche a tenere a bada le «interpretazioni personali», un altro modo per definire le critiche. Come quelle piovute addosso al Pontefice per il suo viaggio a Lund, in Svezia, nel novembre 2016, o quelle che avevano investito il patriarca di Mosca Alessio II che, durante un viaggio in Francia, aveva celebrato dei vespri ecumenici nella cattedrale di Notre Dame e recitato il Padre Nostro con gli anglicani. «Alcuni vescovi russi avevano chiesto la deposizione del patriarca perché per loro era un’eresia», racconta Ardura, «non dobbiamo lasciarci prendere dalle interpretazioni. Sicuramente dobbiamo essere prudenti nelle nostre parole e rimanere sempre fedeli alla propria fede. Aprirsi è un rischio, ma credo che valga la pena essere coraggiosi».


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