martedì, gennaio 17, 2017
Chiusa l'inchiesta bis della procura Roma sulla morte del ragazzo. Accusati i carabinieri Di Bernardo, D'Alessandro e Tedesco, che lo arrestarono a Roma, Roberto Mandolini e Vincenzo Nicolardi.

A otto anni dalla morte di Stefano Cucchi, avvenuta il 22 Ottobre 2009, la procura di Roma ha chiuso l'inchiesta bis e ha contestato l'accusa di omicidio preterintenzionale ai tre carabinieri che lo arrestarono il 15 ottobre al parco degli Acquedotti. I tre sono ritenuti responsabili del pestaggio del giovane geometra ed è contestata anche l'accusa di abuso di autorità, per aver sottoposto il geometra "a misure di rigore non consentite dalla legge". Per altri due carabinieri sono ipotizzati i reati di calunnia e di falso.

Ai tre carabinieri è contestata anche l'accusa di abuso di autorità, è detto nell'avviso di chiusura indagine, atto che prelude alla richiesta di rinvio a giudizio, per aver sottoposto il geometra "a misure di rigore non consentite dalla legge". Per la procura con "l'aggravante di aver commesso il fatto per futili motivi, riconducibili alla resistenza di Cucchi al momento del foto-segnalamento".

Le accuse sono contestate ad Alessio Di Bernardo, Raffaele D'Alessandro e Francesco Tedesco, carabinieri in servizio, all'epoca dei fatti, presso il Comando Stazione di Roma Appia, che procedettero all'arresto di Stefano Cucchi in flagranza di di reato per detenzione di droga. Tedesco è accusato anche di falso. A Roberto Mandolini, comandante Interinale della stessa stazione di Roma Appia sono attribuiti i reati di calunnia e falso. Accusa di calunnia anche per lo stesso Tedesco, e per Vincenzo Nicolardi, anch'egli militare dell'Arma.

Secondo i Pm Pignatone e Musarò, Stefano Cucchi "fu colpito dai tre carabinieri che lo avevano arrestato con schiaffi, pugni e calci". Le botte provocarono "una rovinosa caduta con impatto al suolo in regione sacrale" che "unitamente alla condotta omissiva dei sanitari che avevano in cura Cucchi presso la struttura protetta dell'ospedale Sandro Pertini, ne determinavano la morte". Sarebbero stati, dunque, i pestaggi; non la "fame e la sete", nè le "cause ignote alla scienza medica", tanto meno l'epilessia. Un omicidio, preterintenzionale appunto, compiuto da coloro che lo avevano in custodia.

La morte del giovane, finora senza colpevoli, aggiunge così un nuovo capitolo che spazza via il rischio prescrizione per gli imputati. Finora, nei tre giudizi di merito, uno di primo grado e due di appello, oltre ad una pronuncia della Cassazione, ci sono state soltanto assoluzioni (definitive quelle degli agenti penitenziari in servizio nelle celle di sicurezza del Tribunale di Roma, confermate nei due giudizi di appello quelle dei sanitari del Pertini).

Decisiva per la svolta dell'inchiesta bis, l'ultima perizia d'ufficio, depositata a inizio Ottobre dello scorso anno, che per la prima volta riconosceva che "le fratture traumatiche delle vertebre" di Stefano "ben possono aver determinato una condizione di vescica neurologica" al punto tale che "la stimolazione del nervo vagale ad esso connessa può aver accentuato la bradicardia di Cucchi fino all'esito finale".

Queste le parole di Ilaria Cucchi, che mai ha smesso di denunciare i carabinieri coinvolti nella morte del fratello: "I carabinieri sono accusati di omicidio, calunnia e falso. Voglio dire a tutti che bisogna resistere, resistere, resistere. Ed avere fiducia nella giustizia", ringraziando l'avvocato Fabio Anselmo. Parla di "attacco all'arma", invece, Mandolini, tra gli accusati, "vengono cambiati i capi d’imputazione per non incorrere nella prescrizione e mandano a processo dei Carabinieri innocenti, dei padri di famiglia, dei Servitori dello Stato, solo per infangarli".


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