domenica, ottobre 09, 2016
Un finale di settimana caratterizzato dalle polemiche fra James Hogan, il numero uno della compagnia aerea, governo e sindacati. Gli impegni reciprocamente non presi rischiano di affondare il progetto.

di Lorenzo Carchini

Alitalia vola basso. La battuta, seppur scontata, ci sta tutta alla fine di una settimana di polemiche, a partire dall'attacco di James Hogan, il numero uno di Etihad, fino alle risposte da parte del Ministro delle Infrastrutture Graziano Del Rio e dei sindacati di categoria. La ex compagnia di bandiera è di nuovo in difficoltà nonostante l'ingresso della compagnia emiratina, e lo stesso presidente Montezemolo ha ammesso nei mesi scorsi che le perdite ammontano a 550.000 euro al giorno.

Andiamo con ordine. Da mesi le iniziative di sciopero sono in corso, con i sindacati che lamentano licenziamenti di assistenti di volo, mancato rispetto dell'esonero al lavoro notturno, violazioni contrattuali in tema di composizione equipaggi di volo, aumento dell'orario di lavoro, cessione di attività a vettori extra comunitari e concessioni di viaggio.

Una situazione, dunque, che va avanti da tempo e che nelle ultime ore si è inasprita, con l'intervista di Hogan rilasciata al Corriere della Sera, nella quale ha accusato l'esecutivo di non aver rispettato gli impegni lamentando il mancato sviluppo di Linate così come "l'istituzione di un fondo per rafforzare il turismo in Italia". "Mi delude, come investitore", ha concluso, "che alcune precondizioni non siano state rispettate".Un'accusa che ha sollevato anche il presidente di Alitalia-Etihad, Luca Cordero di Montezemolo, in particolare sulla mancata promozione turistica dell'Italia nei luoghi dove la compagnia ha aperto collegamenti diretti (Città del Messico, Santiago del Cile, Pechino e L'Avana).

Non si è fatta attendere la risposta del governo, attraverso il Ministro delle Infrastrutture Graziano Del Rio, che respinge le accuse e a nome dell'esecutivo assicura di aver "rispettato tutti i suoi impegni con Alitalia". Per quanto riguarda gli investimenti nel turismo, ha invece ricordato gli 1,12 miliardi di euro per i cantieri sulla cultura, il Programma operativo nazionale 'Cultura e Sviluppo' 2014 – 2020 cofinanziato dai fondi comunitari per circa 490 milioni e il Piano strategico per il turismo in Italia.

Hogan, nel corso dell'intervista, però, ha anche avvertito i sindacati: "Quando ho fatto questo accordo sono stato molto chiaro con loro: avevo bisogno di tre anni di pace industriale per ricostruire l'azienda", minacciando, però, che "con la ristrutturazione potremmo aver bisogno di ridurre il personale", almeno nel breve periodo.

I sindacati hanno ribattuto denunciando nelle parole del numero uno di Etihad "una strategia di progressivo disimpegno": "Nessuna chiarezza sul futuro aziendale, ipotesi di disimpegno mascherate da sviluppo, ma certezza di nuovi, ulteriori, pesanti ricadute su occupazione e salari. La solita cura dei soliti manager, tanto arroganti con il personale quanto incapaci di produrre e realizzare ricavi e profitti nel trasporto aereo", ha concluso l'Anpac (associazione nazionale professionale per l'aviazione civile).

Dunque, Alitalia va male e difficilmente raggiungerà a fine 2017 il pareggio operativo promesso dal piano industriale. Ma ad essere messo in discussione è, più in generale, l'intero modello Etihad. Anche l'altra grande partecipata in Europa, la tedesca Air Berlin (al 29%), è in forte crisi ed il sistema di sinergie con realtà locali non è decollato. Il tutto si traduce in sostanziali perdite, con il rischio di azzerare il patrimonio. Inoltre, la via verso un aumento di capitale è impraticabile: Cai, socio di maggioranza (guidato da Intesa Sanpaolo e Unicredit), non intende ricapitalizzare, perché se Etihad salisse oltre al 51%, non essendo azionista comunitario perderebbe i diritti di volo di Alitalia.

Da qui le parole al vetriolo di Hogan rilasciate alla stampa questa settimana. A Novembre senz'altro verrà varato un nuovo piano industriale, magari aumentando la flotta per il lungo raggio. Ciò non impedirà alla vecchia compagnia di bandiera di patire ancora pesanti passivi. E a poco serve scaricare tutte le colpe sul governo italiano e su Ryanair: non saranno gli altri a traghettare Alitalia fuori dalla crisi.


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