lunedì, giugno 27, 2016
La reazione dopo le parole pronunciate da Francesco sul genocidio armeno il primo giorno del viaggio. Padre Lombardi: se si leggono bene i discorsi del Pontefice, si capisce che non è così.

Il Papa e il papato «portano ancora tracce di mentalità da crociata». Sono le parole dette sabato 25 giugno nel corso di una conferenza stampa dal vice primo ministro Nurettin Canikli a commento di quanto affermato da Francesco il giorno precedente, al suo arrivo in Armenia. Come si ricorderà, Bergoglio, di fronte al presidente e alle autorità politiche e diplomatiche armene, aveva parlato dei massacri di cento anni fa usando nuovamente la parola «genocidio», non presente nel testo preparato del discorso .

Canikli, rispondendo alla domanda di un cronista, ha criticato le parole del Pontefice, affermando che non hanno alcuna relazione con la verità storica. «Innanzitutto è un peccato che il Papa abbia fatto tali osservazioni». Il vice primo ministro ha paragonato quanto accaduto alla Brexit del Regno Unito. «L’attività del Papa e il papato portano ancora tracce della mentalità da crociata. I suoi non sono commenti imparziali, non hanno alcun rapporto con la realtà». Canikli ha aggiunto che la verità «sul cosiddetto “genocidio” è conosciuta da tutti, anche dagli armeni stessi».

Il vice primo ministro ha osservato che anche la recente approvazione di una mozione che riconosce il genocidio armeno da parte del Parlamento tedesco non ha alcuna relazione con i fatti storici ma ha motivazioni politiche. La Turchia, ha ricordato, nega che vi sia stato un genocidio ma riconosce che ci sono state vittime da entrambe le parti durante gli aventi accaduti nella Prima Guerra mondiale.

Anche se si tratta di parole forti, la reazione di Ankara non è in alcun modo sovrapponibile, al momento, a quanto accaduto nell’aprile 2015, subito dopo la celebrazione per il centenario del genocidio armeno celebrata nella basilica di San Pietro da Papa Francesco in presenza del Chatolicos Karekin II e del presidente dell’Armenia Serzh Sargsyan. Un anno fa, il 12 aprile, la reazione fu molto più dura: venne convocato dal governo il nunzio apostolico in Turchia Antonio Lucibello e venne richiamato ad Ankara l’ambasciatore turco accreditato presso la Santa Sede.

Il ministro degli Esteri turco, Mevlut Cavusoglu affermò che le parole del Pontefice rivelavano «una discriminazione dei musulmani e dei turchi di fronte ai cristiani». In un crescendo di reazioni, il giorno successivo, 13 aprile, l’ambasciatore turco in Vaticano, Mehmet Paçaci, diffuse una nota nella quale si definiva quella di Francesco «un’inaccettabile strumentalizzazione politica», che «è discutibile sotto tutti i punti di vista, che è basata sul pregiudizio, che distorce la storia e che riconduce il dolore sofferto in Anatolia nelle particolari circostanze della Prima Guerra Mondiale ai membri di una sola religione».

Come si può vedere, le parole del vice primo ministro, peraltro dette in una conferenza stampa, non possono essere paragonate alle serie tensioni diplomatiche del 2015, risoltesi soltanto dopo diversi mesi.

E durante il briefing in sala stampa, domenica 26 giugno, il direttore della Sala Stampa vaticana padre Federico Lombardi ha fatto osservare che se « si legge bene il Papa si vede che non c’è nulla dello spirito di crociata». Il Papa, ha aggiunto il portavoce, «non sta facendo crociate, non promuove guerre ma promuove la pace».


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