mercoledì, gennaio 11, 2017
Il sindacato aveva raccolto più di 3 milioni di firme per il ripristino delle tutele cancellate dalla riforma del governo Renzi.

Il referendum sull'art. 18 non si farà: la Corte Costituzionale ha dichiarato inammissibile il quesito. Il referendum proposto dalla Cgil puntava ad abrogare le modifiche apportate dal Jobs Act allo Statuto dei lavoratori e a reintrodurre i limiti per i licenziamenti senza giusta causa. La Corte, chiamata a decidere se dare o meno il via libera ai tre referendum abrogativi, dà il via libera invece ai quesiti sui voucher e sulla responsabilità in solido appaltante-appaltatore.

Lo specifica in una nota la Consulta dichiarando ammissibile la richiesta di referendum denominato "abrogazione disposizioni limitative della responsabilità solidale in materia di appalti" (n. 170 Reg. Referendum) e la richiesta di referendum denominato "abrogazione disposizioni sul lavoro accessorio (voucher)" ( n. 171 Reg. Referendum); inammissibilità, invece, per la richiesta di referendum denominato "abrogazione delle disposizioni in materia di licenziamenti illegittimi" (n. 169 Reg. Referendum).

Il quesito sull'articolo 18, che era politicamente il fulcro dell'iniziativa della Cgil, è stato, dunque, ritenuto inammissibile. Il referendum proposto dalla confederazione puntava ad abrogare le modifiche apportate dal Jobs Act allo Statuto dei lavoratori e a reintrodurre dunque i limiti per i licenziamenti senza giusta causa. In particolare, la Cgil chiedeva che fosse ripristinata la "tutela reintegratoria nel posto di lavoro in caso di licenziamento illegittimo per tutte le aziende al di sopra dei cinque dipendenti".

Un verdetto annunciato? Forse, dal momento che la natura del quesito era diversa rispetto agli altri presentati. La posizione dell'Avvocatura dello Stato, evidentemente accolta anche dalla Consulta, sottolineava proprio questo aspetto. Il sindacato di Corso d’Italia, infatti, si proponeva non solo di abolire le modifiche alla norma originaria dello Statuto dei lavoratori introdotte prima con la riforma Fornero e, da ultimo, con il Jobs act, ma di fatto di estendere la "tutela reale", cioè la reintegra nel posto di lavoro, anche nelle aziende con più di 5 dipendenti (e non 15 come previsto per le imprese non-agricole dalla legge 300 del 1970).

Disinnescato il quesito principale restano al momento gli altri due quesiti che riguardano la cancellazione dei voucher con la soppressione delle norme relative al Buono per il lavoro accessorio e l’abrogazione delle leggi che limitano la responsabilità in solido di appaltatore e appaltante, in caso di violazioni nei confronti del lavoratore.

La questione voucher resta delicata, anche a causa per le polemiche che hanno accompagnato la scoperta dell’utilizzo dei ticket anche da parte dello Spi Cgil (600 l'anno i prestatori d'opera per un incasso medio annuale di 1250 euro secondo quanto emerso in seguito ai dati forniti dal presidente dell'Inps, Tito Boeri, intervistato da Repubblica). Il governo ha già reso noto di voler intervenire su questa materia. Se lo farà con una nuova norma, anche questo quesito cadrà. Ma prima la nuova norma dovrà passare al vaglio dell’Ufficio centrale per il referendum della Cassazione, che verificherà se sia aderente all'istanza quesito referendario.

Per quanto riguarda l'ultimo quesito, viene richiesta l'abolizione dell'articolo 29 del decreto legislativo 10 settembre 2003, cioè il ripristino della responsabilità dell'azienda appaltatrice, oltre a quella che prende l'appalto, in caso di violazioni subite dai lavoratori, norma che era stata cancellata dalla legge Biagi ed in seguito modificata dalla Fornero. Se il referendum fosse approvato sarebbe chiamato a rispondere anche il committente per eventuali violazioni compiute dall'impresa appaltatrice nei confronti del lavoratore. Di conseguenza, l'azienda che appalta sarà tenuta a esercitare un controllo più rigoroso su quella a cui affida un appalto.


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