È nelle sale il nuovo film di Pierfrancesco Diliberto
Recensione di Paolo Antonio Magrì
È in programmazione in questi giorni il nuovo lavoro cinematografico di PIF: “In guerra per amore”. A dispetto del titolo non è un film sentimentale, ma un sapiente caleidoscopio di emozioni (anche diametralmente opposte), riflessioni, humor, creatività, genialità: tutto amalgamato dal solito stile “unico” di Pierfrancesco Diliberto. Con la sua opera seconda PIF, utilizzando il dolce inganno del titolo, della locandina (in sella a un asino volante), della sua disarmante e ostentata ingenuità, immerge lo spettatore nelle sorti della Sicilia del 1945, anno in cui (secondo la ricostruzione storica dell'autore che sposa il cosiddetto rapporto Scotten) questa Terra fu sostanzialmente venduta dagli Americani alla Mafia in cambio di “vita facile” nello sbarco e occupazione dell’isola, primo passo per la risalita della penisola.
All'agrodolce della struttura si sovrappone l'amarezza della testimonianza storica, purtroppo ancora attuale. Un documentario alla PIF, una sorta di prequel sui generis de “La mafia uccide solo d’estate”.
La storia si intreccia tra Stati Uniti e Sicilia e ha come protagonista Arturo (PIF), siciliano d’america e innamorato di Flora (Miriam Leone). Per chiedere la mano dell’amata e opporsi al matrimonio combinato dallo zio di Flora presso cui è ospite a New York, Arturo si arruola nell’esercito a stelle e strisce per poter sbarcare in Sicilia e chiedere il consenso al padre della ragazza. Il giovane sarà testimone inconsapevole di eventi e atteggiamenti che segneranno per sempre il destino della Sicilia e dei Siciliani salvo capire alla fine, grazie al suo amico tenente, a “che gioco stava giocando”.
Sarebbe interessante sbizzarrirsi a pensare, in una sorta di slancio ucronico, come avrebbe potuto ridelinearsi la storia siciliana se solo gli Americani avessero adottato decisioni diverse e soprattutto più nette… ma questa è un’altra storia ed è meglio non farsi del male.
Risultato: il film è bellissimo e “finemente” intelligente, PIF è geniale e non “inquadrabile” in un genere esistente se non quello di Pierfrancesco Diliberto.
Paolo Antonio Magrì
www.paoloantoniomagri.com
Recensione di Paolo Antonio Magrì
È in programmazione in questi giorni il nuovo lavoro cinematografico di PIF: “In guerra per amore”. A dispetto del titolo non è un film sentimentale, ma un sapiente caleidoscopio di emozioni (anche diametralmente opposte), riflessioni, humor, creatività, genialità: tutto amalgamato dal solito stile “unico” di Pierfrancesco Diliberto. Con la sua opera seconda PIF, utilizzando il dolce inganno del titolo, della locandina (in sella a un asino volante), della sua disarmante e ostentata ingenuità, immerge lo spettatore nelle sorti della Sicilia del 1945, anno in cui (secondo la ricostruzione storica dell'autore che sposa il cosiddetto rapporto Scotten) questa Terra fu sostanzialmente venduta dagli Americani alla Mafia in cambio di “vita facile” nello sbarco e occupazione dell’isola, primo passo per la risalita della penisola.
All'agrodolce della struttura si sovrappone l'amarezza della testimonianza storica, purtroppo ancora attuale. Un documentario alla PIF, una sorta di prequel sui generis de “La mafia uccide solo d’estate”.
La storia si intreccia tra Stati Uniti e Sicilia e ha come protagonista Arturo (PIF), siciliano d’america e innamorato di Flora (Miriam Leone). Per chiedere la mano dell’amata e opporsi al matrimonio combinato dallo zio di Flora presso cui è ospite a New York, Arturo si arruola nell’esercito a stelle e strisce per poter sbarcare in Sicilia e chiedere il consenso al padre della ragazza. Il giovane sarà testimone inconsapevole di eventi e atteggiamenti che segneranno per sempre il destino della Sicilia e dei Siciliani salvo capire alla fine, grazie al suo amico tenente, a “che gioco stava giocando”.Sarebbe interessante sbizzarrirsi a pensare, in una sorta di slancio ucronico, come avrebbe potuto ridelinearsi la storia siciliana se solo gli Americani avessero adottato decisioni diverse e soprattutto più nette… ma questa è un’altra storia ed è meglio non farsi del male.
Risultato: il film è bellissimo e “finemente” intelligente, PIF è geniale e non “inquadrabile” in un genere esistente se non quello di Pierfrancesco Diliberto.
Paolo Antonio Magrì
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