giovedì, settembre 08, 2016
Giuseppe Di Taranto, autore de L'Europa tradita. Lezioni dalla moneta unica. La deflazione? Un male nato da una austerity eccessiva. "Ma il Nord Europa non ha interesse a cambiare le regole del gioco" 

WSI - Uscire dalla trappola dell’euro non è più possibile. Ma forse, qualcosa si può fare. È quanto emerge dall’intervista che Giuseppe Di Taranto, autore de L’Europa tradita. Lezioni dalla moneta unica e docente di Storia dell’economia e dell’impresa presso l’Università Luiss di Roma, ha rilasciato al quotidiano “Il Giornale”.  “In questo momento e in mancanza di regolamentazioni adeguate, abbandonare l’euro è impossibile. L’addio significherebbe andare incontro ad una svalutazione del 40% minimo e diventare oggetto della speculazione internazionale. Siamo ingabbiati dalla valuta comune. Ma occorre innovare e rinnovare le regole dell’Unione monetaria o il rischio che questo esperimento fallisca completamente è davvero elevato. Siamo già a buon punto”.

Riguardo al rischio di fallimento dell’Unione monetaria, il professore fa notare che: “Le attuali regole alla base dell’euro, contenute nel Trattato di Maastricht e nel Trattato di Lisbona hanno aumentato le disuguaglianze tra i Paesi aderenti, ampliando il divario tra quelli nordici, soprattutto la Germania, che hanno beneficiato delle normative esistenti a danno di quelli meridionali che, invece, dall’Unione monetaria escono impoveriti. In questo momento ben 140 milioni di europei sono a rischio povertà. Per questo occorre riformulare completamente le regole alla base dell’Unione”.

Il problema, continua, si riassume nel termine di austerity, di quelle politiche di lacrime e sangue che hanno prostrato i paesi dell’Eurozona e che continuano a far sentire i loro effetti. Si parla di “normative alla base del rigore attuale” e di “quella strategia di austerity che non ci permette di uscire dalla deflazione. Mi riferisco, in particolare, alla previsione del rapporto tra deficit e prodotto interno lordo al di sotto del 3%, e al rapporto tra debito pubblico e Pil entro il 60%. Criteri inventati all’epoca dei trattati e giustificati solo ex post. A maggior ragione rimanere vincolati a simili parametri è dannoso soprattutto, in un momento come questo dove per uscire dalla deflazione, occorre investire, oltrepassando questi limiti e aumentando il deficit e anche il debito pubblico. Ma la politica del rigore non lo permette. Non solo. In alcuni casi le normative ci sono ma, non essendo applicate le sanzioni non vengono rispettate. In particolare quelle relative al surplus commerciale che vedono la Germania torreggiare su tutti gli altri Paesi superando i tetti previsti”.

Proprio la politica dell’austerity ha generato insomma la deflazione, e secondo Di Taranto, è difficile a queste condizioni che la Bce di Mario Draghi riesca davvero a imprimere una svolta. E, soprattutto, a sconfiggere la deflazione. “Non è così semplice. Se non si spinge sull’accelerazione della crescita, abbandonando il rigore a favore degli investimenti che portano a un aumento del Pil e a un miglioramento in termini di occupazione, è difficile che la domanda torni a salire. Di fatto la politica del rigore sta congelando il quantitative easing”.

Sulle soluzioni possibili per salvare l’Unione Monetaria, l’esperto indica “una mutualizzazione dei debiti pubblici, come avvenuto a fine ‘700 all’atto costitutivo degli Stati Uniti, e una maggior flessibilità della valuta comune che preveda agevolazioni per i Paesi rimasti indietro per favorirne il futuro riallineamento”. Ma ammette anche di essere piuttosto scettico: “Il Nord Europa che finora si è avvantaggiato di questa situazione non ha interesse a cambiare le regole del gioco".


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